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DIRITTO E NARRAZIONI Temi di diritto, letteratura e altre arti PDF

345 Pages·2011·2.09 MB·Italian
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ISLL Italian Society for Law and Literature DOSSIER DIRITTO E NARRAZIONI Temi di diritto, letteratura e altre arti Atti del secondo convegno nazionale Bologna 3-4 Giugno 2010 A cura di M. Paola Mittica © ISLL - ITALIAN SOCIETY FOR LAW AND LITERATURE ISSN 2035 - 553X INDICE Nel segno di una cultura della responsabilità 5 Introduzione di M. Paola Mittica When Words Lose Their Meaning 23 di James Boyd White Diritto, cultura, letteratura: una proposta di analisi narrativa 41 di Flora Di Donato Nuovi simboli del diritto? 61 di Anna Maria Campanale La terza E: epistemologia, ermeneutica, estetica giuridica 73 In appendice: il caso del cinema di Paolo Heritier Polemiche editoriali per la “consolidazione” napoletana 101 di Raffaele Ruggiero Diritto e musica: performance e improvvisazione 111 nell’interpretazione e nel ragionamento giuridico di Valerio Nitrato Izzo La riflessività giuridica. Ancora su Alice e il Mondo dello 127 Specchio di Francesca Scamardella Ermeneuti, visionari, circospetti: la “Quarta Via” alla robotica 139 tra diritto e letteratura di Ugo Pagallo La comunità nuda. Desiderio, colpa e redenzione in Dogville di 155 Lars von Trier di Cristiano Maria Bellei Il terribile giudizio. Rileggendo Salvatore Satta 183 di Anna Jellamo Amleto e la giustizia 205 di Giuseppina Restivo «Niente va come deve; vorremmo e non vorremmo». La 225 giustizia imperfetta di Measure for Measure di Roberta Linciano Diritto e letteratura in una commedia inedita di Andrea Alciato: 237 il «Philargyrus» di Giovanni Rossi La disputa giuridica fra i convitati nel “palazzotto di don 271 Rodrigo”: le “verità del diritto” ne I Promessi Sposi di A. Manzoni di Vittorio Capuzza I paradossi del diritto e del potere in Salò o le 120 giornate di 281 Sodoma di Pasolini di F. Giuseppe Racanelli Dinosauro eccellentissimo: figure dell'antidiritto nella 291 letteratura portoghese di Donato Carusi Dostoevskji e il giorno del giudizio 301 di Carlo Rossetti Cooperazione e traduzione: dalla letteratura al diritto 313 di Alberto Vespaziani La forma impertinente: una riflessione sui rapporti tra arte 325 contemporanea e diritto d’autore di Giorgio Spedicato Autori e Autrici 343 NEL SEGNO DI UNA CULTURA DELLA RESPONSABILITÀ Introduzione di M. Paola Mittica Il presente volume raccoglie i contributi del secondo convegno nazionale della Italian Society for Law and Literature (ISLL) “Diritto e narrazioni. Temi di diritto, letteratura e altre arti” che si è svolto a Bologna il 3 e il 4 giugno del 2010. Il campo tematico proposto, volutamente a “maglie larghe”, completa l’esperienza del primo convegno annuale della società (Faralli-Mittica 2010), ampliando le connessioni del diritto con la letteratura e le altre arti, fino a contemplare un contributo sulla tutela del diritto d’autore che è un ulteriore versante di questi studi, sebbene segua com’è noto un percorso autonomo. Si conclude quindi una prima fase del progetto della ISLL, veicolata dall’esigenza di effettuare una ricognizione degli studi italiani di Diritto e letteratura, e diretta a fare il punto sulle metodologie che si intersecano tra le diverse prospettive disciplinari interessate dall’approccio; a testare le finalità e le funzioni che gli studiosi vi individuano; a focalizzare i temi che maggiormente ricorrono nelle sensibilità di coloro che vi si cimentano; con l’ambizione in definitiva di confrontarsi in seno alla ISLL su questo strumento e comprendere che cosa ci muove e cosa ci aspettiamo da esso. 1. La lezione di James Boyd White Il convegno ha preso avvio dalla lectio magistralis di James Boyd White, invitato a presentare la traduzione italiana di When Words Lose Their Meaning, ormai un classico per gli studi di Law and Literature, meritoriamente introdotto da Barbara Pozzo e pubblicato da Giuffrè. È questo un saggio fondamentale sotto molteplici punti di vista e, sebbene nell’economia della lectio White non abbia potuto restituire tutte le sfaccettature della sua riflessione anche più recente, i temi proposti si sono manifestati in tutta la loro attualità. 5 Quando le parole perdono il loro significato introduce un metodo. White identifica qualunque testo culturale prima di tutto come prodotto del linguaggio, fissando nel linguaggio la dimensione fondamentale del vivere comune. Nel mondo della vita quotidiana, ogni testo fornisce modi ed elementi per convenire e fissare significati. Per cui, seppure è doveroso leggere con i dovuti accorgimenti da “addetti ai lavori” i diversi testi, è altrettanto opportuno per White sporgersi fuori dall’accademia e interrogarli su quello che hanno da dire circa il nostro modo di costruire significati comuni, contestualizzandoli al momento in cui li si legge, poiché l’obiettivo è comprendere come questi incidano nella creazione e riproduzione di significato nel contesto “linguistico” della nostra esperienza relazionale. Ed è necessario soprattutto distanziarsi dal pensiero del formalismo giuridico, per riuscire a “vedere” il diritto come uno tra altri sistemi di azione – fatto di testi e atti discorsivi – attraverso cui si pattuiscono e stabilizzano significati nel corso dell’incessante processo costitutivo di una comunità. L’autore lo esemplifica come un modo per leggere: “un modo, cioè, di impegnare la mente sopra un testo, traendo insegnamenti da esso; ciò influenzerà il lettore sia quando questi si troverà a confrontarsi con altri testi, compresi quelli di cui è autore, sia quando, invece, dovrà relazionarsi ad altre persone” (White 2010, 16). Il fine è recuperare, in sintesi, la consapevolezza che la nostra vita in comune è frutto di un “agire con le parole” e di individuare criticamente le potenzialità e i limiti dell’uso del linguaggio rispetto alla ricaduta di questi atti discorsivi al livello della comunità. Da una parte, dunque, la retorica è per White un’arte che, dentro e fuori le stanze dei tribunali, deve tradursi in performances dirette a influire nel processo di definizione della comunità nella prospettiva della realizzazione della giustizia (“the object of rhetoric is justice: the constitution of social world”, Id. 1984, IX); e secondo un concetto di giustizia che esula dai formalismi giurisprudenziali accogliendone il senso più “comune”, o forse originario e “indicibile” (Constable 2005), il quale riporta la giustizia nell’alveo della scommessa più radicale della convivenza politica che è la sua esistenza stessa. Dall’altra parte, considerata la particolare performatività della legge, questo modo per leggere risponde alla necessità in particolare di formare giuristi consapevoli delle potenzialità ma anche dei pericoli che riserva l’uso del linguaggio giuridico. I due ordini di domande attraverso cui White decide di interrogare i testi – emerse alla sua attenzione dalle stesse opere prese in analisi – delineano fondamentalmente due questioni: a) la relazione dello scrittore con il suo linguaggio; b) la relazione tra scrittore e lettore e la creazione di una comunità nel linguaggio. Si tratta di questioni estensibili a tutti i testi. Va da sé che White sperimenti questa way of reading su opere di vario genere – epica (Iliade), storia (Tucidide), filosofia (Platone), narrativa (Swift, Austin, Johnson), filosofia della storia (Burke), diritto (testi costituzionali americani) – che egli 6 accomuna attraverso la propria esperienza di lettore, sottolineando, nel riferirci di questa esperienza al convegno, come la stessa abbia risvolti del tutto soggettivi e come gli stessi debbano emergere a una consapevolezza critica. La lettura che White propone è dunque soltanto un modo di leggere: “What I am describing is a certain way of paying attention. For me this way of reading opened up the meaning of a range of texts in a new way, including legal texts; it also established connections among them, so that I could see law, and philosophy, and history, and literature, with all their obvious differences, really as different versions of the same thing.” (in questo volume, 27). Altrettanto soggettiva è la scelta di opere guidata da interessi scientifici, curiosità, sensibilità culturale e sentimentale del tutto personali. La riflessione che accompagna il modo di leggere indicato da White restituisce così la relazione tra un testo e il suo lettore a una complessità che non è destinata ad essere mai del tutto decifrabile, avvertendo dunque (e non si finisce di averne bisogno) delle cautele con cui è necessario vivere in questa dialettica, assumendo consapevolmente valori e visioni del mondo che si tradurranno nel nostro discorrere creativo. Il libro, che esce nel 1984, consolida l’esperienza del precedente The Legal Imagination (1973), collocando la rinascita degli studi di Law and Literature negli Stati Uniti in un contesto culturale animato dalle acquisizioni dell’ermeneutica e delle scienze sociali che si affermano nella seconda parte del Novecento, terreno fertile questo, come sappiamo, per i movimenti legati ai Cultural Legal Studies. Il dibattito scientifico e accademico di quegli anni riecheggia in ogni considerazione di White. A maggior ragione, quindi, non va sottovalutata la sua scelta di comunicare il proprio lavoro tentando di superare i canali squisitamente specialistici dell’accademia, con l’obiettivo di renderlo trasversale ai diversi saperi e accessibile anche a un comune lettore, fornendo un prezioso apporto alla costruzione della visione del movimento di L&L. Come tutte le opere importanti, anche in questo caso, abbiamo davanti un testo che continua a offrirci delle provocazioni che si attualizzano in gran parte dei contributi forniti al convegno, sia di carattere teorico metodologico, sia nel merito di cosa si debba intendere per “creazione di una comunità più giusta”. 