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Epigrafia romana PDF

137 Pages·2012·0.68 MB·Italian
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Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo file contiene appunti dalle lezioni di Giovanni Vitucci (1917-2000) che sono ancora in fase di elaborazione e che vengono messi a disposizione dello studente; essi non sono da considerare assolutamente materia dell’esame di Storia romana, ma semplice supporto didattico per chi vuole approfondire la conoscenza dell’epigrafia e delle antichità romane]. Assai grande è l’apporto dell’epigrafia romana (o latina) agli studi di storia romana, poiché essa consente di mettere a partito una gran copia di dati e notizie, in massima non altrimenti documentati, da cui è possibile guadagnare una rappresentazione storica più valida e più ricca di minuti particolari. I testi epigrafici rappresentano infatti altrettanti documenti, che in genere gettano luce sui più svariati aspetti della vita pubblica e privata del mondo romano o romanizzato; e se buona parte delle nostre conoscenze intorno alle antichità romane nel senso più largo dipendono esclusivamente dal dato delle epigrafi, si deve anche aggiungere che fra queste alcune costituiscono documenti di primaria importanza per approfondire particolari momenti della storia di Roma. Un’idea molto precisa della ricchezza di materiali offerti dalle iscrizioni si può avere sfogliando il “Dizionario Epigrafico di Antichità Romane”, fondato da Ettore De 1 Ruggiero. Sarà poi appena necessario accennare che il patrimonio dell’epigrafia latina, il quale comprende già molte decine di migliaia di testi, si arricchisce ogni anno di nuovi trovamenti effettuati nel corso di campagne di scavo oppure soltanto casualmente. Chi desidera portare la sua indagine sulle iscrizioni latine, cioè chi nello studio di un argomento determinato vuol giovarsi anche degli eventuali elementi che le epigrafi possono fornire, si trova oggi il compito notevolmente facilitato nel rispetto della raccolta di materiali. Vale a dire che la pubblicazione del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), l’opera monumentale che l’Accademia di Berlino prese a pubblicare nel 1863 sotto l’impulso e la guida del Mommsen, permette di avere agevolmente alla mano un gran numero di testi epigrafici prima dispersi in sillogi di dimensioni di gran lunga più modeste o in opere svariate e in massima difficilmente accessibili. Ma il CIL contiene, naturalmente, gran numero, non tutte le iscrizioni, specie per le sempre nuove scoperte cui sopra si accennava. Questi nuovi testi, che per solito sono rappresentati nelle riviste di antichità dei vari paesi (per l’Italia si devono menzionare in particolare le “Notizie degli Scavi di Antichità”, edite dall’Accademia Nazionale dei Lincei, e il “Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma”), vengono di anno in anno in buona parte raccolti e riediti da “L’année épigraphique” che si pubblica a Parigi. E naturalmente, anche il CIL si arricchisce di tanto in tanto di qualche nuovo fascicolo. A questo punto sarà opportuno dare un quadro della distribuzione delle epigrafi nel CIL, avvertendo che tale distribuzione è stata fatta seguendo un criterio geografico in tutti i volumi ad eccezione del I (dove sono stati raccolti testi “arcaici”, cioè anteriori alla morte di Cesare, da qualsiasi regione provengano) e dell’ultimo (volume XVI, nel quale è riunita una particolare categoria di iscrizioni, i diplomata militaria): 2 Vol. I. Inscriptiones Latinae antiquissimae ad G. Caesaris mortem. Accedunt elogia clarorum virorum. Fasti anni Iulia ni. Fasti consulares ad a. u. c. DCCLXVI. P. I-II 3, 1863-1943. (Questo volume è uno di quelli di cui è stata