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Étienne de La Boétie e la servitù volontaria: Antologia di interpretazioni critiche PDF

28 Pages·2014·3.959 MB·Italian
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Preview Étienne de La Boétie e la servitù volontaria: Antologia di interpretazioni critiche

(cid:131)tienne de La Bo(cid:142)tie e la servit(cid:157) volontaria Antologia di interpretazioni critiche a cura di Camilla Emmenegger, Francesco Gallino, Daniele Gorgone* Consigliere al Parlamento di Bordeaux e amico fraterno di Michel de Montaigne, (cid:131)tienne de La Bo(cid:142)tie (cid:143) noto soprattutto per il suo Discours de la servitude volontaire. Scritto quando aveva circa diciott(cid:213)anni (la data di composizione (cid:143) incerta, oscillante tra il 1548 e il 1553), il testo ha attra- versato lunghi periodi di silenzio e oblio per poi essere riscoperto improv- visamente in epoche e luoghi differenti. Pamphlet antimonarchico, compen- dio di educazione civica, invito alla rivoluzione, testo precursore del pen- siero nonviolento: il Discours sar(cid:136) letto in modi molto diversi e messo al servizio di molteplici partiti. Il testo prende le mosse da una problematizzazione radicale del fenome- no dell(cid:213)obbedienza: La Bo(cid:142)tie si domanda ˙come sia possibile che tanti uo- mini, tanti paesi, tante citt(cid:136), tante nazioni, a volte sopportino un solo tiran- no, che non ha altra potenza se non quella che essi gli concedono¨. La sot- tomissione di un popolo non (cid:143) riconducibile n(cid:142) alla forza coercitiva del ti- ranno (un uomo solo contro milioni), n(cid:142) all(cid:213)inganno e alla seduzione (stru- menti utili ma non sufficienti). Ø necessario dunque postulare il concorso dei sottomessi al loro stesso assoggettamento; sono loro che danno al ti- ranno la forza per soggiogarli: ˙dove mai prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia, se non foste voi a fornirglieli? Come disporrebbe mai di tante mani per colpirvi, se non le prendesse da voi? [(cid:201)] Come mai farebbe ad avere potere su di voi, se non gli venisse da voi stessi?¨. L(cid:213)equivalenza di potere e obbedienza porta con s(cid:142) un corollario impor- tante: per abbattere il tiranno, ai servi basterebbe smettere di sostenerlo. Per ˙essere liberi¨, cio(cid:143), sarebbe loro sufficiente ˙desiderare la libert(cid:136)¨. Il fatto che, nonostante la facilit(cid:136) dell(cid:213)emancipazione, la servit(cid:157) continui a sussistere conduce La Bo(cid:142)tie a dedurre che i servi siano tali per loro stessa volont(cid:136): ˙(cid:143) il popolo che si fa servo, che si taglia da solo la gola, che * Universit(cid:136) di Torino, Collettivo La Bo(cid:142)tie. Per contatti: [email protected] La societ(cid:136) degli individui, n. 51, anno XVII, 2014/3 avendo la scelta tra essere servo o essere libero rinuncia all(cid:213)indipendenza e prende il giogo: che acconsente al proprio male o piuttosto lo persegue¨. Il Discours partecipa alla !svolta copernicana" della modernit(cid:136) politica, che colloca il fondamento del potere non pi(cid:157) sull(cid:213)autorit(cid:136) divina o naturale ma sul consenso dei popoli. Ma di questo ribaltamento prospettico La Bo(cid:142)- tie mette in luce il punto cieco: invece di fondare e delimitare l(cid:213)obbedienza legittima, egli evidenzia l(cid:213)assurdit(cid:136) incomprensibile del fatto stesso di ob- bedire. Lo stupore ostentato da La Bo(cid:142)tie implica, da un lato, il rifiuto di riconoscere la ragionevolezza di qualsiasi forma di potere, sia esso di uno o di molti: il suo carattere di arbitrariet(cid:136) — chi ha potere pu(cid:152) sempre, qua- lora lo voglia, mostrarsi malvagio — esclude che possa esistere una sotto- missione vantaggiosa o ragionevole; dall(cid:213)altro, una concezione della liber- t(cid:136) come condizione naturale e felice. In questo senso vanno letti gli accenni alla possibile