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Diario di una schizofrenica PDF

148 Pages·2000·5.762 MB·Italian
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s G I U fjfU S *** T PRESENTAZIONE DI CESARE L. MUSATTI GIUNTI Diario di una schizofrenica riferisce l'espe­ rienza vissuta dal malato e mostra tutto ciò che si mascherava dietro le manifestazioni e i sintomi della schizofrenia. Questo libro costituisce un duplice documento. Un documento scientifico, giacché è lo descri­ zione del decorso e dello curo di uno grave malattia mentale: l'apparizione progressiva dei successivi sintomi, le fasi di parziale remissione, le tappe della fatico­ sa normalizzazione, raggiunta attraverso un procedimento psicoterapeutico origina­ le di grande importanza sia teorica che pratica. Ma anche un documento umano: la descrizione dello malattia è infatti opero dell'ammalara stesso, Renée, che la racconta come una propria drammatica vicenda spirituale. Si scopre così una vita sentimentale che le apparenze erano ben lontane dal far supporre e che è estrema­ mente ricca d'insegnamenti. S A G G I G I U N T I Marguerite A. Sechehaye DIARIO DI UNA SCHIZOFRENICA Presentazione di: Cesare L Musatti GIUNTI Traduzione di Cecilia Bellingardi Titolo originale: Journal d’une schizophrène ©P.U.F. -Paris ISBN 88-09-01638-6 © 1955,2000 Giunti Gruppo Editoriale, Firenze Presentazione Questo libro costituisce un duplice documento. Un documento scientifico, di inestimabile interesse per gli psichiatri, gli psicoanalisti e gli psicologi, giacché è la descrizione del decorso e della cura di una grave malattia mentale: l'apparizione progressiva dei succes­ sivi sintomi, le fasi di parziale remissione, le tappe della faticosa norma­ lizzazione, raggiunta attraverso un procedimento psicoterapeutico origi­ nale di grande importanza sia teorica che pratica. Ma anche un documento umano; la descrizione della malattia è infatti opera dell'ammalata stessa, Renée, che racconta la malattia come una propria drammatica vicenda spirituale, con un'efficacia descrittiva che difficilmente si riscontra anche in scritti autobiografici i quali abbiano esplicite pretese letterarie. Il libro appare sotto il nome della signora Marguerite Sechehaye una eminente psicoanalista di Ginevra, che ha curato il caso elaborando essa stessa una nuova tecnica terapeutica, e sviluppando sulla base di questo caso un complesso di punti di vista teoretici, alcuni dei quali sono esposti anche qui, nella seconda parte del libro dedicata appunto all'Interpreta­ zione. Ma in realtà il libro è stato scritto in collaborazione dalla signora Sechehaye e dalla paziente Renée; la prima e più ampia parte, che s'intitola Auto-osservazione - salvo poche frasi d'introduzione e di commento - è infatti tutta di pugno della paziente: la quale, una volta guarita, rievoca in forma semplice e piana la propria storia. Questa storia non soltanto è accessibile sul piano intellettuale anche a chi sia privo di ogni nozione di psicopatologia, ma trova un'immediata rispondenza nell'animo del lettore, che riesce a riviverla in tutta la sua paurosa e dolorosa realtà. Questo fatto pone un problema e suggerisce alcune considerazioni. Il problema è quello dell'intelligibilità della malattia mentale, o della schizofrenia, che è la forma specifica da cui Renée è stata colpita. 