curata una seconda edizione riveduta e corretta, che nelle citazioni viene comunemente contraddistinta mediante l’aggiunta dell’esponente 2; pertanto CIL I² significa volume I seconda edizione del CIL, mentre una citazione CIL I fa riferimento alla vecchia edizione del vol. I del CIL). Vol. II. Inscriptiones Hispaniae Latinae, 1869; Supplementum 1892. Vol. III. Inscriptiones Asiae, provinciarum Europae Graecarum, Illyrici Latinae, P. I, II; Suppl. fasc. I-V, 1873-1902. Vol. IV. Inscriptiones parietariae Pompeianae, Herculanenses, Stabianae, 1871 ; Suppl. P. I-III 3, 1898- 1963. Vol. V – Inscriptiones Galliae Cisalpinae Latinae, P. I, II, 1872 – 1877. Vol. VI – Inscriptiones urbis Romae Latinae, P. I-VI, 1876 – 1933. Vol. VII – Inscriptiones Britanniae Latinae, 1873. Vol. VIII – Inscriptiones Africae Latinae, P. I, II, 1881 ; Suppl. p. I -V 3, 1891-1959. Vol. IX - Inscriptiones Calabriae, Apuliae, Samnii, Sabinorum, Piceni Latinae, 1883. Vol. X – Inscriptiones Bruttiorum, Lucaniae, Campaniae, Siciliae, Sardiniae Latinae, 1883. Vol. XI – Inscriptiones Aemiliae, Etruriae, Umbriae Latinae, P. I-II, 2, 1888-1926. Vol. XII – Inscriptiones Galliae Narbonensis Latinae, 1888. Vol. XIII – Inscriptiones trium Galliarum et Germaniarum Latinae, P. I-VI, 1899-1943. Vol. XIV – Inscriptiones Latii veteris Latinae, 1887; Supplementum Ostienses, I-II, 1930-1933. Vol. XV – Inscriptiones urbis Romae Latinae. Instrumentum domesticum, P. I-II, 1891-1899. 3 Vol. XVI – Diplomata militaria, ex constitutionibus imperatorum de civitate et conubio militum veteranorumque expressa, 1936; Suppl. 1955. Fra questi volumi il più cospicuo nell’insieme, per numero e importanza di epigrafi, è naturalmente il sesto, che contiene le iscrizioni di Roma (circa quarantamila; nel CIL, come nelle altre raccolte epigrafiche, le iscrizioni sono contraddistinte da un numero progressivo). Vanno inoltre ricordate: a) alcune raccolte minori edite come supplementi al CIL; - Ephemeris Epigraphica, Corporis Inscriptionum Latinarum Supplementum, edita iussi Instituti Archaeologici Romani, voll. I-IX, 1872-1913 - Corporis Inscriptionum Latinarum Supplementa Italica consilio et auctoritate Academiae regiae Lynceorum edita. Fasc. I. Additamenta ad vol. V Galliae Cisalpinae, 1884. - R. CAGNAT – A. MERLIN, Inscriptions latines d’Afrique (Tripolitaine, Tunisie, Maroc), Paris 1923. - EM. ESPERANDIEU, Inscriptions latines de Gaule (Narbonnaise), Paris 1923. - V. HOFFILER – B. SARIA, Antike Inschriften aus Jugoslavien, I, Noricum und Pannonia Superior, Zagreb 1938. - L. CHATELAIN, Inscriptions latines du Maroc, Paris 1942. - A. MERLIN, Inscriptions latines de la Tunisie, Paris 1944. - H. BLOCH, Supplement to volume XV, 1 of the Corpus Inscriptionum Latinarum, including complete Indices of the Roman Brick-Stamps, in « Harvard Studies in Classical Philology », 1947-1948. - J. M. REYNOLDS – J. B. WARD PERKINS, The Inscriptions of Roman Tripolitania, Roma 1952. - P. WUILLEUMIER, Inscriptions latines des trois Gaules (France), Paris 1963. 4 - R. G. COLLINGWOOD – R. P. WRIGHT, The Roman Inscriptions of Britain, vol. I, Oxford 1965 (comprende le iscrizioni su pietra già edite nel vol. VII del CIL e quelle successivamente scoperte). b) Altre raccolte più notevoli: - Inscriptiones Italiae. Academiae Italicae consociatae ediderunt: vol. IV – regio IV, fasc. I: Tibur (cur. I. MANCINI, 2^ ediz., 1952. vol.VII – regio VII, fasc. I: Pisae (cur. A. NEPPI MODENA, 1953). Vol. IX – regio IX, fasc. I: Augusta Bagiennorum et Pollentia (cur. A. FERRUA, 1948). vol. X – regio X, fasc. I: Pola et Nesactium (cur. B. FORLATI TAMARO, 1947). vol. X – regio X, fasc. II: Parentium (cur. A. DEGRASSI, 1934). vol.X – regio X, fasc. III: Histria Septemtrionalis (cur. A. DEGRASSI, 