costruzione di una societ(cid:136) (il legame del tous uns, letteral- mente ˙tutt(cid:213)uni¨) libera dal dominio e basata invece sulla trasposizione sul piano politico del rapporto di amiti(cid:142). Il Discours avrebbe dovuto essere inserito nel capitolo XXIX del primo libro degli Essais di Montaigne, i quali avrebbero dovuto costituire, a detta dell(cid:213)autore, la cornice entro cui inserire il testo dell(cid:213)amico, morto all(cid:213)et(cid:136) di trentadue anni. Ma lo scritto di La Bo(cid:142)tie non comparir(cid:136) nei Saggi; una sua parte apparir(cid:136) invece nel 1574 nel pamphlet monarcomaco ugonotto Reveille-matin de Francois et de leur voicins, e due anni pi(cid:157) tardi verr(cid:136) pubblicato integralmente nelle Memoires d(cid:213)Etates de France sous Charles le Neuviesme con il titolo significativo Contr(cid:213)Un. Per circa due secoli il te- sto sar(cid:136) ufficialmente noto (e condannato) solo come uno dei tanti libelli a favore della legittimit(cid:136) del tirannicidio; in realt(cid:136), per(cid:152), l(cid:213)opera continuer(cid:136) a percorrere sottotraccia il pensiero europeo influenzando autori anche molto distanti fra loro, da Thomas Hobbes a James Harrington, a Vittorio Alfieri. Dalla fine del Settecento il destino del Discours si intreccia con gli eventi rivoluzionari: fonte di ispirazione di The Chains of Slavery di Ma- rat, il Discours riemerge poi durante i moti della prima met(cid:136) dell(cid:213)Ottocen- to con le edizioni di F(cid:142)licit(cid:142) de Lamennais (1835) e di Auguste Vermorel (1863), che individua in La Bo(cid:142)tie ˙uno degli antenati della rivoluzione del 1789¨. Con il Novecento le letture !di parte" di La Bo(cid:142)tie si moltiplicano ulteriormente, con due filoni che, in particolare, lo inseriscono nel proprio pantheon di riferimenti: l(cid:213)anarchismo, a partire dal testo Die Revolution scritto nel 1907 da Gustav Landauer e sino alle pi(cid:157) recenti declinazioni dell(cid:213)anarcoliberismo statunitense; e il pensiero nonviolento, tanto nella di- sobbedienza civile americana che nella corrispondenza fra Tolstoj e Gan- dhi. 92 I testi qui raccolti esemplificano (pur senza alcuna pretesa di comple- tezza) questo singolare procedere a balzi, in costante contrappunto alla storia politica europea. Alcuni rientrano in casi ormai celebri, come la ri- scoperta di La Bo(cid:142)tie in chiave anti-Asse nei primi anni quaranta del No- vecento, altri rimandano a episodi dimenticati: (cid:143) il caso di Johann Benja- min Erhard, traduttore del Discours nell(cid:213)orbita del giacobinismo tedesco, o dell(cid:213)eccellente edizione sovietica pubblicata nel pieno della repressione staliniana. Saggi critici — in cui l(cid:213)analisi del testo laboetiano d(cid:136) vita a riflessioni teoriche autonome sui temi del consenso, del potere e dell(cid:213)antropologia po- litica — questi testi recano al contempo l(cid:213)impronta marcata della funzione cui (salvo nel caso di Leroux) essi devono assolvere: introdurre edizioni del Discours che sin dal loro concepimento si rivelano strettamente intrec- ciate a un dato contesto socio-politico. Esegesi, teoria politica e militanza vengono cos(cid:147) a fondersi in un amal- gama che (cid:143) necessario penetrare. L(cid:213)interesse di questi testi — (cid:143) opportuno chiarirlo — non (cid:143) infatti riducibile al piano della curiosit(cid:136) storiografica. Esso (cid:143) invece connesso alla natura del Discorso della servit(cid:157) volontaria, opera incisiva e perturbante anche perch(cid:142) strutturalmente aperta. Il suo in- terrogativo fondamentale — perch(cid:142) il potere? — non (cid:143) solo insolubile, ma assume un senso pieno proprio in quanto declinato nelle ricerche, stori- camente determinate, di chi attraverso di esso tenta di decifrare il proprio presente politico, interrogandosi al contempo sulle condizioni di possibilit(cid:136) di un legame sociale diverso e pi(cid:157) umano. Ø a questo scopo che (cid:143) qui inserita, come prologo, la Presentazione di Miguel Abensour e Marcel Gauchet alla storica edizione francese Payot del 1976. Il saggio si confronta allo stesso tempo con il contenuto del Dis- cours e con la ragione dei continui fraintendimenti cui tale contenuto (cid:143) andato incontro nei secoli, ritenendoli effetti di uno stesso fenomeno: una faglia, quasi invisibile ma tesissima, che attraverserebbe il progetto politi- co della modernit(cid:136) (razionalista, illuminista, democratico) giusto sulla zo- na di confine tra desiderio di libert(cid:136) e sete di sottomissione, segnalando — spesso invano — la prossimit(cid:136) inquietante di questi due istinti. Una prossi- mit(cid:136) della quale deve tenere conto (pur senza farsene paralizzare) chiun- que, intellettuale o militante, covi speranze politiche di stampo emancipa- tivo. Ø a partire dallo schema interpretativo forgiato da Abensour e Gauchet che diviene possibile, a nostro avviso, decifrare il senso teorico-politico dei saggi qui proposti. Ci(cid:152) (cid:143) vero nel caso del testo di Pierre Leroux, che — seppure a partire da un singolare equivoco interpretativo — coglie l(cid:213)esigen- za centrale del Discours: immaginare un legame sociale che coniughi auto- 93 nomia individuale e nesso comunitario. Senza tale proposta politica, infatti, l(cid:213)Unit(cid:136) promessa dai dispotismi rester(cid:136) per molti — nonostante tutto — un richiamo irresistibile. Un discorso in parte simile va fatto per i lavori di Faina Abramovna Kogan-Bernshtejn. L(cid:213)edizione a sua cura, uscita in Unione Sovietica nel 1952, anticipa la Payot per materiale critico, impostazione teorica e quali- t(cid:136) dell(cid:213)analisi del testo: e ci(cid:152) nel contesto dell(cid:213)URSS in piena ˙lotta contro il cosmopolitismo¨. Kogan-Bernshtejn insiste sull(cid:213)esigenza di rintracciare nel Discours un piano teorico-politico profondo, tanto audace che persino alcune parti del testo di La Bo(cid:142)tie ne tradirebbero lo spirito radicale. Ai due saggi di Kogan-Bernshtejn e di Leroux si affiancano, qui, due testi di particolare interesse storico. Il primo (cid:143) tratto dall(cid:213)edizione tedesca del 1793, ove il testo del Discours (cid:143) inserito all(cid:213)interno di un lavoro teorico di ampio respiro con un fine singolare: far scontrare in dibattimento l(cid:213)av- vocato della libert(cid:136) politica e quello del governo assoluto, ruoli a cui Erhard elegge su un fronte La Bo(cid:142)tie e, sull(cid:213)altro, la stessa Storia mon- diale. L(cid:213)altro testo proviene invece dall(cid:213)Antidictator, prima edizione statu- nitense del Discours: pubblicata da Harry Kurz nel 1942 con intenti anti- fascisti, essa (cid:143) per(cid:152) tesa soprattutto a indagare gli aspetti nonviolenti del pensiero laboetiano. La rassegna si chiude con uno stralcio dall(cid:213)edizione di Jawdat Said, intellettuale siriano, principale sostenitore contemporaneo di un(cid:213)interpre- tazione nonviolenta dell(cid:213)islam. I suoi testi, noti soprattutto in Siria e in Egitto, hanno ispirato i nuclei di contestazione nonviolenta contro il regi- me di Bashar al-Assad. Una prova, qualora ve ne fosse bisogno, dell(cid:213)at- tualit(cid:136) (spesso drammatica) del testo di La Bo(cid:142)tie. I testi che qui si presentano sono estratti selezionati per rendere conto, nel modo che ci (cid:143) parso pi(cid:157) efficace, delle tesi degli autori. Per non appe- santire la lettura si (cid:143) scelto di segnalare l(cid:213)omissione di parti cospicue con un distacco grafico tra i paragrafi. Sia le traduzioni che le note ai testi, ove non diversamente specificato, sono dei tre curatori. Tutti i testi sono inediti in italiano, ad eccezione delle prime due parti del saggio di Leroux. Per un inquadramento storico e teorico del Discorso della servit(cid:157) volontaria ri- mandiamo a