UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA INDIRIZZO di STORIA ANTICA ELLENISMO E DEMONOLOGIA NEL SECONDO SECOLO. PAGANI E CRISTIANI DINANZI ALLA PLURALITÀ DELLE CULTURE Tutor: Candidato prof. Andrea Milano Dott. Antonio Sena Coordinatrice: prof. Marisa Tortorelli ANNO ACCADEMICO 2010/2011 Spesso le persone ti incontrano in un certo momento della vita e non si chiedono da dove vieni e dove vuoi andare. A Giorgio Jossa e Giovanni De Renzis perché, al di là dei loro doveri professionali, si sono fermati a guardare con me la strada che ho percorso e sono ancora disposti ad accompagnarmi verso l'orizzonte. 2 RINGRAZIAMENTI Questa tesi è il risultato di un percorso di ricerca che, da Napoli a Tours, ha potuto beneficiare di scambi intellettuali ed umani di grande ricchezza. I miei ringraziamenti vanno a tutti coloro che mi hanno seguito e guidato in questo lavoro. Al professore Andrea Milano della cui cultura filosofica e teologica si è molto giovata l'impostazione della tesi. Al professore Giorgio Jossa il cui insegnamento ha segnato i miei interessi scientifici, e del cui senso storico mi sono avvalso più volte nella ricerca. Un particolare ringraziamento va al professore Bernard Pouderon che, durante il mio soggiorno a Tours presso l'Università "François Rabelais", ha avuto un ruolo determinante nell'ampliamento e approfondimento delle mie prospettive di ricerca soprattutto nel campo dell’apologetica cristiana. La sua competenza scientifica e la generosità con cui mi ha accolto a Tours mi sono state preziosissime. A lui va la mia profonda gratitudine. 3 INDICE INTRODUZIONE: Il problema e il piano di ricerca (5) CAPITOLO I: Filosofia greca e filosofia “barbara” nell’apologetica greca cristiana del secondo secolo (11) 1. Aristide: l’esordio della riflessione cristiana sugli œqnh (11) 2. Giustino tra filosofia barbara e demonologia (20) 3. Taziano filosofo dei barbari? (36) 4. Atenagora e Melitone: una diversa idea della demonologia nel pluralismo religioso dell'impero e il definitivo abbandono della nozione di filosofia barbara (70) CAPITOLO II: Il Discorso Vero di Celso: un tentativo di sistemazione (91) 1. Come è trattata la demonologia nel Discorso vero? Un’ipotesi (91) 2. I dèmoni alla base della struttura del mondo (100) 3. I dèmoni e l’assetto pratico del mondo: significato e limiti della loro presenza (124) 4. Sapienze “barbare” e sapienza greca nel Discorso vero: un modello interpretativo (158) CAPITOLO III: La polemica intellettuale e la coesistenza religiosa nell'impero: l'esempio adrianeo (177) 1. Adriano tra filellenismo e culture “barbare”. Il culto nuovo di Antinoo (177) 2. Il potere imperiale, gli apologisti e Celso: diverse risposte ad un unico problema? (201) BIBLIOGRAFIA (208) 4 INTRODUZIONE: Il problema e il piano di ricerca Nel II secolo, come è noto, i cristiani cominciano a rivolgersi esplicitamente al mondo pagano colto per spiegare le loro ragioni, difendersi dagli attacchi che venivano loro rivolti e, in generale, dal clima di ostilità che percepiscono intorno a loro. La loro riflessione viene a concentrarsi inevitabilmente proprio sulle possibilità teoriche di un rapporto con la cultura pagana, cioè sulla domanda che diventerà fondamentale: che posto ha la grande cultura greco-romana, con i suoi sistemi filosofici, le sue scoperte, il suo stile di vita, dopo Cristo e la formazione del “popolo” cristiano? Il rapporto con il giudaismo è sentito come un problema in certo modo interno allo sviluppo stesso della dottrina cristiana, anche se travagliato, quello con il mondo pagano richiede strumenti più raffinati e un’elaborazione più organica. Questa necessità è maggiore, ed è un paradosso solo apparente, quanto più i primi esponenti del pensiero cristiano, che chiamiamo comunemente apologisti, sono persone, a quanto possiamo ricavare dalle scarne notizie pervenuteci, che provengono dalla cultura pagana, convertiti con una formazione scolastica media o persino medio-alta, del tipo di quella comune nell’oikoumene ellenizzata del II secolo. Tanto più essi devono ripensare e articolare in modo convincente la loro profonda diffidenza verso questa cultura che li pone in una posizione marginale. Tra le tante piste che battono nei loro discorsi, la loro riflessione viene a concentrarsi, in maniera più o meno sistematica e con differenze che rispecchiano diverse angolazioni e punti di vista, sulla individuazione del posto occupato dai cristiani nel mondo rispetto agli altri “popoli”. I cristiani certo non sono un popolo etnicamente configurato ma