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Eros. L’amore in Roma antica PDF

209 Pages·2008·6.55 MB·Italian
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30 EROS L’amore in Roma antica VITA E COSTUMI NEL MONDO ROMANO ANTICO Collana edita con il patrocinio della Presidenza della Regione Lazio Comitato scientifico: Anna Mura Cinzia Vismara Giuseppe M. Della Fina Filippo Coarelli Gianfranco Gazzetti Coordinamento editoriale: Giuseppina Pisani Sartorio Si ringrazia il Museo della Civiltà Romana per la collaborazione In copertina: Marte e Venere (o Enea e Didone). Affresco da Pompei, Casa del Citarista (Ins. I, IV.5.25) (Napoli, Museo Archeologico Nazionale) (da Rosso Pompeiano 2007, p. 132). © Roma 2008, Edizioni Quasar di Severino Tognon Srl via Ajaccio 41 / 43, 00198 Roma - tel. 0685358444 email: [email protected] e-ISBN 978-88-7140-619-0 VITA E COSTUMI NEL MONDO ROMANO ANTICO 30 Antonietta Dosi EROS L’amore in Roma antica edizioni quasar inTroduzione Hic abitat felicitas (qui abita la felicità) si legge su un bassorilievo in travertino1. Tra le prime parole e felicitas è grafita l’immagine di un fallo2 stilizzato e piatto, ma in forma rigorosamente eretta, simbolo della potenza e della gioia dei sensi. e un liberto imperiale in una iscrizione dedicata a Priapo, dio di tutte le cose, lo prega: “Concedimi di piacere ai ragazzi e alle fanciulle con il mio fallo provocante”3. “Il culto del fallo (in erezione) e dell’attività sessuale”, scrive Edoardo Bianchini4, “si perde nella notte dei tempi legato allo stupore dell’originario ominide incapace di spiegarsi perché l’organo sessuale virile, così indifeso in condizioni normali, potesse farsi improvvisamente aggressivo e rigido al momento della sua erezione, pur non contenendo alcun elemento osseo”. In quanto è poi anche datore di sensazioni di piacere, i nostri antichi progenitori riservarono al fallo un’incondizionata venerazione. E tanto di più scoprendo che grazie ad esso era assicurata la generazione e la propagazione della specie. L’idolatria parossistica a lui riservata ne fece pertanto un feticcio potentissimo in grado di stimolare i demoni della fertilità e inibire quelli maligni della sterilità. L’organo maschile diventò così elemento rituale e oggetto di culto apotropaico. Presente già nei riti dei clan primitivi e poi tribali e inine in quelli dei villaggi e delle città, esso assunse con il passare del tempo la funzione di catalizzatore di energie vitalistiche. Venerarne immagini e feticci, pronunziarne il nome in formule magiche divenne “atto indispensabile per dominare”, continua sempre Bianchini, “una realtà sfuggente e inafferrabile e sempre nella speranza… di poter ottenere un rinascere perpetuo nel dipanarsi di un’eternità altrimenti impossibile e negata”5. In altre parole era attraverso il fallo e i suoi riti che l’uomo affermava la vittoria della vita sulla morte e poteva dire di essere immortale come gli dèi. Le testimonianze più antiche sul culto fallico risalgono, come narra Erodoto6, al mondo egizio7. Di lì sarebbe penetrato nel mondo greco grazie a Melampo8 che lo avrebbe introdotto in Grecia insieme al culto di Dioniso. In suo onore sarebbero nate le ‘falloforie’ o processioni del fallo accompagnate dai canti fallici sia nel quadro di feste rustiche che nella stessa Atene, durante le quali sembra che le donne portassero per le vie fantocci antropomori dotati di un pene spropositato9. Certo gli spiriti forgiati da un’educazione eccessivamente puritana potevano scandalizzarsi ino a qualche decennio fa (oggi non più) leggendo di tali manifestazioni e ancora di più di certi carmi giudicati così grossolani da indurre non pochi studiosi del secolo scorso a edulcorarne la traduzione. Ma come è possibile analizzare comportamenti umani di civiltà scomparse con criteri e valori che appartengono alla civiltà moderna? Ad ogni modo il fallo 7 non riveste mai né in Grecia né a Roma carattere di oscenità. simboleggia invece la perennità della vita, il dominio della potenza vitale sul caos e, come prima si diceva, la vittoria delle forze di riproduzione su quelle della morte. Tale integrazione dell’essere al ciclo naturale della riproduzione si sono rinvenute anche in altre civiltà al di fuori del Mediterraneo e ad esse anteriori dove si compivano e probabilmente si compiono ancora cerimonie analoghe. In India, per esempio, un culto del genere è legato alla ‘linga’ indou che simboleggia Shiva, dio della riproduzione, e da cui forse il culto del fallo addirittura proviene10. Quanto a EROS (ig. 1), a cui ho dedicato il titolo di questo libro, molto tempo prima di essere ‘Amore’ nel senso che oggi gli attribuiamo, e ancor prima che Platone, smarrito di fronte