N. Panichi, Plutarcus redivivus? La Bo(cid:142)tie e i suoi interpreti, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2008, e, oltre che alla citata edizione Payot (Paris 1976), all(cid:213)edizione italiana Discorso della servit(cid:157) volontaria, a cura di E. Donaggio, Feltrinelli, Milano 2014. I debiti di gratitudine con- tratti dai curatori sono segnalati in calce ai singoli saggi. Ovviamente di qualsiasi imprecisione siamo responsabili soltanto noi. 94 Gustave Dor(cid:142), Anteo, Inferno, canto XXXI Traversata distruttrice del discorso politico Il pensiero di Miguel Abensour — gi(cid:136) presidente del Coll(cid:143)ge Internatio- nal de Philosophie di Parigi e professore emerito presso l(cid:213)universit(cid:136) Paris VII-Diderot — ha come obiettivo la rivalutazione della dimensione politica attraverso l(cid:213)elaborazione di una teoria radicale della democrazia. Al cen- tro dei suoi scritti vi (cid:143) la ricerca di un nuovo legame sociale in grado di va- lorizzare la libert(cid:136), intesa come autodeterminazione e come azione pratica- ta dai molti nello spazio pubblico. L(cid:213)edizione del Discours da lui curata nel 1976 per Payot ha rappresen- tato un momento di rinnovamento degli studi sul tema, stimolando la pub- blicazione di nuove edizioni ricalcate sul suo modello (italiana del 1978, spagnola del 1980, brasiliana del 19821). Al testo di La Bo(cid:142)tie infatti af- fiancava un primo tragitto, costituito dalle pi(cid:157) importanti introduzioni alle passate edizioni del Discours (Lamennais, Leroux, Vermorel, Landauer, pi(cid:157) un saggio di Weil), volto a esaminare la storia della sua ricezione; e un secondo in cui, a partire da saggi interpretativi di Pierre Clastres e Claude Lefort, veniva preso in esame il valore teorico dell(cid:213)ipotesi della servit(cid:157) vo- lontaria. Questa complessa architettura interna rende l(cid:213)edizione Payot una vera e propria opera di Abensour, prima tappa dello sviluppo della sua filosofia dell(cid:213)emancipazione, alla ricerca della societ(cid:136) del tous uns. Miguel Abensour e Marcel Gauchet2 Le lezioni della servit(cid:157) e il loro destino Il Discorso della servit(cid:157) volontaria — misterioso quanto alle sue origini, incerto quanto alla datazione — sarebbe per(cid:152) trasparente quanto al suo sen- so. [(cid:201)] La Bo(cid:142)tie scriverebbe schierandosi dalla parte della democrazia per il popolo. [(cid:201)] Ancora una volta il pensiero classificatorio ha fatto il suo dovere, mettendo in atto il suo incessante lavoro di incasellamento. L(cid:213)im- 1 (cid:131). de La Bo(cid:142)tie, La servit(cid:157) volontaria, a cura di A. Bonanno, Edizioni Anarchismo, Catania 1978; Id., Discurso de la servidumbre voluntaria, Tusquets, Barcelona 1980; Id., Discurso da servidao volun- taria, Brasiliense, S(cid:139)o Paulo 1982. 2 M. Abensour, M. Gauchet, Les le(cid:141)ons de la servitude et leur destin, in (cid:131). de La Bo(cid:142)tie, Discours de la servitude volontaire, Payot, Paris 1976, 20022, pp. 7-44. 96 portante, a conti fatti, (cid:143) che il Discorso della servit(cid:157) volontaria non distur- bi: il testo di La Bo(cid:142)tie viene ricondotto, una volta per tutte, alla categoria dei pamphlet politici di ispirazione liberale e democratica. Dall(cid:213)assenza di equivoci non siamo, tuttavia, autorizzati a dedurre un senso univoco. Davanti a questo non-stupore lo stupore nasce, e non smette di crescere di fronte a una tale insensibilit(cid:136) all(cid:213)intensit(cid:136) interrogativa di un testo che, a partire dall(cid:213)intelligenza del suo rifiuto fondativo, si sviluppa co- stantemente in allerta, si nutre della grandezza dell(cid:213)enigma con cui si con- fronta. Enigma tanto pi(cid:157) affascinante per chi acconsenta a prestarvi atten- zione, in quanto esso si sottrae, si trasforma per rinascere, non appena cre- diamo di avere la soluzione o di possedere la risposta