Autori degli approfondimenti: Paolo Carafa, Fabio Cavallero Revisione iconografica: Valentina Manchia Tutti i diritti riservati © 2016, De Agostini Libri S.p.A., Novara In copertina: Sabratha, Capitolium, testa colossale di Giove, seconda metà del II secolo d.C., Museo Romano di Sabratha (© Richard Moody | Dreamstime.com) Progetto grafico: XxY studio Prima edizione: ottobre 2016 1° edizione eBook: ottobre 2016 ISBN: 978-88-511-3694-9 Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico o in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto all’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org www.utetlibri.it www.deagostinilibri.it facebook.com/utetlibri @utetlibri Andrea Carandini con Mattia Ippoliti GIOVE CUSTODE DI ROMA Il dio che difende la città Indice PRIMA PARTE – IL CUORE DI ROMA, I MONUMENTI di Andrea Carandini Tavole – Prima Parte (Figg. 1-20) SECONDA PARTE – IL CUORE DI ROMA, IL CULTO DI GIOVE STATORE di Mattia Ippoliti Tavole – Seconda Parte (Figg. 21-34) NOTE A MARGINE di Mattia Ippoliti Tavole – Note a margine (Figg. 35-37) APPROFONDIMENTI I senatori nel templum, davanti all’aedes (Paolo Carafa) Il templum/fanum di Giove Statore (Fabio Giorgio Cavallero) Tavole – Approfondimenti (Figg. 38-39) APPENDICI Fonti letterarie di interesse topografico (Mattia Ippoliti) La prima Catilinaria di Cicerone – 8 novembre 63 a.C. BIBLIOGRAFIA (Mattia Ippoliti) P P RIMA ARTE IL CUORE DI ROMA, I MONUMENTI di Andrea Carandini Premessa Questo libro è stato scritto con un giovane allievo – Mattia Ippoliti –, come ormai è mia abitudine.1 Mai come preparando un libro s’insegna bene il mestiere e al tempo stesso ci si perfeziona dialogando con chi è nato molto dopo di noi. La sfida ha dell’impossibile, perché il cuore di Roma è molto più labirintico delle rovine e delle fogne di Vienna nel film Il terzo uomo (fig. 1). Infatti è composto da una infinità di dettagli tra loro intricati, che devono poi risolversi in stati di cose sensati e successivi nel tempo. Ciò è particolarmente arduo in una città che vive da oltre 2770 anni, la cui documentazione antica, seppure numerosa, è frammentaria e quindi interpretabile in vario modo. A volte ci si perde in contrastanti soluzioni, per cui la testa dell’indagatore si mette a girare, come quando ci si alza troppo in fretta. Eppure nella stratigrafia e nella topografia di un centro urbano una stessa cosa non può stare ad un tempo qui e lì, anche se percorsi e funzioni possono variare attraverso i secoli, come accade con le varianti di una leggenda, che vanno fuori strada ma non troppo. Il problema per gli archeologi è anche quello di non dare tutto per scontato, perché quello di cui trattano è fuori epoca e quindi da spiegare, ma se poi tutto volessero motivare, si dovrebbero prevedere diversi volumi. Per semplificare un percorso, che altrimenti si rivelerebbe troppo impervio, è opportuno seguire le informazioni e le interpretazioni che sembrano più verosimili, accennando solo dove è proprio indispensabile alle opinioni contrarie, che nel nostro caso sono quelle tradizionali, appartenenti cioè alla “vulgata topografica”. La nostra visione, al contrario, riguarda un insieme di contesti ricostruiti minutamente tramite dati e argomenti che seguono una via originale. Pur avendo tratto all’inizio ispirazione da una ricerca assai poco convenzionale degli inizi degli anni ottanta,2 ci siamo mossi poi in modo sempre più autonomo, sia per quanto riguarda i testi che per quanto attiene ai monumenti, puntando molto sulla conoscenza concreta della città antica, dovuta all’esperienza fatta scavando, pubblicando gli scavi3 e producendo l’Atlante di Roma antica.4 I grafici elaborati da Mattia Ippoliti aiuteranno molto i lettori a districarsi tra strade ed edifici riportati alla luce, assiepati come non sorprende in questo crogiolo massimo di vita urbana, eppure non basta. Serve anche un grande sforzo di chiarezza nel raccontare, che presuppone un amore per i dettagli, oggi poco comune, prevalendo ampiamente ormai il gusto per l’approssimativo. I dettagli sono il sale della storia, ché il generico è sciapo. Il compenso alla fatica sta nella ricostruzione trasparente degli stati di cose dell’epicentro di Roma antica, che esprimono, come in ritratti di età diverse, le vicende strutturali della città in continuo movimento. Si parte dagli aggregati di rioni precedenti Roma, che al loro culmine hanno quasi raggiunto la dimensione vasta e unitaria della prima città (circa 210 ettari). Si passa poi, con un salto, alle trasformazioni dovute alla fondazione romulea della città-stato, cioè a un insieme di atti sacrali, auspicali (cioè riguardanti segni dal cielo rivelatori della volontà di Giove), rituali e politico-istituzionali