5 PRESENTAZIONE Ciò che sembrerebbe caratterizzare il mondo interiore della malattia mentale, della psicosi, e in modo specifico della schizofrenia, è la sua incomprensibilità per l'uomo normale: l'alienazione, e cioè il fatto che l'ammalato diventa altro, e sembra non più appartenere alla comunità degli uomini. Anche Renée è stata al di là dei confini dell'umana comu­ nicazione e comprensibilità. Ma quando guarisce e giunge, come essa dice, a «sistemarsi definitivamente nella bella realtà» (che è poi quella realtà a tutti comune che garantisce appunto le comunicazioni fra gli uomini), essa riesce a rendere comunicabili anche le sue esperienze di malata. Vi sono dunque anche nell'individuo normale elementi interiori suscettibili di risuonare alle descrizioni che Renée ci fa: una parte di noi stessi alla quale il mondo dello schizofrenico non è totalmente estraneo, tutto un insieme di nostre esperienze che noi stessi ignoriamo e che sono tuttavia in certo modo riattivate dalle descrizioni che qui ci vengono offerte. Proprio questa riattivazione ci consente di appropriarci della storia di Renée e in qualche modo di riviverla. Ma questo in sostanza è quanto ci accade sempre di fronte a qualsiasi opera d'arte. La possibilità che l'arte ci offre di intendere, e di rivivere, situazioni che sono fondamentalmente lontane ed estranee alla nostra esistenza (anche se di un'estraneità meno radicale di quella della vita interiore di un ammalato mentale) non si comprenderebbe infatti se non si ammettesse che il linguaggio artistico parla ad una parte di noi che ignoriamo. E l'ingenua impressione che talora abbiamo di fronte ad un'opera di poesia - il senso cioè di aver sempre saputo quello che quest’opera dice, per cui noi stessi dunque, sol che avessimo voluto, avremmo potuto descrivere le stesse impressioni ed immaginare le stesse situazioni, tanto che lo scrittore sembra averci semplicemente preceduti nel convertire in parole cose che sono anche nostre - ha il suo fondamento di verità proprio nel fatto che noi disponiamo di un patrimonio di esperienze assai più ampio di quello che abitualmente ci riconosciamo: patrimonio di esperienze nostre che l'arte è capace di rivelare a noi stessi. Possiamo dunque intendere e rivivere la storia di Renée: da un lato perché la barriera che divideva Renée ammalata dagli uomini normali era tale solo in apparenza, in quanto cioè gli elementi di cui era costruita la malattia mentale di Renée in qualche modo si ritrovano anche in noi; dall’altro perché Renée, senza saperlo e senza volerlo, ha scritto un’opera poetica suscettibile dunque di risvegliare elementi nascosti che sono in ognuno. Non desta perciò meraviglia il fatto che un giovane regista italiano, innamoratosi di questo libro, abbia chiesto alla signora Sechehaye di fare 6 CESARE L. MUSATTI del Diario di una schizofrenica un film: di tentare cioè di riprodurre, col proprio linguaggio artistico (quello cinematografico), questa che è già di per sé un'opera artistica. Ho avuto la possibilità di conversare a lungo con la signora Sechehaye, molto perplessa essa pure di fronte a questa proposta, sull’opportunità di una tale riduzione cinematografica. Le difficoltà tecniche sono certo notevoli. È vero che le arti figurative, come la pittura di determinate scuole, consentono di riprodurre alcune delle trasfigurazioni della realtà che Renée ci descrive: ad esempio risolarsi degli oggetti e delle stesse loro singole parti, lo svincolarsi degli oggetti dal loro significato e funzione, le modificazioni nella luminosità ambientale e nella consistenza materiale delle cose, il sovvertimento di ogni prospettiva (e leggendo le pagine scritte da Renée vien fatto spesso di riferirsi a certe modalità di espressione della pittura contemporanea); ed è anche pensabile che il cinematografo possa impadronirsi di queste modalità di espressione e utilizzarle. Ma ciò che in questo caso specifico ne risulterebbe sarebbe, credo, molto poco comprensibile per lo spetta­ tore: il quale si troverebbe di fronte ad una realtà artefatta che gli rimarrebbe estranea. Renée, o sarebbe veduta dal di fuori come la protagonista del film, e il diario non sarebbe allora più tale, ma la riproduzione obiettiva del comportamento esteriore di una qualsiasi ammalata di mente; oppure non dovrebbe mai apparire nel film, e