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Di Pietro Gerardo 30 Anni di cronache da Morra De Sanctis e dei Morresi Emigrati PDF

411 Pages·2013·2.78 MB·Italian
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Preview Di Pietro Gerardo 30 Anni di cronache da Morra De Sanctis e dei Morresi Emigrati

AI FIGLI DEI MORRESI EMIGRATI Voi non ascoltaste il frinire delle cicale sugli alberi d'acacia, nei pomeriggi roventi, distesi nella polvere della strada senza gente. Voi non udiste, nelle notti stellate gorgheggiar I'usignolo e cantare i grilli sotto la luna d'argento d'agosto, e non vedeste le donne, in crocchio sedute, snocciolare i chicchi del granturco e raccontare le storie passate. E cadevano le messi di luglio dorate sotto la falce dei mietitori, che I'univano in manipoli, I'arsura placando al cannello della fiasca di vino morrese. E dalle stoppie bruciate saliva I'allodola trillando nel cielo azzurro del mattino, e le bisce strisciavano sibilando tra I'erba alta vicino al pantano. E non sedeste intorno al ceppo nel focolare a mirar le faville e ad ascoltare i paurosi racconti di fantasmi mentre fuori infuriava la bufera. E non rincorreste, selvaggiamente liberi, lucertole e farfalle raccogliendo i fiori nei campi rossi di papaveri. Non foste ricchi di sole e di vento, d'aria e di luce e di vasti orizzonti degli agresti profumi di erbe e di fiori che natura creava. E non udiste il rombo del torrente, minaccioso dopo la pioggia violenta, separare la campagna dal paese, senza possibilità di guado. E non vedeste il contadino ~ 410 ~ aggrappato alla coda dell'asino fedele, seguirlo cantando alla sua masseria, al termine della domenicale libagione. E tra il fango delle strade si viveva i momenti fuggenti della vita, or divenuti ricordi, e dall’alto del colle scrutavamo orgogliosi l’orizzonte lontano, che era la fine del nostro mondo. Voi non vedeste i vostri genitori incamminarsi sulla via senza ritorno e dimenticare la loro fanciullezza. Voi non vedeste le cose che rendevano bello il vostro paese: come potete amarlo? SPIGOLATURE SU MORRA Settembre 1992 L’estate a Morra faceva ancora “jéssi e trasi”, a volte c’era il sole, a volte pioveva. Gli emigrati erano arrivati per un po’ di tempo e poi ripartivano per andare al mare. Le ditte lavoravano alla ricostruzione e il quartiere Pagliaie era già quasi tutto in piedi, ora privo dei suoi caratteristici ballatoi esterni sulle scale “afii”, sotto i quali, nei tempi passati, grugniva contento il maiale, mentre la gente prendeva il fresco seduta sugli scalini e raccontava i fatti del giorno. Adesso a destra e a sinistra ci sono due file di case tutte uguali, con le saracinesche nuove zincate e la boccola d’aria per il gas che dovrà arrivare anche a Morra. Guardando fino in fondo alla strada dalla bottega di Caporale, si vede ancora la barriera delle casette antiche, origi- nali nella loro individualità. Ognuna di esse aveva una storia sua, che era scritta sulle pietre della facciata scorticata, sui fiori alle finestre, sugli em- brici del suo tetto sbiaditi dalla pioggia. C’è ancora qualche grondaia dalla quale veniva giù l’acqua piovana nel mastello che le massaie mettevano fuori per raccoglierla per lavare la biancheria, quando a Morra non c’erano fontane. ~ 411 ~ Caporale si lamentava che qualche camion aveva da molto tempo rotto la fognatura e che, nonostante le sue rimostranze, nessuna Autorità se ne curava. Nell’aria sfrecciavano giulivi stormi di rondoni, come se quel paese nuovo che sta crescendo giorno per giorno fosse stato sempre così e il terremoto non ci fosse mai stato. A guardare giù dal palazzo del Principe si vede la distesa di tetti nuovi, che testimoniano la ricostruzione avanzata del paese. Ora stanno rico- struendo la zona sulla piazza, proprio dove abitava Marino Gambaro. Per costruire quelle case furono praticati dei buchi lungo la strada che va verso il palazzo del Principe che furono riempiti di cemento, nel demolire le case però, la scarpata cedette ed i travetti di cemento si ruppero. Quando rico- struirono la casa Giugliano sotto l’Annunziata, per tutta la scarpata vennero alla luce ossa e teschi buttati alla rifusa l’uno sull’altro; faceva una certa impressione vedere lungo il taglio