Giacomo Marra mao Dopo il Leviatano Individuo e comunità Indice 9 Prefazione alla seconda edizione I7 Avvertenza Dopo il Leviatano Introduzione Dimensioni dell' oltrestato 23 I. Il sovrano assente: la dottrina dello Stato come «triste scienza» 1.Melancholia politica I, 23 2.Melancholia politica II, 28 3. «Morte di Dio» e «nuovo politeismo», 36 48 2. La democrazia, la comunità e i paradossi dell'universalismo 1. Trasparenza democratica e opacità delle differenze, 48 2. Il ritorno della comunità, 51 3. Cittadinanza e appartenenza, 53 4. Eriche in conflitto, 58 5. Democrazia e universale sradicamento, 61 Parte prima Verso un nuovo Policraticus (Ricerche) 7I 3. L'entropia del Leviatano. Quadrante meta-politico 1. Gioco di specchi, 71 2. Attore e sistema: un'alternativa?, 79 3. Strate gia e comunicazione, 82 4. L'altro lato dello specchio, 85 5. Società po limorfa, o della sovranità introvabile, 87 95 4. Politica e complessità: lo «Stato postmoderno» come categoria e come problema teorico 1. Crisi di legittimazione e teoria dello Stato: il problema dell' «ingoverna bilità», 96 2. Le categorie del politico nella tradizione postmarxista: crona- 6 Indice ca di un naufragio, ro8 3. Struttura, evoluzione e mutamento di forma: il «Weber dimezzato» della Scuola di Francoforte, u3 4. Excursus I. Cor poratismo e democrazia collettiva: Neumann e Fraenkel, 133 5. Excursus 2. La Constitutional Crisis: Neumann e Laski, 145 6. Equilibrio, compro messo politico e «dittatura senza sovrano»: la politologia critica di Kirch heimer, 157 7. I confini della razionalità politica: una polemica con Ha bermas e Offe, 169 I83 5. La Vienna di Wittgenstein e la Vienna di Bauer r. Tradizione e innovazione, 183 2. Metamorfosi dell'austromarxismo, 194 3. Alle origini del «modello consociativo»: Stato pluriclasse e governo di coalizione, 204 4. Dalla «grande Vienna» alla «Vienna rossa», 214 5. De mocrazia sostanziale versus «democrazia senza qualità»: la controversia con Hans Kelsen, 2 34 Parte seconda Modelli di ordine (Immagini e concetti) 249 6. Imago mundi e ordine politico 1. L'indagine dei presupposti, 249 2. «Disincanto del mondo» e «disanima zione della natura», 255 3. TraMacheCassirer, 260 4.Lexnaturalis: analo gie e metafore, 266 5. Le radici teologiche della nuova morale, 269 6. L'an tropologia negativa del covenant: il nodo Hobbes, 272 7. Etica protestante e morale gesuita, 281 8. Razionalismo e società borghese, 288 9. Franz Borkenau e il dibattito sul Moderno, 294 300 7. Sovranità: per una storia critica del concetto 1. Delimitazione semantica del termine, 300 2. Sovranità come pseudo concetto: la categoria di «disciplinamento», 304 3. Maiestas realis e maie stas personalis: il «doppio corpo del Re», 306 4. Costituzionalismo e «po tere temperato», 306 5. Decisione e norma: la deriva dello ;us publicum europteum, 308 3u 8. L'ossessione della sovranità: per una metacritica del concetto di potere in Michel Foucault 1. L' «impensato» della sovranità, 3 rr 2. Il paradosso della decapitazio ne, 313 3. Il totem del contratto: Hobbes e Freud, 315 4. I rituali della Urszene: Freud e Wittgenstein, 318 5. Il complesso del sovrano, 321 6. Il pattern mitico-rituale della sovranità. Postilla antropologico-politica, 3 26 330 9. Metafore della regalità: macchina, corpo, persona 1. L'organismo vivente, 330 2. L'anomalia del corpo, 332 3. Corpora tion sole e complexio oppositorum, 334 4. I nomi del Re, 336 Indice 7 339 ro. Stato sociale: un ossimoro? 