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Editoriale di Italo Testa 3 IL DIBATTITO FUOCHI TEORICI Andrea Cortellessa 8 Paolo Giovannetti ... PDF

357 Pages·2010·2.74 MB·Italian
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NUMERO 13: DOPO LA PROSA. POESIA E PROSA NELLE SCRITTURE CONTEMPORANEE Editoriale di Italo Testa 3 IL DIBATTITO GLI AUTORI FUOCHI TEORICI IN DIALOGO LETTURE Andrea Cortellessa 8 Alfonso Berardinelli 158 Franco Arminio 278 Paolo Giovannetti 13 Gherardo Bortolotti 160 Nanni Balestrini 280 Simone Giusti 18 Franco Buffoni 162 Mario Benedetti 283 Ron Silliman 21 Anna Maria Carpi 165 Paolo Colagrande 284 Paolo Zublena 43 Maurizio Cucchi 167 Luigi Di Ruscio 286 Umberto Fiori 172 Gabriele Frasca 289 PERCORSI ITALIANI Marco Giovenale 174 Giuliano Guatta 290 Andrea Inglese 180 Giancarlo Majorino 293 Giorgio Manganelli Angelo Lumelli 183 Francesco Osti 298 di Filippo Milani 50 Guido Mazzoni 190 Luisa Pianzola 300 Goffredo Parise Laura Pugno 195 Rosa Pierno 302 di Giulia Rusconi 60 Fabio Pusterla 198 Stefano Raimondi 304 Andrea Raos 201 Andrea Sartori 306 Giampiero Neri Flavio Santi 203 Giovanni Tuzet 310 di Victoria Surliuga 66 Giuliano Scabia 207 Elio Pagliarani I TRADOTTI di Luigi Ballerini 68 IDEE DELLA PROSA Jorge Esquinca Antonio Porta Giorgio Agamben 211 tradotto da Damiano Abeni 316 di Tommaso Di Dio 73 Alfonso Berardinelli 213 Durs Grünbein Giovanni Raboni Umberto Eco 218 tradotto da Daniele Vecchiato 323 di Concetta Di Franza 81 Barbara Köhler SCENARI EUROPEI Eugenio De Signoribus tradotta da Daniele Vecchiato 327 di Rodolfo Zucco 89 Gianfranco Contini 230 Sophie Loizeau Valerio Magrelli Ermanno Krumm 240 tradotta da Paola Cantù 334 di Federico Francucci 103 Giovanni Nadiani 247 Ramón García Mateos Aldo Nove e Tommaso Ottonieri AL DI LÀ DEI GENERI tradotto da Matteo Lefèvre 339 di Gian Luca Picconi 123 Jérôme Game 264 Plauto Roberto Piumini Jean-Marie Gleize 267 tradotto da Roberto Piumini 347 di Milva Maria Cappellini 136 Christophe Hanna 271 Francis Ponge Un excursus sul Novecento GAMMM 274 tradotto da Italo Testa 349 di Plinio Perilli 142 Gustave Roud tradotto da Pierre Lepori 350 Mark Strand tradotto da Damiano Abeni e Moira Egan 356 m 3 EDITORIALE DOPO LA PROSA. POESIA E PROSA NELLE SCRITTURE CONTEMPORANEE Quale idea della prosa si fa avanti nella letteratura contemporanea attraverso forme di scrittura che sfuggono alle classificazioni tradizionali? E che cosa è, o cosa sarà una poesia che venga dopo la prosa? Se il fenomeno che ha portato la poesia verso la prosa – l‘avvicinamento asintotico del verso alla prosa – è stato variamente indagato nella tradizione novecentesca italiana, resta tuttavia da esplorare un più ampio orizzonte in cui prosa e poesia interagiscono, si rimescolano, subiscono contraccolpi reciproci, andando in direzioni del tutto differenti dalla mera torsione prosastica della poesia attraverso l‘immissione controllata di elementi dialogici, colloquiali, radenti. Sono necessari allora nuovi viaggi di scoperta, volti a mappare sia le forme già codificate in cui la poesia si presenta dopo la prosa (prosimetro; poema in prosa; poema narrativo, frammento lirico), sia gli esiti che danno luogo a forme non classificabili secondo i generi tradizionali, e non interpretabili secondo una idea meramente prosastica della prosa o meramente lirica della poesia. Si apre qui un vasto fronte di esperimenti ibridi che includono forme di prosa non prosaiche, prose sperimentali, prose in prosa… Un campionario di oggetti non identificati, a cavallo tra i generi, coinvolti in un processo di ridefinizione della lingua e delle sue forme che sembra reinterrogare radicalmente, e insieme, sia la nostra idea della poesia sia la nostra idea della prosa. Non è a un partito preso della prosa – quasi si trattasse di stabilire un‘ulteriore storia progressiva e