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estetica e antropologia in susanne k. langer PDF

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Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi Dottorato di ricerca in Estetica e Teoria delle arti – XXIII ciclo Settore scientifico disciplinare M-Fil/04 Coordinatore: Prof. Luigi Russo ESTETICA E ANTROPOLOGIA IN SUSANNE K. LANGER Tesi di: Dana Svorova Tutor: Ch.mo Prof. Luigi Russo Co-tutor: Ch.mo Prof. Salvatore Tedesco Indice Introduzione................................................................................................................... 4 I. Il potere del simbolismo 1.1. Tra neopositivismo logico e idealismo trascendentale ................................. 7 1.1.1. Un ambizioso progetto .............................................................................................. 7 1.1.2. Il pensiero di Whitehead: lo sfondo della filosofia langeriana ................................. 9 1.1.3.Neopositivismo logico: il punto di partenza per un‟analisi logica del linguaggio .... 19 1.1.4. Ernst Cassirer: dal metodo trascendentale alla filosofia delle forme simboliche ..... 30 1.2. Teoria dell‟arte come parte integrante della teoria della mente ................. 43 1.2.1. Insufficienza del metodo scientifico ......................................................................... 43 1.2.2. Langer e la nuova chiave della conoscenza .............................................................. 53 1.2.3. Le due forme del simbolismo ................................................................................... 58 1.2.4. Il simbolismo presentazionale .................................................................................. 61 1.2.5. Rito, mito, arte - luoghi emblematici della manifestazione del simbolismo presentazionale .................................................................................................................... 65 1.3. L‟estetica simbolica di S. K. Langer ................................................................. 73 1.3.1. L‟arte – portatrice emblematica del sentimento di vita ............................................ 73 1.3.2. Il simbolo artistico .................................................................................................... 79 1.3.3. La dimensione virtuale .............................................................................................. 84 1.3.4. La forma vivente ...................................................................................................... 100 II. Arte come forma prescientifica del sentimento di vita 2.1. Mente: sede del sentire umano ........................................................................... 105 2.1.1. Il tramonto dello spiritualismo .................................................................................. 105 2.1.2. Gli amici del Metaphysical Club .............................................................................. 125 2.1.3. L‟arte forma prescientifica nella conoscenza della mente ........................................ 131 2 2.2. Natura naturans ....................................................................................................... 138 2.2.1. The Act Concept ....................................................................................................... 138 2.2.2. La fulguratio evolutiva? ............................................................................................ 151 2.2.3 L‟espressione artistica in prossimità della sfera pulsionale ...................................... 171 2.2.4. L‟uomo: il problema dell‟anello mancante nell‟albero evoluzionistico? ................. 192 2.3. Simbolizzazione dello spazio vitale .................................................................. 216 2.3.1. L‟uomo e la sua capacità simbolizzatrice ................................................................. 216 2.3.2. Il mondo spirituale .................................................................................................... 234 2.3.3. L‟arte: luogo manifesto del sentimento di vita ......................................................... 254 Bibliografia ..................................................................................................................... 