1936). vol. X – regio X, fasc. IV: Tergeste (cur. P. STICOTTI, 1951). vol.XI – regio XI, fasc. I: Augusta Praetoria (cur. P. BAROCELLI, 1932). vol. XI – regio XI, fasc. II: Eporedia (cur. I. CORRADI, 1931). Vol. XII originar. Destin alle iscr di roma? vol XIII – Fasti et Elogia, fasc. I: Fasti consulares et triumphales (cur. A. DEGRASSI, 1947). Id. id., fasc. II: Fasti anni Numani et Iuliani (cur. A. DEGRASSI, 1963). Id. id., fasc. III: Elogia (cur. A. DEGRASSI, 1937). Supplementi ai fascicoli istriani delle Inscriptiones Italiae sono apparsi a cura del Degrassi in “Memorie dell’Accademia dei Lincei” 1965, p. 233 sgg. - ST. GSELL, Inscriptions latines de l’Algérie, I, Paris 1922 ; II (ed. H. G. PFLAUM), Paris 1957. Per quanto riguarda le iscrizioni cristiane: 5 - I. B. DE ROSSI – I. GATTI, Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, vol. I – II, Suppl. I, Romae 1857 – 1915. - A. SILVAGNI – A. FERRUA, Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores. Nova series, voll. I – III, Romae 1922 – 1956. - E. DIEHL, Inscriptiones Latinae Christianae veteres, I – III, Berolini 1925 – 1931. È appena il caso di richiamare l’attenzione sull’importanza che per gli studi sul mondo romano antico hanno le numerose iscrizioni in lingua greca, provenienti in massima dalle province orientali dell’impero. Principale raccolta ne resta quella di R. CAGNAT – G. LAFAYE, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, I, III, IV, Paris 1911, 1906, 1927. Sarà opportuno aggiungere che la massima parte dei volumi del CIL (come anche quelli delle raccolte minori) sono forniti di indici, i quali costituiscono altrettanti repertori ricchissimi. Una particolare menzione merita la preziosa silloge di H. DESSAU, Inscriptiones Latinae Selectae (ILS), voll. I – III 2, Berlin 1892 – 1916, la quale contiene buona parte dei testi più notevoli ed è di gran lunga più accessibile del CIL (nel 1950 ha visto la luce un fascicolo speciale del già citato “Dizionario Epigrafico di Antichità Romane” contenente le tavole di conguaglio fra il CIL e le ILS, il quale rende più rapida la ricerca nelle ILS di una epigrafe nota con la citazione del CIL. Un simile conguaglio è ora incorporato nella recente riedizione delle ILS). Si tratta, nell’insieme, di un cospicuo patrimonio epigrafico, il quale comprende iscrizioni che abbracciano un periodo di circa un millennio, dalla più antica, che è quella della fibula aurea Praenestina del VII – VI secolo a. C. (CIL I² 3 = ILS 8561), sino alle iscrizioni della più tarda età imperiale. Ma di epigrafi veramente arcaiche è conservato un numero relativamente assai piccolo 6 (generalmente nota l’iscrizione del cippo del Foro Romano, CIL I² 1 = VI 36840 = ILS 4913, e quella del Vaso di Dueno, CIL I² 4 = ILS 8743; v. la raccolta dal titolo Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, curata dal Degrassi e recentemente corredata di un volume di Imagines), e solo a partire dal I secolo a.C. esse si vanno gradatamente moltiplicando. La massima parte delle iscrizioni superstiti appartiene ai primi tre secoli dell’impero, mentre già dalla seconda metà del sec. III il loro numero è in progressiva diminuzione. Una sì gran copia di testi ci è stata conservata in grazia della durevolezza del materiale su cui furono iscritti, in primo luogo il marmo (o la pietra) e il metallo (specialmente il bronzo e il piombo), sebbene a noi siano giunte anche epigrafi incise su materiali più deperibili, come le tavolette cerate di Pompei (CIL IV Suppl.) e di Alburnus maior nella Dacia (CIL III p. 921 sgg.). È peraltro da aggiungere che di molti testi non possediamo più l’originale, ed essi sono noti solo attraverso copie più o meno fedeli, che studiosi – o meglio visitatori curiosi delle