questo dovrebbe limitarsi a riprodurre (in modo assai parziale) il mondo esteriore come Renée lo ha veduto. Ma la vicenda diverrebbe allora oscura senza un commento che parafrasasse il diario; cosicché ne uscirebbe una specie di film documen­ tario, illustrato da uno speaker invisibile, di assai dubbia efficacia arti­ stica. A prescindere dalla considerazione di queste difficoltà tecniche, confesserò che a me personalmente ripugna comunque l’idea che questa confessione venga trascritta in un linguaggio diverso da quello in cui fu espressa, giacché ho l’impressione che in ogni modo essa ne risulterebbe sciupata. Ma tanto questa mia ripugnanza, che ritengo possa essere condivisa da ogni lettore di questo libro, quanto invece l’insistenza del regista entusiasta nel voler tentare la sua impresa, danno, mi sembra, la misura del carattere di questo diario, che è veramente un’opera di poesia. Ciò andava detto in questa presentazione, perché molti lettori potran­ no limitarsi a leggere il libro in questo suo aspetto di documento umano. Non si può tuttavia naturalmente non mettere in rilievo anche l’altro aspetto, a cui più su si accennava; quello tecnicamente scientifico, di 7 descrizione del trattamento psicoanalitico di un caso di schizofrenia, veduto con gli occhi dell’ammalata stessa. Sotto tale riguardo il libro - come Fautrice avverte nell 'Introduzione - rappresenta il complemento di una precedente opera, La réalisation symbolique\ in cui è trattato teoricamente il procedimento terapeutico che è stato adoperato per questo caso. E si riallaccia anche ad un terzo lavoro più recente, Introduction a une psychothérapie des schizophrènes1 2, dedicato alla discussione generale del problema della psicoterapia delle forme schizofreniche. Fino a qualche anno fa si pensava che le forme schizofreniche non fossero accessibili ad alcuna specie di psicoterapia. Freud stesso e l’indirizzo psicoanalitico, che pur avevano combattuto la loro battaglia contro l’orientamento costituzionalistico e organicistico della psichiatria, e che avevano sostenuto che anche alla base delle malattie mentali sono rintracciabili conflitti non molto diversi da quelli che si riscontrano nelle psiconevrosi, escludevano la possibilità di un trattamento analitico della schizofrenia. E ciò in base a diverse considerazioni. La prima era questa: i meccanismi di natura psichica che agiscono in queste forme sembravano svilupparsi in virtù di un particolare terreno costituzionale ed organico, come tale non modificabile con mezzi psico­ logici (e neppure con mezzi di altra natura), e il fattore organico - a differenza di quanto accade per le nevrosi - sarebbe stato pertanto in esse assolutamente prevalente. La seconda considerazione riguardava il fatto che la regressione che si opera nella schizofrenia ha un carattere molto più radicale di quella che si produce nelle nevrosi: l’apparato psichico sembra ritornare alle primis­ sime sue fasi di sviluppo, con una conseguente perdita di contatto col mondo obiettivo. Ciò renderebbe impossibili i fenomeni di transfert affettivo. E poiché ogni forma di psicoterapia, ed in special modo la terapia analitica, si fonda sulla utilizzazione del transfert, tale terapia risulterebbe impossibile. Ogni anziano psicoanalista che abbia nel passato preso in cura qual­ cuna di quelle forme patologiche di confine, nelle quali una diagnosi differenziale, fra nevrosi ossessiva grave e schizofrenia, risulta assai difficile, si è talora trovato nella condizione di avvertire improvvisamente una sorta di barriera che si eleva fra l’ammalato e l’analista, una chiusura, 1 M.A. Sechehaye, La réalisation symbolique, ed. Huber, Berne, 1947. 2 M.A. Sechehaye, Introduction à une psychothérapie des schizophrènes, Presses Universitaires, Paris, 1954.

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