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Fiori di campo. Storie di internamento femminile nell’Italia fascista (1940-1943) PDF

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del turismo Corso di dottorato di ricerca in Human sciences Ciclo XXVIII Fiori di campo. Storie di internamento femminile nell’Italia fascista (1940-1943) Relatore Dottorando Chiar.mo Prof. Gennaro Carotenuto Dott. Matteo Soldini COORDINATORE Chiar.mo Prof. Angelo Ventrone ANNO 2017 Indice Introduzione .....................................................................................................................................I Elenco delle abbreviazioni .....................................................................................................1 I. Il contesto storiografico: avvio e sviluppo di una storiografia ai margini ...................................2 1. Memoria divisa, memoria reticente. Il passato fascista tra oblio e rimozioni .........................5 2. Una “normale” procedura di guerra: la centralità del momento resistenziale e la sovrapposizione con il confino ...........................................................................................37 3. «Pas de documents, pas d’histoire» .......................................................................................47 4. Il paradigma della Shoah: la memoria “forte” della deportazione ........................................51 5. Le prime testimonianze e i tentativi di ricostruzione “a caldo” ............................................56 6. La svolta documentaria e lo sviluppo degli anni Ottanta ......................................................65 7. Gli anni Novanta: microstoria, storia locale e tentativi di coordinamento. ...........................83 8. Dal particolare al generale: le sintesi complessive e lo sdoganamento all’estero nel tornante del nuovo Millennio ...........................................................................................................93 II. L’internamento civile fascista .................................................................................................112 1. Gli anni Trenta: normativa di guerra e repressione in tempo di pace ..................................113 2. Verso la guerra: in preparazione dello stato d’emergenza ...................................................119 3. La politica antiebraica: i provvedimenti di espulsione e il problema dei profughi .............126 4. Lo scoppio della guerra: tra non belligeranza e preparativi per la mobilitazione ..............130 5. La dichiarazione di guerra: l’internamento diventa operativo ............................................148 6. L’Italia in guerra: la gestione dell’internamento .................................................................165 7. L’invasione della Jugoslavia: l’internamento degli «allogeni» e degli «slavi». ..................178 8. La svolta del 1943: i quarantacinque giorni e l’8 settembre ...............................................202 III. I campi di internamento femminile .......................................................................................217 1. La provincia di Macerata .....................................................................................................217 1.1 Treia - Villa La Quiete ...........................................................................................231 1.2 Petriolo - Villa Savini .............................................................................................287 1.3 Pollenza - Villa Lauri .............................................................................................301 2. La provincia di Chieti ..........................................................................................................347 2.1 Lanciano - Villa Sorge ...........................................................................................352 3. La provincia di Avellino ......................................................................................................372 3.1 Solofra - Palazzo Bonanno ....................................................................................382 4. La provincia di Campobasso ...............................................................................................400 4.1 Vinchiaturo - Stabile Nonno ..................................................................................412 4.2 Casacalenda - Palazzo Caradonio-Di Blasio .........................................................426 IV. Le internate ............................................................................................................................456 1. Statistiche sulle presenze e capienza dei campi ..................................................................456 2. Schedatura delle internate ...................................................................................................467 2.1 I dati anagrafici fondamentali ................................................................................471 2.2 La nazionalità .........................................................................................................473 2.3 Lo stato civile .........................................................................................................476 2.4 Le professioni ........................................................................................................478 2.5 La “razza” ..............................................................................................................480 2.6 Il colore politico .....................................................................................................483 2.7 Trasferimenti, ricoveri, rimpatri, proscioglimenti e liberazioni .............................486 2.8 Le schede ...............................................................................................................491 Bibliografia. ........................................................................................................................558 Sitografia ............................................................................................................................590 Indice dei nomi. ..................................................................................................................593 Introduzione Introduzione L’emergenza legittima la prevenzione e la prevenzione si vale soprattutto del sospetto1. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento cominciò a diffondersi in tutta Europa la cultura della prevenzione dei comportamenti pericolosi per l’ordine pubblico, da preferirsi a un tardivo intervento repressivo, ma, anziché indirizzarsi verso una prevenzione di carattere sociale, i governi infusero questo principio nelle modalità di gestione della pubblica sicurezza, optando per una prevenzione poliziesca attraverso l’introduzione e il progressivo potenziamento degli strumenti di polizia preventiva. Questi si dimostrarono inefficaci alla prova dei fatti, cioè non capaci di risolvere le conflittualità e le espressioni criminali o criminalizzate – nel caso ad esempio del reato politico – delle conflittualità sociali, ma soprattutto provocarono una compressione della legalità e della libertà, cosicché dalla battaglia, persa, contro la criminalità comune e politica, gli Stati uscirono «stravolti» perdendo «elementi di libertà, di uguaglianza, di tensione morale sui quali erano nati all’epoca delle grandi rivoluzioni»2. Le lacerazioni che accompagnarono la nascita dello Stato liberale italiano – frutto della sistemica incapacità della classe dirigente di consentire un efficace processo di integrazione delle classi subalterne – ne segnarono lo sviluppo, caratterizzato, per tutta la sua storia successiva, dalla costante contrapposizione fra un gruppo ristretto di forze politiche, con modesti allargamenti, tramite assimilazione, a componenti minoritarie dell’opposizione, e forze di opposizione rappresentate e autorappresentate come alternative non di governo ma di sistema, configurandosi in questo modo come “nemici interni” e introducendo nelle modalità di lotta politica italiana una dialettica amico-nemico che, come sottolineato da Massimo Salvadori, ha costantemente caratterizzato la storia dell’Italia unita, informando di sé gli strumenti repressivi, di volta in volta, approntati dai governi che hanno risposto alle tensioni sociali ricorrendo all’esercito, allo stato d’assedio e alle legislazioni speciali3. 