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Dizionario leccese-italiano (Volume I: A-N) PDF

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Antonio Garrisi DIZIONARIO LECCESE-ITALIANO I A-N 2014 PREFAZIONE Nota storico-linguistica Sino alla prima metà del sec. XX noi leccesi, nella stragrande maggioranza, parlavamo raramente e più o meno bene la lingua italiana e usualmente e bene, invece, il dialetto locale, la lingua dei nostri padri, dalla cui viva voce l'avevamo appresa. Quando venne istituita la scuola obbligatoria e prese a diffondersi l'istruzione, le famiglie delle classi popolari cominciarono a considerare la propria parlata paesana dapprima con antipatia, poi con disprezzo, addirittura con vergogna in quanto che la ritenevano un segno di ignoranza, un marchio di sottosviluppo, o comunque ritenevano il dialetto un ostacolo all'apprendimento perfetto dello scrivere e del parlare in italiano. Era una concezione evidentemente errata, così come è certamente sbagliato ritenere che il dialetto sia un'erba nociva da sradicare. Sarebbe ciò una grave perdita, giacché il dialetto ha una sua storia interessante, conserva la civiltà dei nostri antenati, ha un ricco lessico, una sua grammatica e una sua sintassi, che rispecchiano l'anima, la cultura, i modi di pensare e di agire e operare dei nostri predecessori. Il dialetto, dunque, è una lingua complessa e nobile; del resto anche l'italiano, in origine, non era altro che il dialetto fiorentino. La lingua dei nostri padri, pertanto, insieme con la lingua nazionale, deve essere tenuta in grande considerazione perché ha, come l'altra, una grande importanza, essendo il nostro idioma il risultato della ricca antica storia spirituale sociale e culturale delle genti leccesi; un linguaggio, il nostro, fiorito in un ambiente principalmente rurale e artigianale, fatto di semplicità e di realismo, di povertà anche, e, tuttavia, di forte attaccamento alla patria terra. Il dialetto leccese - ripetiamo - è una lingua completa ed evoluta, tanto che è bastata a soddisfare nel corso di molti secoli le molteplici esigenze creatrici, realistiche e fantastiche dell'animo popolare, e le esigenze artistiche di tanti poeti in vernacolo; un idioma, si consideri, che fa risalire i suoi primi balbettii in tempi remotissimi, anteriori alla nascita di Gesù Cristo; cominciò il suo lento evolversi, infatti, 2.200 anni fa, immediatamente dopo che gli antichi Romani ebbero completata nell'anno 266 a. C. la conquista delle terre abitate dai Sallentini. Allora, alle popolazioni vinte i vincitori imposero le proprie leggi e la propria lingua, il latino (non il latino letterario e convenzionale dei dotti, ma quello familiare e spontaneo del volgo, la parlata della plebe urbana e rurale e il gergo dei soldati). Fu, comunque, interesse degli abitanti indigeni apprendere l'idioma dei conquistatori, perché ciò agevolava tra loro i rapporti sociali quotidiani, sicché a poco a poco il 'latino volgare' si andò sovrapponendo alla parlata locale. Cominciarono ad essere accolte nel lessico indigeno (il messapico?) parole prettamente latine quali, per esempio, bùccula, carrara, fìstula, insìta, màchina, mèrula, musca, sìmula, spàtula, umbra, cùrrere, dìcere, mètere, curtu[s], pandu[s], tristu[s], intra, ecc. Tale fenomeno di assorbimento, di assimilazione e di rielaborazione linguistica da parte dei Sallentini si protrasse all'incirca fino al VI sec. d. C.; tuttavia, il latino appreso dalla popolazione locale risultò alla fine diverso pure dal 'latino volgare' dei coloni romani stanziati nella nostra penisola, e ne venne fuori un idioma del tutto particolare e caratteristico, elaborato secondo le qualità, le capacità, i mezzi espressivi peculiari degli abitanti, il linguaggio dei quali si mise a produrre parole differenti nella forma pur conservandone il significato, per esempio: lat. ansula = lecc. àsula, bruculus = rùculu, carraticia = carratizza, granarium = ranaru, hominem = òmmene, machinula = macìnula, sarcina = sàrcena, turtur = tùrtura, mucedus = mùcetu, pisinnus = piccinnu, nudius tertius = nustiersu, signum est = segnummeste, ecc. III Purtroppo non ci sono giunti documenti scritti (semmai ce ne furono!) che provassero l'esistenza di una parlata latino-salentina arcaica, rozza ed elementare. Ma di tale esistenza possiamo essere certi, non fosse altro che per l'evidenza della derivazione diretta dal latino popolare di migliaia di parole dialettali leccesi, le quali presentano tuttavia differenze assai marcate di pronunzia e di grafia tra volgare e leccese; per esempio: aucellus>aceδδu, celsus>gèusu, clocullus>chiuδδu, digitus>tìsçetu, exercitus>sièrsetu, stella>stiδδa, amplus>àpulu, laridosus>lardusu, emendare>mmèndere, fabellare>faeδδare, reviviscere>berìscere, ecc. E' anche certo che quella parlata arcaica, arricchendosi attraverso il corso dei secoli prima con elementi linguistici dei successivi popoli conquistatori (principalmente Bizantini e Longobardi, Saraceni, Francesi, Spagnoli) e integrandosi poi, a partire dal XII sec., con l'apporto consistente dell'italiano popolare, diventò essa stessa una nuova lingua costituita da nuovi elementi fonetici, morfologici, sintattici e lessicali di varie e diverse derivazioni; per esempio: anca (long. hanka), biffa (long. wiffa), rappa (gotico krappa); e poi: ànesi, càmpia, fitu, tutumàgghiu, reme-nìa, provenienti rispettivamente dalle voci greche ànison, kàmpe, phytòn, titumàlion, trimenìa; e inoltre dagli arabi barda'a, garrafa, funduq, tammar sono derivati i leccesi arda, carrafa, fùndecu, tamarru; i termini francesi boìt, cheminée, jalne, mortier, ouate, toupet si sono trasformati in buatta, cemenèa, sçiàlenu, murtieri, uatta, tuppu; mentre gli spagnoli pelea, erdad, ufano, atrasar, callar sono diventati pelèa, erdate, ufanu, ntrassare, quagghiare. Una lingua 'nuova', dunque, una lingua vera e propria, che non era più la lingua madre indigena, ma non era neppure l'idioma dei dominatori: era ormai il cosiddetto 'dialetto leccese', una parlata autonoma che si rendeva riconoscibile per i suoi particolari e precipui caratteri fonologici e morfologici e lessicali, presentando numerose differenze che riguardavano la pronunzia e quindi la grafia delle parole, l'uso degli elementi grammaticali e sintattici, la struttura stessa del pensiero e del discorso; una lingua, insomma, oltremodo interessante. Questo dialetto finì per diventare la lingua dei Leccesi, l'unica lingua conosciuta e parlata dai ceti popolari urbani e campagnoli, un idioma compiuto e idoneo a soddisfare qualsiasi esigenza espressiva. Aveva solo un limite: quello di costituire una parlata locale, di essere, cioè, intesa e compresa in un ambito limitato, in un territorio ristretto quale era ed è Lecce e il suo precipuo contado, il capoluogo e la sua provincia. Questa lingua sino a non molti anni fa la conoscevano e la parlavano tutti i Leccesi e i padri la trasmettevano sempre più arricchita ai figli. Ecco, noi l'abbiamo voluta raccogliere intera in questo 'dizionario' non per riesumarla e diffonderla tra le nuove generazioni (un dialetto in declino, per non dire in estinzione, da nessuno e in nessun modo può essere salvato!), ma al solo scopo di documentarla come fatto culturale, di conservarla come attestazione linguistica, glottologica, etnica, di registrarla col valore - come dire? - di 'ricupero archeologico'. L'autore IV INTRODUZIONE Assimilai la parlata locale insieme con il latte materno; dai parenti e dai conoscenti, che si esprimevano in dialetto, quello autentico e genuino, appresi a parlare esclusivamente in dialetto; in dialetto discorrevo con gli amici di casa, in dialetto litigavo con i compagni di strada. Ricordo che se uno - date certe circostanze - era tenuto ad esprimersi in lingua italiana, o lui stesso poneva qualche rèmora e provava imbarazzo, oppure suscitava i divertiti risolini degli astanti, i quali bonariamente lo canzonavano perché 'parlàa an pulìtu'. Sono vissuto sempre tra l'umile gente del mio paese e ne conosco profondamente la storia1, le tradizioni, le usanze e il linguaggio, quello paesano, schietto e vivace. In dialetto ho conversato con i compaesani, sempre, anche da adulto, anche da 'istruito', sempre; anche adesso2. Frequentavo la 3ª liceale quando il preside del Liceo-Ginnasio 'G. Palmieri' di Lecce, mi affidò l'incarico di raccogliere un certo numero di parole peculiari del dialetto leccese parlato a Cavallino. Perché proprio di quello parlato a Cavallino?3 Perché in questo piccolo centro agricolo, abitato da cittadini per l'85% analfabeti, il linguaggio si era conservato notevolmente puro e vergine, perché nel popolo e nelle campagne la parlata serba la sua integrità e schiettezza più che nella città, in Lecce capoluogo, ricca di contatti con l'esterno, abitata, oltre che da contadini e artigiani, da professionisti, impiegati e commercianti, dove l'idioma dialettale risentiva ormai sensibilmente della lingua nazionale italiana e dei vari apporti forestieri. Dalle mie conoscenze personali e dalla viva voce dei compaesani raccolsi due centinaia di vocaboli caratteristici, che io ritenevo particolarmente interessanti dal punto di vista vernacolo. Successivamente, di un centinaio di lemmi il preside mi pregò di determinare e specificare il significato in correlazione con i vocaboli italiani4. Metodo seguito Era stato posto nel mio animo il germe che sin da allora mi indusse ad iniziare, a guisa di hobby, la raccolta di parole dialettali, le più peculiari, le più curiose, le più originali e interessanti; scrivevo su pezzi di carta i vocaboli tipici e li riponevo in un cassetto. Il divertente ma saltuario hobby si mutò in deciso interesse dopo gli studi universitari, allorquando mi misi a ricercare e a ordinare sistematicamente i materiali lessicali che costituivano il patrimonio linguistico-culturale della 'gente leccese'. In tempi più recenti spesse volte è capitato che io, allo scopo di far capire meglio ai miei alunni il significato di un vocabolo italiano, oppure di rendere ai miei interlocutori con maggiore espressività un concetto o un'idea, usassi termini dialettali e recitassi una frase idiomatica caratteristica o un proverbio appropriato. Con rammarico notavo che le ultime leve di giovani non gustavano, perché non le capivano appieno, le tanto efficaci espressioni in dialetto leccese. E quando si leggeva e si commentava una poesia di Francescantonio D'Amelio, l'esimio poeta leccese, o un brano di Giuseppe De Dominicis, l'illustre poeta cavallinese, i ragazzi mostravano di non comprendere del tutto il contenuto e il valore intrinseco della composizione poetica - proprio così - perché non sapevano il significato di parecchi termini vernacoli, perché ignoravano la maggior parte delle parole del lessico dialettale dei loro nonni. Era la prova che un idioma, che costituiva un prezioso patrimonio della cultura popolare leccese, una lingua, che un tempo era stata l'espressione più viva e immediata della civiltà dei nostri antenati, stava scomparendo. Ebbi allora l'idea e sentii il desiderio, per non dire la necessità, di impegnarmi, per quanto era nelle mie capacità, a portare a termine la ricerca delle parole del lessico leccese, di Lecce V città, al fine di consegnare unito e raccolto in un tutto organico il patrimonio linguistico dei nostri padri. Via via che andavo scrivendo in ordine alfabetico i vocaboli raccolti, si affacciava il dilemma se registrare soltanto le parole caratteristiche del nostro vernacolo (per fare qualche esempio: ciammarrucu, erteciδδu, macìnula, òccula, pàndeca, pòsperu, tèncine, uègghiu, gnettare, nquatarare, straulare, fièrsetu, scusçetatu, susu, sutta, intra, ecc. e migliaia di altri particolari lemmi), oppure includere anche quei termini comprensibili che presentano, però, qualche variante grafica o fonetica rispetto alle corrispondenti parole italiane. E se accoglievo i vocaboli: cammerieri, pallinu, luntanu, catìre, scrìere, diverse dalle analoghe italiane per grafia ma identiche per il significato, perché non riportare le parole: carcassa. (mortaretto), foggia. (fossa), nozze. (sansa), sprecare (dissotterrare), che sono simili per grafia alle conformi italiane, ma sono del tutto diverse e distinte per il significato? Ma, tralasciando vocaboli di uso dialettale come: forte, veloce, amore, giustìzia, via, arare, lèggere, parlare, ecc., un forestiero potrebbe benissimo domandare: "E la qualità della forza, la nozione della velocità, il sentimento dell'amore, l'idea della giustizia, il concetto della via, l'azione dell'arare, del leggere, del parlare, ecc. i Leccesi come li esprimevano nel loro idioma?" Trattandosi, dunque, di salvare il patrimonio lessicale leccese, maturai la decisione di fare un 'vocabolario generale', e mi proposi di accogliere, trascrivere e spiegare 'tutte' le parole adoperate nella lingua dialettale dai Leccesi, anche quei lemmi, cioè, che sono derivati dalla lingua madre latina evolvendosi in maniera identica in italiano e in leccese, e quelle altre voci che si sono travasate, simili nella grafia e uguali nel significato, dalla lingua italiana nel dialetto leccese. Ultimata una prima elencazione in ordine alfabetico dei vocaboli (oltre 14.000), ricavati e dalla conoscenza personale della lingua leccese tuttora da me parlata e dalle meticolose e approfondite indagini condotte presso tanti concittadini anziani, i più in vista per saggezza e per esperienza di vita, di operosità, di mestiere, mi misi a fare lo spoglio sistematico delle pubblicazioni dialettali prettamente leccesi, esistenti presso la Biblioteca Provinciale - Sezione Salento - di Lecce: nomenclature di singoli temi specifici (agricoltura, botanica, zoologia, arti e mestieri), poemetti, raccolte di poesie di anonimi e di autori sia noti e sia poco conosciuti, racconti, proverbi, indovinelli, stornelli, filastrocche, e inoltre ricerche etimologiche, saggi lessicali, ecc.; e da esse pubblicazioni estrassi pagina dopo pagina qualche migliaio di altri vocaboli che inclusi nella mia raccolta. Poi presi tra le mani il 'Vocabolario dei dialetti salentini' di Gerhard Rohlfs, e mi misi a cercare i lemmi 'leccesi' confusi tra i vocaboli delle decine di parlate locali salentine (le voci contrassegnate con le sigle L 1, 2, 4, 5, 7, 13, 16, 17, 21, 31, 33, 37, cv., I), riuscendo ad estrarre e ad inserire nella mia collezione qualche altro centinaio di parole dell'idioma prettamente leccese, le quali erano sfuggite alle mie precedenti ricerche. A questo punto mi accinsi al compito più difficile e impegnativo, durato alcuni anni:  a) registrare i vocaboli, puntualizzandone l'aspetto fonologico sia dal punto di vista della ortoepìa che della ortografìa, risultante dalla più stretta aderenza alla pronunzia leccese-cavallinese (per questa operazione mi è stato di grande aiuto il vocabolario del Rohlfs);  b) indicare la categoria grammaticale a cui il lemma appartiene;  c) spiegare il significato proprio del termine dialettale, mettendo a fronte il correlativo vocabolo italiano oppure illustrando il contenuto della parola stessa con una stringata definizione, ed evidenziandone le eventuali accezioni o i possibili diversi valori intrinseci;  d) mostrare i singoli elementi nel loro specifico uso esatto e corretto, corredandoli di frasi esemplificative, riproducendo motti appropriati, modi di dire e proverbi popolari, trascrivendo espressioni e brevissimi brani poetici di autori leccesi in vernacolo (i loro nomi VI di volta in volta vengono citati) e riportando brandelli di anonimi canti popolari leccesi, aventi attinenza con il lemma spiegato;  e) individuare con l'ausilio di dizionari etimologici e indicare alla fine della definizione [racchiusa tra parentesi quadra] la derivazione di ciascun vocabolo, un'etimologia semplice e immediata (non era nei propositi fare la 'storia etimologica' della parola), collegandola al corrispondente termine più antico di una lingua anteriore (latina e italiana generalmente, oppure greca, longobarda, araba e, talvolta, germanica, francese o spagnola). Struttura dell'opera Ho raccolto tutto quanto ho potuto e trovato; probabilmente, anzi certamente, altre parole di significato tecnico, non molte però, forse le più semplici e comuni sono sfuggite alla ricerca e alla catalogazione generale; pazienza! La loro assenza non pregiudicherà la completezza e la complessità esauriente dell'opera semantica. Comunque, due ultimi fatti mi rassicurano a tale proposito: recentemente sono riuscito a rintracciare presso il Centro di Studi Salentini (attualmente sistemato presso la Biblioteca Provinciale di Lecce) il manoscritto di E. Costantini (Lecce I860-I940), ed ho consultato il 'Vocabolario del dialetto leccese' di M. Attisani-Vernaleone (Lecce I878-I955), il primo contenente un migliaio, il secondo poche migliaia di parole tipiche dell'idioma leccese, con accanto il significato italiano, e frasi idiomatiche e detti e proverbi e descrizioni di giochi infantili; ebbene, soltanto pochissimi lemmi (appena qualche decina) di queste parziali raccolte non figuravano nel mio lessico e ve li ho aggiunti. Sono arrivato finalmente alla conclusione del mio lavoro. E frutto delle lunghe e ampie ricerche e di tante appassionate fatiche è il presente DIZIONARIO LECCESE-ITALIANO il quale comprende 17.000 vocaboli della parlata leccese, di Lecce città, con il loro significato italiano, e, sparsi qua e là, centinaia di proverbi e altrettanti brandelli di canti popolari e di poesie in vernacolo, brani esemplari che per se stessi costituiscono un ricco florilegio della nostra migliore produzione letteraria dialettale. Da esso derivato e ad esso strettamente legato è il GLOSSARIO ITALIANO-LECCESE formato di 16.8OO lemmi italiani con le corrispondenti voci leccesi, raggruppate possibilmente per sinonimi e affini. Ho ritenuto necessario approntare questo secondo lavoro perché si potrebbe avere curiosità o addirittura sentire il bisogno di sapere con quale vocabolo il volgo indica un dato oggetto ed una precisa azione, con quali termini esprime una sensazione e uno stato d'animo; e perciò ho ritenuto opportuno e utile raffrontare le voci italiane con le parole corrispondenti leccesi. A questo punto, per concludere, ribadisco che la presente opera ha nel tempo un remoto sfondo, raccogliendo essa le parole arcaiche e desuete del nostro idioma, comprendendo le voci in uso dei contadini e degli artigiani, della casalinghe e dei bottegai, dei commercianti anche e dei professionisti, giungendo sino alla metà di questo secolo; nello spazio, invece, ha un raggio d'azione breve, ristretto com'è allo studio del dialetto di una zona geografica limitata, corrispondente all'ambito fonetico lessicale relativo alla città di Lecce unitamente al suo autentico circondario storico-linguistico, di cui ha fatto sempre parte il limitrofo paesetto di Cavallino, il quale, come è noto, è gravitato stabilmente su Lecce capoluogo, sia come casale della Contea, sia come feudo dei Castromediano, sia come comune dei tempi moderni. A questo dialetto 'metropolitano' si accostano e in esso si riconoscono, perché con esso si unificano, le parlate locali dei paesi viciniori, le quali, pur presentando evidenti varianti di pronunzia (cervieδδu-cirvieδδu; uèmmeni-uèmmini-èmmeni; astemare-castimare-astimare; ni nde enimu-ni nde inimu-ni nne enimu.5), hanno in comune con l'idioma prettamente leccese tutto intero il patrimonio linguistico-culturale ed hanno, altresì, identici i caratteri peculiari e il sistema morfologico-sintattico. VII Questo DIZIONARIO, inoltre, costituisce senza alcun dubbio il tronco dell'idioma salentino-leccese; sarà facile, dunque, agganciare ad esso e con esso raffrontare le diverse e differenti altre parlate della Provincia di Lecce, che si presentano, tuttavia, con vistose varianti nel lessico, nella pronunzia, nella grammatica e nella sintassi (quali, per esempio, il vernacolo di Alessano e quello di Parabita, l'altro di Ugento e l'altro di Taviano, e il gallipolino, il galatinese, il magliese, il neretino, l'otrantino, ecc.), parlate che, rispetto al leccese tipico, hanno subìto una differente evoluzione sia fonetica che lessicale, anche se, incontrandosi nnu leccese sona-campane con nnu capustieδδu del Basso Salento ed esprimendosi ciascuno nella propria lingua, finiscono per capirsi e intendersi perfettamente, appartenendo essi ad un medesimo gruppo linguistico. 1. ANTONIO GARRISI, Cavallino attraverso i secoli, Lecce I984. 2. ANTONIO GARRISI, Cose te pacci! cunti, culacchi, canti, , Capone Editore 1989. 3. FRANCESCO D'ELIA, nella Introduzione a 'Le poesie del Capitano Black' , Congedo Editore I976, conferma che tra la parlata dei Leccesi e quella dei Cavallinesi "naturalmente vi è qualche piccola differenza di forma, raramente atteggiamenti differenti di pensiero". 4. Più volte mi sono chiesto se quei lemmi andarono a finire nelle mani del Rohlfs. 5. Ho presenti le parlate di Lizzanello e di Merine, di S. Donato e di Galugnano, e quelle di Arnesano, Carmiano, Lequile, Monteroni, S. Cesario, Squinzano, Surbo e Trepuzzi, per citare solo i paesi che costituiscono la fascia periferica del Comune di Lecce. VIII NOTA BIBLIOGRAFICA Fonti popolari e letterarie Trovo una certa difficoltà a stendere la bibliografia relativa a questo DIZIONARIO. Per le fonti orali, inesauribile miniera lessicale è stata la tradizione popolare con l'insieme delle sue memorie e notizie, con tutta la sua cultura e civiltà, e a questo punto dovrei menzionare tanti e tanti vecchi amici e conoscenti, contadini, massari, artigiani, casalinghe, operaie, bottegai, commercianti, professionisti e intellettuali, con i quali ho avuto continui rapporti socio-culturali; per le fonti scritte dovrei compilare un lunghissimo elenco sistematico delle opere consultate, dei libri letti, dei testi esaminati, dei saggi valutati e vagliati; in pratica dovrei mettermi a copiare gli autori e i titoli dell'intero schedario della Biblioteca Provinciale e di quello dell'Ateneo di Lecce, per quanto della produzione dialettale salentina hanno in catalogo. Qui non è il luogo e, pertanto, mi limito a fare ad essi riferimento e rimando. Non posso esimermi, però, dal citare i documenti più remoti dell'idioma leccese, i quali suscitano sempre curiosità e interesse:  distico di Minervino (I473), il quale afferma che Como lu lione et lo re dell'animali Cusì Menerbinu et lo re de li casali.  Anonimo, Rassa a Bute, Commedia dialettale leccese del sec. XVII; recentemente è stata ripresentata da LUIGI A. SANTORO, per conto di Capone Editore, 1989.  Viaggio de Lèuche a lengua nòscia de Rusce, (poemetto in tre canti composto da Geronimo Marciano, detto lu Mommu de Sàlice, morto nel 1714), sta in Ottocento poetico dialettale salentino, a cura di Ribelle Roberti, Galatina 1954.  ottava, scritta nel 1743 alla base del dipinto raffigurante S. Oronzo posto in un altare della Basilica di Santa Croce in Lecce; essa informa che FOI S. RONZU CI NI LEBERAU IDDU, IDDU, DE CELU LA UARDAU DE LU GRA TERRAMOTU, CI FACIU E NUDDU DE LA GENTE NDE PATIU. A BINTI DE FREBBARU: TREMULAU E' RANDE SANTU! MA DE LI SANTUNI! LA CETATE NU PIEZZU, E NU CADIU. FACE RAZZIE E MERACULI A MEGLIUNI.   16 sonetti leccesi del manoscritto di Londra, (sec. XVIII).  La Juneide, osia Lecce trasfurmatu, culle laudi de lu Juni, puema eroeco dedecatu alli signori curiosi, (di autore ignoto, fu scritto non prima del 1768; il poemetto prende il titolo da lu Juni , soprannome di Giuseppe Romano, sindaco di Lecce nel biennio 1768-69).  Poesie delle Accademie oriatane (1781-83). Questi ultimi tre documenti stanno in 'Ottocento poetico dialettale salentino', Galatina 1954. I circa 1.200 proverbi riportati nel Dizionario provengono e dalla viva voce del popolo leccese e dalle seguenti raccolte:  A.C. CASETTI, Un gruzzolo di proverbi leccesi, Lecce 1873.  C. DE CARLO, Proverbi dialettali del Leccese illustrati e commentati, voll. 2, Trani 1907.  E. BARBA: Proverbi e motti del dialetto gallipolino, Gallipoli 1902, (ne sono stati estratti quelli in uso anche nel Leccese e trascritti con grafia accomodata). Molti altri proverbi sono stati rinvenuti sparsi tra le pagine dei testi dialettali letti e consultati. Fonti antologiche A riprova dell'uso di parole particolari, oltre che per motivi antologici, sono stati trascritti versi dei seguenti autori autenticamente leccesi: IX  FRANCESCANTONIO D'AMELIO (Lecce 1775-1861), Puesei a lingua leccese de lu Frangiscantoni D'Amelio de Lecce dedecate a Soa Ccellenza D. Carlo Ungaro de Montejasi, Lecce, Stamperia de la Ntendenza 1832.  GIUSEPPE DE DOMINICIS - CAPITANO BLACK (Cavallino 1869-1905), Poesie, a cura di Francesco D'Elia, Lecce I926.  FRANCESCO MARANGI (Lecce 1864-I939), Lu pettaci (versi in dialetto leccese), Lecce 1889.  OBERDAN LEONE, Intermezzu - Fiuri de serra, Lecce 19O3 - Menze tinte, Lecce 1922.  ENRICO BOZZI (Lecce 1873-1934), Fogghe mmedhate, Lecce 1905 - Poesie in dialetto leccese ed in... pulito, Lecce 1922. Nei brani poetici citati è stata rispettata la grafia usata da questi autori, eccezion fatta per i vari e diversi segni del suono cacuminale, i quali sono stati uniformati nella doppia -δδ-, e per la segnalazione della pronunzia dolce e blesa del suono sibilante schiacciato semplice del nesso sç- (di tipo napoletano). Moltissimi altri brandelli di composizioni poetiche sono stati tratti dai canti popolari leccesi, di cui alcuni sono di mia antica conoscenza, parecchi mi sono stati dettati a viva voce da miei vecchi concittadini; molti, infine, sono stati ricavati dalla raccolta di A. CASETTI - V. IMBRIANI, Canti popolari delle province meridionali, Torino 1871.1 Lessici e vocabolari Ritengo utile segnalare le opere lessicografiche leccesi, che hanno preceduto questo mio lavoro:  MARTINO MARINOSCI (Martina Franca), Flora salentina, Lecce 1870, voll. 2; (al termine scientifico latino corrisponde la voce italiana, cui segue una particolareggiata descrizione della pianta; frequentemente accanto al nome italiano viene segnalata la parola popolare leccese).  GIUSEPPE COSTA (Lecce), Fauna salentina, ossia enumerazione di tutti gli animali che trovansi nelle diverse contrade della Provincia di Terra d'Otranto e nelle acque de' due mari che la bagnano, Lecce 1871; (sono registrati e descritti in italiano gli animali domestici e selvatici, e di alcuni è riportato per inciso il nome dialettale leccese).  RAFFAELE DE MARIA (Lecce), Vocabolarietto leccese-italiano distribuito per arti e mestieri, Lecce 1874, pp. 32; (è un elenco, peraltro incompiuto, di circa 25O voci dialettali con a fronte i termini italiani relativi ai mestieri del falegname, del calzolaio e del conciatore di pelli).  A. BERNARDINI-MARZOLLA (Monteroni), Saggio di un vocabolario domestico del dialetto leccese con i vocaboli italiani corrispondenti, Lecce 1889; (in 97 pagine sono raccolti non più di 1.800 voci familiari leccesi riguardanti la casa e le suppellettili, l'uomo e le sue necessità e le sue malattie, gli animali e le piante, alcuni mestieri e le comuni attività agricole).  GIUSTINIANO GORGONI (Galatina), Vocabolario agronomico con la scelta di voci di arti e mestieri attinenti all'agricoltura e col raffronto delle parole e dei modi di dire del dialetto della provincia di Lecce, Lecce 1891; (la ricerca spazia in campo nazionale; di ogni termine agrario viene spiegato minutamente il significato e ad esso sono riferite le relative operazioni agrarie. E' presente l'intento di divulgazione didattica; alla fine, ma non sempre purtroppo, viene indicato il corrispondente termine leccese).  ANTONIO LONGO (Guagnano), Primo contributo alla conoscenza scientifica dei termini dialettali, usati nel Leccese, per indicare le piante indigene spontanee e coltivate ed i prodotti più usati derivati da piante esotiche, Bologna 1931, pp. 75; (manualetto contenente circa 450 voci dialettali dei vegetali con a fronte i corrispondenti nomi scientifici latini; raramente viene indicato anche il termine italiano). X

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