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Diari di un filosofo (1930-1934) PDF

488 Pages·2019·59.016 MB·Italian
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~ A-f,-??.,J,,../._: ) L l cl' p· di . a scuo a 1 1tagora e tnce INDICE 7 Prefazione di Marco Fortunato 13 Nota del curatore DIARI DI UN FILOSOFO (1930-1934) 15 Scheggie 87 Cicute 169 Impronte 253 Sguardi 375 Scolii PREFAZIONE Questo volume propone, tutti (tranne Cicute) riediti per la pri ma volta dopo quasi novant'anni, cinque dei sei libri degli anni Trenta in cui Giuseppe Rensi realizzò il suo massimo distacco dalla forma-trattato e dalla forma-sistema adottando una scrittura <<spezzata» di tipo diaristico-aforistico, articolata per frammenti e pensieri più o meno brevi, dopo ciascuno dei quali si interpone la «pausa» di uno spazio bianco-vuoto. I cinque libri sono Scheggie del 1930, Cicute e Impronte entrambi del 1931 (in questo volume, si è data la «precedenza» a Cicute attenendosi all'ordine in cui Rensi elenca queste sue «creazioni anomale» nell'Autobiografia intellettuale del 1939), Sguardi del 1932 e Scolii del 1934. Del gruppo non fa parte il sesto e ultimo, in ordine di pubblicazione, di questi testi diaristico-aforistici - Frammenti d'una .filosofia dell 'e"ore e del dolore, del male e della morte del 1937 - per la semplice ragione che è stato già riproposto nel 2011 per i tipi dell'editore Orthotes, curato e introdotto da chi scrive. L'esperienza di uno sconfinamento nell'area del letterario o, almeno, del para-letterario come quello implicato da questi libri 7 degli anni Trenta, Rensi poteva permettersela e, al tempo stesso, doveva effettuarla. Se la poteva permettere perché, diversamente dalla netta mag gioranza dei suoi <<colleghi» filosofi italiani e non, è un grande scrittore, dallo stile insieme elegante e veemente, raffinato e po tentemente incalzante. È un profondo piacere intellettuale seguire con quale maestria e duttilità svari, in queste pagine, dal racconto di un episodio «minimo» della sua quotidianità che gli sollecita una conclusione sapienziale di sorprendente profondità a un excursus su momenti e figure nodali della <<grande» storia collettiva antica o moderna da cui deriva le linee di una dolente filosofia della storia, da uno scorcio di fenomenologia dei caratteri che gli consente di mettere a fuoco un «tipo» umano con parole definitive per lucidità e acutezza a uno sguardo gettato sempre con profonda tenerezza e partecipazione sul mondo e sulla vita degli animali, da un intenso e toccante abbandono alla più severa meditazione e invocazione della morte a un'«incursione» ermeneutica con cui definisce i trat ti veramente essenziali del rapporto fra due o tre grandi pensatori del passato o del suo tempo con una capacità di penetrazione e una chiarezza che non si sognano nemmeno di raggiungere dieci ponderosi saggi cosiddetti specialistici messi assieme. Quello sconfinamento, inoltre, Rensi lo doveva effettuare per ché il «paesaggio» discontinuo, frantumato e «fratturato>> di libri come questi si conforma meglio di qualsiasi altro, fin quasi a ripro durlo-«mimarlo», al mondo così come si presenta sotto la sua lente interpretativa nelle sue opere di maggiore impegno speculativo come l'affascinantissima Filosofia dell'assurdo: un mondo dominato dal caso o da una meccanicità cieca e amorale che non ha alcun senso cercare di approcciare come se fosse un sistema ordinato pas- 8 sibile di essere compreso e afferrato da una filosofia che proceda per formulazione di alcuni principi fondamentali e per pacifica, consequenziale deduzione da essi di una serie di proposizioni ca paci di descrivere e «fotografare>> la realtà. Questa infatti ha i ca ratteri sfuggenti e indominabili di un magma s-formato in ogni punto del quale, sotto l'influenza delle azioni causali che da tutti gli altri suoi innumerevoli punti incidono su di esso, si abbozza sì in ogni momento una direzione ordinata di svolgimento eve nemenziale, ma, in un momento successivo e sempre per effetto dell'incidenza delle infinite azioni causali che s'incrociano, se ne abbozza un'altra e diversa che «corregge» e soppianta la prima, per poi a sua volta lasciar posto a una terza, e così via. L'accadere finisce quindi per avanzare a strappi e quasi zigzagando, senza mai potere seguire un piano-un progetto degno di questo