Indice 7 Presentazione di Luigi Bettazzi 13 Diario dal 31 marzo al 31 dicembre 1978 111 dal 1 gennaio al 31 dicembre 1979 433 dal 1 gennaio al 20 marzo 1980 550 La morte come rivoluzione di David Maria Turoldo 575 Oscar Romero, chi era di Nicola Cesareo Presentazione È un documento eccezionale, questo diario di mons. Romero'. Mentre lo scriveva non avrebbe certo pensato che un giorno sarebbe stato pubblicato. Questo ci assicura della sincerità di queste notazioni e ci documenta in modo assolutamente fedele quel cammino interiore che l'ha portato a prendere posizioni pubbliche sempre più coraggiose, fino a sfidare lucidamente la morte. Mons. Romero peraltro, insieme ai suoi sentimenti e propo siti, notava diligentemente anche i contrasti o le divergenze di opinione che aveva, non solo con i responsabili politici della sua nazione, ma anche con alcuni dei suoi confratelli vescovi, col nunzio o con gli organismi del Vaticano. Son certo che mons. Romero non avrebbe voluto che questo tipo di notazioni venisse pubblicato, proprio per non dar rilevanza a queste divisioni e per non mettere in cattiva luce questi oppositori. Lui per primo non li vedeva in cattiva luce: la pensavano diversamente, lo facevano soffrire, ma li rispettava, prendeva in considerazione le loro posizioni, che lo obbligavano a riesaminare le sue, integrandole o anche riconfermandole, ma con più matura consapevolezza. Soprattutto nei confronti della Santa Sede mons. Romero aveva una sincera devozione, con una pinea fedeltà, anche se potevano ferirlo alcune decisioni; come quella di inviargli un visitatore apostolico, il quale, per superare la divisione tra i vescovi, proponeva un «amministratore apostolico sede piena», praticamente un altro vescovo che governasse al posto dell'arci vescovo. Mons. Romero sentiva Roma come la sua casa, la sua seconda patria. «Questi paesaggi che ho conosciuto quando studiavo teologia, quando mi hanno ordinato sacerdote e ho vissuto i miei primi mesi sacerdotali, mi rinnovano lo spirito. Ora, con nuove responsabilità, sento che Roma è una benedizione del Signore che Oscar Arnulfo Romero conferma la mia missione, il mio lavoro, che Dio rafforza dando mi quella forza di poter collaborare umilmente nell'instaurazione del suo Regno nel mondo». Roma alimentava il suo coraggio apostolico: «Alla basilica di San Pietro, presso gli altari, che amo molto, di San Pietro e dei suoi successori attuali di questo secolo, ho chiesto insistentemen te il dono della fedeltà alla mia fede cristiana e il coraggio, se fosse necessario, di morire come morirono tutti questi martiri o di vivere consacrando la mia vita allo stesso modo come l'hanno consacrata questi moderni successori di Pietro». Al Papa si recava con emozione e con fiducia, unicamente preoccupato di far capire la realtà della situazione della sua nazione e la vera fisionomia della pastorale dell'arcidiocesi. Il suo impegno era per «una Chiesa che vuol essere fedele al Vangelo... In questo clima tanto difficile la Chiesa cerca di realizzare una missione profetica, che sveglierà la coscienza dei salvadoregni, perché non siano solo massa, ma figli di Dio, formando comunità dove regni il vero amore: per questo la Chiesa denuncia tutto ciò che distrùgge la dignità dell'individuo e, soprattutto, distrugge la capacità di costruire un popolo su basi d'amore, di giustizia e di pace». In realtà è questo il «sacrilegio» che si sta perpetrando in S. Salvador, come in altre regioni di quella zona del mondo: il disprezzo della vita e della persona umana nell'oppressione, nella tortura, nell'assassinio. Se San Giovanni ci dice che non si può dire di amare Dio, che non si vede, se intanto non si ama il fratello che si vede (v. I Gv. 4,19), si deve concludere che chi disprezza l'uomo fino a .torturarlo è ad ucciderlo, in realtà di sprezza Dio. «È un bugiardo- direbbe Giovanni (ivi)- se dice di essere cristiano e intanto, per qualunque motivo, calpesta l'uomo». Questa è stata la via della «conversione» di mons. Romero, prescelto come arcivescovo della capitale dal dittatore di turno, suo omonimo, proprio perché era moderato, se non addirittura un conservatore, e convertito alla difesa della sua gente e dei suoi profeti, oppressi e schiacciati sotto l'accusa di essere «comunisti», da chi voleva mantenere una situazione che garantiva la ricchezza ed il potere delle poche famiglie, domina trici e sfruttatrici da sempre. Dobbiamo dunque prendere atto di queste difficoltà con l'animo sereno con cui le vedeva, sia pure con tanta sofferenza, lo stesso mons. Romero. Nel pluralismo delle mentalità e sensi bilità Romero cercava di portare gli altri a quell'itinerario che aveva portato anche lui verso «una Chiesa che ha sempre il dovere di difendere quelli che sono perseguitati e di farsi voce di quelli che non hanno voce», pur cercando «nello stesso tempo, di distinguere bene la sua missione nettamente di Chiesa da qual siasi altro atteggiamento di partito, soprattutto se ha parvenza di rivoluzionario». Il diario di mons. Romero ci testimonia il cammino interiore di un uomo, partito da posizioni di buon senso e tranquillità, ma giuntò, per fedeltà al Vangelo e solidarietà con là sua gente, fino alla lucida accettazione del martirio. Se Giovanni Paolo II ha potuto proclamare «martire» San Massimiliano Kolbe, che ha offerto la sua vita per solidarietà verso un fratello, chedire di Oscar Arnulfo Romero, che l'ha offerta con non minore consapevolezza per solidarietà verso un popolo intero? Che questo «santo» - come lo chiama la gente dell'America Latina anticipando il giudizio ufficiale della Chiesa - ottenga coraggio dai confratelli vescovi, perseveranza eroica nelle popo lazioni oppresse, capacità di conversione nei «potenti», soprattut to in quelli che usurpano il nome di cristiani. E ottenga per tutti giustizia e pace. + Luigi Bettazzi Diario dal 31 marzo 1978 al 20 marzo 1980