282 3 Introduzione Vi sono persone che, a causa di considerazioni teoriche sui processi cognitivi, si bloccano irrimediabilmente quando si tratta di usare i propri sensi ai fini di una conoscenza scientifica della natura. Wolfgang Metzger «Ma che diavolo è la “filosofia dell‟arte?», chiese con un po‟ di stupore, come ricorda Susanne Langer nel suo breve testo Problemi dell’arte, uno dei tanti studenti durante le sue lezioni abituali di filosofia. «Come può l‟arte essere filosofica?»1, continuava a domandarsi lo stesso studente sempre più mosso dal dubbio sull‟adeguatezza dell‟oggetto dello studio alla materia. La filosofia, che da millenni rappresentava il fondamento dell‟intero edificio del sapere umano, ora dovrebbe accostarsi anche a un materiale di natura piuttosto “illusoria”? Infatti, l‟arte veniva da sempre considerata luogo di inganno, di diletto, di contemplazione, se non addirittura di follia, e quindi non pertinente a un‟indagine più “seria”. Essa rappresentava soprattutto ispirazione per letterati, personaggi eruditi, artisti stessi: ovvero tutti coloro che esaltavano ulteriormente nei più svariati generi di belles-lettres quel tanto “fascinoso” furor artistico. Ogni tentativo di un approccio più approfondito perciò veniva visto nel panorama scientifico con grande sospetto declassando infine ogni tale “avventura” all‟irragionevole “sguazzare” «in un mare di affetti»2. L‟espressione artistica, sede dell‟emozione e del sentimento, non può in nessun modo competere con le discipline caratterizzate da un rigorismo concettuale. Essa reca in sé l‟«informe»3 vitale per cui i segni linguistici non possiedono alcuna forma di connotazione. I vari sostenitori del neopositivismo logico simpatizzarono esplicitamente con il radicale verdetto wittgensteiniano: «su ciò di cui non si può parlare si deve tacere»4, bandendo in tal modo definitivamente l‟ineffabile dall‟inventario scientifico. A loro avviso, soltanto il simbolismo logico-discorsivo può fornire la “chiave” giusta per accedere alla tanto ambita “verità”; i vari stati interiori non sono altro che il frutto dell‟esperienza soggettiva e perciò privi di significato ben preciso. Langer, dopo lunghi studi polarizzati all‟analisi logica dei sistemi formali, come all‟epoca dettava l‟imperante neopositivismo logico, giunse alla conclusione che la suprema dimensione della “verità” sconfina ogni limite fissato dalle rigide trame della logica. Al di fuori della logica dominante, infatti, si colloca una forma più 1 S. K. Langer, Problemi dell’arte, trad. it. di Maria Attardo Magrini, Il Saggiatore, Milano 1962. 2 S. K. Langer, Filosofia in una nuova chiave, trad. it. di G. Pettenati, Editore Armando Armando, Roma 1972, p. 11. 3 S. K. Langer, Problemi dell’arte, cit., p. 19. 4 elementare della conoscenza, che si estrinseca, a sua volta, in configurazioni contrassegnate da relazioni logiche di tipo gestaltico. Tale straordinaria “intuizione”, con tutti i limiti dovuti al periodo storico, comparve per la prima volta nella rivoluzionaria dottrina kantiana spazio-temporale, trovando qualche secolo dopo una sua adeguata applicazione. Così per i sostenitori del neo-kantismo non fu più una “eresia” considerare il mundus sensibilis e il mundus intelligibilis strettamente legati l‟uno all‟altro. In un certo qual senso la significativa frase kantiana «i pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche»5 pose fine in maniera emblematica alla discriminazione assoluta della percezione sensoriale. Essa, infatti, sta sulla base di ogni esperienza e quindi anche di ogni forma conoscitiva, trovando la sua più concreta manifestazione nelle configurazioni logiche. La consapevolezza che il pensiero non riaffiora direttamente dalla “superba” res cogitans divenne con lo sviluppo scientifico sempre più acuta coinvolgendo progressivamente un sempre maggior numero di studiosi. Anche la studiosa americana, confortata dal grande maestro Whitehead, si schierò a favore di tale ipotesi ponendosi di fronte a una personale sfida intellettuale molto ambiziosa: quella di concepire una teoria della conoscenza in cui la teoria dell‟arte ne sia parte integrante. Ne emerse un abile connubio operato tra il neopositivismo logico e l‟idealismo trascendentale che troverà la sua approvazione nei due testi di grande successo: Filosofia in una nuova chiave (1942) e Sentimento e forma (1953). Langer, traendo dalla filosofia delle forme simboliche di cassireriana concezione, intravide nel simbolo il luogo possibile della conoscenza. In esso tutta l‟energia spirituale prende la sua forma logica specifica, permettendo di accostare sullo stesso piano campi culturali apparentemente sconnessi: la