giusta. L(cid:213)enigma stesso del politico condotto sino al culmine del suo fascino: perch(cid:142) c(cid:213)(cid:143) ser- vit(cid:157) volontaria anzich(cid:142) amicizia, perch(cid:142), nei termini di P. Clastres3, esisto- no societ(cid:136) dello Stato piuttosto che societ(cid:136) contro lo Stato? [(cid:201) Ø] come se il testo di La Bo(cid:142)tie provocasse in ogni lettore4 uno smarrimento primordiale, un(cid:213)intollerabile inquietudine, cui venisse subito in soccorso un(cid:213)interpretazione in grado di placarla, di farla tacere. [(cid:201)] Noi [Abensour e Gauchet], interpellati dall(cid:213)interrogazione di La Bo(cid:142)tie e decisi a lasciarla libera di risuonare al suo pi(cid:157) alto registro, ci schieriamo per una indeterminazione fondamentale, invitando i lettori a fare del Discorso della servit(cid:157) volontaria un(cid:213)opera aperta [(cid:201)]. Un luogo dove, lontano da ogni progetto di dominio, si intreccino desiderio di sapere e desiderio di libert(cid:136), libro aperto entro il quale (al netto delle differenze di epoca) il lettore speri- menti, nel lavoro stesso che la lettura comporta, un inter-riconoscimento [entre-connaissance], cogliendo attraverso l(cid:213)opera laboetiana il balenio di un(cid:213)esperienza politica dell(cid:213)amiti(cid:142). L(cid:213)interrogativo [posto da La Bo(cid:142)tie (cid:143)] intollerabile per chi lo pensi sen- za il parapetto del pensiero classico o della ricerca empirica, giacch(cid:142) neces- sariamente si finisce ben presto per capire che esso (cid:143) interminabile, destina- to per sua natura alla permanenza. In effetti, a meno di coltivare le peggiori illusioni politiche, generatrici di una nuova forma storica della servit(cid:157), co- loro che guardano a un assetto sociale privo di potere politico (cid:212)propriamen- te detto(cid:213) sanno bene che una tale societ(cid:136), lungi dal risolvere una volta per tutte la questione del politico, si costituirebbe proprio attorno a un continuo confronto con se stessa: costantemente mobilitata contro l(cid:213)emergere di un nuovo potere separato, contro il risorgere dello Stato. Una societ(cid:136) in un cer- 3 Cfr. P. Clastres, La societ(cid:136) contro lo Stato, Feltrinelli, Milano 1977. 4 Abensour usa ˙restaurateur¨, termine intraducibile che fa insieme riferimento al ristoro, al restauro e alla Restaurazione. 97 to senso riflessiva, che tramite un incessante ritorno su se stessa tenderebbe a un(cid:213)auto-istituzione continua e riconoscerebbe nel politico, divenuto suo problema nodale, il luogo stesso di un(cid:213)interrogazione inestinguibile sul suo essere sociale. Di una simile societ(cid:136), tale da rifiutare di cullarsi nell(cid:213)illusio- ne di un superamento del politico, potremmo dire che praticherebbe l(cid:213)inter- rogazione in maniera permanente. [(cid:201)] La servit(cid:157) volontaria (cid:143), in un certo senso, il gi(cid:136)-sempre-saputo e il mai-davvero-pensato della riflessione poli- tica. Intuiamo quale sia la posizione da cui ci parla oggi La Bo(cid:142)tie: esterna al discorso politico che si (cid:143) costituito nella storia recente del capitalismo. Ci viene incontro in quel luogo critico, sempre da ritrovare, da cui rompere con le illusioni di tutto ci(cid:152) che, da pi(cid:157) di un secolo, si d(cid:136) come il progetto della libert(cid:136). Nel tornare a La Bo(cid:142)tie, ci(cid:152) che intraprendiamo (cid:143) una traver- sata distruttrice dello spazio del discorso politico democratico e rivoluzio- nario. [(cid:201)] Il Discours esercita una funzione critica incomparabile sui pro- positi di coloro i quali se ne appropriano: quando credono di averlo in pu- gno, esso li colpisce segretamente tacciandoli di nullit(cid:136) oppure ne rivela apertamente i limiti. Non c(cid:213)(cid:143) dubbio che dobbiamo al notevole scarto tra il Discours e le ca- tegorie in cui la Tradizione ha rinchiuso la cosa politica