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Falsità e retorica dei “cento giorni” PDF

2 Pages·2018·0.177 MB·Italian
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13 settembre 2018 Falsità e retorica dei “cento giorni” Era il primo semestre del 2014 – più di cinque anni fa – quando in Italia imperversava l’imitazione arrogante che il bischero provincialotto di Rignano sull’Arno ambiva “smisuratamente”, con l’avverbio che usò lui stesso, fare del duce originale, ben oltre a quella meschina e affaristica portata avanti dal nanetto di Arkore. Oggi la retorica dei primi <cento giorni> di un governo ha trovato un nuovo vigore (si fa per dire) in un nuovo (sa fa sempre per dire) tipo di personaggi che via via balzano sul proscenio del teatrino socio-politico: andando dai friniti e bercianti stridii dei <grilli>, alle grossolane esibizioni di <tombini-di-ghisa>, <ruspe> e ruspanti rutti con presunzioni di giustezza per tutto ciò che è del <popolo sovrano>: la costituzione italiana precisa nell’art.1 che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”: appunto <limiti> indicati dall’intero contesto costituzionale, cui finora è chiesto ai politici eletti di giurare fedeltà: e non inculcati dall’ultimo <salvifico> sovranista di turno, che peraltro ne millanta la rappresentanza, pur non essendo sua propria e perdippiù di minoranza. Ma tutto ciò basta a capire perché sulla questione dei <primi-cento-giorni> è stato alzato il polverone che continua. La limitatezza conoscitiva, che i <primi-cento-giorni> di un governo debbano segnare una tappa luminosa del problema non è solo storica, e non invece la <fine di un incubo> bollato da una irrimediabile sconfitta, come fu per Napoleone Bonaparte I, da tenere in considerazione per il significato autentico dei malintesi “cento giorni” formulati per la definitiva disfatta napoleonica: altro che giorni di trionfo! Pertanto si rammenti sempre l’insegnamento della storia: per primo la formula dei <cento giorni> la tirò fuori il prefetto di Parigi, conte di Chabrol, fedele realista dei Borboni di Francia, quando l’8 luglio 1815 nel suo discorso per la restaurazione monarchica e del crollo definitivo di Napoleone, che avvenne 20 giorni dopo la disfatta dell’imperator d’Ajaccio a Waterloo [18 giugno 1815]; il <conte di allora>, dichiarò con quel riferimento la fine dei <cento giorni di Napoleone> — quindi a lui per concludere il suo <trionfo> con la disfatta di Waterloo sono bastati 80 giorni (cominciati appunto il 20 marzo, con il di lui ritorno, momentaneamente trionfale, dall’Elba a Parigi). All’inizio della sua costrizione all’Elba, in Francia sembrava che nessun Napoleone fosse mai esistito e lui si chiuse in sé. Ma deciso alla fuga dall’Elba, quando si imbarcò, in patria non lo filava ancora nessuno: la popolazione era propensa alla restaurazione del regno dei Borboni di Francia. Per farla breve l’impresa fu indicata sùbito come fallimentare e velleitaria, Napoleone era descritto dalla stampa, ovviamente “lealista”, come sterminatore, malefico, tiranno, guerrafondaio, nemico della pace — soltanto per la sua <smisurata ambizione>, egocentrico e amante solo di sé stesso, giuro e spergiuro: diceva ciò che voleva facendo discorsi incoerenti, vaghi, pieni di frasi comuni e a volte di minacciosi avvertimenti. Dopo due secoli esatti [1814-2014], e anche oggi, ricorda qualcuno e qualcosa? Ma come la stampa di regime lo attaccava, poco prima con l’avvicinarsi dell’ex imperatore a Parigi via via la stessa opinione pubblica ritornò, rapidamente e ancora una volta provvisoriamente, sul carro del presunto vincitore: pian piano si riaffermava il ricordo di “lui”, dell’uomo delle favolose vittorie, del grande eroe. Popolo, esercito. lavoratori portuali, lo accolsero allo sbarco gridando <viva l’imperatore!>. E lui mise in scena il suo ultimo gran colpo di teatro; siccome i soldati borbonici dovevano sparare a Napoleone, fu allora che Bonaparte guardò direttamente i soldati e chiese loro se lo riconoscessero. Alla loro prevedibilissima risposta affermativa il furbo\bischero Napoleone disse: “Allora sparate contro il vostro imperatore — Sparate!”. E tutte le truppe passarono dalla parte dell’imperatore, accompagnato anche da una folla di contadini sopraggiunti, con la <promessa> di dare al popolo la libertà e la pace: ma finiamola qui con la retorica. La notizia del ritorno trionfante di Napoleone si impose di nuovo, e fece il giro della Francia per quegli 80 giorni [cioè 100 meno 20] sufficienti al conte di Chabrol per restaurare il potere borbonico. Ma anche in questo voltar gabbana di stampa, opinione pubblica e popolazione, non si celebra ancora dopo due secoli il bicentenario di un déjà vu? L’ubriacatura napoleonica durò però poco e sùbito dopo la battaglia di Waterloo “lui” perse nuovamente e in via definitiva il controllo del potere: il che mise fine – non inizio – ai malcitati <cento giorni> del secondo interregno napoleonico. Oggi che si sta facendo di nuovo? Assolutamente nulla; si deve aspettare solo che qualcuno decida di <vedere il bluff> del trionfo dei nuovi sovranisti, della detta dal <conte attuale> "rivoluzione gentile" (sic! maddeché?!), e aspettare la loro disfatta. A meno che – tra bischeri ci si annusa, dicono a Firenze – non raccontino, a proposito di Waterloo panzane come quelle che disse Luca Luciani, dirigente Telecom [cfr. no + abc 135]. Il quale citò il ... “capolavoro di Napoletone, quando tutti lo davano per fatto, cotto, alla battaglia di Waterloo”. Dicendo anche – con proterva e rozza sicumera – “trionfò” per “strategia, chiarezza delle idee, determinazione, forza: e costui non soltanto mantenne il posto ma fu anche promosso. Bel presagio con in nuovisti in circolazione!!

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