1. Sozialstaat e We/fare State, 339 2. Stato-del-benessere e Great Transforma tion, 340 3. Lo «Stato di giustizia» come filosofia politica del We/fare, 344 4. Stato di diritto e Stato sociale, 345 5. La «Costituzione in senso mate riale» e la «deformalizzazione» dello Stato, 348 35I I 1. La sovranità dissolta. A confronto con Niklas Luhmann r. Sovranità politica: un «espediente tautologico»?, 351 2. La deposizio ne del modello classico, 353 3. Semantica e struttura, 358 4. Archeologia del Moderno e inconscio dialettico, 362 5. La nozione di senso e l'elogio del «parassita», 364 Parte terza Per un'etica del presente (Proposte) 369 12. «Idola» del postmoderno: secolarizzazione, esodo, politeismo 1. La secolarizzazione come «piano inclinato»: i limiti della interpretazione di Lowith, 369 2. Alle origini della storia: l'Esodo come sinopsi del pro cesso rivoluzionario, 373 3. «Politeismo» e conflitto dei valori: dal Prinzip Hof/nung al Prinzip Verantwortung, 379 4. Libertà e Destino: dopoHegel, oltre Heidegger, 384 387 I 3. Sacer/Sanctus/Sanctio: spazio del potere e morfologia del sacro r. Auctoritas e potestas, 387 2. Tradizione e tradimento, 390 3. «Demi tizzazione» e duplicazione del Regno: l'impossibile teologia politica, 393 4. Ambiguità del sacer, 397 40I 14. Il tacito codice. L'economia teologica del segno r.L6gos e graphé: una dieresi abissale, 401 2.Re Lear e la «galassia Guten berg», 403 3. Great Code e tacita lectio, 405 409 I 5. Modernità ed esperienza del tempo r. Aporie dell'attualità, 409 2. Paradossi del tempo, 412 3. Strani anel li, 414 4. Spiegazione e narrazione, 416 5. La temporalizzazione della «catena dell'Essere», 423 6. Le istituzioni della contingenza, 425 7. L'ar co, la freccia, il campo. Dalla temporalità asimmetrica allo spazio-tempo dell'esperienza, 429 435 Indice dei nomi Prefazione alla seconda edizione Tortuosa, come il termine ebraico da cui deriva, la fortuna del Le viatano. Complicato percorso, quello che porterà il «serpente tortuo so» di Isaia (27, 1) -Lindwurm, traduce in tedesco Martin Buber, sot tolineando l'analogia etimologica con il latino lentus (pieghevole, fles sibile) - a identificarsi con l'immagine e il destino dello Stato. Non meno tortuosa la vicenda del suo moderno profeta. Leviathan - il mo stro che fa la sua comparsa nella cosmogonia fenicia e babilonese e che già nella mitologia biblica del Libro di Giobbe, di Isaia, dei Salmi e dell'Apocalisse rappresenta la massima potenza terrena - diviene con Thomas Hobbes emblema e nome proprio del «Dio mortale»: di quel lo Stato sovrano; creato dal contratto, che si erge sulle ceneri delle guerre civili di religione che avevano dilaniato l'Europa tra il XVI e il XVII secolo. Vero è che sul celebre frontespizio della prima edizione inglese del Leviatano (1651) la citazione dal Libro di Giobbe (41, 25) - «Non est potestas super terram quae comparetur ei» (Nessuna poten za sulla terra gli può essere paragonata) - parrebbe saldare il legame con la simbologia veterotestamentaria. E tuttavia l'interprete che si illudesse di ricavare linearmente una chiave esplicativa del simbolo del Leviatano nell'opera hobbesiana basandosi sul mero dato testuale è destinato, come Carl Schmitt nel suo noto saggio del 1938 (Der Le viathan in der Staatslehre des Thomas Hobbes. Sinn und Fehlschlag eines politischen Symbols), a restare deluso. La suggestione mitica indotta dal titolo, infatti, sembra non trovare alcuna conferma dai pochi e scarni passi del libro in cui viene evocata l'immagine del Leviatano. Nella stessa incisione del frontespizio, del resto, non appare, come sa rebbe lecito attendersi, un mostro o serpente marino, un drago, un IO Prefazione alla seconda edizione coccodrillo, una balena - secondo il bestiario ricorrente nelle Scrittu re - né una qualche allegoria del male, come nella tradizione ebraico cabalistica le cui tracce giungono fino alla Dcemonomania di Je an Bo din, o dell'Anticristo, come nelle Tischreden di Lutero. In luogo di questi simboli, troviamo invece un uomo dalle dimensioni gigante sche, formato - alla maniera di Arcimboldi-da una miriade di piccoli uomini disposti di spalle, con lo sguardo rivolto verso di lui. Il grande uomo impugna con la mano destra una spada e con la sinistra un pa storale: sotto il braccio destro si scorgono una roccaforte, una corona, un cannone, e poi armi, lance, bandiere e una scena di battaglia; paral lelamente, sotto il braccio sinistro, sono visibili una chiesa, una mi tria, le folgori della scomunica, e poi sottigliezze, sillogismi, dilemmi e infine la scena di un concilio. Troviamo cosl rappresentati, in