quell(cid:213)inatteso senso di familiarit(cid:136) che ci sopraff(cid:136) dopo una lettura tutta d(cid:213)un fiato. Ci scopriamo legati al Discours da una prossimit(cid:136) che attraversa i secoli. Ma come dob- biamo pensarla, questa straniante modernit(cid:136), in rapporto al suo secolo? Occorre qui invertire i termini del percorso storico cos(cid:147) come viene co- munemente praticato, e che mira anzitutto a inserire un(cid:213)opera in ci(cid:152) che si sa del suo tempo, al fine di collocarvela. [(cid:201)] Perch(cid:142) invece, all(cid:213)inverso, non interrogare i fatti a partire dalle prospettive che si schiudono in uno scritto? Perch(cid:142) non domandarsi come fosse quel secolo giacch(cid:142) un(cid:213)opera di quel periodo era in un certo modo? Perch(cid:142), una volta liberata, la potenza di una riflessione non potrebbe diventare essa stessa materiale storico e occa- sione per interrogare di nuovo il tempo che l(cid:213)ha vista nascere? [(cid:201)] E non (cid:143) proprio questo il tipo di lavoro a cui ci invita una lettura attenta di La Bo(cid:142)tie? Essa fa vacillare ci(cid:152) che noi crediamo di sapere dei limiti del suo tempo. Non ci indica forse un universo di pensiero sconosciuto? Non (cid:143) forse alla scoperta di un nuovo XVI secolo che invita la veemenza sempre ancora attuale del Discours? [(cid:201)] Serve [quindi] una ricerca !in negativo" per svincolarsi dalle evidenze pigre, per mostrare che c(cid:213)(cid:143) ben altro da capire rispetto a ci(cid:152) che suggerisce il senso comune, a ci(cid:152) che dettano le categorie gi(cid:136) bell(cid:213)e pronte. Ecco, in- 98 fatti, ci(cid:152) che impedisce di comprendere servit(cid:157) come passivit(cid:136): la servit(cid:157) del popolo non consiste nel fatto che esso ignori l(cid:213)insurrezione, o che non abbia mai conosciuto la rivolta. Il popolo si rivolta, e in un certo senso non smette mai di rivoltarsi. Ma la questione della servit(cid:157) (cid:143) distinta da quelle della virtualit(cid:136) della sollevazione. Della servit(cid:157) bisogna arrivare a pensare che essa abita ancora il momento della rivolta, che la sposa lungo tutta la sua traiettoria. La servit(cid:157) resta interna al movimento che vuole produrre la libert(cid:136). Il vero gesto di rottura dal quale potrebbe nascere la libert(cid:136) non ha luogo, e in ci(cid:152) risiede l(cid:213)enigma. Ci(cid:152) con cui abbiamo dovuto fare i conti non (cid:143) solo lo scacco di una sollevazione che mira a spezzare la servit(cid:157) da cui (cid:143) continuamente ossessionata; (cid:143) qualcosa di pi(cid:157): (cid:143) la capacit(cid:136) delle rivo- luzioni di dar vita a una nuova oppressione, tanto pi(cid:157) temibile in quanto tessuta e forgiata nelle avventure della libert(cid:136). La voce, unica, di La Bo(cid:142)tie ci dice che la questione della servit(cid:157) volon- taria non si riduce a quella dell(cid:213)amore della dominazione. La servit(cid:157) non (cid:143) l(cid:213)accettazione cieca e franca dell(cid:213)ordine stabilito; il contrario della servit(cid:157) non (cid:143) semplicemente la rivolta che regolarmente viene a scuotere l(cid:213)ordine stabilito. Il popolo (cid:143) altrettanto capace di odiare il dominio e di combatterlo quanto lo (cid:143) di consentire alla sua instaurazione. Ø su questo sdoppiamento, su questa articolazione, su questo legame interiore del desiderio di rivolta e della volont(cid:136) di servire che si tratta di concentrare l(cid:213)attenzione. Il miglior avvocato di una tesi azzardata Johann Benjamin Erhard (cid:143) noto in Italia soprattutto per i suoi scritti Sul diritto del popolo a una rivoluzione (1795) e Apologia del diavolo (1795). Medico e filosofo kantiano vicino al giacobinismo tedesco, nel 1793 pubblica all(cid:213)interno della rivista (cid:210)Der neue teutsche Merkur(cid:211) una nuova traduzione del Discours (l(cid:213)unica altra traduzione integrale fino ad