scienza, l‟arte, il mito, il rito, la religione. Secondo Langer, è il simbolo che accomuna tutte le forme culturali, e perciò potrebbe fornire una nuova “chiave” alla comprensione dell‟attività mentale in quanto tale. La metodologia della logica, che adoperava i sistemi formali con maestria degna di ammirazione, infine si ingarbugliò in un circolo vizioso di paradossi, contraddizioni e autoreferenze, omettendo il suggerimento insito tra le righe di Wittgenstein che per comprendere la realtà bisogna andare oltre. Basterebbe semplicemente voltare le spalle per vedere che la porta verso la comprensione del mondo è stata da sempre aperta, ma è stata la “cecità” intellettuale che impedì di trovarla. Secondo Langer è proprio il mondo simbolico, di cui fa parte non soltanto il sistema linguistico ma anche quei segni di vita interiore, che consente di svelare ancora alcuni lati oscuri di quella misteriosa entità chiamata: mente. In tale contesto l‟espressione artistica potrebbe essere portatrice dell‟essenza più intima dell‟esistenza sotto forma logica. Infatti, il simbolismo presentazionale, teorizzato dallo stesso Whitehead, affonda le radici nelle esperienze di vita molto profonde che costituiscono lo “sfondo” dell‟esistenza stessa. Esso rappresenta la forma conoscitiva più elementare del relazionarsi al mondo che organizza i percetti in configurazioni di 5 Su I. Kant cfr. A. Guerra, Introduzione a Kant, Laterza, Roma 2007, p. 59. 5 grande complessità. Esso si potrebbe affermare che esso costituisca il gradino preparatorio del pensiero stesso ma in realtà si tratta di un unico processo fisiologico che viene scisso esclusivamente ai fini metodologici. Langer sostiene che il simbolismo presentazionale essendo l‟estrinsecazione logica dell‟esperienza di vita, consente di svelare nelle forme artistiche la dimensione dell‟ineffabile propria del sentire umano. Così gli stessi processi come lo sbocciare della vita, il suo progressivo dispiegarsi fino al suo lento spegnersi, si celano nelle forme offerte direttamente alla percezione sensoriale permeando in tal modo l‟intero processo cognitivo. Il pulsare della vita costituisce l‟essenza di ogni organismo vivente il quale secondo il livello della sua specializzazione lo sfrutta a proprio vantaggio nel relazionarsi al mondo circostante. Nel testo Problemi dell’arte comincia a prefigurarsi un approccio di tipo organico in voga, all‟epoca, anche nell‟ambito artistico. Un‟opera d‟arte viene intesa come metafora dell‟organismo vivente proprio per le sue analogie formali con i processi fisiologici di un entità vivente. Per Langer non solo l‟arte ma soprattutto l‟essere umano rappresenta un‟unità organica che non può essere dissezionata secondo le esigenze della Scienza bensì richiede un approccio “interdisciplinare”. Con tale intento, confortata dagli esiti dell‟ evoluzionismo darwiniano, dell‟etologia e dell‟antropologia filosofica, Langer riapre l‟ insidioso argomento in una prospettiva del tutto nuova. La mente rappresenta la parte inscindibile dal resto dell‟organismo e in tal modo va affrontata. L‟instancabile studiosa americana attinse per raggiungere il suo obiettivo ai più svariati studi scientifici e umanistici relativi alla comprensione più completa della natura umana trovando il suo coronamento nell‟opera pubblicata in tre volumi e intitolata in maniera significativa Mind: An Essay on Human Feeling (1969-1982). L‟uomo rappresenta il culmine dell‟evoluzione filogenetica che si caratterizza per la più alta specializzazione della massa cerebrale mai verificatasi nella scala evoluzionistica. L‟attività mentale che ne derivò costituì la sua peculiare individuazione filogenetica che gli consentì grazie alle molteplici sfaccettature culturali di elevarsi al di sopra dell‟intero regno animale. Nonostante l‟opera non fosse alla data della tragica scomparsa dell‟Autrice completamente conclusa, ne emerse un messaggio ben chiaro che all‟epoca forse non fu del tutto compreso: la vera natura dell‟essere umano va ricercata nella sua irriducibile specificità disposta sui più alti livelli d‟integrazione. In tale prospettiva Langer delineò una nuova linea d‟orizzonte conoscitivo “lanciando” ai posteri un dichiarato invito a una sfida intellettuale di vasta portata. 