a fi o AGAMBEN, CONTRI, DALMASSO, s o DERRIDA, LÉVINAS, MADERA, l i MARION, SINI F DI-SEGNO LA GIUSTIZIA NEL DISCORSO a cura di Gianfranco Dalmasso di fronte e attraverso Jaca Book Domande del tipo «a che cosa rimanda il segno?», «che cosa è il segno?» appaiono, nel linguaggio teorico odierno, post-heideggeriano e post-niccia- no, come domande nichiliste, cioè come domande che in qualche modo già si sanno senza risposta. Il segno sembra impensabile senza l'esser di-segno: una trama di rimandi, una tessitura, una testualità. È forse opportuno che il problema del rappor- to fra il segno e il senso lasci il posto a una questione più radicale che ine- risce come tale alla natura del discorso. Ne va non tanto di un fondamento quanto della testualità del discorso, spesso conclamata ma anche denegata nei suoi esiti ermeneutici. Il soggetto dell'ermeneutica, il soggetto cioè che conferisce il senso, è spesso analizzato nelle sue impasses e nelle sue con- traddizioni, ma forse mai messo in questione come figura del discorso co- stituitasi nell'età moderna. I contributi di questo volume raccolgono tentativi di pensiero, tra quelli che oggi si concedono maggiori rischi, che riguardano la pensabilità di un senso che non sia conferito, nel movimento della sua costituzione, da un soggetto funzionante come attore del discorso. La questione di un senso (quindi an- che classicamente di una verità?) all'opera nel discorso è riproposta, al di là di certe chiusure della metafisica, come strategia che ricalibra il ruolo e l'i- dea stessa di soggetto. Quest'ultimo, più che essere in grado di conferire il significato al discorso, ne sarebbe piuttosto esercitato e suo destinatario. Alla domanda se il nostro parlare sia vero si può sostituire come equiva- lente l'interrogativo se il nostro parlare sia morale? GiorgAigoa mbenG,i acomCoo ntri GianfranDcaom assoJ,a cquDeesr rida EmmanueLlé vinaRso,m anoM adera Jean-LMuacr ionC,a rlSoi ni DI-SEGNO Lag iustniezldi ias corso a cura di GianfrancDoal masso j! Il Jaca Book titoli originali Jacques Derrida, D'un ton apocaliptyque adoptnéa guèern ep hilosophie © 1983, Editions Galilée, Paris Emmanuel Lévinas, Notessu rl es enisn De Dieuqu i vient à l'idée © 1982, Libr. Phil. J. Vrin, Paris Jean-Luc Marion, L'idoeltle' i cnoe e Lad oubilde olaitn rDiiee us anNst re © 1982, Libr. A. Fayard, Paris traduttori Adriano Dell'Asta Paola Ferrone © 1984 Editoriale Jaca Book spa, Milano copertina e grafìca Ufcfi io grafi.c o Ja ca Book ISBN 88-16-40143-5 per informazioni sulle opere pubblicate e in programam ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book spa via A. Saffi 19, 20123 Milano, telefono 4982341 INDICE Introduzione VII Giorgio Agamben, La cosa stessa l CarlSoini , Col dovutor ibmalzo 13 Emmanuel Lévinas, Note sul senso 51 GianfrancoD almasso, Consulveerrei tatSeomg.g etdteold iscor- so e soggetto dell'etica in Agostino 71 Jacques Derrida, Di un tono apocalittico adottato di recente in 107 :filosofia Romano Madera, Apocalissi del sacro 145 Jean-Luc Marion, L'essere, l'idol, oil concetot 169 Giacomo Contri, Il dis-ordine di Platone. L'incondsecmiiou rgo e l'inadeqdeulla'otrdinioe 219 GiacomCoo ntrKian,t con Lutero. La giustizia e la legge 233 INTRODUZIONE Domanddee lt ip«oa c hec osriam andail segno?