lineare di oltrepassamenti – cui aderiamo promuovendo questa indagine. Il numero 13 de L‟Ulisse prosegue piuttosto le esplorazioni sulle metamorfosi delle forme poetiche contemporanee dedicate nei numeri scorsi al teatro di poesia e alla lirica. Non è nemmeno scontato che l‘esito del rimescolamento in atto non siano proprio forme di scrittura che dalla prosa si allontanano, fuoriuscendo dal regime e dalla ritmica dell‘ordinario. È invece un compito descrittivo, anzitutto, che sembra porsi con forza. Molto ancora ignoriamo di come prosa e poesia, nelle pratiche di scrittura del novecento e della contemporaneità, si connettano e si dinamizzino reciprocamente. E questo problema descrittivo diventa tanto più acuto quanto più emerge la consapevolezza che ad esso si lega un deficit teorico. Non è un mistero che diverse delle categorie che sono state utilizzate per descrivere alcuni fenomeni di interpolazione tra poesia e prosa – ad esempio ‗poesia in prosa‘, ‗prosa poetica‘ – abbiamo uno statuto incerto, sia per quanto riguarda il loro assestamento lessicale e la loro diffusione all‘interno e all‘intersezione delle diverse tradizioni letterarie e critiche, sia per quanto riguarda la loro consistenza interna, che è spesso apparsa governata dall‘ossimoro, e quindi paradossale, se non contraddittoria. E pure i tentativi contemporanei di reagire all‘obsolescenza delle vecchie categorie con strategie di risoluzione tautologica, o di myse en abyme del problema , segnalano già verbalmente la permanenza di un problema concettuale irrisolto. Non è peraltro chiaro se questa situazione sia dovuta alla fluidità intrinseca della pratiche che si dovrebbero descrivere o ad una inadeguatezza della teoria, o ad entrambi i casi. Tanto più che la 4 questione poesia/prosa sembra immediatamente legarsi al problema, avvertito da molti come vitale, e che prevede diverse vie di fuga, del rapporto dinamico, o della transizione, o della ibridazione, o del superamento dei generi. Certo la poesia è comunemente intesa come genere, o supergenere, mentre non altrettanto sembra potersi dire della prosa, e tanto meno della prosa poetica, che almeno storicamente appare piuttosto quale sottogenere poetico. Ma il carattere extragenerico della nozione di ‗prosa‘ di per sé presa è anche il riflesso del fatto che laddove la poesia emerge nella prosa, o la prosa nella poesia, è sempre in opera uno spostamento – ed uno straniamento anzitutto del ritmo – il cui esito non può essere regimentato in anticipo. Alla ridefinizione del rapporto tra poesia e prosa, all‘analisi teorica della categoria di ‗poesia in prosa‘ – e della frase nuova come sua unità di base – e quindi alla diagnosi storica della sua ascesa, della sua differenziazione, e della sua possibile obsolescenza entro i regimi di letterarietà che si sono succeduti dopo Baudelaire, sono così dedicate la sezione Fuochi teorici, che raccoglie contributi di Andrea Cortellessa, Paolo Giovannetti, Simone Giusti, Ron Silliman, Paolo Zublena, e quindi la sezione Idee della prosa, che raccoglie alcuni saggi storicamente significativi di Giorgio Agamben, Alfonso Berardinelli e Umberto Eco sulla prosimetricità del linguaggio, sulle ragioni ultime della distinzione tra poesia e prosa (enjambement, rottura tra ritmo sonoro e semantico) e sul fenomeno della poesia verso la prosa quale momento di ridefinizione dell‘assetto lirico moderno. Nei Percorsi italiani le trame teoriche fanno da sfondo a tentativi di riattraversamento mirato della letteratura italiana, dal secondo novecento agli anni zero. I saggi di Luigi Ballerini, Milva Maria Cappellini, Tommaso Di Dio, Federico Francucci, Concetta Di Franza, Filippo Milani, Plinio Perilli, Gianluca Picconi, Giulia Rusconi, Victoria Surliuga e Rodolfo Zucco ci accompagnano così in una vasta e plurale indagine dove vengono prese in considerazione la