un gio co di simmetrie e corrispondenze perfette, «i tipici strumenti di pote re e di lotta dei conflitti temporali e spirituali». Ma l'aspetto deci~ivo sta altrove: la figura del Leviatano si staglia su un paesaggio pacifico, da« buon governo». Nessuna arialogia, dunque, con l'immaginario de moniaco o apocalittico della tradizione. Piuttosto, siamo qui al co spetto di un punto di frattura e di svolta, preparato da quel lungo e tormentato passaggio all'epoca del razionalismo moderno, rappresen tato - nell'interpretazione di Schmitt - dallo stile manieristico: «Tutto sommato, è fra il 1500 e il 1600 che si interrompe la peculiare forza demoniaca dell'immagine del Leviatano; scompare la religiosità popo lare medievale, ancora viva in Lutero; gli spiriti malvagi si trasforma no in spettri grotteschi, o perfino umoristici». L'immagine del Levia tano sperimenterebbe cosl, nella letteratura del XVI secolo, un destino analogo a quello riscontrabile nella rappresentazione pittorica del dia volo e dei demoni, nel lungo periodo di transizione che va da Hie ronymus Bosch fino al cosiddetto Bruegel degli Inferni: mentre i dia voli di Bosch sono ancora «realtà ontologiche» (sintomo di una cre denza tradizionale non ancora infranta), e i suoi paesaggi «un inferno il cui fuoco irrompe attraverso il velo di colori terreni, non una sem plice scena o un palcoscenico per un'eccentrica rappresentazione figu rata», in Bruegel viceversa questa minacciosa realtà si è definitiva mente dissolta e trasformata in mera fattispecie estetica e psicologica. Tra queste due diverse simbologie artistiche si situa «un'epoca di rea lismo profano» di cui è espressione tipica, nella letteratura inglese, la grande drammaturgia di Christopher Marlowe e di Shakespeare: «Nei Prefazione alla seconda edizione II grandi drammi di Shakespeare il Leviatano è citato alcune volte, ma sempre soltanto oggettivamente, come un potente mostro marino, smi suratamente forte e veloce, senza alcun simbolismo inerente all'ambi to mitico-politico». Intorno alla metà del xvn secolo, ossia «al tempo del Leviatano di Hobbes», il processo di demitizzazione era andato così avanti da rendere quell'immagine scarsamente fruibile anche sul piano più anodinamente allegorico: tanto che, nel Paradiso perduto, Milto~ può permettersi il lusso di evocare il grande mostro marino «senza recondite simbologie». Di analogo tenore realistico e demitizzante sarebbero, pertanto, le metafore adottate da Hobbes. In effetti, nell'edizione inglese dell' o pera il Leviatano è citato in tutto tre volte. Il primo luogo è rappre sentato dall'Introduzione, dove troviamo la celebre definizione di ani mal artificiale: «Poiché dall' ARTE viene creato quel grande LEVIATANO chiamato COMUNITÀ POLITICA (COMMON-WEALTH) o STATO (in.latino CIVITAS) il quale non è altro che un uomo artificiale, sebbene di statu ra e forza maggiore di quello naturale, alla cui protezione e difesa fu designato». Di questo organismo artificiale (ossimoro apparente, se consideriamo che Hobbes si colloca storicamente al di qua della di stinzione tra meccanicismo e organicismo invalsa da Kant in poi) la sovranità rappresenta l'anima, magistrati e funzionari le giunture, ri compensa e punizione i nervi, prosperità e ricchezza la forza, la sicu rezza del popolo gli affari, i consiglieri la memoria, l'equità la ragione, la legge la volontà, la concordia la sanità, la sedizione la malattia, la guerra civile la morte. Ma il motivo più importante del passo è costi tuito dalla definizione, che subito dopo segue, di pact o covenant: « I patti e le convenzioni, da cui le parti di questo corpo politico sono state dapprima fatte, messe insieme e unite, rassomigliano a quel fiat, o a quelfacciamo l'uomo pronunciato da Dio nella creazione». Il secondo luogo è rappresentato dal passo del capitolo 17 dove viene introdotta la definizione di morta! godo deus mortalis: il pactum unionis che con trassegna la forma hobbesiana del contratto a favore di terzi (a diffe renza delle teorie medievali del contratto tra re e