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Europa a due velocità. Postpolitica dell'Unione Europea PDF

224 Pages·2017·1.068 MB·Italian
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Alessandro Somma Europa a due velocità Postpolitica dell’Unione europea Imprimatur © 2017 Imprimatur srl Tutti i diritti riservati Isbn: 978 88 6830 6045 Promozione e distribuzione Rizzoli Libri Sede legale e operativa: Via Emilia all’Angelo, 7 - 42124 Reggio Emilia Tel./fax 0522 232222 Per Stefano Rodotà (in memoriam) Introduzione Nel 1999 venne lanciato un concorso tra gli studenti degli allo- ra quindici Paesi membri dell’Unione, chiamati a confeziona- re un motto per l’Europa. Risposero in ottantamila per aggiu- dicarsi il premio messo in palio: «Scrivere una pagina di storia europea». Una giuria internazionale, con Susanna Agnelli in rappresentanza dell’Italia, scelse il motto più efficace tra i duemila presentati: «Unita nella diversità». Il motto sottoli- neava al meglio che i Paesi membri dell’Unione ben potevano conservare le loro peculiarità, e dunque le loro culture e tra- dizioni, e nel contempo essere parti di una comunità fondata su principi e regole condivise. È con questo significato che lo si volle menzionare nel Trattato sulla Costituzione europea, poi affossato dai referendum francese e olandese, assieme agli altri simboli dell’Unione: la bandiera con il cerchio di stelle dorate su sfondo blu, l’Inno alla gioia di Beethoven, la moneta comune, e l’8 maggio come giornata celebrativa (art. I-8). Già il Trattato di Maastricht, però, aveva affermato solen- nemente che «l’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati membri» (ora art. 6 Trattato Ue) e che pertanto «con- tribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel pieno rispetto delle loro diversità nazionali e regionali» (ora art. 167 Trattato sul funzionamento Ue). Non dovreb- be pertanto stupire se si parla di integrazione differenziata, ovvero di un’Europa a geometria variabile, o a cerchi con- centrici, o ancora a due velocità: espressione, quest’ultima, 7 forse più diffusa, anche se si dovrebbe più opportunamen- te parlare di più velocità. E se ne parla da tempo, fin da- gli anni Settanta, prima come espediente cui ricorrere per superare i momenti di crisi della costruzione europea, poi come di uno schema indispensabile a tenere insieme il suo ampliamento e il suo approfondimento. A ben vedere, però, l’integrazione differenziata non impli- ca ciò a cui rinvia la formula, cioè la possibilità per gli Stati membri di procedere secondo tempistiche e contenuti diversi, pur nel rispetto di un fondamento comune, alla costruzione dell’unità europea. O meglio implica che si possano forse im- maginare tempistiche differenziate, ovvero tabelle di marcia sensibili alle peculiarità nazionali, non tuttavia contenuti dif- ferenziati. La direzione di marcia è cioè indiscutibile se attie- ne al consolidamento dell’Unione economica e monetaria in quanto fulcro della costruzione europea, imprescindibile pun- to di riferimento per affrontare i suoi molteplici aspetti, inclu- sa la dimensione sociale. Di qui l’ispirazione di fondo della costruzione, che proprio in quanto riduce l’inclusione sociale a inclusione nel mercato, si mostra nella sua essenza di dispo- sitivo neoliberale: votato al presidio della concorrenza e della libera circolazione di merci e capitali, determinato nell’elimi- nare qualsiasi ostacolo al perseguimento dell’obiettivo. Non è dunque un caso se l’Europa a più velocità è null’altro che un espediente utilizzato per un assetto ben definito: quel- lo per cui si distinguono un centro ricostruito attorno all’asse franco-tedesco custode dell’ortodossia neoliberale, una peri- feria intermedia composta dai Paesi dell’Eurozona nei quali l’allineamento all’ortodossia incontra resistenze, e una perife- ria estrema in cui confluiscono i Paesi non ancora in grado di aderire alla moneta unica. Il tutto consolidato dall’attuale crisi economica e finanziaria, che si è trasformata in una crisi del debito. Con ciò ridefinendo i rapporti tra il centro e la periferia come rapporti tra creditori e debitori, in quanto tali destinati a rafforzare la sudditanza della seconda nei confronti del primo. Il fine ultimo di questo assetto non è però il solo presidio di rapporti gerarchici tra Stati nazionali, che pure caratterizzano 8 la costruzione europea in quanto organizzazione sovranazio- nale dominata dalla Germania. L’Europa a più velocità è so- prattutto una cinghia di trasmissione dell’ortodossia neolibe- rale dal centro alla periferia, destinata a vincere le resistenze che pure potrebbero fondarsi sull’architettura europea: i trat- tati lasciano la competenza in materia di politiche economiche e di bilancio ai Paesi membri, che dunque non rinunciano nel merito alla loro sovranità nazionale, ma semplicemente sono tenuti a coordinare la loro azione. Sono però numerosi gli espedienti utilizzati per scardinare questa architettura, e dunque vincere la resistenza degli Stati, che negli anni in cui non si era ancora intrapreso il percorso verso la moneta unica avevano assicurato un accettabile equi- librio tra capitalismo e democrazia. Innanzitutto si è utilizzata la politica monetaria, di competenza del livello europeo, che mira unicamente al controllo dell’inflazione trascurando la piena occupazione, e che pertanto ha imposto limiti stringenti al deficit e al debito pubblico, con ciò impedendo lo sviluppo dell’ordine economico in forme diverse da quelle contemplate dall’ortodossia neoliberale. Si è poi costruito un sistema di con- trolli preventivi sulle politiche di bilancio nazionali, rafforzato dalla possibilità di imporre correttivi per il caso in cui il sistema non sortisca l’effetto desiderato. Infine si è dato vita, tra gli Stati dell’Eurozona, a un mercato delle riforme per cui l’assistenza finanziaria viene condizionata alla realizzazione di riforme in senso neoliberale, nel tempo divenuta la principale modalità utilizzata per procedere nella costruzione europea. A questo schema si aggiunge ora l’Europa a più velocità, che come si è detto costituisce un espediente per forzare i Pae- si più lenti ad allinearsi al volere dei Paesi più veloci. Un espe- diente sottile, perché formalmente prelude alla possibilità di graduare l’intensità dell’integrazione, ma di fatto alimenta l’ambizione dei Paesi deboli a tenere il ritmo dei Paesi veloci, sul presupposto che occorre prendere parte alla corsa essen- do disposti a fare qualsiasi cosa, in particolare non mettere in discussione il traguardo, pur di rimanere nel gruppo di testa. In questo modo l’Europa a più velocità produce la spoliti- 9 cizzazione del mercato, contribuisce cioè a metterlo al riparo dalla deliberazione politica in quanto vicenda capace di con- trastare l’ispirazione neoliberale dei processi di integrazio- ne. L’Europa a più velocità è insomma il fondamento della postpolitica dell’Unione europea, principale riflesso della spoliticizzazione perché attiene alla sterilizzazione del conflit- to sociale, ovvero del principale ostacolo alla subordinazione delle periferie al volere del centro. Il volume ricostruisce le tappe di questo percorso, dalla nascita della costruzione europea sino all’attuale dibattito sul futuro dell’Europa, sorto sulla scia della Brexit e non a caso alimentato da rinnovate riflessioni sull’Europa a più velocità. La ricostruzione che si offre ha un taglio critico e non evita di affrontare le questioni più spinose: come la pos- sibilità che un recupero della dimensione nazionale, la più adatta allo sviluppo del conflitto sociale e dunque alla ri- politicizzazione del mercato, possa costituire un passaggio obbligato per rilanciare la costruzione europea come motore di democrazia e giustizia sociale. 10

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