1 M. Sbriccoli, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano (1860-1990), in L. Violante (a cura di), Storia d'Italia. Annali. Vol. 14. Legge diritto giustizia, Einaudi, Torino 1998, p. 489. 2 M. Sbriccoli, La piccola criminalità e la criminalità dei poveri nelle riforme settecentesche del diritto e della legislazione penale, in Id., Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Giuffrè, Milano 2009, vol. I, p. 417. 3 Si veda in proposito M.L. Salvadori, La dialettica amico-nemico nella storia italiana e in altre storie, in A. Ventrone, (a cura di), L’ossessione del nemico. Memorie divise nella storia della repubblica, Donzelli, Roma 2006, in particolare alle pp. 11-13. !I Introduzione Modelli repressivi di antico regime si trovarono così a coesistere con la celebrazione della legge, delle garanzie costituzionali, delle libertà, e lo Stato unitario procedette nella lotta ai suoi nemici secondo la direzione già seguita dagli stati preunitari, presentandosi come «un blocco d’ordine assediato da nemici sempre diversi, ma coerenti nel metterne in questione la sopravvivenza»4, giustificando per questo la violazione dei diritti di libertà dei cittadini – garantiti, per quanto debolmente, dallo Statuto albertino – che nell’arco della storia dell’Italia liberale andarono sempre più affievolendosi, fino a scomparire già prima dell’avvento del fascismo5. Tra il 1861 e il 1870 il Regno d’Italia dovette fare i conti con un movimento di reazione all’unità che si espresse in una rivolta sociale e in azioni di lotta armata contro le istituzioni di uno Stato non riconosciuto come legittimo, determinando una prima frattura tra il nuovo Stato unitario e le masse popolari, affrontate con un’energica risposta militare ma una debole iniziativa politica6. La situazione di emergenza legata al fenomeno del brigantaggio che, all’indomani dell’unità, il nuovo Stato italiano si trovò a fronteggiare nel meridione e la fermezza con cui questa fu trattata, sia sul piano normativo che su quello operativo, hanno inflitto «statu nascenti, al sistema penale italiano una radicale e irreversibile torsione», imprimendo all’ordinamento punitivo «una sorta di carattere originario, che lo avrebbe accompagnato, di emergenza in emergenza»7, attraverso la prima guerra mondiale, attraverso il fascismo e, sfondando la soglia del cambiamento di regime, addentrandosi in profondità anche nella storia dell’Italia repubblicana. Furono proprio i provvedimenti normativi contro il brigantaggio a inaugurare il ricorso alla legislazione eccezionale, caratterizzando il modus privilegiato di gestione delle situazioni di 4 P. Costa, Pagina introduttiva. I diritti dei nemici: un ossimoro?, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno. 38. I diritti dei nemici, Giuffrè, Milano 2009, vol. I, pp. 20-21. 5 Si veda P. Barile, Corso di diritto costituzionale, CEDAM, Padova 1964, pp. 28-29. 6 Si vedano G. Motzo, Le situazioni di emergenza e di grave necessità pubblica, in P. Barile (a cura di), La pubblica sicurezza. Atti del Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Neri Pozza, Vicenza 1967, pp. 568-569. J.A. Davis, Legge e ordine. Autorità e conflitti nell’Italia dell’800, FrancoAngeli, Milano 1989, traduzione di G. Garavaglia, (edizione originale: Conflict and Control. Law and Order in Nineteenth- Century Italy, Humanities Press International, Atlantic Highlands 1988), p. 198. Si faccia riferimento in generale a F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Feltrinelli, Milano 1983. 7 «Il Regno d’Italia nasce, nel 1861, sotto il segno dell’emergenza. L'insurrezione di uomini armati in alcune regioni meridionali, passata alla storia con il nome sbrigativo di brigantaggio, sembra mettere in drammatico pericolo l'unità dello Stato appena realizzata. La reazione del governo fu tale, sul piano normativo e su quello delle pratiche di giustizia, da infliggere, statu nascenti, al sistema penale italiano una radicale e irreversibile torsione. La legislazione eccezionale contro il “brigantaggio” e i metodi usati per applicarla, impresse all'ordinamento punitivo una sorta di carattere originario, che lo avrebbe accompagnato, di emergenza in emergenza, fino agli anni Ottanta