popolo) coincide con «la generazione di quel grande LEVIATANO, o piuttosto (per parlare con più riverenza) di quel dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa». Il terzo passo, che troviamo alla fine del capitolo 28, è il solo che esplicitamente si richia- I2 Prefazione alla seconda edizione mi alla simbologia biblica del Libro di Giobbe: «Finora ho esposto la natura dell'uomo (che l'orgoglio e altre passioni hanno costretto a sot tomettersi a un governo) insieme con il grande potere di colui che lo governa, che io ho paragonato al Leviatano, prendendo il paragone dai due ultimi versetti del quarantunesimo capitolo di Giobbe, dove Dio, dopo aver esposto il gran potere del Leviatano, lo chiama re della Su perbia. Non c'è niente sulla terra, egli dice, che sia paragonabile a lui. È fatto in modo tale da non aver paura. Vede sotto di lui ogni cosa eccelsa ed è re di tutti i figli dell'orgoglio». Alla fine della sua densa e complessa analisi di questi passi, da cui emerge una immagine «plurivoca» che «ricomprende in sé Dio, uo mo, animale e macchina», Schmitt conclude - com'è noto - che Hob bes avrebbe «fallito» il simbolo del Leviatano. Occorrerebbe dunque guardarsi dagli equivoci ingenerati dall'espressione «Dio mortale»: il fatto che lo Stato-Leviatano venga designato come Dio non avrebbe «alcun significato proprio ed autonomo». Il sovrano hobbesiano non è il de/ensor pacis, il garante e custode di una pace riconducibile a Dio, ma è il creator pacis, creatore di una pace esclusivamente terrena. Il Leviatano - come lo stesso Hobbes apertamente dichiara - «è mortale e soggetto al decadimento come lo sono tutte le altre creature terre stri». Hobbes non perviene, in altri termini, all'idea di unità politica, ma solo all'idea di una fuoriuscita dallo «stato di natura», inteso come «condizione prestatuale di insicurezza», tramite una «costruzione giu ridica del patto» che «trasferisce la concezione cartesiana dell'uomo come meccanismo animato al "grande uomo" dello Stato, di cui fa una macchina, animata dalla persona sovrano-rappresentativa». L'idea hobbesiana dello Stato come magnum artificium, meccanismo tecnica mente perfetto regolato dal diritto, rappresenta certo - secondo la no ta tesi di Max Weber - un decisivo punto di svolta del «razionalismo occidentale», che prepara la strada allo «Stato "di leggi" positivisti co» del XIX secolo. Ma, incapace di impostare la questione dell'unità del corpo politico a partire dall'antitesi amico-nemico e dal potere co stituente del popolo, quell'idea non ha però in sé gli anticorpi per ov viare alle implicazioni entropiche connesse alla neutralizzazione tec nica delle procedure giuridiche e per fronteggiare l'opera di sistemati ca erosione esercitata dalle potestates indirectce che - come associazioni o partiti - sfruttano a proprio vantaggio le crepe che si aprono nell' e- Prefazione alla seconda edizione I) dificio del Leviatano grazie alla frattura costitutiva dello Stato mo derno: quella tra foro interno e foro esterno, libertà individuale e ob bedienza al sovrano. Ha inizio di qui un percorso tortuoso, che vedrà Schmitt mutare prospettiva, nel corso degli anni, rispetto al significato dell'opera hobbesiana: dall'interpretazione in chiave decisionistica del 1934 a quella meccanicistica degli anni 1936-38, a quella teologico-politica degli anni 1960-65. Al drastico giudizio formulato nel saggio Der Staat als Mechanismus bei Hobbes und Descartes - per cui l'immagine del Le viatano sarebbe «nulla più che un'idea letteraria e semi-ironica, gene rata dal buon 1'humour" inglese» - subentra nel testo del 1938 l'idea di un fecondo (anche se irrisolto) campo di tensione tra la lunga om bra del simbolo e il paradigma tecnico-neutrale della «grande macchi na». La potenza mitica racchiusa nell'immagine avrebbe pertanto prodotto la conseguenza paradossale di fare di Hobbes, al pari di Ma chiavelli, una sorta di «capro espiatorio», ascrivendo alla sua conce zione le responsabilità teoriche e morali del ~<totalitarismo del xx se colo»: «Hobbes è stato reso più famoso e più famigerato dal Leviatano che da tutto il resto della sua opera. Secondo una sommaria volgata egli non è complessivamente nient'altro che un "profeta del Leviata no". Se Hegel poteva affermare che il libro intitolato al Leviatano era "un'opera malfamata", proprio il nome ha certamente contribuito a questa fama. Nominare il Leviatano, infatti, non ha il semplice valore di illustrare un pensiero, come un qualunque paragone che serva a chiarire una dottrina politica o come una qualsivoglia citazione; piuttosto, col Leviatano si evoca un simbolo mitico, pieno di reconditi significa ti». È del tutto superfluo ricordare che, di fronte alla palese assurdità di tali accuse, Schmitt non cesserà mai di sottolineare le premesse ri gorosamente individualistiche della teoria hobbesiana che - fedele al principio nullum crimen, nulla pcena sine lege rappresenta il prototipo del moderno garantismo penale e - come aveva già notato Ferdinand Tonnies dello stesso Stato di diritto. Assai più importante, invece, è registrare la svolta costituita dal saggio del 1965, Die vollendete Re/or mation. Attraverso la discussione dei volumi di Francis C. Hood, Die trich Bra un e Hans Barion, viene qui proposta da Schmitt - con un' e splicita revisione autocritica delle sue posizioni precedenti - una rilet- r4 Prefazione alla seconda edizione tura dell'intera concezione politica di Hobbes in chiave teologico-po litica: «La dottrina dello Stato di Thomas Hobbes è un brano della sua teologia politica». E, ancora una volta, il banco di prova è rappre sentato dal simbolo del Leviatano. Ma il giudizio appare, adesso, diametralmente rovesciato: «Nonostante ogni ironia, la forza mitica del nome "Leviatano" si impone sempre di nuovo, e Hobbes ben sa peva il valore delle parole e dei nomi. Per lui, che era nominalista, il mondo dei pensieri e delle rappresentazioni umane non è qualcosa di dato, ma è creato per la prima volta dal "fiat" della parola e del lin guaggio in generale[ ... ]; e ciò è implicito nella linea scotistico-occami stica del suo pensiero». Hobbes viene certo riaffermato come «il pa dre spirituale del moderno positivismo giuridico, il precursore di Jeremy Bentham e diJohn Austin, il pioniere dello Stato "di leggi" li berale». Il momento topico della nuova interpretazione è ora rappre sentato dalla collocazione dell'opera politica hobbesiana «nel proces so della cosiddetta secolarizzazione, nella progressiva scristianizzazio ne e dedivinizzazione della vita pubblica». Prima facie, Hobbes - po nendosi come il «Galilei della scienza politica» - sembra collocarsi al l'apice di questo processo di neutralizzazione tecnico-scientifica. Sen nonché se guardiamo al complesso della sua opera (includendo anche le sezioni III e IV del Leviatano, o testi come la Risposta a Bramhall, la Historical Narration conceming Heresy, o la stessa Historia ecclesiasti ca), osserviamo che, con la sua riduzione degli articoli di fede all' e sclusiva verità Jesus is the Christ, Hobbes introduce una forma specifi ca di teologia politica: quella di un sovrano cristiano che opera una neutralizzazione attiva delle fedi religiose degli avversari confessiona li nello spirito della Riforma. Illuminante, in questa prospettiva, un testo che Schmitt non menziona, ma che avrebbe potuto fornire un ri scontro decisivo alla sua tesi interpretativa: l'Appendice all'edizione latina del Leviatano. In particolare, nel capitolo 3 (intitolato Su alcune obiezioni contro il Leviatano), troviamo chiaramente individuata nella guerra civile confessionale la chiave dell'intera opera e la vera «scena influente» dello stato di natura: ciascuna delle quattro parti del Levia tano, afferma Hobbes, «contiene delle vedute originali sia filosofiche sia teologiche, nonché tante prese di posizione contro il potere dei pontefici romani sugli altri principi, da mostrare chiaramente che l'autore attribuiva la causa della guerra civile, che a quel tempo imper versava in Inghilterra, Scozia e Irlanda, a nient'altro che ai contrasti