della scarpata biancheggiare tutte quelle ossa. Sulla piazza il geometra Braccia sta terminando il suo palazzo e mi son piaciuti i portali di pietra, che ha ricostruito com’erano prima. Si lavorava alla chiesa Madre, ma non a quella di San Rocco, che è rimasta così, semi ricostruita, con le mura vecchie bucate da centinaia d’iniezioni fuori, e con i possenti travi di ferro blu, che stanno arrugginendo dentro. Ma non bisogna demoralizzarsi, la chiesa sta in buone mani: in quelle dell’Assessorato per la conservazione dei Beni Architettonici e Culturali della Provincia di Avel- lino e Salerno e quelli sanno perfettamente come si conserva la cultura, anche se cambia aspetto dopo che hanno finito. Guardate per esempio la statua di San Rocco sulla Guglia... era stata là cento anni e molti pittori dilettanti morresi, per devozione, l’avevano pitturata, tra di loro anche An- tonino Gallo e anche mio padre. Ma dopo che è stata pitturata dagli spe- cialisti delle Belle Arti, sembra che la statua non abbia gradito tanto l’intervento; infatti, da quel giorno cola ruggine da tutte le parti. Bazzecole, la gente pensa ai fatti suoi: – Mica la croce ti dà a mangiare – mi diceva un tale che aveva sentito come io reclamavo perché dopo undici anni dal ter- remoto non sono stati ancora in grado di riparare la croce antica dei Piani, ~ 412 ~ un mondo che non sa più pesare i valori, si parla come se per mettere quattro pietre di una croce caduta, dovesse morir di fame tutta la popola- zione morrese. L’Edificio Polifunzionale non funziona ancora, non è ancora terminato. Chissà perché quando lo vedo, mi viene alla mente quella frase del Griso: – Questo matrimonio non sa da fare né adesso, né mai, o chi lo farà se ne pentirà!– Semplice associazione distorta, o presentimento? A volte la mente umana associa tante cose curiose! Poco distante dall’edificio polifunzionale stanno costruendo il nuovo ufficio postale. È terminato anche l’edificio scolastico. Enorme, con le sue scale di ferro esterne antincendio, all’americana, attende malinconico l’incremento de- mografico della popolazione morrese per assolvere il suo compito. Il Preside mi mostra al piano superiore la biblioteca che regalò il Pro- fessor Daniele Grassi. I libri, ormai al riparo dalle intemperie, non come erano stati fino ad ora nel container, sono stati catalogati ed esposti negli scaffali. Nell’ampio locale ci sono anche una televisione e un piano elet- trico. Il Preside mi diceva che voleva creare un centro culturale anche per adulti, dove la gente poteva entrare, leggersi un libro, oppure guardare la televisione, o fare della musica o una partita a carte. Io penso che è un’ottima idea e suggerisco di comprare una videocamera e formare dei gruppi di scolari invitandoli a trattare i diversi aspetti del nostro paese. Il vecchio edificio scolastico è ristrutturato, servirà come caserma dei cara- binieri. Il Presidente dell’AME di Zurigo Gerardo Pennella mi portò a casa sua a Selvapiana, la sua nuova casa, bella e spaziosa: – Davanti alla porta ci passerà una strada – mi dice. – Una di quelle che dura un anno e poi si rompe? – replico io. Ma lui mi dice che sarà una strada buona, fatta con tutte le regole e quindi duratura, e non la solita strada premio del dopo elezione. Andiamo poi ad Andretta, non c’ero mai stato. Mi porta con la macchina in quelle stradine strette come la cruna di un ago; andiamo a trovare don Pasquale Rosamilia, il prete che scrisse anche una volta una ~ 413 ~ lettera alla Gazzetta. – Sono anche un po’ parente ad Antonio Chirico – mi dice don Pasquale. Poi gli presento il Presidente di Zurigo e il Presidente centrale, che si trovava proprio da quelle parti. Vedo tuttavia che sul pe- riodico andrettese “L’ECO DI ANDRETTA” c’è scritto che il Presidente dell’AME sono io. Io non mi sono mai presentato candidato alla presidenza dell’AME, preferisco fare il mio lavoro da subalterno. Mi dispiace che a causa della Gazzetta che io stampo, susciti l’impressione di essere io il factotum dell’AME. Gli altri fanno anche molto per mantenere in piedi l’Associazione, altrimenti non funzionerebbe. Senza il loro prezioso lavoro l’Associazione sarebbe già finita tanti anni fa. Devo fare un elogio a tutti quelli che aiutano alle