del Novecento. L'Italia si adattò a quel duplice livello della legalità, già praticato dagli illiberali stati preunitari, che gli artefici del Risorgimento – ora al governo del Regno – avevano sofferto e combattuto, e lo conservò, facendolo operare e trascinandolo ben oltre il limite segnato nel 1948 dalla Costituzione repubblicana; così come adottò il metodo della legislazione speciale d'emergenza, costellando la sua storia di leggi d'eccezione che, una dopo l'altra, lasciarono nell'ordinamento incrinature e detriti». M. Sbriccoli, Giustizia criminale, in Id., Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Giuffrè, Milano 2009, vol. I, p. 35 !II Introduzione conflittualità da parte dell’esecutivo, designate come situazioni di emergenza e colorate di finalità politiche sempre più evidenti – inequivocabili nel caso della legislazione Crispina del 1894 – offrendo ai governi un formidabile strumento di emarginazione della devianza e di repressione del dissenso, criminalizzato in quanto elemento antinazionale. Questo approccio faceva leva su un concetto di pericolosità – più spesso presunta che reale – dai confini elastici e ridefiniti strumentalmente, di volta in volta, in virtù di uno stato d’emergenza tendente alla dilatazione e a un conseguente impiego sempre più estensivo degli strumenti di polizia preventiva che informarono, nel primo ventennio post-unitario, un sistema di controllo finalizzato al disciplinamento dei ceti più poveri e alla repressione del dissenso politico8. Proprio le misure preventive, «nel momento in cui abbandonano il campo del processo penale e rimangono affidate alla piena discrezionalità dell’esecutivo»9, rivestono, nell’analisi delle politiche e modalità di gestione della pubblica sicurezza e dell’emergenza, un’importanza fondamentale che trascende il contesto limitato dell’organizzazione di polizia o del sistema penale, costituendo un importante indicatore del grado di libertà e legalità di uno Stato. Come notato al riguardo dal deputato Silvio Spaventa in un discorso pronunciato a Bergamo nel 188010: Un pubblicista illustre notò che, se vuolsi conoscere in generale il carattere dell’amministrazione d’un paese, bisogna vedere qual è il carattere della sua polizia preventiva; e provò la sua tesi coll’esame da lui fatto dell’amministrazione della Germania, della Francia e dell’Inghilterra, dove precisamente il grado di legalità, che egli riscontrò nella polizia preventiva, gli risultò essere la misura di legalità, che domina nelle altre sfere amministrative: cosicché l’una dà quasi il carattere a tutte le altre. Ed è ragionevole, io dico, che sia così, imperocché la polizia preventiva tocca principalmente un bene sommo, com’è la libertà personale dell’uomo; e, dove si concede o tollera maggiore l’arbitrio su questo, tanto più può concedersi o tollerarsi l’arbitrio sopra beni minori11. 8 Si confronti con D. Petrini, Il sistema di prevenzione personale tra controllo sociale ed emarginazione, in L. Violante (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 12. La criminalità, Torino 1997, pp. 893-935 e U. Allegretti, Dissenso, opposizione politica, disordine sociale: le risposte dello Stato liberale, ibidem. pp. 720-756, Si veda inoltre D. Petrini, La prevenzione inutile. Illegittimità delle misure praeter delictum, Jovene, Napoli 1996. 9 P. Barile, La pubblica sicurezza, in Id., La pubblica sicurezza. Atti del Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, cit., p. 20. 10 S. Spaventa, Giustizia nell’amministrazione, in Id., La politica della Destra. Scritti e discorsi, a cura di B. Croce Laterza, Bari 1910, pp. 53-105, ora anche in Id., Giustizia nell’amministrazione e altri scritti, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 2006, pp. 17-62. 