2. Quali “parole” costruiscono la realtà relazionale? La prima questione che ci pone When Word Lose Their Meaning è nel merito dell’antropologia della teoria di White, nella parte che osserva il linguaggio come principale agente del continuo processo di creazione di una comunità. Sul coté più sociologico dell’analisi degli effetti creativi di azioni discorsive (giuridiche e non) nella realtà relazionale, interviene il saggio di 7 Flora Di Donato (Diritto, cultura, letteratura: una proposta di analisi narrativa), che sviluppa la sua riflessione attraverso le più recenti acquisizioni della teoria narrativa, con particolare attenzione per la psicologia sociale. Si potrebbe parlare, in questa prospettiva, di “costruttivismo in azione”, dice l’A., basato sull’idea che la gente comune abbia un ruolo centrale nel creare rappresentazioni possibili del mondo così come nel costruire significati legali, tant’è che l’analisi delle narrazioni diventa particolarmente decisiva quando le interazioni comunicative incidono su un rapporto conflittuale coinvolto anche in una traduzione processuale. E Di Donato lo dimostra, analizzando un caso empirico di licenziamento dove i fini e le azioni dei diversi attori coinvolti, dentro e fuori dal tribunale, si intrecciano nelle loro narrazioni, con una forte ricaduta nella storia e nella vicenda giuridica del protagonista principale. Si muove, quindi, Di Donato, sullo stesso terreno di White, ma osserva l’uso del linguaggio nel contesto empirico dell’interazione sociale, occupandosi delle “storie comuni” (Jedlowski 2000). I testi qui in gioco sono “trame” del con-testo di una vita quotidiana che viene ri-creata costantemente, dove si intrecciano saperi e competenze di varia natura e la cultura assume valenza esclusivamente antropologica. In tutto ciò, non si trascura il fatto che si faccia ricorso alla letteratura così come ad altri testi che risultano significativi per interpretare la vita, come del resto accade alla vittima del dramma esaminato, il quale ricorre a Il Processo di Kafka per denotare l’assurdità della situazione e all’Autrice che utilizza a sua volta il romanzo per analizzare gli aspetti più sfumati della vicenda. Così facendo, secondo un’interpretazione di cultura molto prossima a quella di Geertz (1973), Di Donato apre il versante della ricerca a qualunque testo che eserciti la propria influenza su un lettore in vista dell’orientamento e della formulazione discorsiva delle proprie azioni. 3. Il linguaggio, quale dimensione “creativa” del vivere comune, può essere limitato ai testi verbali? Impossibile non chiedersi, proprio sulla scorta di queste considerazioni sul linguaggio in rapporto alla costruzione della realtà relazionale, se sia opportuno, ai fini di una compiuta analisi del nostro universo culturale, limitarsi a considerare il linguaggio verbale. La domanda è retorica. Nel suo contributo, Anna Maria Campanale (Nuovi simboli del diritto?) ci dimostra l’importanza di investigare i simboli e l’impiego che se ne fa. Più delle parole i simboli conservano “quell’eccedenza di senso che sola può accogliere l’ambivalenza (o plurivalenza) dei significati ai quali i simboli […] alludono”. E ancora: “noi ricorriamo costantemente all’uso di termini simbolici per rappresentare concetti che ci è impossibile definire o comprendere completamente” (in questo volume, 61). 8 Il riferimento a Jung accoglie evidentemente la tesi che i simboli esprimono gli archetipi, intraducibili come tali in tutta la loro complessità attraverso altri linguaggi. La giustizia, radice e cuore del diritto, è in tal senso il terreno di analisi per eccellenza. Campanale si chiede se i tre tradizionali attributi della giustizia – bilancia, spada e benda – veicolino ancora l’archetipo che custodisce il bisogno di giustizia dell’uomo. La domanda si innesta su un interrogativo più radicale, ovvero sulla capacità dell’uomo occidentale del nostro tempo di generare e produrre simboli: una capacità messa a rischio dalla razionalità imperante che contrae la polivocità caratteristica dei simboli nell’univocità tipica dei segni. La risposta dell’A. converge con quella di Henderson quando afferma che “la mente inconscia dell’uomo moderno conserva tuttora la capacità simboleggiatrice che chiede di esprimersi anche attraverso nuove forme”, ma soprattutto conclude con Corradini che “ciascun archetipo dell’inconscio […] è pronto a intervenire se lo sollecitiamo a intervenire” (in questo volume, 67 n.). Oltre a osservare alcuni nuovi simboli del diritto, Campanale chiude proprio su questa sollecitazione, figurando una nuova giustizia: con la bilancia, ma non dal