feste, ma specialmente, se mi consentite, a tutti i soci attivi della Sezione di Basilea, i quali non hanno mai avuto l’ambizione di entrare nel Comitato, ma continuano ogni anno ad aiutarci in tutte le manifestazioni che facciamo. Come vedete presso di noi non esistono ambizioni di comando, ma solo di servire la causa dell’AME. Gerardo mi porta sulla collina dove hanno fatto una bella strada naturale, fiancheggiata dalle stazioni della Via Crucis, con abeti e pini, delle panche e anche la griglia per arrostire le salsicce. Ai nostri piedi si stendono i tetti antichi di Andretta e lontano all’orizzonte i monti chiudono lo sguardo che s’attarda nel piano. Un luogo molto bello, così come molto bello è quello che hanno fatto sulla parete di roccia arenosa della collina, con tutte quelle nicchiette con le Madonnine e fiori. Vedo che Andretta non ha solo un corpo, ma anche un’anima e non se ne vergogna; penso alla nostra unica cappelletta a Morra vicino a casa Covino che volevano abbattere per allar- gare la strada. Meno male che misero le firme per salvarla! Alla processione della Madonna del Carmine ci sono molte persone, tutto merito di don Siro, che sta acquistandosi la simpatia dei fedeli. Ma la statua della Madonna è di nuovo sul camion, non è più portata a braccia come lo scorso anno. La festa che segue è bella, una musica semplice, ma che permette a tutti di divertirsi ballando. Minicantonio è contento di aver aiutato ancora una volta ad or- ganizzare una bella festa. Dopo tutto quello che ho scritto devo precisare ~ 414 ~ una cosa: Se le case sono troppo uniformi, la colpa non è dell’Amministrazione comunale. Il tempo per la ricostruzione del paese urge e la gente non vuole mettersi d’accordo. Chi ha il “sottano” non vuole cederlo a chi ha la camera sopra e farsi la casa in un altro posto, e così via. Spesso sono stato testi- mone di queste battaglie che farebbero uscir dai gangheri anche un certo- sino. Di queste difficoltà la gente che è lontana, o le Nazioni straniere che criticano la nostra ricostruzione, non hanno neanche un’idea. Perciò, o le case si fanno, o si aspetta alle calende greche e se sono così uniformi, hanno almeno il pregio di essere uguali per tutti e di non suscitare l’invidia degli altri. Ho sempre sostenuto che ogni popolazione ha quello che si merita e quando io continuo a dissertare sull’aspetto estetico del nostro paesello, non serve se agli altri non glie ne importa niente. Ora, che il paese è già quasi ricostruito, qualcuno s’azzarda anche a dire che questa o quella cosa non gli piace: “Doppu arrubbatu Sonda Chiara nge mettimmu re porte de fiérru” si dice. Ma a paese già costruito, è troppo tardi per cambiare e per avere di nuovo tanti soldi bisogna attendere un altro terremoto, cosa che non ci auguriamo. Se questa gente avesse avuto il coraggio di parlare prima e di unire la sua voce alla mia, forse si sarebbe potuto fare qualcosa. Ma il coraggio civile è quella cosa che non si può acquistare: o uno ce l’ha per natura, o gli manca e così non riesce a parlare. Che la Gazzetta sia stata profetica in certe occasioni si può facilmente controllare leggendo i numeri arretrati. Oggi si parla di rinnovo dei partiti ed io lo scrivevo già otto anni fa; si è fatto uno Statuto comunale che prevede la possibilità dei cittadini di intervenire sulle questioni comunali ed io lo scrivevo tanti anni orsono, non solo, ma l’ho sempre praticato con la Gazzetta ed anche a voce. A Morra, però, è proibito avere un’opinione propria. Chi ci prova, è subito catalogato o di un partito o di un altro. Là, o si bela all’unisono con uno dei greggi, o ti relegano nel branco dei lupi che, nota bene, sono sempre gli altri. Alla gente di Morra non passa neanche per la mente che ci possano essere delle persone che non sono di nessun partito, ma che intervengono solo per ~ 415 ~ spirito civico, perché vedono così le cose e vorrebbero aprire gli occhi a chi li ha chiusi. Non essere di nessun partito non è uno scandalo; dopo quello che il giudice Antonio Di Pietro ha tirato fuori negli ultimi tempi nessuno può più dubitare che era lecito avere dei dubbi su quello che stava suc- cedendo. Tutti lo sapevano, solo i dirigenti politici al vertice non sapevano niente. Ora dicono che