sentono il bisogno di marcare una differenza significativa rispetto agli “altri”, di dare a questi “altri” un’identità mentre costruiscono la propria. Questa identità deve essere principalmente religiosa ma può acquisire anche altre sfumature nel momento in cui si identificano genericamente con i “greci” gli esponenti di una falsa religione sostenuta da una falsa filosofia. La riflessione si sposta quindi sull’idea di una sapienza o filosofia greca (l’uso del secondo termine appare negli scrittori di maggiore spessore culturale) e di una sapienza o filosofia “barbara”, in qualche modo estranea all’universo greco, nella quale può andare a situarsi anche il 5 cristianesimo in questa sua fase polemica verso il mondo greco-romano1. Si è chiesto acutamente G.G. Stroumsa2: «Esiste un rapporto tra il forte interessamento dei cristiani a propagare la nuova fede tra i popoli barbarici e la loro autoidentificazione quali “filosofi barbari”? È possibile percepire nella letteratura cristiana antica (all'incirca tra il II secolo e il V) lo sviluppo di qualche sorta di curiosità etnologica, o di interesse nei riguardi dei popoli esotici? È abbastanza strano che interrogativi del genere non siano stati affrontati, per lo meno direttamente, dagli studiosi moderni. Ciò che Arnaldo Momigliano fece splendidamente per il mondo ellenistico in Saggezza straniera non è stato affrontato per la mentalità cristiana antica.» Gli interrogativi posti da Stroumsa non sono entrambi parimenti stimolanti e pertinenti per questa ricerca, o almeno subiscono un cambiamento di prospettiva nella mia ottica ma rappresentano un ottimo spunto per affrontare i problemi del rapporto tra la nascente identità cristiana e “gli altri” da un punto di vista forse più originale e fecondo. Questa ricerca ha comunque l'ambizione di scrivere un capitolo molto specifico di questa storia suggerita da Stroumsa, limitatamente al II secolo, collegando la riflessione sulla “filosofia barbara” e sull'identità etnico-religiosa dei diversi popoli, dei “greci” in particolare, a quella sulle divinità pagane, lette come dèmoni, ed estendendo poi l'analisi al contesto religioso dell'impero di II secolo e ad alcune scelte di politica religiosa. C’è infatti un filo rosso che lega, in maniera più o meno continuativa, la riflessione sui popoli in quanto soggetti religiosi e sulla “sapienza barbara” a quella sulla filosofia dei greci 1 L’orizzonte di una ricerca come la presente è certamente segnato, soprattutto a livello di metodo, da un libro molto stimolante quale A. Momigliano, Saggezza straniera, Torino 1980 (ed. ingl. Cambridge 1975), in particolare per il saggio finale aggiunto all’edizione italiana, L’errore dei Greci, pp. 157-174. Specifici sul tema due contributi ai quali farò riferimento: J. H. Waszink, Some observations on the appreciation of “the philosophy of the barbarians” in early christian literature, in “Mélanges offerts à Mademoiselle Christine Mohrmann”, Utrecht-Anvers 1963, pp. 41-56; G. G. Stroumsa, La filosofia dei barbari. Sulle rappresentazioni etnologiche nel cristianesimo antico, in Id., La formazione dell’identità cristiana, a cura di G. Filoramo, Brescia 1999, pp. 181-218. Una sintetica visione d’insieme che si spinge sino agli inizi del III secolo è costituita da G. Jossa, La valutazione cristiana dei Greci da Giustino a Ippolito, in “Hommages à Carl Deroux” édités par Pol Defosse, Bruxelles 2003, pp. 170-179. 2 Cfr. Stroumsa 1999 p. 182. 6 e sull’interpretazione del politeismo pagano in chiave demonologica. In ognuno di questi campi la riflessione è influenzata da diversi fattori, a volte peculiari del singolo scrittore: la sua estrazione sociale, la sua provenienza geografica, il grado di assimilazione della filosofia classica. Sono dati che non sempre conosciamo in maniera sufficiente ma hanno certo la loro influenza e si possono in diversi casi ricavare o ipotizzare con un buon grado di plausibilità. La demonologia cristiana è un tema ampiamente noto agli studiosi e la sua importanza e il suo significato sono di evidente percezione ad una lettura, anche superficiale, dei testi. Meno chiare forse e meno sviluppate nell’analisi critica (o meno comprese laddove analizzate) sono le connessioni di questo tema con la riflessione sugli œqnh all’interno dell’impero romano, con il più ampio dibattito sulla validità della cultura pagana e sull’assetto del mondo non solo a livello filosofico ma anche a livello di organizzazione socio-politica3. Gli apologisti affrontano un universo “demonico” che non è ancora “demoniaco”4, nel senso che le concezioni demonologiche, pur articolate e modulate secondo 3 La lettura politica della demonologia, come una sorta di “teologia politica” dell’impero romano è stata in verità fin troppo enfatizzata negli ultimi decenni, a partire forse dalla ripresa del vecchio ma denso e fortunato libro di Peterson, Il monoteismo come problema politico, Brescia 1993 (ed. ted. Leipzig 1935). Sembra opportuna una revisione del problema che ridefinisca i confini tra ambito politico e ambito religioso, certo labili nell’epoca di cui ci occupiamo ma non tali da far pensare ad un puro uso strumentale politico dell’idea degli dèi e del culto loro dovuto. Soprattutto l'analisi della demonologia di Celso ci guiderà in questo universo e avremo modo di discutere anche le principali interpretazioni moderne. 4 Sull’uso di questi termini è bene fare subito chiarezza. In questa ricerca si userà sempre l’aggettivo “demonico” in riferimento alle concezioni demonologiche pagane e al linguaggio cristiano degli apologisti che con esse si confrontavano cominciando a mutarne il senso. L’aggettivo “demoniaco”, derivato da daimÒnion, che in greco è spesso equivalente di da…mwn ed è termine generico per indicare una potenza divina (daimÒnion e non da…mwn è la misteriosa entità che distoglie Socrate dal male nei dialoghi platonici), connota nelle lingue moderne una concezione specificamente cristiana dei poteri delle potenze malvagie, appunto diaboliche, e presuppone tutto un processo di trasformazione del da…mwn nel di£boloj evangelico. Gli apologisti del II secolo, dal canto loro, usano quasi sempre la parola da…mwn, tranne quando citano la Scrittura nella traduzione dei Settanta (emblematico il caso di Giustino, I Ap, 41, 1, citazione di un brano piuttosto lungo di Salmi 95, con qualche modifica) o gli stessi Vangeli, perché si confrontano con una concezione del divino che è ancora forte e argomentata teoricamente. Si può legittimamente supporre che solo quando la demonologia filosofica classica fu definitivamente screditata e confinata nel novero delle idee e delle pratiche malvagie, anche con l’aiuto di una legislazione favorevole, si adottò definitivamente la parola derivata dal termine evangelico per connotare tutto 7 gli ambienti sociali, hanno una loro dignità religiosa e speculativa, come si avrà modo di verificare analizzandole nell’unico intellettuale pagano che ha scritto contro il cristianesimo in quest’epoca, Celso, e correlando le sue idee con quelle di altri intellettuali di ambito platonico coevi o anteriori di qualche generazione. A livello di elaborazione intellettuale la trasformazione della demonologia pagana in quella cristiana, di tutt’altro segno, comincia ad avvenire proprio in quest’epoca e con una pluralità di motivazioni e di spunti polemici, con una ricostruzione che diventerà totale della storia religiosa dell’umanità e dello stesso senso della devozione religiosa. Inoltre il discorso degli apologisti si muove su due piani che non è sempre facile abbracciare in un unico sguardo: il piano dell'elaborazione ideologica, della sistemazione concettuale, e quello delle pratiche concrete, di carattere religioso o magico che coinvolgevano queste entità che avevano spesso nella cultura “pagana” un carattere ambiguo e sfuggente, rappresentavano il punto di contatto più basso tra l'umano e il divino. Gli apologisti si confrontavano da un lato con una demonologia filosofica che spesso ostentatamente mostravano di non capire e fraintendevano, dall'altro con un ampio ventaglio di pratiche, di operazioni cultuali, taumaturgiche, esorcistiche che vedevano i dèmoni come protagonisti e che erano vissute in maniera diversa a seconda del livello culturale delle persone interessate. Spesso erano una forma “vulgata” e imbastardita di idee di un certo spessore concettuale. La loro strategia è in genere quella di appiattire questi due aspetti in un unico quadro di corruzione religiosa che abbraccia idee e pratiche. Nell’affrontare tali temi questa ricerca si articolerà in tre passaggi connessi tra loro da un filo logico e non solo cronologico. Nella prima parte cercherò di seguire in alcuni testi significativi dell’apologetica di pieno II secolo, lo sviluppo del discorso sulla demonologia in connessione con il tema del confronto tra sapienza “barbara” e sapienza greca. Tenterò quindi di cogliere il valore del riferimento ai dèmoni in questo più ampio contesto di pensiero e nel modo di porsi di questi scrittori rispetto all’universo pagano, culturale e istituzionale, che per loro rappresenta ancora una realtà a cui non è facile assegnare un posto definito. Nella seconda affronterò i temi della demonologia e del rapporto con le sapienze quanto attiene all’avversario di Dio, sia dal punto di vista concettuale che sul piano delle pratiche di “culto demoniaco”. 