tratto mercantile; senza benda, a significare una vista acuta e penetrante; col ginocchio scoperto, infine, perché clemente. L’A. dimostra, quindi, non soltanto come la giuridicità si manifesti in tutte le sue valenze attraverso un linguaggio che va oltre le parole, ma anche come l’analisi dei simboli possa “dirci” e “farci dire” altro. In tal senso offre un contributo a quell’arte del discorrere, di cui dice White, che ha per oggetto la giustizia: maturare la consapevolezza della pregnanza dei simboli, imparare a comprenderli e a utilizzarli, diventa fondamentale nel processo di edificazione continua del progetto comunitario. Certo è che se i simboli trovano per lo più espressione figurativa, diventa necessario sviluppare competenze adeguate anche per la lettura di testi iconografici. Su questo punto (ma non soltanto) interviene Paolo Heritier (La terza E: epistemologia, ermeneutica, estetica giuridica. In appendice: il caso del cinema), il quale si occupa di precisare teoricamente e metodologicamente i termini della corrispondenza normativa tra testo e immagine. L’obiettivo finale è discutere sulla configurabilità di un’estetica giuridica. Heritier avvia il proprio ragionamento richiamando la lezione di Légendre, storico del diritto canonico e psicoanalista, il quale, condividendo il presupposto freudiano e junghiano della rilevanza dei simboli e dei loro emblemi nel corso della storia umana, su questa premessa sviluppa le sue tesi sulla normatività dei testi. Nel ricostruire la storia del diritto occidentale, Legendre mostra infatti come “accanto alla dimensione testuale propria della norma giuridica, sia sempre stata presente una dimensione mitica e fondativa, iconica, concernente l’ambito dell’immagine e degli emblemi” (in questo volume, 81). 9 Dopo aver ripercorso la riflessione sull’estetica nella filosofia del diritto italiana, Heritier si concentra sul concetto legendriano di nomogramma, centrale nella sua visione, e sulle potenzialità di una teoria contemporanea del diritto che possa avvalersi anche della prospettiva estetica: è “compito della teoria contemporanea del diritto il circoscrivere l’ambito dei ‘nomogrammi’, intesi come forme plurali di scrittura del giuridico”. “[B]en al di là dell’idea che vi sia diritto solo laddove si dia un testo scritto e formalizzato in proposizioni linguistiche, comunicabile razionalmente mediante il logos, [per Legendre] vi è normatività anche laddove sono reperibili ‘testi’ – in un’accezione assai estesa della nozione – iconici (cinema, pittura), o riferibili alla dimensione spaziale e corporale (scultura, danza) o culturale (riti e miti).” (in questo volume, 90) Il nesso è nella normatività strutturale di questi testi, che a un’attenta analisi si svelano quali dispositivi che veicolano credenze: sono le forme che si occupano della modellistica sociale, e vanno dunque adeguatamente osservate nel contesto attuale di un mutamento dei costumi sempre più affidato alle immagini e ai messaggi meno espliciti a cui questi stessi rimandano. La normatività di cui si fa portatore il nomogramma si nutre d’altra parte anche di quelle componenti non esprimibili attraverso i codici della razionalità, avendo il compito specifico di dare stabilità al “magmatico immaginario mediante il quale si elaborano le regole della convivenza sociale e dal quale trae origine anche la stessa pluralità delle culture”. Entrare in queste maglie ci consente in definitiva di comprendere i meccanismi attraverso cui si struttura il senso, ma si veicolano anche le componenti più irrazionali dell’essere umano e sociale, restituendoci una maggiore competenza per svolgere un’osservazione critica dei mutamenti in atto della società e del diritto. La bontà del modello viene esemplificata da Heritier prendendo a mo’ di esempio il cinema. In modo ancora più diretto si dà quindi l’occasione di specificare che la rilevanza giuridica di un film (come di un qualunque altro “testo”) non va cercata nell’oggetto superficiale di una trama, ma nella tessitura normativa che il film compie della realtà. Non si tratta dunque di analizzare i temi giuridici che sono rappresentati nell’opera, ma di valutare la giuridicità dell’opera in sé. Tra tutti, Heritier menziona Lars von Trier proprio per il rilievo che questo regista ha dato alla “dogmaticità” delle regole che definiscono il cinema. 4. L’analisi di testi differenti e le ricadute sul diritto Una volta assodato che i testi che sono di interesse nella creazione della realtà comune vanno individuati non sulla base della specificità di un genere culturale, ma rispetto al proprio portato di normatività, è fondamentale comprendere come condurre questo tipo di analisi e che tipo di esiti può fornire. Il discorso si riallaccia evidentemente al concetto di “testo agìto” che viene 10

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