allora esistente risaliva al 1754, quando Johann Daniel Tietz l(cid:213)aveva posta in appendice alla prima edizione tedesca degli Essais di Montaigne). Il contesto della pubblicazione (cid:143) quello di un(cid:213)indagine sui pro e i contro del- l(cid:213)assolutismo (Alleinherrschaft). Nel brano che introduce il Discours Er- hard dichiara di voler esaminare le due tesi opposte: quella secondo cui il potere di uno solo (cid:143) nefasto e quella di chi invece lo ritiene vantaggioso o quantomeno necessario. Se a sostegno di quest(cid:213)ultima tesi vi (cid:143) niente meno che la Storia mondiale, il difensore della prima (cid:143) individuato da Erhard proprio in La Bo(cid:142)tie. 99 Nonostante l(cid:213)importanza del ruolo assegnato al Discours — sostenere una disputa teorica con la Storia mondiale sulla vantaggiosit(cid:136) o meno del potere — l(cid:213)analisi di Erhard perde di vista gran parte dei temi laboetiani e la stessa ˙servit(cid:157) volontaria¨ cade in secondo piano. Il saggio di La Bo(cid:142)tie (cid:143) letto da Erhard come una critica a ogni forma di convivenza regolata e come un(cid:213)esaltazione di una mera libert(cid:136) animale. Il testo che segue la tra- duzione del Discours (il secondo qui riportato) ricorda la descrizione che Erhard offrir(cid:136) due anni pi(cid:157) tardi, all(cid:213)interno dell(cid:213)Apologie des Teufels, del ˙sistema del male¨: l(cid:213)agire umano guidato dalla libert(cid:136) ˙senza alcun ri- guardo¨ (ohne alle R(cid:159)cksicht), dal perseguimento cio(cid:143) del mero interesse materiale, conduce all(cid:213)autodistruzione. O, altrimenti, al dominio di uno so- lo e all(cid:213)asservimento di tutti gli altri. Il problema di Erhard (cid:143) quindi quello di elaborare una formula — il ˙sistema del diritto¨ — in grado di mediare le singolarit(cid:136) e di permetterne la convivenza in societ(cid:136). Messo al servizio di tale progetto, il Discours diviene qui il termine estremo su cui fare leva per fondare, in contrasto, la legittimit(cid:136) di un governo regolato dalla legge. Johann Benjamin Erhard5 Sull(cid:213)assolutismo La verit(cid:136) di solito sta nel mezzo, dice una vecchia massima, che, come la maggior parte delle massime, piuttosto che utile (cid:143) diventata dannosa a causa di un suo uso improprio. Quella di non prendere posizione prima di aver sentito l(cid:213)altro partito e di aver esaminato se entrambi non abbiano esa- sperato le proprie argomentazioni (cid:143) una regola comunemente accolta; ma se (cid:143) usata come scusa per dire che si pu(cid:152) trovare la verit(cid:136) anche senza fare al- cuno sforzo per cercarla, semplicemente tenendosi per buona reputazione sempre nel mezzo tra i due partiti — allora essa (cid:143) sempre una difesa della stupidit(cid:136) o, per esprimersi pi(cid:157) gentilmente, dell(cid:213)indolenza. Per guardarmi da questo uso improprio e rendere applicabile alla mia ricerca questa massi- ma nella sua interpretazione corretta, voglio allora ascoltare per bene l(cid:213)uno e l(cid:213)altro partito, e poi cercare di indagare secondo principi quale dei due ab- bia ragione; o in quale misura nessuno dei due abbia pienamente ragione, e quali verit(cid:136) ciascuna fazione abbia dalla sua. 5 J.B. Erhard, (cid:134)ber die Alleinherrschaft, (cid:210)Der neue teutsche Merkur(cid:211), 1, Weimar 1793, pp. 267-269; Id., Betrachtungen (cid:159)ber die Rede des Bo(cid:142)tie und (cid:159)ber die Alleinherrschaft, nach Anleitung der Geschi- chte und Erfahrung, (cid:210)Der neue teutsche Merkur(cid:211), 2, 1793, pp. 209-211. Nel 1821 Erhard amplier(cid:136) e ri- pubblicher(cid:136) questi scritti (con annessa traduzione del Discours) in un solo volume: (cid:134)ber die freiwillige Knechtschaft und Alleinherrschaft, (cid:159)ber B(cid:159)rger-, Ritter-, M(cid:154)nchsthum, August R(cid:159)cker, Berlin 1821. 100

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