Luca Valente Due anni al volante su piste di neve e fango Cronaca e immagini della campagna di Russia nel diario dell’autiere Lino Sassaro (188° Autoreparto pesante) A cura di Luca Valente Meligrana Editore 2 Copyright Meligrana Editore, 2012 Copyright Luca Valente, 2012 Tutti i diritti riservati ISBN: 9788897268864 In copertina: Dniepropetrovsk, aprile 1942: Lino Sassaro e il suo autocarro Bianchi Miles Meligrana Editore Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV) Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041 www.meligranaeditore.com [email protected] Segui la Meligrana su: 3 Licenza d’uso Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale. Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone. Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, acquista una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, si prega di acquistare la propria copia. Grazie per il rispetto al duro lavoro di quest’autore. 4 Luca Valente Luca Valente - scrittore, storico e giornalista - è nato a Pieve di Cadore (BL) nel 1973 e vive a Schio, in provincia di Vicenza. Ha pubblicato numerosi volumi sulla Seconda Guerra mondiale e sullo stesso tema ha collaborato alla realizzazione di mostre, conferenze, seminari, convegni, attività didattico/formative e documentari filmati. È autore, inoltre, del thriller Indagine 40814 e del saggio spirituale Vite terrene, vita nell’Aldilà. Contattalo: [email protected] Seguilo: www.lucavalente.it Facebook 5 Prefazione Ho conosciuto Lino Sassaro una decina di anni fa, in un periodo in cui stavo ricercando testimonianze sui giorni conclusivi della 2ª Guerra mondiale nel Vicentino. Lino, che aveva avuto un piccolo ruolo a supporto dei partigiani di Schio nelle ore della Liberazione, parlò soprattutto del periodo che aveva trascorso in Russia come autiere tra l’estate del 1941 e la primavera del 1943. Mi colpì particolarmente, al di là del racconto, l’album fotografico di quella esperienza, che conservava gelosamente e con orgoglio. Quando diverso tempo dopo, in occasione di un altro incontro, riparlammo della campagna di Russia, gli proposi di raccogliere insiene in un volume quelle immagini, i ricordi lontani ma ancora vivi e alcune note di diario da lui scritte a matita, all’epoca, in una minuscola agendina. Sono passati altri anni da allora e Lino, nel frattempo, è mancato all’affetto dei suoi cari. Ciononostante, anzi forse con una motivazione in più, era giusto portare a termine quel progetto e divulgare la sua preziosa testimonianza. La struttura del libro è piuttosto semplice: le annotazioni giornaliere (nel testo in corsivo) - talvolta estremamente scarne e perciò arricchite nel lessico, in parte con osservazioni suggerite dallo stesso Lino, senza comunque che ne uscisse modificato in alcun modo il senso - sono state intervallate dagli approfondimenti scaturiti da una decina di interviste, di circa un paio d’ore ciascuna, svoltesi nel salotto della sua abitazione seguendo come traccia il diario medesimo. Come è ovvio che sia, divagazioni varie e l’affastellarsi di ricordi similari o tra loro collegati hanno fatto sì che il lavoro di ricomposizione per armonizzare cronologicamente le sue memorie non sia stato sempre agevole. Ha però consentito la definizione di un nuovo piano di lettura dopo il primo, immediato, derivante dal diario: un secondo livello in molti casi più circostanziato, data l’impossibilità di indulgere in dettagli nello scritto coevo, anche se inevitabilmente non esente da imprecisioni, considerata 6 viceversa la distanza di quasi settant’anni dagli avvenimenti. Non era evitarle a prescindere, d’altronde, il senso dell’operazione, quanto piuttosto rievocare clima e sensazioni di quell’esperienza, leggere tra le righe degli stringati appunti, ampliare i margini di una sorta di lieve autocensura del suo autore, più o meno conscia al tempo ma facilmente aggirabile, e aggirata, nel presente. Dove invece il diario non forniva alcuna indicazione, essendo limitato alla sola esperienza bellica dalla partenza dall’Italia fino al rientro al Brennero, sono stati i soli ricordi a ricostruire la vicenda. Così in apertura di narrazione, per quanto riguarda la breve