all’incontenibile forza erotica, la sublimasse in ‘divina follia’, cioè nel sentimento che ci eleva alla contemplazione delle idee eterne del ‘bene’ e del ‘bello’11, era semplicemente l’espressione della vis generandi, in gran parte violenta, connessa alla propagazione della specie. E dunque qualcosa che non aveva nulla a che fare con l’erotismo e con le sue implicazioni di natura psichica, estetica e morale. Le rafigurazioni di ‘eros’ legate al culto di Afrodite, dea dell’amore, in un giovane bellissimo o in un bambino capriccioso e volubile armato di frecce con cui colpisce il cuore degli uomini e degli dèi appartengono al mito greco. L’erotismo - nel senso che ancor oggi gli attribuiamo - appartiene invece a un momento posteriore e nasce con il culto di Dioniso, dalla licenza dell’orgia dionisiaca che accompagna il culto fallico. Attraverso l’atto sessuale che tien dietro all’ebbrezza provocata dal vino, l’uomo si sente creatore e in tutto simile agli dèi. i riti di dioniso, rinnovando il caos mitico anteriore alla creazione, permettono la circolazione dell’energia vitale che restaura il legame degli uomini con l’universo (ig. 2). La trasgressione delle regole di decenza nelle cerimonie dionisiache e le azioni che normalmente si giudicano oscene, come anche la crudezza e la volgarità del linguaggio provocatore (aischrologhia), hanno il potere magico di puriicare e rendere fertili. A Roma (visto che è di Roma che in questo libro si parla) i Saturnali, che si celebrano in pieno inverno verso la ine di dicembre (quando le notti, sempre più lunghe, incutono la paura che la luce non torni) e le feste di primavera che incoraggiano la ripresa del ciclo riproduttivo, testimoniano la frenesia genetica che s’impadronisce degli uomini e altro non è che il desiderio di sopravvivenza. La licenza orgiastica è giustiicata dal suo carattere sacro in quanto riviviica i legami che uniscono gli uomini agli dèi. Altra cosa però sarebbe considerarla un fatto normale nel comportamento quotidiano. La sessualità si esercita anche nel tempo profano, ma secondo regole che mirano a consolidare e insieme a rispettare i legami sociali. Queste regole rappresentano ciò che si è convenuto di chiamare ‘morale’. 8 Nella pagina a ianco: 1 Eros vincitore, II sec. a.C. Da Mahdia (Tunisi, Museo del Bardo) (Yacoub 2005b, p. 652). a lato: 2 Leggenda dell’invenzione miracolosa della vigna. Parte centrale del mosaico pavi mentale da Oudna (Tunisi, Museo del Bardo) (Yacoub 2005a, p. 17). A questo punto diviene inevitabile chiedersi che cosa sia la morale. Nel suo senso più ampio essa designa il sistema di valori che un gruppo di uomini si è dato per stabilire una condotta comune di vita. È un codice sociale che comporta un certo numero di proibizioni issate nell’interesse di tutti, la cui trasgressione può mettere in pericolo l’equilibrio su cui il gruppo si fonda. Dal che deriva che non esiste una morale che sia un archetipo, perché le regole morali di un gruppo rispettano solo la mentalità degli uomini che se le sono imposte e sono l’emanazione di una cultura forgiata dalle circostanze che hanno presieduto all’evoluzione di quella civiltà. Essa corrisponde a ciò che J.N. Robert deinisce ‘una morale di comportamento’12. Questa è la morale che si è cercato di prendere in esame nello studio dell’eros nella civiltà romana. La parola ‘morale’, che nella sua accezione ilosoica traduce il termine greco (ethike), appare in Roma solo verso la ine del I sec. a.C. in Cicerone. Il suo riferimento è contenuto nel mos maiorum, cioè nella tradizione dei patres, dove mos designa appunto il comportamento secondo il costume anteriore alla legge, a cui è servito da fondamento. il mos ha regolato tutta l’organizzazione familiare e sociale romana ino alla prima formazione nel 450 a.C. di un diritto scritto con le Leggi delle Xii Tavole. ed è sempre al mos che i giureconsulti si riferiscono quando il diritto si rivela inadeguato a trattare certi casi particolari. il mos maiorum è dunque il fondamento di tutte le qualità morali che deiniscono l’ideale romano sintetizzato nella virtus, la quale ha condizionato lo sviluppo di Roma. Di questa pratica morale l’esercizio della sessualità costituisce un aspetto rivelatore essenziale, perché la maniera di concepire i rapporti intimi fra gli esseri consente di chiarire i legami che la società crea fra gli uomini e di analizzare l’evoluzione dei costumi. La sessualità dei romani (come del resto di altri popoli) non offrirebbe alcun interesse di studio se fosse svincolata dal suo contenuto morale e si trascurassero gli avvenimenti interni e le inluenze esterne che ne hanno determinato l’evoluzione. 9

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