produzione poetica di prosatori o la produzione romanzesca di poeti, le diverse forme della presenza della prosa in opere poetiche, poemi in prosa, nonversi e quasi prose, ma anche della lirica nel corpo della prosa, con particolare attenzione per l‘opera di Giorgio Manganelli, Goffredo Parise, Giampiero Neri, Elio Pagliarani, Giovanni Raboni, Eugenio De Signoribus, Valerio Magrelli, Aldo Nove, Tommaso Ottonieri, Roberto Piumini. La sezione In dialogo cerca quindi di entrare all‘interno del laboratorio di un campione significativo di scritture in corso, chiamando un ampio e diversificato gruppo di scrittori italiani – Alfonso Berardinelli, Gherardo Bortolotti, Franco Buffoni, Anna Maria Carpi, Maurizio Cucchi, Umberto Fiori, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Angelo Lumelli, Guido Mazzoni, Laura Pugno, Fabio Pusterla, Andrea Raos, Flavio Santi, Giuliano Scabia – a rispondere ad una serie di domande sul rapporto tra poesia e prosa nella loro produzione e quindi ad offrire dei campioni testuali che possano esemplificare tale lavoro. Ad un allargamento del fuoco d‘indagine all‘ambito delle principali lingue europee sono dedicati gli Scenari europei, con i saggi di Gianfranco Contini, Ermanno Krumm, Giovanni Nadiani, sul poème en prose francese, sulla poesia narrativa inglese e sulla Kurzprosa tedesca, e quindi la sezione Al di là dei generi, dove i saggi di Jerome Game, Jean-Marie Gleize e Robert Hanna sulle poetiche dell‘evento e della nudità integrale, che puntano al di là di poesia e prosa anche con l‘ausilio di nuove tecniche rappresentative, sono accompagnate da una campionatura, da parte di Alessandro Broggi, dell‘esperienza del laboratorio/rivista di scrittura di ricerca GAMMM. Infine la parte dedicata agli Autori raccoglie nelle Letture scritture in prosa di Franco Arminio, Nanni Balestrini, Paolo Colagrande, Luigi Di Ruscio, Gabriele Frasca, Giuliano Guatta, 5 Giancarlo Majorino, Francesco Osti, Luisa Pianzola, Rosa Pierno, Stefano Raimondi, Andrea Sartori, Giovanni Tuzet, e nei Tradotti testi di Jorge Esquinca (tradotto da D. Abeni), Durs Grünbein e Barbara Köhler (tradotti da D. Vecchiato), Sophie Loizeau (tradotta da P. Cantù), Ramón Garcia Mates (tradotto da M. Lefèvre), Plauto (tradotto da R. Piumini), Francis Ponge (tradotto da I. Testa), Gustav Roud (tradotto da P. Lepori), Mark Strand (tradotto da D. Abeni e M. Egan). Italo Testa 6 IL DIBATTITO 7 FUOCHI TEORICI 8 ANDREA CORTELLESSA LA PROSA COME FORMA DEL LIMITE […] Interrogare dalla porta novella età addentrantesi; onde con un attimo, pur il contiguo, prendibile; propiziarla rimorsi per tenuissime colpe, l‟illusione complementare, picasse pennellate aspre vivide ristorative, con dispregio di quanto offertoci, lodi al vendere, superstizioni augurali. Meglio sicché ogni ultimo del penultimo, non aversi regimi oltre industre presagio. Tu riconsigliarmi dalla statura, o bocca bocca bella con i baffini furieri, imo sguardo quanto la Fossa, fulmineo l‟inestimabile sorriso. Hélas. Lo sfincterallasvega. Ingravallo. Ed empiti di tematiche wagneriane. Dall‟ombra: Ultime I Si ricava una pasta di vetro molle e densa che per il variate della luce prende diverso colore, blu e oro. Formata da molti frammenti di terre e conchiglie, oggetti fuori uso, che si mescolano insieme come sabbia. Alla fine rivela una luce propria, che attraversa una vasta ombra. Procedimenti: Liceo Non si può negare che La poesia verso la prosa di Alfonso Berardinelli(1) sia stato l‘intervento ―militante‖ più deciso e influente dell‘ultimo quindicennio. ―Militanti‖, perentorie e retoricamente attrezzatissime (perentorie perché attrezzatissime), le tesi di Berardinelli sono esposte soprattutto nel capitolo che polemizza con un classico come La struttura della lirica moderna di Hugo Friedrich(2). Se il Novecento italiano – inteso come costellazione