nome. Rensi è, e si dichiara con piena autoconsapevolezza e orgoglio, uno scettico. Come tale, appartiene a quel gruppo di spiriti non ortodossi e non irreggimentabili, disubbidienti e perpetuamente sfuggenti, che si pongono a cavallo fra il negare-respingere tutte le posizioni e il non dire di sì-il non aderire ad alcuna di esse. Già questa sua attitudine di «bastian contrario», che fa le bucce a qua lunque dottrina e di tutte si compiace di mettere a nudo i punti di inconsistenza o di aperta autocontraddittorietà, contribuisce a spiegare il fenomeno di quella che si potrebbe chiamare la sua sfortuna critica, ossia la situazione francamente disdicevole per cui un pensatore del suo livello è ancora ben lungi dall'aver ricevuto il riconoscimento che gli spetterebbe, in primo luogo da parte dei suoi stessi connazionali. Quello italiano è infatti un popolo che in clina alla comoda pigrizia del confomùsmo, è un popolo avvezzo a organizzarsi per gruppi, cordate, conventicole e cricche, e quin- 9 di ben difficilmente «perdona» i talenti «irregolari», inclassificabili, non riconducibili a una ben precisa «famiglia», che peraltro esso stesso produce; e tanto più provvede ad emarginarli e «silenziarli» quanto più è grande ed evidente, e quindi imbarazzante, il loro talento. Così, resta e forse resterà per sempre imprigionata nella condizione di autore minore e «laterale>>, che non le si confa per niente, una figura come quella di Rensi, di cui, se fosse stato pari gino o marsigliese, avrebbe probabilmente fatto un «caso» di riso nanza internazionale un'intellighenzia come quella francese, usa a promuovere i suoi esponenti, anche quelli non esattamente eccelsi, con lo stesso impegno e la stessa perseveranza con cui quella italia na si preoccupa invece di tenere a soffocare sotto il pelo dell'acqua i propri, anche i migliori. Il fatto che Rensi sia uno scettico non significa assolutamente che la sua opera sia una sorta di enorme stagno di soli punti in terrogativi e reiterati tentennamenti. La parola filosofica di Rensi non è un fioco bofonchio che ha paura e quasi si pente di se stesso nel momento in cui viene proferito, ma è tagliente e si in cide chiara e distinta come poche altre. Rensi parla fuori dai denti come ben pochi altri filosofi, ed è un piacere aggiunto constatare fino a che punto lo faccia anche e soprattutto in questi libri dia ristico-aforistici, i quali confermano l'esattezza dell'osservazione di Adorno secondo cui, per apprendere che cosa veramente pensi un filosofo anche circa questioni esistenzialmente-teoreticamente capitali, conviene rivolgersi ai suoi scritti più «informali>>, quelli in cui parla meno <<ex cathedra» e più si mette - per così dire - in pantofole, quali sono appunto le lettere o i diari. Accade perciò che nelle pagine rensiane che riproponiamo in questo volume vengano espresse posizioni molto forti come, ad esempio, le se- 10 guenti: il <<compasso» della ragione umana, per quanto ampia possa essere la sua apertura, non ha alcuna speranza di (ri-)comprendere (in sé) veramente la realtà, perché questa ha una natura e una co stituzione, se non proprio irrazionali, certo almeno arazionali, in quanto intrinsecamente eterogenee rispetto all'unica ragione esi stente a noi nota, che è appunto quella umana; gli uomini «fanno» la storia seguendo prevalentemente impulsi passionali più o meno incontrollati, senza mai disporre di una limpida visione d'insie me di ciò che va accadendo né di una lucida pre-meditazione di quanto dovrà accadere, tant'è vero che spesso gli eventi assumono una direzione ben diversa da quella da loro voluta e auspicata; nel mondo la disperante incertezza del regime espresso dalla formula quot capita, tot sententiae domina a tal punto che non c'è atto o indi viduo palesemente abietto di cui non si possano facilmente trovare numerosi fautori e «tifosi» pronti a proclamarne la virtuosità e a elencarne i meriti; la circostanza che i volgari arrampicatori, i vol tagabbana disponibili a ogni compromesso e i vili adulatori hanno una fortuna incomparabilmente superiore rispetto agli integri e ai sensibili al bene comune più che al proprio egoistico tornaconto, unita al dato incontestabile che per ogni quasi miracolosa appari zione di una figura di governante retto e mite se ne danno almeno cento di tiranni o tirannelli malvagi e dissennati, induce