11 Ibidem, p. 39. !III Introduzione Colonna portante dell’armamentario repressivo e degli strumenti di prevenzione personale – elementi di maggiore continuità in materia di libertà personale fra il nuovo assetto e gli ordinamenti assolutistici12 – fu il domicilio obbligatorio, introdotto proprio agli albori della storia dell’Italia unita e utilizzato largamente nell’arco dell’intera parabola dello Stato liberale, attraverso un sistema che Davide Petrini ha definito «a fisarmonica», che si allarga e restringe a seconda delle emergenze politiche e sociali che di volta in volta si presentano13, con un punto di svolta segnato dallo scoppio della prima guerra mondiale14. Come rilevato infatti da Pietro Costa, se l’avvento del fascismo e del nazionalsocialismo ruppe definitivamente la dialettica fra norma ed eccezione – attiva fra Otto e Novecento e inaugurata dalla rivoluzione francese – e portò all’affermazione di nuove strategie di definizione e di neutralizzazione del nemico, non si trattò di una svolta improvvisa ma fu preceduta da «progressivi slittamenti» in un processo di progressiva «restrizione dello spazio “normale”», di cui la prima guerra mondiale costituì un elemento di accelerazione, in favore della «moltiplicazione delle eccezioni» che giustificano la sospensione delle libertà in nome della salvezza della nazione e della lotta ai suoi nemici, siano essi esterni o interni, nella saldatura – che si realizza proprio durante il primo conflitto mondiale – in un’unica grande categoria di estraneità e alterità rispetto alla comunità nazionale15. Con la prima guerra mondiale l’affermazione di uno stato d’emergenza permanente conobbe quindi una tappa fondamentale, attraverso la prassi di un uso corrente della legislazione eccezionale emanata per decreto, effetto del rafforzamento dell’esecutivo e della rimodulazione dell’intervento dello Stato in tutti i settori della vita sociale, nonché dell’affermazione dell’attività legislativa del governo come sempre meno episodica, normalizzando lo stato d’eccezione che fino a quel momento era stato sempre caratterizzato da limiti temporali e geografici ben circoscritti16. Proprio mentre la legislazione eccezionale diveniva pratica diffusa in molti Stati europei, si cominciarono a introdurre le prime leggi sulla cittadinanza che prevedevano la 12 G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Giuffrè, Milano 1967, p. 223. 13 Petrini, Il sistema di prevenzione personale tra controllo sociale ed emarginazione, cit., p. 905. 14 Sull’istituto del domicilio coatto in età liberale si faccia riferimento a D. Fozzi, Tra prevenzione e repressione. Il domicilio coatto nell’Italia liberale, Carocci, Roma 2010 e si veda Ead., Una «specialità italiana»: le colonie coatte nel Regno d’Italia, in Le colonie penali nell’Europa dell’Ottocento, a cura di M. Da Passano, introduzione di G.N. Modona, Carocci, Roma 2004, pp. 215-304. 15 Costa, Pagina introduttiva. I diritti dei nemici: un ossimoro?, cit., pp. 20-21. 16 Si vedano G. Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 23 e C. Latini, Governare l’emergenza. Delega legislativa e pieni poteri in Italia tra Otto e Novecento, Giuffrè, Milano 2005, p. 5. !IV Introduzione denaturalizzazione e la denazionalizzazione dei propri cittadini, come avvenuto in Francia nel 1915 con la revoca della nazionalità ai cittadini di origine nemica, preludendo alle revoche dei diritti garantiti dalla cittadinanza che sarebbero state condensate in Germania nelle leggi di Norimberga del 1935 o in Italia nella normativa antiebraica del 193817. L’affermazione dello stato d’eccezione come strumento di governo dell’emergenza che divenne progressivamente «paradigma costitutivo dell’ordine giuridico» e «durevole prassi di governo»18, insieme alla diffusione delle nuove leggi sulla cittadinanza e della nuova figura dell’apolide che per Hannah Arendt è il «fenomeno di massa più moderno», il ché fa degli apolidi «il gruppo umano più caratteristico della storia contemporanea»19, si affiancarono alla nascita del “campo” – «un pezzo di territorio che viene posto fuori dell’ordinamento giuridico normale, ma non è, per questo, semplicemente uno spazio esterno […] è uno spazio di eccezione, in cui la legge è integralmente sospesa»20 – che avviene proprio con l’estensione all’intera popolazione civile di uno stato di eccezione legato alla guerra e la cui «vocazione» è proprio quella di realizzare stabilmente l’eccezione, entrando dunque stabilmente nella vita e negli ordinamenti degli Stati. In questa fase cruciale, la costruzione sociale del “nemico interno”, minaccioso elemento di disgregazione dell’integrità nazionale, divenne in tutta l’Europa in guerra elemento fondamentale di lotta politica e strumento di legittimazione del potere, in Francia così come nel Reich germanico, in Gran Bretagna come negli Stati Uniti21. È in questo particolare contesto che la linea autoritaria del governo Salandra si espresse con eccezionale durezza nella repressione del dissenso, applicando estensivamente in ambito civile la giustizia militare. L’entrata in guerra dell’Italia e il passaggio all’autorità militare delle zone occupate e delle zone di guerra conferì infatti ai comandi militari la facoltà di espellere e 17 G. Agamben, Al di là dei diritti dell’uomo, in Id., Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 22. 18 Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, 2003, pp. 16, 17. 19 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 385. Si veda I. Possenti, L’apolide in patria. Lo straniero nella filosofia di Hannah Arendt, Carocci, Roma 2002. 20 G. Agamben, Che cos’è un campo, in Id., Mezzi senza fine. Note sulla politica, cit., p. 36-37. 21 Si faccia riferimento a G. Procacci, Stato di guerra, regime di eccezione e violazione delle libertà. Francia, Inghilterra, Germania, Austria, Italia dal 1914 al 1918, in B. Bianchi, L. De Giorgi, G. Samarani (a cura di), Le guerre mondiali in Asia orientale e in Europa. Violenza, collaborazioni, propaganda, Unicopli, Milano 2009, pp. 33-52, A. Botti, Il “nemico interno” e le sue icone. Cenni storici e questioni storiografiche, in «Storia e problemi contemporanei», n. 35, 2004, pp. 5-11, I. Biagioli, La patria in pericolo. L’uso politico del nemico in Francia tra Otto e Novecento, ibidem, pp. 13-37, P. Taguieff, L’ebreo come nemico interno/esterno: una costruzione “razzialista” alla Francese (Drumont, Soury, Barrès), ibidem, pp. 39-71, G. Corni, Il “nemico interno” nella storia del Reich Germanico dopo il 1870. Vicende e stereotipi, ibidem, pp. 85-105. !V Introduzione internare, in apposite località scelte dai prefetti, i cittadini nemici e i cittadini italiani sospetti o “indesiderabili” perché genericamente pericolosi o ostili al conflitto e quindi potenzialmente in combutta con il nemico esterno. Con il procedere della guerra e la svolta a destra che ne caratterizzò l’ultimo anno, si registrò un progressivo incremento dei provvedimenti comminati per motivi politici e, in particolare dopo Caporetto, quella del “nemico interno” divenne una vera psicosi, provocando un’ulteriore ondata di rigore che si abbatté contro ogni sospetto di disfattismo. La normativa di guerra del primo conflitto mondiale, pur nella sua eccezionalità e provvisorietà, costituì un fondamentale momento di passaggio fra la stretta reazionaria di fine secolo e le leggi “fascistissime”: non solo infatti la tendenza del ministero dell’Interno alla dilatazione dei poteri, alla gestione arbitraria e discrezionale della pubblica sicurezza e alla limitazione dei diritti e delle libertà dei cittadini trovarono un clima favorevole nel contesto di mobilitazione, disciplina ed emergenza per la sicurezza dello Stato nella congiuntura creata dalla prima guerra mondiale22, ma alcune delle pratiche normative belliche furono poi recepite dalla legge di pace e applicate anche dopo la fine dello stato d’eccezione; è su questa continuità normativa che poggiano le progressive restrizioni delle libertà e il definitivo smantellamento dello Stato liberale portato a compimento dal fascismo, tanto più che lo stesso istituto del confino di polizia riprese i principi dell’internamento del periodo bellico con il quale mostra diversi elementi di continuità23. È quindi con la prima guerra mondiale che iniziò ad applicarsi la forzatura alla legislazione sul domicilio coatto di età liberale, estendendosi a un’area più vasta di opposizione politica, ed è attraverso la mediazione della prima guerra mondiale e dell’esperienza normativa dei decreti eccezionali che il fascismo recepì e “perfezionò” le normative restrittive dei diritti, a partire da quelli di stampa, riunione e associazione. Come puntualizzato da Giovanna Procacci: il paese, assuefatto alle limitazioni della libertà nel periodo bellico, non sembrò percepire la deriva nella quale stavano per essere travolti i diritti di cittadinanza. Repressione e mobilitazione culturale, agendo in concerto, avevano infatti ormai convinto l’opinione pubblica che, contro le insidie dei “nemici interni”, 22 Si confronti con E. Collotti, De l’assignation à résidence forcée aux camps de concentration, in Indésirables- indesiderabili. Les camps de la France de Vichy et de l’Italie fasciste, cit., p. 56. 