«»c,h ceo saè il segnoa?p»p aionnoe,lli nguaggtieoo riocdoi encihoe,s ip ensina un post( -metafi-shieciad,e gge-rniiacncoi,-a mnood,e rentoc c.o)m ed o mandniec hilisctieoc,èo med omandceh ei nq ualchmeo dog iàs is anno senzrai sposta. È pensabilil see gnsoe nzla' esdsie-rs eugnnaot ,r amdai r imandi, unat essituunrata e,s tuaIl ictonàt?r ibduit uie qtso volumes im uo vonoc,o nm etodei c onl inguanogng uin ivosceic,o nudnoa s trategia dip ensipeerroc uii lp robledmelala tcstuadleiltd ài scosrisp oo ne comep iùr adicadleelp rbolema dd llUOf ondamenItloc .on cettdio testcoo ntisetnreu tet muroed aldiitco àts tiuoznei spepsesrosdi e v ista o denetgena onostanitlpe e snos suntnoe lll'ne cenptreo duziotneeo rica dat ermini comes crittduirsas,c mifdteasl:{e inosenotc c c.h,es idim o strananoc hed all'interpeesrls 'ei ntcrdsecllz iinognuea gletgetiroia or coni llin guaggisoc ienteifi ccooni lH ngu11gfiglolsoo fico. Seconundao concezicounrei osamceomnutnee s iaal p ensierob i bliceo patrisstiiaac b ou,o npaa ttdee lrlil:\fl esscioonntmeep oranea sul segneos ulli gnuaggili toe,s ètu on ar ealctotiàst itua dau nm ovmiento di produziodneels enscoh en essuna ttion tel'prpcutònp trievtoe ndere di dominaedr iec ontenIelsr oe.g gecltc:tllo' ermenilcs uotggiecctait,oo è chec onfeirscsee nsèo s,p esasnon.I. Jzznnetlosl ueei mpnses ense llseu e conratddiz ioni, ma forsmea im essoi nq uesticoomnee fi gurdae ld i scorcsoos tituitnaeslli' emtoàd ernn. Ic ontrirbauctcioi lnqt uie sot volumrieg uardlanapo e nsailibtà di uns enscoh eno n sicao nfernietmloov ,im ento delsluaac ostituzion, e vii Introduzione daun soggefunztitoon ante.c omea ttodreeld iscorLsaoq u.e stidoin e anch t uns neso( quindi e classicamdeinun tae v erài)a ll'opneerlda i scorèso r ipropoals dit al,àd ic ertcehi usudreell am etafisciocmae, stratcheeg riiac aliiblrur oal oe l'idsetae sdsi�a o ggetQtuoe.s t'ultimo, piùc hee sseinr ger addoic onferili srieg nificaatldo i sconress oa,r ebbe piutteossetroc iets autodo e stinatario. Allad omandsaei ln ostrpoa rlasrieav eros ip uòs ostitcuoimre e equivalleand toem andsaei ln ostpraor larem osriaal eÈ? inq uestione ciounèa considerdaezdlii osnceo crosmoev incolleog,a mlee,g gper ima i e' e in uns enspoi ùc ostivtodu etlp robledmealc ontroclolsoc iecnhte uns oggeptottor ebebsee rcitAa trinteo.dl ieo s empsiiop ensalil an o zionlee vinassdiia« nuan ar esponsapbiiliùat àn tidceall 'essdeerlel,e decisei doengial tit ia» «un, soggecthteèo in giocpor imdaie ssere». Dettaol trimeinllit nig uageg qiuoi nidlis egnnoo nr icadaolnd oi fuordii u nap ieneez zdaiun domincioos cientis-cahree bbienrtoe riori-smao naonz ic iòi nc uii ls oggestict oos tituLei disacter.i sbuel rapporftroas egneo r ealptaàr,o el ac ossat espsaar,o el as crittura, possoensos erried efindiaunt ae concezidoenls ee gncoo mec iòch e è destinnaetols, e nsdoic ostitau piatrot ier ien v istdaiq· u alcuQnuoe. stmoo vimenitnoe riisnmc oed oe ssenzaillaasl ter utdteulsr eag no. Ilp robledmeall dae stinazsieomnberc ao salll 'opneerlal inguaggio (duceo ntriibnuq tuie svtool umrei guardianmn ood,i d iverlsasi t,r ut turaap ocalidtetllini gucaag gioe) f orsèe ing raddio ridefinirile c on cettcol assdii cion tenzionaatltirtaàv uenrast or asformarzaidoincea le delr appofrrteaot iec :61ao sofìIal.p rivildeeglsi eog ncoo me giocdio spiradlace u,li a p aroel ials ehssoo noor iginariaavvmoelntstiee,m bra sospeasduo nac onsiderdaezlis oongeg eptetnos anctoem eu ns oggetto chen onp uòn onp rendeproes iziino nun e giocdoim ovenet idi d esti nazioni-chnee ssupnsai co-èl ino ggiraa ddio c ontenerceui-di è in tessluats au as tesastat ività. Inq uesptrao spetitlri avpap ofrrtlao' ord<,lineel gulinaggei lo' or dine delm ondo( degelin tiim)p lical aq ueisotndie unl egamee a,l tempsot esdsiou nas eparazqiuoenset,' ulctoismtai tunietlla'semito à dernrai,s peat ctuoin oziocnio meq uelldei