che hanno configurato Roma prima d’un tratto – senza una lunga formazione – e poi con perfezionamenti che hanno occupato soprattutto la seconda metà dell’VIII secolo a.C.: i decenni della svolta urbana. Seguono la rifondazione a opera di Servio Tullio, dalle durevoli conseguenze, l’abolizione della monarchia e la transizione alla libera res Publica. E poi, risalendo nel tempo, si giunge ai rifacimenti degli edifici nella più duttile e consistente tecnica edilizia dei caementa, i cui effetti si vedranno dopo l’incendio del 210 a.C. Un altro salto si ha poi con Augusto, che implicherà un sovvertimento funzionale dei luoghi, fino all’azione distruttiva del grande incendio del 64 d.C., che ha comportato il seppellimento del cuore cittadino più antico, durato ottocentoventicinque anni. A un centro irregolare, dovuto specialmente alle istanze religiose delle origini, è succeduta una scena regolare e magniloquente da capitale ellenistica, sul genere di Alessandria, con il lungo, retto e ampio viale porticato del clivo Sacro e con l’immane reggia di quell’anti-Cristo sotto il quale sono stati martirizzati Pietro e Paolo, Nerone. Per intendere questo megalomane, che si è tentato invano di riabilitare, servono sia Tacito sia Cannadine (Decline and fall of the British Aristocracy). Entrambi illustrano al meglio fino a quali innocenti stramberie e orripilanti perversioni giunge l’uomo quando tutto può, al vertice di un’alta nobiltà che muove un mondo. Tutte queste trasformazioni maggiori di Roma si leggono nelle diverse espressioni del suo volto urbano attraverso i diversi stati di cose delle diverse epoche, perché la città non è immota ma scorre, come il Tevere che l’attraversa, ed è in questo mutare che rivela il suo essere. Per leggere gli stati di cose serve saper analizzare e saper vedere. Da questo punto di vista questo libro è un piccolo manuale, un mezzo d’iniziazione. Ma è venuto il momento di abbandonarci alle profondità del tempo. ESORDIO MITISTORICO. Fondata Roma sul monte Palatino, Romolo e i Romani devono fronteggiare Tito Tazio e i Sabini che hanno occupato i colli aggiogati dell’Arce e del Campidoglio. Gli scontri fra i due re e i loro popoli si svolgono nella bassura che tra quei rilievi si interponeva, dove poi sorgerà la piazza pubblica del Foro. Nell’ultimo scontro, Romolo viene ferito e i Sabini inseguono ormai i Romani, che fuggono attraverso la bassura, arretrando fino alla loro città sul Palatino. Giunti alla prima porta che immetteva nel monte, i Sabini vengono affrontati dai Romani che custodivano le mura. Nel frattempo Romolo si è ripreso, anima la truppa e i Sabini vengono respinti lungo una strada infossata fino al limite della bassura (fig. 2). Romolo era riuscito a salvare Roma perché davanti alla porta della città aveva invocato Giove: «Padre degli dèi e degli uomini, tieni lontani i nemici da questa porta. Qui a te Statore dedico un templum per ricordare ai posteri che la città è stata salvata dal tuo aiuto» (Livio, fonte 8.1; Dionigi di Alicarnasso, fonte 6.2; Plutarco, fonte 17.1). Templum significava un’area sacra (corrispondente in questa fase a un sacellum) includente un focolare o un’ara su cui sacrificare, il cui suolo era stato inaugurato e cioè benedetto da Giove e anche consacrato a quel dio. Stator indica il Giove che ha fermato la fuga dei Romani e ha impedito loro di penetrare nell’urbs. Giove Statore è pertanto il primo custode di Roma. La strada infossata lungo la quale i Romani hanno respinto i Sabini era la Sacra via, allora accolta nel fossato del fondovalle tra Velia e Palatino. Il limite della bassura al quale i Sabini sono stati respinti corrisponderà alle future Regia e aedes (dimora) di Vesta, quindi al bordo orientale del Foro (figg. 2, 13). Più difficile sarebbe ricostruire il luogo della vetus porta Palatii (o Mugonia), dove la riscossa dei Romani era cominciata, se la porta stessa non fosse stata scoperta dai nostri scavi nelle sue diverse versioni attraverso ottocentoventicinque anni. Se si riconosce questo luogo, si individua anche quello del templum con fanum di Giove Statore, creato da Romolo davanti a quella porta del Palatino (Palatium era allora il nome di un monte e non significava ancora “palazzo”) (fig. 10). Una aedes del dio verrà votata in quel templum/fanum solamente nel 294 a.C. da Attilio Regolo: nella battaglia di Luceria i Romani erano stati messi in fuga dai Sanniti, ma poi avevano ripreso a combattere, ancora una volta grazie a Giove Statore. Se nel segmento della Sacra via posto tra il limite est della bassura che diventerà Foro e la vecchia porta del Palatino Romolo non avesse prevalso sui Sabini, sostenuto da Giove Statore, Roma sarebbe morta in fasce.
Description: