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Discorsi sulle scienze e sulle arti PDF

215 Pages·2013·1 MB·Italian
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Il Discorso sulle scienze... fu l’opera che rese celebre Rousseau. Nato in risposta al quesito se il progresso avesse contribuito a migliorare i costumi, il testo risponde, paradossalmente, in modo negativo. Si sostiene infatti che lo sviluppo culturale ha generato una corruzione dei costumi, formulando nel contempo un giudizio molto duro verso la contemporaneità. Il Discorso sull’origine... ripercorre la storia delle diseguaglianze fino al loro esito finale, il dispotismo, tracciando nel contempo un affresco grandioso del progresso dell’uomo dalla naturale ferinità allo stato civile, che implica anche la perdita dell’equilibrio originario del singolo coi suoi simili. Jean-Jacques Rousseau (1712 – 1778) nacque a Ginevra nel 1712 da padre orologiaio. Curioso e molto acuto, il giovane Rousseau riuscì a farsi strada grazie all’appoggio di Madame de Warens, una dama svizzera al servizio del re di Sardegna, fino ad approdare a Parigi e a incontrare gli Enciclopedisti. Nel 1757 si fermò a Montmorency, dove scrisse Giulia o La Nuova Eloisa (1761), il Contratto sociale (1762) e l’Émile (1762). Tutte le sue opere furono condannate e questo lo costrinse a cercare protezione in Svizzera e in Inghilterra. Morì a Ermenonville nel 1778, dopo aver scritto le sue Confessioni. Un mese prima era morto Voltaire. Jean-Jacques Rousseau DISCORSI SULLE SCIENZE E SULLE ARTI SULL’ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA FRA GLI UOMINI Introduzione e note di Luigi Luporini Traduzione di Rodolfo Mondolfo CLASSICI DEL PENSIERO Proprietà letteraria riservata © 1997 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A., Milano © 2007 RCS Libri S.p.A., Milano eISBN 978-88-58-65633-4 Prima edizione digitale 2013 da quinta edizione BUR Classici del Pensiero dicembre 2009 Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. INTRODUZIONE 1 - Il 10 luglio 1750 l’accademia di Digione aggiudicò il premio di morale che aveva messo a concorso per quell’anno. Si trattava di scegliere la migliore risposta pervenuta sul quesito «se il rinascimento delle scienze e delle arti abbia contribuito alla purificazione dei costumi» e, fra quattordici concorrenti, fu proclamato vincitore il discorso registrato sotto il motto decipimur specie recti.1 L’accademia, e per la sua recente istituzione (1740) e anche forse perché tiepidamente sostenuta dall’élite politico-culturale della Borgogna che di lì a poco (1752) avrebbe dato vita a una concorrente société riunita attorno al presidente Ruffey, non godeva in quell’epoca di particolare prestigio.2 Il vincitore, il trentottenne Jean-Jacques Rousseau di Ginevra, era per parte sua uno sconosciuto praticamente esordiente che, oltre a qualche mediocre composizione in versi, aveva dato alle stampe soltanto una Dissertation sur la musique moderne (1743), dove proponeva un nuovo sistema di annotazione musicale nel quale aveva riposto le proprie speranze di notorietà ma che non ottenne il successo sperato. L’assegnazione del premio a un’opera che con tanta eloquenza rispondeva negativamente al quesito proposto rese di colpo celebri tanto l’autore che l’accademia. Alla pubblicazione del Discorso3 gran parte dell’opinione pubblica rimase infatti urtata nel vedervi affermato, contro le proprie convinzioni, che al progredire della cultura corrispondeva non una purificazione bensì una degenerazione dei costumi e sospettò di trovarsi di fronte al paradosso di un eloquente autore che con altrettanta efficacia avrebbe potuto sostenere anche l’opinione contraria. Pure il comportamento dell’accademia fu messo in discussione: a non pochi apparve cosa singolare il fatto che un tale punto di vista venisse premiato da un ente istituzionalmente preposto alla diffusione e all’approfondimento della cultura, i giudici furono tacciati di ingenuità e si insinuò che essi si fossero lasciati sedurre dall’indubbia eloquenza dell’autore. Ma la scelta dell’accademia era stata consapevole e corrispondeva a un preciso orientamento dei suoi membri. Nonostante una netta maggioranza di risposte positive al proprio quesito, essa attribuì all’opinione minoritaria tanto il premio che la prima menzione onorevole. E, nel conferire la seconda menzione onorevole alla risposta affermativa del canonico Talbert di Besançon, essa preveniva in qualche modo l’obbiezione che le venne poi effettivamente rivolta dichiarando: «Se l’accademia avesse consultato unicamente la propria inclinazione e il proprio zelo per le lettere si sarebbe schierata nel partito del signor Talbert; ma avrebbe tradito quello della verità». Non tutte le argomentazioni del premiato, d’altra parte, convincevano l’accademia. Essa prese significativamente le distanze su due punti: affermava infatti di non potere adottare né «massime politiche che non ci sono affatto utili» (come a dire che il repubblicanesimo del ginevrino Rousseau non era certo cosa per i francesi) né l’opinione che «le scoperte di fisici e geometri non contribuiscono in nulla al governo dello stato e alla purezza dei costumi». Tuttavia l’autore «ha solidamente dimostrato» la propria tesi e «l’accademia ha creduto dover conferire il premio alla dimostrazione di una questione di fatto la cui verità non si può negare senza tacciar di falso l’esperienza».4 Ma tali spiegazioni dell’accademia passarono inosservate nel dibattito suscitato dallo scritto di Rousseau. Il vincitore, per parte sua, è ben conscio di esprimere una opinione del tutto contraria al modo di sentire prevalente nella propria epoca. Anzi è proprio lui, al momento della pubblicazione del Discorso, a richiamare energicamente l’attenzione su questo suo muoversi controcorrente. «Barbarus hic ego sum quia non intelligor illis»: così recita, non senza enfasi, ma con indubbia efficacia, il motto sul frontespizio. Nella breve Prefazione poi Rousseau, pur prendendo atto dell’approvazione di «qualche saggio», dichiara di attendere per la propria opera «il biasimo universale» del pubblico e «di non curarsi di piacere ai begli spiriti né alla gente alla moda». Dietro a queste rivendicazioni di estraneità all’ambiente culturale circostante sta la vicenda personale di Rousseau. Rispondere al quesito dell’accademia di Digione significa infatti dover riaffrontare i termini antagonistici di un conflitto per lui non nuovo: che cosa scegliere fra la fierezza repubblicana, retaggio ormai alquanto mitizzato dell’infanzia e dell’adolescenza vissute in quella Ginevra che aveva abbandonato sedicenne, e la raffinata politesse francese con la quale era successivamente entrato in contatto? Fino ad allora, per lunghi anni, egli aveva tentato di integrarsi nel mondo culturale del paese che l’ospitava, di conformarsi ai suoi valori e alle sue regole. Non aveva avuto successo: timido e maldestro non riusciva a vincere il proprio disagio nel frequentare ambienti che privilegiavano gli spiriti brillanti. Col Discorso Rousseau capovolge tale scelta: rivendica la sua origine ginevrina (si ricordi tuttavia che, in questo momento, non godeva del diritto di proclamarsi cittadino che aveva perduto con la conversione al cattolicesimo), dichiara la propria estraneità a quel mondo raffinato, ne mostra con una critica aspra tutta l’artificiosità. Il successo del Discorso segna per l’autore l’inizio di una fulgida carriera. Tuttavia Rousseau, ricordando anni dopo questo momento nelle opere autobiografiche; insisterà a più riprese sulla casualità della vicenda5 che lo lanciò in una carriera a cui più non pensava. Per quanto è dato comprendere dalle non copiose testimonianze coeve non si tratta soltanto di una ricostruzione retrospettiva. Nel gennaio 1750, nel periodo appunto in cui sta componendo il suo primo Discorso, egli dichiara infatti a Voltaire di aver «rinunciato alle lettere e alle fantasie di farsi una reputazione» poiché, «disperando di arrivarvi come voi a forza di genio, ho disdegnato di tentare di giungervi come il volgo a forza di intrighi».6 Qualche mese più tardi, alla fine di luglio, Rousseau, nell’acconsentire all’insistente richiesta del direttore del Mercure, l’abbé Raynal, di poter pubblicare qualcosa del vincitore del concorso di Digione, precisa tuttavia di non essere per nulla tentato dalla «reputazione di autore mediocre, la sola alla quale potrei aspirare» e di preferire quella «oscurità che conviene sia ai miei talenti che al mio carattere e dove voi dovreste lasciarmi per l’onore del vostro giornale».7 Non è una civetteria occasionale: l’affermazione di voler restare nell’oscurità, non sentendosi dotato di un ingegno tale da poter aspirare alla gloria, si trova infatti già a chiusura del Discorso. Queste dunque le intenzioni, ma le cose vanno diversamente. Lo scritto del «barbaro» ha successo e l’opinione pubblica riconosce in lui un interlocutore. Rousseau, a sua volta, si sente impegnato a vivere in modo coerente col suo libro e rompe perciò con le convenzioni mondane: adotta un vestiario sobrio, vende l’orologio, si licenzia dall’impiego presso la famiglia Francueil, deciso a non dipendere più da nessuno e a guadagnarsi la vita come copista di musica. Ma non rientra nell’ombra. La sua attività è anzi particolarmente intensa. Fra il 1751 e il 1753 vedono la luce cinque risposte in difesa del Discorso, un intermezzo in musica rappresentato con buon successo (il Devin du village, 1752), un atto unico scritto in epoca precedente, il Narcisse, che, nonostante una accoglienza men che mediocre alla Comédie française, Rousseau ora pubblica arricchito da una importante Prefazione (gennaio 1753). È inoltre uno dei protagonisti, con la Lettre sur la musique française (1753) dell’accesa querelle che oppone i sostenitori della musica italiana (fra i quali gli enciclopedisti ed egli stesso) a quelli della musica francese. È un’attività intensa e varia. Talvolta persino imbarazzante per l’austero critico delle arti (e Rousseau si giustificherà a lungo nella Prefazione al Narciso per aver scritto una commedia). Ma, soprattutto, la personalità intellettuale di Rousseau appare ancora non definitivamente delineata: è un uomo di pensiero o, in modo prevalente, un cultore di musica? (Non si dimentichi che egli è anche il redattore delle voci musicali dell’Encyclopédie, della quale vengono pubblicati, proprio in questi anni, fra non poche polemiche, i primi volumi.) Sarà il bando per il successivo premio di morale dell’accademia di Digione (vi era infatti una rotazione

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