irresisti bilmente a ritenere che l'essenza, il «cuore» più interno della realtà sia funestamente «materiato>> di male; la fede religiosa, che preten derebbe di conciliare l'evidenza del netto prevalere del dolore e del male nel mondo con l'idea che lo abbia creato e vi presieda un Dio saggio e buono che ha anche in serbo per qualcuno di noi un non meglio precisato «premio>> post mortem, è puro delirio; il fatto che anche coloro i quali scelgono la dieta vegetariana per 11 nutrirsi e quindi vivere senza uccidere siano costretti ugualmente a uccidere o a far uccidere, poiché lavorare il campo dove dovran no crescere i vegetali di cui intendono alimentarsi comporta lo sterminio delle tante operose «comunità» di insetti che lo abitano, conferma come questo mondo ricada sotto l'insfuggibile legge «o uccidi o muori», una legge talmente bassa e brutale che uscire finalmente dal mondo con la morte merita di essere considerato un atto altamente etico di liberazione e purificazione; su tutto, sul poco di buono e sul molto di cattivo del mondo, su tutte le opere per cui gli uomini si sono appassionati e hanno faticato e combattuto, si stendono infine altissimi strati di tempo, il quale, precipitando tutto e tutti in un passato via via sempre più remoto sino al momento in cui nessuno più ne serba memoria e quindi è come se non fosse mai stato, assume le fattezze sinistre e terribili del tempus edax, il signore assoluto che inghiotte tutto e tutti fi nendo per livellarli nella più completa mancanza di senso, anzi, di più, nella perfetta nullità. Come ben si vede, si tratta di una serie di posizioni - alcune delle quali si impongono come verità inconfutabili a chiunque sia onesto in primo luogo con se stesso - troppo aspre e inquietanti perché possano essere «digerite» dagli uomini in genere e in parti colare dagli italiani, popolo fatuo, quasi totalmente alieno dal senso del drammatico e dalla radicalità, al quale si addice il programma di Ettore Bemabei, il «mitico» e democristianissimo direttore ge nerale della RAI degli anni Sessanta e Settanta, che diceva di ba dare sempre a mandare a letto sereni i telespettatori alla fine delle trasmissioni. MARCO FORTUNATO 12 NOTA DEL CURATORE Questo volume si basa sulle prime e finora uniche edizioni di Scheggie, Impronte, Sguardi e Scolii, pubblicate rispettivamente da Bibliotheca Editrice a Rieti nel 1930, Libreria Editrice Italia a Genova nel 1931, La Laziale Editrice a Roma nel 1932 e Edizioni Montes a Torino nel 1934. Per Cicute si è fatto riferimento alla nuova edizione pubblicatane dall'Editrice La Mandragora a Imola (Bologna) nel 1998, che peraltro è conforme al testo dell'edizione originale del libro, pubblicata da Atanor a Todi nel 1931. Il lavoro di curatela è consistito nel correggere i refusi presenti nel testo italiano di Rensi; nel riportare all'esatto testo originale non poche citazioni (in particolare, dal greco antico) contenenti diverse imprecisioni; nel verificare la precisione del numero indi cato da Rensi di un verso, di un paragrafo o di un capitolo citato; e soprattutto nel fornire, fra virgolette basse dentro parentesi quadre, le traduzioni in italiano delle numerosissime citazioni latine, gre che, francesi, tedesche e inglesi, fatta eccezione per i casi, peraltro rarissimi, in cui è Rensi ad offrire la sua traduzione. Sempre fra virgolette basse dentro parentesi quadre vengono date le traduzio- 13 ni di alcune delle parole o espressioni non italiane che Rensi in tercala nel suo discorso. Si fa presente infine che sono state lasciate quasi sempre immutate le parole da lui usate in una «versione» ormai desueta (per fare alcuni esempi, sono rimaste «ubbriachez za», «romore», «stromento>> e «monogom.ia», «automobile>> è rima sto di genere maschile, mentre <{anneddoto» è stato trasformato in «aneddoto») e che, essendo l'uso rensiano delle virgole piuttosto arbitrario ed eccentrico, se ne è elim.inata o se ne è introdotta una nei non pochi casi in cui la sua presenza o la sua assenza appariva chiaramente incongrua o scorretta, a volte fino al punto di com plicare o compromettere la comprensione del testo (come quando una virgola si interponeva fra un soggetto e il suo predicato). Si ringrazia Giuseppe lnvemizzi per avere contribuito alla rea lizzazione del volume. 14

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