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Fascismo e capitalismo PDF

225 Pages·1976·8.432 MB·Italian
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P. Alatri, G. Carocci V. Castronovo. E. Collotti. G. Quazza G. Rochat. N. Tranfaglia FASCISMO E CAPITALISMO a cura di Nicola Tranfaglia I nuovi testi L ä FELTRINELLI μ ca ρ. Alatri, G. Carocci V. Castronovo, E. Col lotti, G. Quazza G. Rochat, N. Tranfaglia FASCISMO E CAPITALISMO a cura di Nicola Tranfaglia pELTRlNELLI Prima edizione: maggio 1976 Copyright by © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Premessa Il dibattito sul fascismo si è arricchito di recente di significativi contributi. Monografie e saggi sul­ l’uno o sull’altro aspetto del fenomeno, cosi come si è storicamente configurato in Italia, si sono infit­ titi. Dall'analisi prevalentemente ideologica e con­ centrata sulla questione delle origini si è passati a un progressivo allargamento ad altri tagli, a temi ri­ guardanti soprattutto il fascismo come regime. Vi hanno contribuito fattori di vario genere: alcuni, per cosi dire, “tecnici” (apertura di archivi, svilup­ po della saggistica storica in campo editoriale, ecc.) ma altri, e sono i più, politici. E tra essi sono da in­ dicare la crisi politica ed economica che vive il no- stro paese da alcuni anni, le cui radici hanno senza dubbio un nesso con le vicende e i problemi irrisolti del ventennio, e il grande interesse che le nuove generazioni hanno mostrato per il problema. Pino all’estate del 1915, tuttavia, il dibattito non e,ra giunto a livello delle comunicazioni di massa: et giornali e della televisione. Ve lo ha portato la Pubblicazione presso l’editore Laterza ćZeZZ'Intervista su' fascismo di Renzo De Felice a cura di M. Ledeen. ^ZZe tesi sostenute dal biografo di Mussolini — che riprendevano, esplicitandole e a volte estre- ^ZZundole, affermazioni già fatte nei quattro volu- 1 finora usciti del Mussolini — hanno replicato su n °rnalì e riviste studiosi di vario orientamento. Ma n è stato possibile in quella sede riprendere su 5 basi scientifiche il dibattito sui numerosi problemi sollevati. Con il risultato di offrire a lettori non suf­ ficientemente informati delle implicazioni, insieme politiche e scientifiche, del dibattito, l'impressione falsa di una discussione fatta di contrasti accade­ mici o personali. Che di ben altro si trattasse aveva già detto con chiarezza un editoriale della direzione di “Italia Contemporanea’’ (n. 119, giugno 1975), la rivista del­ l'Istituto Nazionale della Resistenza, quando aveva definito l'ultimo volume della biografia di Musso­ lini scritta da De Felice ("Mussolini il duce. Gli anni1 del consenso 1929-1936, Einaudi, Torino) il tipica frutto di “una storiografia afascista per la ‘maggio­ ranza silenziosa’.” Di una storiografia, in altri ter­ mini, che si serve di un abito avalutativo ed eclettici per proporre una visione in apparenza nuova, nell sostanza vecchia, del regime di Mussolini: "In fondi il fascismo,” si diceva assai bene in quell’articolà tratteggiandone l’atteggiamento e gli obiettivi, “sa non fosse stato per i suoi eccessi e per gli aspetti pagliacceschi, rappresenterebbe pur sempre un mot dello di ordine politico e di mediazione dei conflitti sociali (corporativismo) che agli storici della si» riografia afascista (piti ancora che postfascista), tut­ to sommato, non dispiace. Il loro fastidio per Vanti· fascismo non nasce solo dal fatto che ai loro occhi imparziali la pubblicistica antifascista sia sempre agiografica e faziosa, mentre le fonti fasciste, corra prese le testimonianze rese a posteriori da vecchi esponenti fascisti che forse non a caso si sono aper­ ti agli interpreti della ‘democrazia autoritaria di massa,’ sono sempre degne di attenzione [...] ma dalla convinzione che non si può essere insieme anti­ fascisti ed imparziali storici del presente e del più o meno recente passato. L’oggettivismo che tanto o- stentano non è che la copertura del loro giustifica­ zionismo. ” Gli studiosi che hanno collaborato a questo vo­ lume, come chi se ne è assunto la cura, credono al 6 contrario che riaffermare con chiarezza le ragioni della condanna storica del fascismo non costituisca un ostacolo a cercare di comprenderne la natura e la