i nconsec dioin ichilismo vengoinnop rimop ianlio .m ateritaeloer ipcroe senint aqtuoe sVtOo· lumtee ndae c onsideqruaersent oez niion ont antino gr adod id elimi tarle' orizzdoenlpt een iesrom,a piuttoesssteso t escsoem es intomdii unam odalidteàl s uof unzionamento. G.D. Arcavacata,1 9g8i4u gno viii Giorgio Agamben * LA COSA STESSA A Ja cques Derrida c alla memoria di Giorgio Pasquali L'espres«sliaoc noess nte ssa», to fi1'll�(ntrl atllo, compare all'inizio della cosiddetta digressione fìlo_sofica ddtn settima lettera platonica-un testo la cui importanza per la stodu ddln Iìl<l:mfìa occidentale è ancora lontana dall'essere compiutametne misurutn. Dn qunado, dopo che Ben tley aveva gettato un sospteto di flllsi!1cn�ionc su tutta l'epistolografia antica, prima Meiners nel 1783, c poi Kurstcn e Ast ledi chiararono inautentiche, le letteredi Pl11t0nt�, che t�mno sempre state considerate parte integrante della sua opcru, vennero a poco a poco espunte dalla storiogra:fia filosofica, proprinod m<nnetltl) in cui questa era più fer vida e attiva. Quando, neln ostareoco lo, .ltl tendenza cominciò a inver tirsi e critici sempre più numeroe sniuw rcvoli ne riveicnardono l'auten ticità (ormai, almeno per lal ettcehre aqu i c'int�rcssa, geenramlente rico nosciuta), i filosofi e gli studiosi che tornnwno n occupnrdsocventteer o scontla'ries olaimnec nuit leo l ettere si <:mno venute a trovare per più di un secolo. Quel che nelfm ttcmpo m·n nndato perdtou era lav iva connessione fra il testo c la tradizione Iilosofìca successiva, cosl che, ad esempio, las ettai lmettecorl asu,o denso axcur.ws :filosofico, si presen tava ora come un arduo, isolato massiccio, allo cui pcentrazione si frap ponevano ostacoli quasi insormontnhili. Ero anche vero, naturalmente, * Conferenza tenuta a Forll il 26-x-1984. 1 Giorgio Agamben che il lungo isolamento l'aveva trasformata, come �il mare il corpo di Alonso nella canzone di Adele, in qualcosa di ricco e di strano, col quale era possibile confrontarsi con una freschezza che forse nessun altro dei grandi testi platonici avrebbe consentito. Lo scenario della lettera è noto: Platone, ormai vecchio-ha settan tadnque anni-ha rievocato per gli amici di Diane i suoi incontri con Dionigi e l'avventuroso fallimento dei suoi tentativi politici siciliani. Nel punto che qui c'interessa, egli sta raccontando ai Dionei il suo terzo soggiorno in Sicilia, quando, giunto nuovamente a Siracusa attirato palel insistenti pressioni del tiranno, decide per prima cosa di metter� alla prova la sincerità delle asserzioni di Dionigi quanto al suo desiderio di diventare filosofo. «C'è un modo non ignobile» egli scrive «di procu rarsi questa prova-un modo, anzi, che si adatta perfettamente ai tiran ni, soprattutto a quelli che sono gonfi di un sapere di seconda manq; e subito, al mio arrivo, mi accorsi che questa era appunto la condizione di Dionigi» (340 b 3-7). A uomini come questi-egli prosegue-si deve mostrare subito che sia tutta la cosa (ati esti pan to pragma), quante e quali fatiche esiga. Alol ra, se chi ascolta è veramente filosofo e all'altezza della cosa, penserà di aver sentito parlare di una via mera vigliosa, che si deve percorrere senza indugi, e di non poter vivere diver samente. Coloro, invece, che non sono veramente filosofi, ma hanno sol tanto una verniciatura di :filosofia, proprio come chi abbia il corpo ab bronzato dal sole, vedendo quale impegno la cosa richiede, pensano che sia troppo difficile, addirittura impossibile e si convincono di saperne già abbastanza e di non aver bisogno di altro. «Cosl-scrive Platone-io dissi a Dionigi dò che dissi, ma non gli spiegai tutto nél ui me lo chiese. Presumeva, infatti, di sapere già molte cose, anzi proprio le più importanti, e di dominarle a sufficienza per quello che aveva sentito dire da altri. Più tardi, a quel che sento, egli compose anche uno scritto intorno a quanto aveva ascoltato da me, presentandolo come opera sua e non come un discb�so udito da me. Di questo non so nulla. Ma so che anche altri hanno scritto su queste cose, ma coloro che l'hanno fatto non hanno nemmeno conoscenza di se stessi. Questo, però, posso dire su tutti coloro che ne hanno scritto e scriveranno in futuro: coloro che affermano di sapere dò di cui io mi do pensiero (peri an ego spoudazo), sia per averlo udito da me o da altri, sia per averlo scoperto da soli: ebbene, non è possibile, secondo me, che costoro abbiano compreso alcunchéd ella cosa» (341 a 7-c 4). È a questo punto che compare l'espressione to pragma auto, la 2 La cosa stessa cosa stessa-una formulazione che rimase cosl determinante per indicare la causa del pensiero e il compito proprio della filosofia, che torneremo a incontrarla più di duemila anni dopo, come una parola d'ordine pas sata di bocca in bocca, in Kant, in Hegel, in Husserl, in Heidegger: «Su questa cosa non vi è �cun mio scritto né mai potrà esservi. Non è, infatti, in alcun modo dicibile come le altre discipline (matemata), ma dopo molto stare insieme intorno alla cosa stessa (peri t o pragma auto) e dopo molta convivenza, improvvisamente, come luce schizzata da un fuoco, nasce nell'anima e ormai nutre se stessa (auto heauto ede trefei)» (341 c 4d 2). - Questo passo è stato citato innumerevoli volte a sostegno delle in terpretazioni esoteriche di Platone e come documento irrefutabile del l'esistenza di dottrine non scritte: i dialoghi che la nostra cultura si è tramandata per secoli come un'eredità venerabile non concernerebbero ciò di cui Platone si occupava seriamente, che sarebbe stato riservato a una tradizione unicamente orale! Qui non c'interessa tanto prendere posi:donc su questo problema, certamente importante, quanto provare u chiederci che Nin gudln «cosn stcssn»,. di cui Platone si dà pensiero c che Dionigi prcsumc:vn n torto di nvcl: compreso. Che cos'è la cosa del pensiero? Una risposta a questa domanda può scntmÌl'c soltanto da una attenta lettura del passo successivo, che Platone definisce come <mn racconto e una divagazione (muthos cai planos)» (344 d 3) e, insieme, come «un discorso vero, che è stato da me piì:t volte esposto in passato, ma che mi pare si debba anche ora ripetere» (342 a 3-7). È perciò con l'inter petrazione di questo «mito stmvagantc» che il pensiero che voglia ve nire in chiaro della sua «cosa» deve sempre di nuovo misurarsi. Pro viamoci dunque a leggerlo. «Per ciascuno degli enti» scrive Platone «Vi sono tre, attraverso i quali è necessario che si generi la scienza, quarta è la scienza stessa, quinto si deve porre quello stesso che è conoscibile e che è veramente. Il primo è il nome, secondo il discorso definitorio (logos), terza è l'im magine (eidolon), quarta è la scienza. Se vuoi intendere quel che ora dico, prendi un esempio, e pensa cosl intorno a ogni cosa. Vi è un che detto cerchio (cuclos estin ti legomenon), il cui nome è appunto quello che abbiamo appena proferito; secondo è il suo logos, composto di nomi e di verbi: 'ciò che in ogni punto dista ugualmente dagli estremi al centro': ecco il logos di ciò a cui è nome tondo, circolo o cerchio. Terzo è ciò che si disegna e si cancella e si forma col tornio e si di- 3