vogliono rinnovarsi ed io spero che lo facciano, ma son curioso di vedere come faranno a liberarsi di tutta quella zavorra che hanno accumulato dalla fine della guerra fino ad oggi, per tornare al loro ideale originale; soprattutto se saranno veramente capaci di educare i loro iscritti a una coscienza civica basata sul rispetto delle leggi e non sui favori. Ora abbiamo un impegno comune: quello di salvare l’Italia dalla catastrofe economica. La moneta è svalutata. Il primo pensiero che mi venne quando lo sentii fu questo: II Governo deve varare delle dure misure economiche che toccano il portafoglio di tutti i cittadini. Non è un compito facile farle approvare. Ora che la lira è scesa, però, la paura di stare peggio farà passare alla svelta il provvedimento. Per far tornare sulla lira ci penserà il Cancelliere Kohl più tardi, ma sono solo delle fantasticherie, che mi sono subito pas- sate. Vedete, io sono sospettoso per natura, ma poi dopo poco mi passa. Non devo sempre essere per forza profetico con le mie previsioni. Mi au- guro tuttavia di aver avuto ancora una volta ragione e che l’Italia, dopo un po’ di tempo che saranno in vigore le misure economiche, ritorni più forte di prima e che il tutto sia stato solamente la scena di una commedia europea, fatta apposta per spingere il popolo italiano a trovare la forza di saltare sulla propria ombra. E alla fine ringrazieremo Amato. LA FESTA AME DEL TICINO Anche questa volta un successo Ottobre 1992 Quando, a mezzogiorno, io e mia moglie partimmo da Binningen per andare alla nostra festa in Ticino, il tempo nevicava. Dal cielo scendevano fiocchetti piccoli, acquosi, pesanti e grigi. Appena il treno lasciò la stazione ~ 416 ~ di Basilea vedemmo la campagna tutta spruzzata di bianco, che s’addensava verso la cima delle colline e si diradava al piano e ci meravigliammo per la precocità dell'inverno. Ciononostante il treno era zeppo di villeggianti, per lo più famiglie, equipaggiati con succhi da montagna, bambini compresi. La folla si sfoltì a Lucerna e i rimanenti ad Arth - Goldau, dove cambiarono treno; cambiando si arrivava prima. Noi rimanemmo quasi da soli nello scompartimento, non avevamo fretta, era ancora presto per la nostra festa. Il Presidente della Sezione Ticino Vito Di Marco mi aveva detto di fargli sapere quando arrivavo, che sarebbe venuto a prendermi alla stazione. Ma noi pensammo di non disturbarlo e di utilizzare i mezzi pubblici, perciò non telefonai. Verso Göschnen gli abeti sulle pendici dei monti avevano in- dossato la cappa bianca ed era bello vederli così, tra il bianco e il verde. A Lugano ci informammo del bus che dovevamo prendere per andare a Pre- gassona dove era la festa. Prendemmo la cremagliera e scendemmo giù. Un gruppo di giovanissime ragazze si alzarono per farci sedere e poi si offersero di accompagnarci alla fermata del bus; e poi c’è chi pensa che i giovani di oggi sono tutti ineducati e drogati! Chiesi al conducente di avvisarmi quando giungevamo nei pressi del capannone per le feste e rimasi vicino a lui. Durante il tragitto a ogni fermata salivano frotte di ragazzi allegri, che andavano verso lo stadio. Il conducente s’impermaliva perché bloccavano la porta del bus per attendere gli amici che facevano il biglietto. Alcune volte scese e andò personalmente a chiudere la porta. A una fermata salì una comitiva di giovani muniti di un tamburo che cantavano canzoni in lingua tedesca. Avevano indossato la maglietta della loro squadra preferita, dietro la schiena c’era il nome dei giocatori stampato sulla maglietta. Facevano un fracasso d’inferno con le loro grida e il loro tamburo. Allo stadio scesero e gli altri passeggieri ne furono contenti. Giunto a destinazione il conducente mi indicò dove dovevo andare. Scendemmo e dopo cento metri ecco venire da lontano un profu- mino d’arrosto. Ci siamo, pensai. Infatti, proprio sotto di noi il capannone e sotto la tettoia davanti alla porta i morresi che facevano i capi diavoli arro- ~ 417 ~

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Roma, aprì la strada fino alla casa di Gerardino Caputo e si fermò. Gli altri che partirono da San Rocco killer della natura. Il Governo, nel sentire le
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