8 “barbare” dal punto di vista pagano, esaminando i frammenti dell'unico polemista pagano a noi noto, Celso, che si può collocare approssimativamente proprio al termine della fioritura apologetica in lingua greca. Il discorso sarà allargato, nei limiti del possibile, allo sfondo culturale di Celso e coinvolgerà quindi altri esponenti di quella rinascita platonica che si conviene indicare con il termine di medioplatonismo. Nella terza parte infine, dopo aver delineato storicamente e non solo dottrinalmente il confronto delle idee su questi temi che avevano un'incidenza concreta nei comportamenti, affronterò un problema di tipo più propriamente storico. Questa sezione avrà necessariamente un carattere di ipotesi storiografica in quanto non è certo agevole collegare la polemica intellettuale a modelli concreti di politica religiosa in quanto non sappiamo con certezza quali erano i precisi influssi che muovevano la politica imperiale e alcune iniziative imperiali sono suscettibili di diverse interpretazioni. Mi limiterò quindi agli esordi di questa epoca certamente nuova che vede gli apologisti cristiani entrare in diretto dialogo, sotto l'imperatore Adriano, con le autorità e la cultura pagana e culmina nella risposta polemica di Celso e cercherò di mostrare a grandi linee la connessione tra gli indirizzi della poltica religiosa impostata dall'imperatore Adriano e i dibattiti culturali illustrati nelle prime due parti. È infatti con Adriano che, a giudizio di tutti gli storici e secondo l'analisi delle fonti contemporanee, si può cogliere una svolta nei criteri di amministrazione dell'impero che investe anche la politica religiosa. In particolare il problema è delineare una rinnovata idea della pax deorum in un impero tanto ampio in cui l'Italia e lo stesso culto imperiale, nuovo garante dell'unità religiosa dell'impero, non possono mantenere la loro centralità secondo i vecchi schemi ma devono rinnovarsi per conservare un ruolo guida nel rispetto dei culti locali. Riguardo specificamente al confronto tra cultura tradizionale e cristianesimo, c'è da parte cristiana un visibile interesse per la conciliazione tra i due mondi, dall'altro un atteggiamento polemico e aggressivo verso le divinità pagane che ha la sua manifestazione forse più evidente proprio nello slittamento semantico dell'interpretazione demonologica. Si può rilevare allora, da parte pagana una posizione, istituzionale e culturale, che cerca di farsi carico di queste esigenze in un impero che ha raggiunto il massimo della sua estensione territoriale e, almeno in apparenza, anche della sua coesione interna. 9 È questa la parte della ricerca che comporta il maggior numero di rischi ma mi sembra indispensabile cercare di colmare il divario, ancora spesso esistente, tra un approccio di tipo filosofico-dottrinale, con attenzione esclusivamente ai testi e alle loro idee, ed uno di tipo puramente storico-istituzionale. In questo difficile crinale cercherò di muovermi iniziando da una selettiva analisi degli apologisti cristiani sensibili a questi temi5 per delineare l'impianto argomentativo cristiano nel contesto della sua epoca. 5 Per i quattro autori che saranno esaminati non è mia intenzione ed esula dai fini di questa ricerca delineare profili almeno tendenzialmente esaustivi che tengano conto dei diversi temi e problemi posti dalle loro opere e di tutto il dibattito critico che si è venuto sviluppando nel corso di oltre un secolo. L'intenzione è quella di valutare queste personalità e queste opere specificamente in relazione al tema trattato, con la consapevoleza però che esso spesso si inserisce in un più ampio orizzonte di problemi. Anche i riferimenti bibliografici saranno selezionati dunque in funzione di questa ottica. Saranno privilegiate quindi opere di larga e accurata informazione e si entrerà nella discussione più approfondita delle diverse posizioni critiche solo laddove l'analisi del tema lo imponga. Indicazioni bibliografiche specifiche saranno date per i singoli autori. Segnalo subito che l'intero corpus degli apologisti è disponibile in traduzione italiana senza testo greco a fronte, Gli apologeti greci, Traduzione, introduzioni e note a cura di C. Burini, Roma 1986. 10
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