reliquie della romanità – presero a trascrivere fin dal Medio Evo. Fra gli altri materiali iscritti possono ricordarsi i metalli preziosi (per lo più laminette votive), l’avorio, l’osso, il vetro e la terracotta (questi due ultimi per lo più con marche di fabbrica). Tutto questo, naturalmente, a prescindere dalle leggende monetarie. Tralasciando qui di toccare della tecnica dell’iscrizione, sarà opportuno ricordare che l’andamento della scrittura, che sarà poi normalmente destrorso (cioè da sinistra verso destra), nei testi più arcaici è invece sinistrorso, ad imitazione della più antica scrittura greca e, in ultima analisi, di quella fenicia da cui questa derivava (v. appresso). Pertanto sinistrorsa è la scrittura nella fibula Praenestina e nel vaso di Dueno, mentre nel cippo del Foro Romano essa è bustrofedica, riproduce cioè l’uso greco, anch’esso arcaico, di scrivere βουστροφηδόν. Questo avverbio significa “alla maniera di 7 un bue che si volta quando ara il campo”, e scrittura bustrofedica è quella formata da un continuo alternarsi di righe destrorse e sinistrorse come i solchi tracciati da un aratro. Anche i segni alfabetici presentano col volgere dei secoli vari mutamenti e da essi può trarsi un criterio di datazione che ha però in massima un valore solo approssimativo. Circa l’origine dell’alfabeto latino, basterà accennare che esso (al pari degli altri alfabeti italici, p. es. l’umbro, l’osco, il falisco, il messapico, l’etrusco) deriva in ultima analisi da quello fenicio per il tramite degli alfabeti greci, in particolare dell’alfabeto calcidico. È noto che i Greci, adottando e adattando ai bisogni della loro lingua i segni dell’alfabeto fenicio, alcuni di questi cominciarono a usarli soltanto in un secondo momento; essi servirono a indicare nuovi suoni consonantici, e pertanto si usa denominarli “segni complementari”. Tali segni furono però usati dalle varie stirpi greche non con lo stesso valore, ma con valori diversi, e appunto in base a questa diversità il filologo tedesco A. Kirchhoff nel secolo scorso suddivise gli alfabeti greci in un gruppo orientale e in un gruppo occidentale, al quale appunto appartiene l’alfabeto calcidico. In esso infatti per indicare la gutturale aspirata chi si usava il segno complementare ↓, e non quello di X che si usava invece negli alfabeti del gruppo orientale (p. es., ad Atene). Il segno X si usava bensì negli alfabeti del gruppo occidentale (tra cui il calcidico), ma indicava il suono csi (ed è così che in latino, e poi in tutte le lingue moderne derivate dal latino, quel segno si legge ics). Si suole anche parlare di “alfabeti rossi” e di “alfabeti blu”, perché il Kirchhoff, volendo rendere più perspicuo il quadro complessivo delle molteplici varietà alfabetiche in uso presso i Greci (quanto mai “individualisti” anche in questo), diede alla fine del suo lavoro una cartina del mondo greco colorata con vari colori corrispondenti ai vari alfabeti. In questa cartina, tra l’altro, sono colorate in rosso le regioni ove si usavano alfabeti del gruppo occidentale, in blu quelle ove si usavano certi alfabeti del 8 gruppo orientale, di modo che, p. es., l’espressione “alfabeto rosso” significa alfabeto del gruppo occidentale. Nella derivazione dell’alfabeto latino dall’alfabeto greco calcidico, i segni delle aspirate fi, theta e chi (quest’ultimo, ripetiamo, nell’alfabeto calcidico si scriveva ↓ e non X) furono accolti col valore di sigle numerali (v. appresso); il segno della zeta, testimoniato nel vaso di Dueno, scompare poi e cede il posto nella serie alla G, quindi è reintrodotto sulla fine della repubblica accanto a Y per la trascrizione di parole greche. Con queste due ultime lettere l’alfabeto latino raggiunse il numero di 23 segni, che è quello