storia. Con i loro saggi, che a volte riprendono i risultati di studi precedenti ma più di frequente avanzano nuove ipotesi o problemi di interpretazio­ ne, intendono portare un proprio contributo su al­ cuni degli aspetti al centro dell’attuale dibattito: dai rapporti tra liberalismo e fascismo alla strategia del­ l'opposizione antifascista, dalla struttura della socie­ tà e delle istituzioni alla politica estera e militare del regime fascista. C'è da augurarsi che il dibattito possa proseguire ancora: senza mistificazioni né elu- sione dei problemi scientifici e politici che ad esso restano legati. Nicola Tranfaglia Torino, marzo 1976 7 r 1/ Liberalismo e fascismo DI PAOLO ALATRI Che il fascismo sia stato un fenomeno comples­ so è ormai un dato acquisito. Non hanno più corso le interpretazioni semplicistiche, nell’illusione di spiegare tutto con formule che si rivelano di como­ do: per esempio, il fascismo strumento del grande capitale, punto e basta. L’aver concentrato l’atten­ zione sui dati strutturali, fino al limite dell’econo­ micismo, ha portato, nelle analisi del fascismo da parte del movimento operaio, a riduzioni che non hanno giovato alla comprensione piena del fascismo. Se il fascismo potesse essere spiegato come la for­ ma statuale dell’ultima fase del capitalismo nell'età dell’imperialismo, non si vede perché esso abbia trionfato in Italia e in Germania e non in Inghilterra e negli Stati Uniti, paesi questi ultimi con un capita­ lismo imperialistico molto più avanzato almeno di quello italiano. È quindi evidente che quella formu- a va integrata con una considerazione attenta di ati sovrastrutturali e congiunturali, riferiti alle si- nazioni concrete che si determinarono in Italia e a crisi del primo dopoguerra e in Germania del &ι ®ran^e crisi seguita al crollo di Wall Street che *929, ma anche alle tradizioni politiche, oltre e a m specifico sviluppo sociale, dei due paesi. pure10' ηθη s^n^’ca che sia lecito sostenere, come le„:tt.e stato fatto recentemente, che non si possa limitlmamente parlare di “fascismo” e neppure, ql e, di “fascismi” — sia pure limitatamente al­ 9 l’Italia e alla Germania — che abbiano qualcosa in comune. Si tratta di una scomposizione degli ele­ menti unitari del fenomeno, che il più elementare buon senso coglie e stabilisce quando pensa ai re­ gimi di Mussolini e di Hitler. Lo stesso De Felice, che è il più deciso e oltranzista portavoce di questa posizione, ammette che “nei fascismi storici il na­ zionalismo è un elemento essenziale.” Questa am­ missione implica due conseguenze logiche: che i “fascismi storici” siano esistiti e possano essere co­ me tali identificati e catalogati; e che essi siano pur riconoscibili per alcuni caratteri comuni ben indivi­ duabili. Per quanto riguarda il fascismo italiano, le ori­ gini vanno considerate innanzitutto nelle sue radici ideologiche. Certo, l’ideologia del fascismo è preva­ lentemente, se non addirittura esclusivamente, quella del nazionalismo; ma col nazionalismo, sviluppatosi in Italia come movimento letterario dal 1903-1904 e come movimento più propriamente politico dal 1907- 1908 per darsi una vera e propria organizzazione par­ titica nel 1909-1910, veniva a sua volta impetuosamen­ te a galla — come ha osservato giustamente Franco Gaeta — tutto un filone della cultura italiana dellOtl tocento, nel quale vanno quindi ricercati gli incuna­ boli ideologici dello stesso fascismo. Nella antologia delle riviste italiane del primo Novecento, Delia Fri- gessi ha messo in rilievo come i Corradini e i Papini, i Prezzolini e i Borgese, cioè i primi elaboratori del­ l’ideologia nazionalista, si trovarono ad assistere, al momento della loro formazione giovanile, alla scon­ fitta di Crispi e di Pelloux, e a concepire quindi un sentimento di delusione per le condizioni della classe dirigente, per i partiti e le istituzioni, per il sistema parlamentare e la stessa monarchia, che doveva poi lasciare un segno profondo nel loro animo. Cosi, se è giusto cogliere nel nazionalismo la funzione storica più determinata, che venne configurandosi nell’età giolittiana, è anche giusto non trascurare le sue più ontane origini revansciste: tutto quel confuso baga­ 10

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