di stili e di poetiche, o nel suo complesso come ―ideologia della poesia‖ – è l‘età della lirica moderna (o nuova, come nel titolo di un‘antologia che fece epoca ma che di quell‘epoca fu anche, stando a questa ricostruzione, il canto del cigno – Lirici nuovi, appunto: a cura di Luciano Anceschi, 1943), quella descritta da Friedrich come fondamentalmente derivante dai grandi modelli del simbolismo francese (Rimbaud e soprattutto Mallarmé), il Secondo Novecento o Contro-Novecento o Post-Novecento è l‘età di una poesia ulteriore (postmoderna, in un paio di casi si spinge a definirla Berardinelli) che a quell‘―ideologia della poesia‖ si contrappone rovesciandola come un guanto. Non limitandosi più alla lirica, appunto, ma riscoprendo – anzitutto – gli altri generi: dalla narrativa al teatro, dalla satira alla saggistica; e in generale ridando corso a tutte quelle istituzioni che il Novecento aveva dismesso, preterito o semplicemente aggirato. È il tempo per esempio, lo si accennava, di una rinascita della narratività (dimensione alla poesia preclusa dalla tendenza all‘astrazione e all‘analogia, nonché al raddensamento e alla rastremazione, della lirica moderna): che conosce realizzazioni stilisticamente antitetiche come La ragazza Carla di Pagliarani e La camera da letto di Bertolucci. È il tempo, insomma, in cui l‘Italia non guarda più alla Francia, rivolgendosi semmai alla poesia anglosassone: non solo a quella otto-novecentesca ma anche a quella del passato ―metafisico‖ rimodernato – nel ―parallelo‖ Novecento anglosassone, appunto – da Eliot (con la decisiva mediazione di Montale). Berardinelli, con la brillantezza che lo contraddistingue, riassume tutto questo con la formula che dà il titolo al suo libro: la poesia verso la prosa, appunto. Cioè l‘estensione – anche in senso quantitativo – della narratività in luogo del raddensamento della lirica; l‘adesione a una 9 dimensione più comunicativa e lineare, in definitiva razionalizzante, contro la precedente tendenza all‘astrazione analogica; la scelta di una lingua meno irta e artificiosa, e al contempo meno eletta e selezionata. Ma anche la presenza sempre più frequente, all‘interno dei libri di poesia, di veri e propri inserti in prosa(3). Se il Novecento ―francesizzante‖ in effetti non aveva fatto altro che ridare vita a uno spettro ricorrente in realtà da annoverare fra i più resistenti caratteri genetici della cultura italiana di sempre, Il fantasma di Petrarca (questo il titolo di un intervento recente dello stesso Berardinelli)(4), il Contro-Novecento ―anglicizzante‖ insegue un contromodello a sua volta di lunghissima durata, e cioè – volendo parafrasare – il ―fantasma di Dante‖. Ma già riconducendo a Dante – punto di massima temperatura della mischung plurilinguistica, nonché sede delle più acrobatiche astrazioni concettuali che la poesia occidentale abbia mai conosciuto (per non dire del ―manierismo‖, direbbe Ernst R. Curtius, delle composizioni enigmistiche e alfanumeriche) – l‘antimodello del Novecento, è facile capire quanto sia discutibile una simile ricostruzione. Diciamo che le si presta la definizione che Berardinelli, esordendo, dà del libro di Friedrich: «ha il fascino indubbio della semplificazione e della sintesi». Eppure per gli anni Cinquanta e Sessanta – quelli di formazione di Berardinelli, infatti – il modello, complessivamente, tiene. La ―svolta‖ di Montale (già nell‘ultima parte della Bufera, e poi clamorosamente da Satura in giù) e quella del suo più credibile continuatore, il Sereni degli Strumenti umani, lo sperimentalismo – principalmente rivolto ai generi – di Pasolini, Bertolucci e Caproni, l‘esplosione della neoavanguardia di Sanguineti e Pagliarani, l‘ironia teatralizzata di Giudici: è tutto un movimento, in effetti, verso la prosa (anche se per Berardinelli il verso della formula è più sincronico che