6 I. Il potere del simbolismo 1.1. Tra neopositivismo logico e idealismo trascendentale 1.1.1. Un ambizioso progetto Non c‟è un mondo; ci sono tanti mondi, nessuno dei quali onnicomprensivo. W. V. O. Quine Nel celebre testo del 1942 Filosofia in una nuova chiave6 Langer si poneva un obiettivo ben preciso, quello di concepire una teoria della mente degna di un trattato scientifico dalla quale emergerebbe una teoria dell’arte altrettanto «seria e dettagliata»7. Nacque un‟originale teoria intesa come una mediazione tra due prospettive del pensiero apparentemente inconciliabili: quella del neopositivismo logico e quella dell‟idealismo trascendentale. Il motivo che condusse Langer ad accostare due istanze del pensiero differenti fu la convinzione che l‟articolazione formale della realtà non è una prerogativa riferibile solamente al pensiero logico- discorsivo, ma anche all‟atto percettivo. I neopositivisti prospettavano un‟immagine della mente come «isola di discorsività in un mare di affetti»8. Infatti per i logici, le emozioni, i sentimenti, i desideri non sono altro che sintomi della vita interiore non adeguati alla formalizzazione. Essi, privi di alcun significato, si caratterizzano solo come segni dell‟esperienza soggettiva. Langer invece assieme ad alcuni studiosi, tra cui Schopenhauer, Whitehead, Cassirer, Dewey, intese il campo semantico come più ampio rispetto a quello del linguaggio. Secondo Langer accanto al simbolismo logico-discorsivo ve ne sarebbe un altro tipo che si caratterizzerebbe come immediato, non dotato di discorsività, che l‟Autrice definisce simbolismo presentazionale. Esso viene inteso come un sistema di forme presenti già a livello percettivo, che racchiude in sé tutti quegli aspetti che la filosofia analitica e neopositivista avevano relegato nell‟ambito del sentimento. Langer sostiene che la vita mentale comincia con la nostra costituzione fisiologica pura e semplice e ogni attività sensoriale porta con sé «lo stampo del fatto mentale»9. Sulla base di tali considerazioni il simbolismo presentazionale 6 S. K. Langer, Philosophy in a New Key. A Study in the Simbolism of Reason, Rite, and Art, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts 1969; trad. it. di G. Pettenati, Filosofia in una nuova chiave, Editore Armando Armando, Roma 1972. 7 Ivi, p. 11. 8 Ivi, p. 11. 9 S. K. Langer, Philosophy in a New Key, trad. it. cit., p. 126. 7 risulterebbe il gradino preparatorio del pensiero stesso. Il passaggio dal neopositivismo logico alla filosofia delle forme simboliche, quindi, dovrebbe consentire di colmare i limiti riscontrati nel neopositivismo con la posizione più ampia del simbolico. Langer intravede nella filosofia delle forme simboliche di cassireriana concezione un efficace strumento per il raggiungimento del suo obiettivo. Ernst Cassirer nell‟opera Filosofia delle forme simboliche10 pone in reciproca relazione il mundus sensibilis e il mundus intelligibilis. Cassirer, uno dei massimi esponenti del neo-kantismo in Germania, recupera la dottrina morfologica kantiana per sottolineare la fondamentale importanza dell‟interazione tra sensibilità e intelletto, intese come funzioni conoscitive diverse ma complementari. Le forme dello spazio e del tempo, esposte nella Critica della facoltà di giudizio11 sono intese da Kant come quadri mentali, categorie a priori che svolgono un ruolo fondamentale nella conoscenza intuitiva. Esse consentono l‟organizzazione del caos, proveniente dalle impressioni immediate nelle forme caratterizzate da rapporti logico-formali, ovvero forme simboliche. Cassirer definisce forma simbolica in maniera analoga: ogni energia dello spirito, attraverso la quale un contenuto spirituale viene connesso a un concreto segno sensibile e interiormente riferito a tale segno12. Il linguaggio, il mito, l‟arte sono in tal senso forme simboliche. Il rapporto tra soggetto e forma simbolica rappresenta un rapporto di mediazione: ogni contenuto spirituale è per noi necessariamente legato alla forma della coscienza e con ciò alla forma del tempo13. Ma il simbolo nella filosofia cassireriana non viene visto esclusivamente come un organo essenziale e necessario del pensiero ma anche come un medium onnicomprensivo, che permette a sua volta di accomunare le più svariate forme spirituali in un‟unica forma logica. Le forme simboliche sono per Cassirer forme culturali che possono contribuire egualmente alla conoscenza stessa conservando i loro tratti peculiari. La scienza, l‟arte, il mito, il rito, la religione ora coesistono sullo stesso piano, quello delle forme simboliche. La radice del principio creativo delle forme simboliche sta proprio nell‟originaria contemplazione intuitiva di cui il significato più ampio è l‟espressione simbolica, ovvero l‟espressione di qualcosa di 10 E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Oxford 1923, trad. it. di E. Arnaud, La Nuova Italia, Firenze1987. 