normale salvo nell’età dell’imperatore Claudio il quale, per dirla con Tacito (Ann. XI 14), tres litteras adiecit, quae usui imperitante eo, post obliteratae, adspiciuntur nunc etiam in aere. Esse erano il digamma inversum per indicare il V consonantico (es. VLGUS), l’antisigma ( ), chiamato così perché si presentava come un sigma greco volto dalla parte opposta: naturalmente un sigma di forma tarda, cosiddetto “lunato”, ( ), per esprimere la doppia PS, e il segno , corrispondente alla metà di sinistra del segno dell’aspirata, per indicare il suono intermedio fra I e V delle forme come optimus e optumus. Nell’insieme l’alfabeto latino, dalle serie più arcaiche a quelle dell’età imperiale, non subì molte né sostanziali modificazioni; possono qui ricordarsi, fra i più caratteristici, i segni = E ed = F in uso nei secoli III e II a.C. Fin qui si è parlato della scrittura monumentale (o lapidaria, o quadrata). Da queste derivano – ma a prima giunta è difficile notarlo per il gran numero di varianti dipendenti dal ductus dello scrivente – la scrittura corsiva (quella delle già citate tavolette cerate o dei graffiti pompeiani) e l’unciale che, sebbene usata soprattutto nei manoscritti, compare anche in iscrizioni del III e specialmente del IV secolo d.C. Quanto alla scrittura attuariale, così detta perché spesso adoperata nella trascrizione di documenti o atti pubblici, 9 essa si distingue per una certa rotondità e fluidità dei caratteri. Tale fluidità era in origine il naturale risultato di una tecnica di scrittura consistente nel delineare le lettere con un pennello su apposito materiale (tabulae dealbatae), ed essa si conservò anche quando gli atti furono incisi sulla pietra o, più spesso, sul bronzo. (Un esempio di tale scrittura nei “Fasti Capitolini”, cfr. Inscriptiones Italiae, vol. XIII 3, o nella “tabula Claudiana” di Lione, che riporta parte del discorso tenuto in senato dall’imperatore Claudio in favore della concessione ai Galli del ius honorum, cioè del diritto di rivestire magistrature romane; cfr. CIL XIII 1668). La lettura di un’epigrafe latina in carattere lapidario (come sono la massima parte) non richiede un occhio particolarmente esercitato. Talvolta si incontrano dei segni che risultano dalla fusione di varie lettere (del tipo =ae, per intendersi), più o meno complessi, ma in genere di non oscura interpretazione. È un procedimento che sembra ispirato al criterio di economizzare spazio e lavoro, non diversamente da quello che accade per le numerosissime abbreviazioni che si incontrano, può dirsi, in ognuna delle iscrizioni latine. Quest’uso larghissimo delle abbreviazioni è peculiare dell’epigrafe latina; dallo scioglimento di esse dipende in buona parte la lettura o la interpretazione di un’epigrafe. S’incontrano abbreviazioni degli elementi costitutivi del nome, abbreviazioni nei nomi e titoli degli imperatori, abbreviazioni nei titoli delle magistrature, di ogni altro ufficio civile e militare, delle cariche sacerdotali, e infine abbreviazioni di formule peculiari delle diverse categorie o gruppi di epigrafi (cioè di quelle onorarie, di quelle sepolcrali, di quelle giuridiche, etc.). Però di questi innumerevoli termini ciascuno ha in massima un’abbreviazione più usitata, onde con l’esercizio ne risulta di molto facilitata l’interpretazione, e lo stesso contesto indica per solito l’esatto scioglimento di una sigla. Di queste abbreviazioni esistono poi elenchi parziali o generali che agevolano il deciframento 10

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dalle iscrizioni si può avere sfogliando il “Dizionario. Epigrafico di per esempio (CIL I² 2235) Apollonius Laelius Q(uinti) s(ervus) (si tratta di uno
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