diacronico; e non si stanca di insistere su quegli autori – da Saba a Penna – che anche nella prima metà del Novecento non si lasciano ricondurre alla vulgata di Friedrich). Ancora più eloquentemente, sottolinea sempre Berardinelli, mentre ancora nel ‘54 Pasolini poteva porre il più ―francese‖ dei nostri poeti (al punto di scrivere in francese parte non disprezzabile della propria opera), Giuseppe Ungaretti, «al centro della storia della poesia del Novecento»(5), già una decina di anni dopo quel posto gli era con tutta evidenza stato rubato, nella percezione comune, dal suo grande rivale Montale. Ma a partire dagli anni Settanta che il quadro appare complicato, in misura tale da non lasciarsi più ricondurre a questo disegno. È in questo periodo, per esempio, che alcuni poeti di notevole spessore – penso a Giampiero Neri, Cesare Greppi e Cosimo Ortesta – esordiscono rinnovando la lezione della linea Rimbaud-Mallarmé, magari attraverso l‘esperienza irripetibile di un grande ―maledetto‖ di primo Novecento, Dino Campana. Al quale si deve una forma di prosa lirica altamente formalizzata: quella che ritroveremo, mutatis mutandis, nelle prime prove di Neri e Ortesta (rispettivamente L‟aspetto occidentale del vestito, 1976, e La passione della biografia, 1977). Se in precedenza prosa poteva essere, insomma, metafora equivalente a quella dell‘orizzontalità, ora si capisce meglio come sia lecito interpretarla, in corpore vili, anche in senso diametralmente opposto: ossia, di nuovo, audacemente verticalizzante. Anche un‘autrice cara a Berardinelli, Amelia Rosselli, in Diario ottuso (testo pubblicato nel ‘90 ma risalente agli anni ‘54- 68) usa la prosa non certo nella direzione di un‘orizzontalità lineare e razionale del senso: precisamente all‘opposto. Ma basti pensare alla parabola del più esemplare poeta italiano di secondo Novecento, Sereni. Anche la sua poesia è stata letta (per esempio da Renato Nisticò)(6) come complessivamente indirizzata verso la prosa; e certo un‘opera di svolta come Gli strumenti umani si colloca – in una data sintomatica come il 1965 – al centro di questo collettivo cantiere italiano. Eppure negli anni Settanta la ―linea‖ della poesia sereniana si fa molto più complessa e frastagliata. Si fa sempre più inequivocabile, in particolare, il modello di un altro phare d‘oltralpe, ma stavolta di secondo Novecento: René Char (che a più riprese Sereni traduce, e al quale nel suo meraviglioso ultimo libro, Stella variabile, dedica otto straordinari, ―verticali‖ componimenti). Cioè, precisamente, un grande maestro della prosa. Come grande artefice di prose è Francis Ponge: il cui esempio è essenziale per Valerio Magrelli(7), ma sul quale anche Sereni riflette in uno dei suoi 10 ultimi interventi saggistici, la bellissima conferenza dell‘80-81 Il lavoro del poeta, nella quale sintomaticamente torna anche un riferimento a Ungaretti(8). Che dire, poi, di Beckett? Il suo esempio ci fa capire come continuare a ipostatizzare il valore Prosa – in una direzione o nell‘altra – sia una semplificazione che, per capire la poesia italiana degli ultimi decenni, potrà essere utile a fini didattici ma, infine, fuorviante. L‘«arcigenere risonante» costituito dall‘insieme della sua opera – in versi, in prosa, nella lingua verbo-gestuale del teatro; in inglese, in francese, nello spazio fra le due lingue – ha lasciato tracce decisive in molti degli autori più interessanti delle ultime generazioni: senz‘altro in Ortesta, soprattutto in Gabriele Frasca ma anche, per fare un nome dell‘ultimissima vague, nella giovane Elisa Biagini. In un suo acuto saggio Paolo Giovannetti, già prezioso storico del verso libero, ha ripercorso le fortune italiane del genere poème en prose. Non è per caso che la traduzione più naturale di questa dizione in italiano, ―poesia in prosa‖ (che invece Giovannetti giustamente propone), sia