11 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, trad. it. di E. Garroni e H. Hohenegger, Einaudi, Torino 1999. 12 G. Raio, Introduzione a Cassirer, Laterza, Roma 2002, p. 64. 13 Ivi, p. 64. 8 spirituale attraverso i segni. I simboli sensibili si presentano all‟attività dello spirito già dotati di una pretesa di obiettività e di valore, ciò determina che anche la più pura attività spirituale è condizionata e mediata dell‟attività sensibile. Le manifestazioni culturali accomunate sotto un unico principio di costituzione delle forme spirituali, appunto delle forme simboliche, conducono alla concezione di una teoria della conoscenza. Langer, attingendo esplicitamente agli studi cassireriani, individua proprio nel simbolo il concetto chiave per la sua teoria della conoscenza; per comprendere interamente la complessa genesi della singolare teoria langeriana è comunque opportuno mettere in luce anche il pensiero di altri autori che contribuirono in modo non indifferente alla sua concezione. 1.1.2. Il pensiero di Whitehead: lo sfondo della filosofia langeriana Nel 1920 Susanne Langer, dopo avere conseguito la laurea presso il Radcliffe College, istituto femminile della Harvard University, si recò a Vienna per perfezionare i suoi studi sulla filosofia tedesca. Ritornata dopo la breve parentesi presso il medesimo istituto, Langer ottenne nel 1926 il titolo Ph. D. discutendo una tesi sull‟analisi logica del significato. Durante questo periodo Langer ebbe l‟opportunità di conoscere e stringere rapporti con Alfred North Whitehead, matematico e logico britannico, che divenne ben presto non solo il suo maestro ma anche guida principale del suo pensiero. Alfred North Whitehead14 divenne conosciuto soprattutto per il capolavoro del pensiero logico moderno intitolato Principia Mathematica. Il monumentale trattato pubblicato in tre volumi, venne scritto da Whitehead insieme al suo allievo Bertrand Russell nel 1910-13, durante il periodo del suo insegnamento all‟Università di Cambridge, con l‟intento di delineare i fondamenti logici dell‟aritmetica. Secondo i due matematici i sistemi formali generalmente sono in grado di stabilire la relazione tra ciò che è logicamente dimostrabile e ciò che è effettivamente vero. L‟impiego dei simboli astratti legati in una catena di inferenze logiche15 consentiva quindi, a loro 14 A. N. Whitehead nacque a Ramsgate nel 1861. Frequentò l‟università di Cambridge, e in seguito insegnò matematica all‟Università di Londra sino al 1919. L‟opera più nota di questo periodo è senza dubbio Principia Mathematica. La sua attenzione si spostò quindi sulla filosofia della scienza, come provano Ricerca sui principi della conoscenza della natura, del 1919, Sul concetto di natura, del 1920, La scienza e il mondo moderno, 1925. Nel 1924 venne chiamato in America a insegnare filosofia nella Harvard University. Qui pubblicò altri libri importanti, tra cui Il Simbolismo, del 1928, Il processo e la realtà, del 1929, La funzione della ragione, del 1929, Avventure di idee, del 1933, I modi del pensiero, del 1938. Egli morì a Cambridge nel 1947. 15 Cfr. J. L. Casti e W. DePauli, Gödel. L’eccentrica vita di un genio, trad. it. di Marcello D‟Agostino, Raffaello Cortina Ed., Milano 2001, cit. p. 2: «Il meccanismo di generazione delle verità che viene impiegato è il processo di deduzione logica che ci è stato lasciato in eredità da Aristotele. Fondamentalmente, la logica aristotelica poggia su due pilastri: un insieme di premesse, o assunzioni, proposizioni che sono cioè assunte come vere senza dimostrazione, e una collezione di regole di inferenza, mediante le quali trasformiamo una proposizione vera in un‟altra. Per esempio, 9 parere, di esprimere le asserzioni di tutta la matematica classica. Principia Mathematica ben presto divenne il punto di riferimento per l‟intera “comunità” dei matematici e dei logici ma non godette a lungo di tale condizione. Alcuni ambiziosi matematici, tra cui David Hilbert16 e Kurt Gödel17, avvertirono l‟insufficienza del metodo applicato mettendo in discussione i limiti stessi della dimostrazione matematica: «i metodi della logica deduttiva18 sono troppo deboli per consentire di dimostrare le relazioni vere tra i numeri puri, concludendo che la verità va oltre le dimostrazioni»19. Nell‟epocale