descrizione dell’addestramento, e poi in chiusura di volume, relativamente agli avvenimenti dipanatisi dopo l’8 settembre 1943, periodo che Lino trascorse a casa, lavorando come prima della chiamata alle armi nel Regio Esercito ed evitandone una seconda, nelle fila della Repubblica Sociale, mediante qualche stratagemma. A fare da cornice alla narrazione, infine, le fotografie scattate sotto le armi: nel Veronese prima della partenza, poi nei territori dell’Est Europa attraversati per raggiungere la zona d’operazioni e infine in Ucraina, dove fu impiegata l’unità di cui Lino faceva parte. Delle quasi 200 immagini conservate - almeno un altro centinaio è purtroppo andato perduto - ne vengono qui proposte circa la metà. Si tratta, nella quasi totalità, di scatti inediti, capaci di documentare non solo la vita militare del suo autore e dei suoi commilitoni, ma anche paesaggi e popolazioni di quella terra. Uno sguardo diverso, più umano se si vuole, su una campagna tragica. Lino Sassaro, nato a Schio il 26 luglio del 1921, aveva vent’anni all’inizio di quella avventura. Era un militare, ma non certo un militarista o un amante della guerra, e tale spirito emerge con chiarezza dallo scritto e dal ricordo. Non era nemmeno un soldato di prima linea, un combattente, e perciò gli furono risparmiate le tragedie e le sofferenze che toccarono invece a fanti e alpini sul fronte del Don e nelle steppe gelate. Non si troveranno in questo libro i drammi di Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi o de Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, tanto per citare due fra le più celebri opere - 7 di marca sempre vicentina - offerte dalla memorialistica sulla campagna di Russia. Come autiere Lino Sassaro fu testimone di un altro tipo di guerra, quella quotidiana e logorante combattuta per garantire i rifornimenti alle truppe operative. Apparteneva infatti al 188° Autoreparto pesante formatosi a Verona e Villafranca e inviato sul fronte orientale con il Corpo di Spedizione Italiano in Russia - Csir - nell’agosto del 1941, alle dipendenze del 2° Autoraggruppamento comandato dal colonnello Ginesio Ninchi.1 Successivamente il 188° Autoreparto entrò a far parte dell’Intendenza dell’8ª Armata, comandata dal generale Carlo Biglino, quando il Csir fu ampliato l’anno successivo. Per il caporale scledense furono quasi due anni di ininterrotto servizio, passati a macinare migliaia di chilometri su piste sovente impraticabili, nell’opprimente calura dell’estate come nel rigido inverno russo, soffocato dalla polvere oppure attanagliato dal gelo, o ancora bloccato da bufere di neve o da un fango capace di inghiottire e trattenere in una morsa ferrea qualsiasi veicolo.2 Quasi due anni senza mai rientrare in patria: troppo preziosi erano gli autieri e i loro mezzi per il funzionamento del Csir prima e dell’8ª Armata poi, ancorché in numero del tutto insufficiente alle reali necessità logistiche. Senza contare le deficienze meccaniche, rese ancora più evidenti dalle ostili condizioni ambientali e climatiche, e le difficoltà aggiuntesi per il comportamento di comandanti non sempre all’altezza della situazione. In tutto il diario, accanto alle critiche espresse nei confronti di alcuni superiori, torna ricorrente come una litania la quotidiana battaglia degli autieri per far camminare i loro autocarri Bianchi Miles: i “trucchi” e gli accorgimenti per avviarli a 30 gradi sottozero e condurli con maestria su piste ghiacciate senza l’ausilio di catene; il ricorso a carburanti tutt’altro che ortodossi, che distruggevano i motori, a causa della mancanza di nafta; la “cannibalizzazione” di altri automezzi o relitti - anche di autocarri nemici abbandonati lungo le piste - per procurarsi pezzi di ricambio che dall’Italia arrivavano col contagocce. Quando proprio non c’era verso di sostituire le parti usurate o danneggiate, 8 gli autieri erano costretti a turni di riposo forzati, anche se comprensibilmente non sgraditi. Insomma, il solito ritornello che caratterizzò tutte le campagne del Regio Esercito tra il 1940 e il 1943: si andava alla guerra senza i mezzi adatti a farla, anche se, paradossalmente, l’organizzazione dei trasporti della spedizione