sintagma sentito addirittura come impronunciabile, e comunque non abbia mai goduto di troppa fortuna – mentre «l‘etichetta con cui si cerca più spesso di ottenere la massima approssimazione concettuale al denotato baudelairiano, vale a dire ―(piccolo) poema in prosa‖, sconta una deplorevole asimmetria semantica rispetto alla lingua d‘origine»(9). Il fatto è che ―poesia in prosa‖ è dizione sentita come ossimorica, ancipite e anfibia: e infatti «questa condizione di ―mediatezza‖, questa ambiguità esibita, questo rinvio a codici complessi, polivoci, è il carattere in qualche modo fondante della poesia in prosa in quanto genere»(10). Se si torna alla celebre nota prefatoria di Baudelaire a Arsène Houssaye («le miracle d‘un prose poétique, musicale sans rythme et sans rime»), si pensa che Baudelaire volesse indicare una ritmica negativa, «un ritmo-zero, ma non per questo meno efficace e vincolante»: qualcosa che insomma, nei confronti del «sistema versificatorio esistente», esprimesse «un profondo rifiuto»(11). Nella tradizione novecentesca italiana, l‘indirizzo baudelairiano è stato per lo più clamorosamente disatteso: a circolare è stata «un‘idea stilistica, formale della poesia in prosa, in quanto pagina non versificata ove il non verso viene assiduamente compensato da altro, da ritmi accessori di natura elocutiva, e da una dispositio artificiosa». È la tradizione del ―capitolo‖, della ―prosa d‘arte‖ dell‘entre-deux-guerres, proseguita però sino all‘attuale panorama orfico e neoromantico – che ha relegato in subordine la poesia in prosa, «sentita quale residuato avanguardistico»(12) (era stato infatti nell‘àmbito della cosiddetta ―narrativa futurista‖, infatti – sebbene Giovannetti salti questo passaggio –, cioè presso il ―secondo‖ futurismo fiorentino di autori come Ginna, Carli e Corra, che la forma autenticamente sans rythme et sans rime, quella cioè della tradizione baudelairiana-rimboldina, aveva avuto il suo fuggevole momento di gloria nel nostro paese)(13). Quest‘ultimo versante, anziché adire la via di un «progetto lirico positivo», fa prevalere «comportamenti che procedono per sottrazione», che si fondano «sull‘assenza, la béance, lo scarto rispetto all‘orizzonte d‘attesa»(14). Il saggio di Giovannetti si conclude indicando la poesia in prosa, genere «marcato dal segno storico della contraddizione», come potenzialmente in grado di «leggere e denunciare i limiti della lirica moderna, forzandone all‘estremo le potenzialità conoscitive»(15). Non è un caso che appunto – al cospetto dell‘irrigidirsi istituzionale del codice lirico, fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta – la poesia in prosa abbia conosciuto in Italia un nuovo fervore di ricerca. S‘è detto di Ortesta e accennato a Giampiero Neri(16): straordinario (e per questo riguardo quanto mai precoce) ―maestro in ombra‖, unanimemente ammesso a canone ma sempre sforzandosi di annettere una presenza enigmatica ed esorbitante come la sua (sia pure, come ha acutamente sottolineato Giorgio Luzzi, per via di sottrazione, anziché d‘iperbole e accumulo) alla scolorita insegna dell‘«Etica del quotidiano»(17); mentre a ogni lettore dovrebbe apparire evidente come nel suo caso «la questione centrale […] sia nel definire il rapporto tra le scelte denotative, paratattiche, monosemantiche dello stile – in una sua disarmante forma di purezza antimetaforica e antilirica per eccellenza – e la quantità delle direzioni investigative che il contenuto del testo pone»(18).

Description:
narrativa al teatro, dalla satira alla saggistica; e in generale ridando corso a tutte quelle istituzioni .. (24) Gabriele Frasca, Accordi a piene mani, introduzione a Rosa Pierno, in Verso l‟inizio. Percorsi di Ariosto, La camera da letto di Bertolucci, Allergia di Ferretti, Le ceneri di Gramsc
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