articolo Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia Mathematica e sistemi affini, pubblicato nel 1931, Gödel definitivamente demolisce l‟onnipotente metodo assiomatico20 applicato sin dagli consideriamo il classico sillogismo socratico: Premessa A: Tutti gli uomini sono mortali. Premessa B: Socrate è un uomo. Conclusione: Socrate è mortale. Il salto dalle due premesse alla conclusione viene realizzato invocando una delle leggi dell‟inferenza deduttiva resa esplicita per la prima volta da Aristotele: “Se tutti gli X sono Y, e Z è un X, allora Z è un Y”. […]. I matematici vivono in un mondo in cui la deduzione logica è l‟essenza più profonda della loro professione, in cui ogni realizzazione (teorema) che contribuisce a formare il contenuto della pratica matematica è il risultato di una tale catena di inferenze logiche a partire da proposizioni che vengono assunte come vere senza dimostrazioni (tali proposizioni vengono dette assiomi)». 16 Cfr. D. Hilbert, Introduzione a Ricerche sui fondamenti della matematica, trad. it. di V. Michele Abrusci, Bibliopolis, Napoli 1978, p. 30: «Hilbert riconosce la “in naturalezza” di un assioma essenziale dei Principia Mathematica quale è l‟assioma di riducibilità e del carattere non-logico di questo stesso assioma e dell‟assioma dell‟infinito. Perciò Hilbert ritenne che tanto valeva rinunciare a costruire tutta la matematica numerica come parte della logica e che convenisse invece presentare una formalizzazione della matematica numerica più vicina al suo reale configurarsi nella pratica matematica; e ciò specialmente, di fronte all‟incalzare delle critiche alla matematica classica. Comunque, nella formalizzazione della matematica classica Hilbert si rifarà, sia pur con modifiche, al modello di formalizzazione dato da Russell e Whitehead e da lui stesso perfezionato; e la logica non sarà più un ”ostacolo” tecnico nelle sue indagini fondazionali». 17 Cfr. D. O‟Shea, La congettura di Poincaré, trad. it. di Daniele Didero, BUR, Milano 2008, p. 255: «E, pochi mesi dopo il famoso discorso di Hilbert del 1930, Kurt Gödel dimostrò che era impossibile trovare un sistema di assiomi logici che fosse sufficiente a dimostrare ogni immaginabile risultato nel campo della teoria dei numeri e che, al contempo, non conducesse a una qualche contraddizione. La logica aveva dei limiti». 18 Ivi, cfr. pp. 70-71: «Gli Elementi di Euclide, capolavoro di logica deduttiva, risale al regno di Tolomeo I Sotere, attorno al 300 a.C., e furono redatti ad Alessandria. Gli Elementi codificavano la matematica sviluppata dai tempi di Talete e Pitagora, passando per Platone. Gli Elementi contengono 13 libri (capitoli). I primi capitoli riguardano geometria piana, i successivi la geometria solida. Ogni cosa è derivata dai primi principi. Le definizioni danno un nome agli oggetti e ai concetti fondamentali. Nelle nozioni comuni vengono esplicitate alcune regole comunemente accettate intorno al ragionamento e alle relazioni. Gli assiomi sono affermazioni riguardanti gli oggetti considerati che vengono assunte come vere senza dimostrazione. Definizioni, nozioni comuni e postulati sono presi come i punti di partenza da cui vengono derivate – seguendo rigorose regole logiche – le successive asserzioni, chiamate “proposizioni”. Una proposizione particolarmente significativa è detta “teorema”. Una “dimostrazione” di una proposizione è costituita da un ragionamento deduttivo preciso e ordinato in cui ogni asserzione è un assioma o una proposizione dimostrata in precedenza, o può essere da questi derivata in base alle regole formali della logica». 19 J. L. Casti e W. De Pauli, Gödel. L’eccentrica vita di un genio, cit., p. 2. 20 Cfr. D. Hilbert, Introduzione a Ricerche sui fondamenti della matematica, cit., pp. 58-59: «Nel 1930-31 Gödel, sulla base dell‟aritmetizzazione della metamatematica, dimostrò due teoremi di “inderivabilità” che concernono direttamente e profondamente il programma fondazionale hilbertiano. Il primo teorema stabilisce che, se il formalismo della aritmetica è ω-non-contraddittorio, allora è incompleto e non c‟è nemmeno modo di “completarlo” perché si otterrebbero solo formalismi incompleti. Il secondo teorema afferma che , se il formalismo è non-contraddittorio, allora con mezzi interni ad esso non può esser dimostrata la sua non-contraddittorietà. Le conseguenze dei due teoremi di Gödel dicono che il programma hilbertiano non può essere realizzato». 10

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