italiana in Russia funzionò in maniera relativamente soddisfacente, date le condizioni, tanto che vi ricorsero frequentemente pure i tedeschi (che apprezzavano autocarri e autieri più delle unità operative). Lo conferma Lino Sassaro, citando numerose occasioni in cui il suo reparto fu posto agli ordini dell’alleato germanico. Con i camerati tedeschi, peraltro, i rapporti erano assai tesi, e lo testimoniano anche un paio di scazzottate riportate nel diario: gli autieri non riuscivano a dimenticare ciò che avevano visto, con sgomento, nei primi mesi dell’avanzata, quando gli Einsatzkommandos delle SS operavano nelle immediate retrovie del fronte, nei territori appena conquistati dalla Wehrmacht, eliminando ebrei (e comunisti) in mostruose fucilazioni di massa. Sassaro, in particolare, cita due episodi accaduti davanti ai suoi occhi, a Kirovograd e Dniepropetrovsk. E non manca di descrivere i rastrellamenti condotti per il reclutamento coatto di manodopera da inviare in Germania e le impiccagioni dei partigiani catturati nelle piazze dei villaggi. Ben diverso appare invece l’atteggiamento degli italiani nei confronti della popolazione. “Italiani brava gente”, si è detto spesso. Luogo comune o verità storica? Se, come è probabile che sia, qualche nostro connazionale fece propri i metodi che invece erano consuetudine assai diffusa in campo tedesco, è indubbio però che la stragrande maggioranza dei nostri militari tenne un atteggiamento corretto nei confronti della popolazione, che pure imparò a distinguere e giudicare positivamente gli italianski. I rapporti, anzi, sfociavano spesso in amicizia, e non era raro, soprattutto a una certa distanza dal fronte, che tra giovani di vent’anni, lontani migliaia di chilometri da casa e affetti, e ragazze di poco più giovani, nascesse qualcosa di più. Talvolta l’amicizia con la popolazione si spingeva fino alla trasgressione della rigida disciplina militare, 9 ad esempio quando gli autieri cedevano alla gente bisognosa razioni dell’intendenza, o quando la conducevano sui loro mezzi, nel corso delle missioni di trasporto, affinché potesse reperire nei piccoli mercati dei villaggi le provviste per sfamarsi. Atteggiamenti ricambiati con generosa ospitalità: indicativo il commiato agli autieri appena prima della partenza per l’Italia. Una controprova dell’affetto che unì in diverse occasioni italiani e ucraini la si riscontra anche nella sgrammaticata ma simbolica lettera inviata nel maggio del 1995 al notiziario dell’Associazione Nazionale Autieri d’Italia dalla lontana Taganrog, sul Mar d’Azov: «Cari amici, in mio mani vostro belissimo rivista “L’Autiere”. Io sono russo e io non so gramatica italiano - scusate. Mia scuola italiana questo soldati italiani al fronte russo. Picola storia. 1941 anno novembre mia citta Ricovo (Enakievo) ocupato divisione “Pasubio”. Mia casa e 50 metri caserma italiana. Prima noi paura - soldati di nemici, guerra. Ma pero atraverso poco tempo e nostro paura niente. Perche italiani bravi genti e atraverso poco tempo io gia avuto amici italiani. Per me stare molto intereso sapere, chi questi giovani soldati. E tutto bene. In citta niente negozia, fronte non lontano 10 chilometri, fame. E soldati italiani fare socorso - macaroni, pane, sapone, pasta. Si, dificile tempo, ma bravi genti italiani. Io visto ritirato armato italiani. Granda tragedia come e tutta guerra e per popolo russo e per popolo italiano. Cari amici, ma come vorei trovare mio amico uno bravo soldato. Lui Franco Motta sua risidenza prima la guerra sobborgo Milano (come si chiamo purtroppo dimenticato). Lui nasa (nascita) 1922. Autoreparto 180 o 188. Questo autoreparto disposizione in citta Ricovo (Enakievo) in caserma dove prima stare garagi scuadra di pompieri. Si puo, o no publicato in vostro rivista (L’Autiere chiama l’autiere) Franco Motta dove tu adesso. A proposito, lui e suo amici andare da Ricovo febraio 1943 anno. Chiedo scusi a mia caligrafia la mia gramatica. Auguro buona fortuna, successo. Ancora volta scusate. Alessandro Grascenko».3 Si trattava proprio del 188° Autoreparto Pesante (Sassaro ha ricordato Franco Motta, anche se non lo ha mai citato nel diario), che fece tappa a Rykovo per 10