23 Si faccia riferimento a G. Procacci, Osservazioni sulla continuità della legislazione sull'ordine pubblico tra fine ottocento, prima guerra mondiale e fascismo, in P. Del Negro, N. Labanca, A. Stadierini, Militarizzazione e nazionalizzazione nella storia d’Italia, Unicopli, Milano 2006, pp. 83-96. !VI Introduzione l’interesse superiore dello Stato giustificasse, come durante il periodo bellico, il sacrificio delle regole della democrazia24. Su questa scia e in virtù del progressivo coinvolgimento collettivo sulla scena pubblica, la costruzione della contrapposizione con il nemico esterno assunse progressivamente, tra le due guerre, fattezze diverse – dai neutralisti, ai disfattisti, ai “rossi”, ai sovversivi, agli antifascisti, fino allo “straniero interno” individuato dalle leggi razziste e antisemite25 – e diventò controparte indispensabile dell’autorappresentazione fascista che vive e si alimenta della contrapposizione dialettica “noi-loro”. Ogni “noi” presuppone un “loro” e il «noi difficile» degli italiani, così come l’ha definito Mario Isnenghi26, fu costruito dal fascismo proprio sull’antagonismo e sull’esclusione, nella dilatazione senza precedenti di uno spazio di devianza da sempre presente nella società italiana così come era stato definito di volta in volta dai governi liberali e contrastato da misure illiberali che rivelano una continuità di fondo fra l’Italia liberale e quella fascista nella gestione della pubblica sicurezza27. In questo contesto si inserisce la deformazione definitiva del concetto di “ordine pubblico” operata, sin dalla seconda metà degli anni venti, dal fascismo che ne aveva chiaramente dimostrato la malleabilità, facendone il fondamento del potere poliziesco del regime e il viatico dell’arbitrio e della repressione, in nome di una sicurezza spacciata come principio supremo cui soggiogare e sacrificare ogni libertà individuale. Questo precedente, basato sui concetti di nemico, di pericolosità per la società e lo Stato e di tutela della sicurezza – trovando giustificazione nell’affermazione della dottrina positivista che dava più rilevanza alla difesa sociale piuttosto che alla libertà individuale, in accordo con 24 G. Procacci, La limitazione dei diritti di libertà nello Stato liberale: il piano di difesa (1904-1935), l’internamento dei cittadini nemici e la lotta ai «nemici interni» (1915-1918), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno. Vol. 38. I diritti dei nemici, tomo I, Giuffré, Milano 2009, p. 652. 25 L’individuazione del nemico assunse un ruolo centrale nell’azione politica del fascismo che vedeva nella contrapposizione e nel conflitto uno strumento di coesione e costruzione identitaria; come Mussolini disse a Ciano nel novembre del 1937: «quando finirà la Spagna, inventerò un’altra cosa; ma il carattere degli italiani si deve creare nel combattimento» e quest’altra cosa fu il tentativo di dare una coscienza razziale agli italiani. Cit. in M.A. Matard- Bonucci, L’antisemitismo in Europa negli anni Trenta, in Storia della Shoah, vol. I . La crisi dell’Europa e lo sterminio degli ebrei, UTET, Torino 2005, pp. 449-450. 26 M. Isnenghi, L’Italia del fascio, Giunti, Firenze 1996, pp. 5-6. Si veda anche M. Isnenghi, Dall’Alpi al Lilibeo, Il “noi” difficile degli Italiani, in «Meridiana», Questione settentrionale, n. 16, 1993. 27 Si veda Procacci, Osservazioni sulla continuità della legislazione sull'ordine pubblico tra fine ottocento, prima guerra mondiale e fascismo, cit., pp. 83-96 e si confronti con Tosatti, La repressione del dissenso politico tra l’età liberale e il fascismo. L’organizzazione della polizia, cit., p. 250, A. D’Orsi, Il potere repressivo. La polizia. Le forze armate in Italia, Feltrinelli, Milano 1972, pp. 26-27, Barile, La pubblica sicurezza, cit., p. 26 e Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, cit., p. 153. !VII

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