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Deleuze. Una filosofia dell'evento PDF

66 Pages·1998·13.521 MB·Italian
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François Zourabichvili Deleuze Una filosofia dell/evento ., I corte edizioni FRANCOIS ZOURABICHVJl,J è nato nel 1965. Ha conseguito la li bera docenza in filosofia nel 1989. Attualmente insegna in al cuni licei della banlieue parigina e sta preparando una tesi di Dottorato sull'idea di «trasfonnazione» in Spinoza. Deleuze e il François Zourabichvili possibile (sul non volontarismo in politica) è il titolo di un suo saggio apparso in «aut aut», 276, 1996, numero interamente de Deleuze dicato al pensiero di Gilles Deleuze. Una filosofia dell'evento ombre corte edizioni Pubblicato con il contributo del Ministero degli Esteri francese Indice Abbreviazioni 7 Prefazione 9 Il pensiero e il suo fuori ( critica dell'immagine dogmatica) 11 Volere Riconoscere Fondare Note sull'evento, la fine, la storia Incontro, segno, affetto 25 Stupidità, senso, problema Eterogeneità Segno-I: punto di vista e forze L'editore desidera rivolgere un particolare e sincero ringraziamento a Campo trascendentale e piano di immanenza Massimiliano Guareschi e Judith Revel, che a vario titolo hanno con tribuito alla realizzazione di questo volume. Immanenza 51 Critica del negativo: il falso problema Delusione e fatica Il «nostro» problema Titolo dell'opera originale Deleuze. Une philosophie de l'événement Tempo e implicazione 73 © Presses Universitaires de France, Paris 1994; 1996 Abitudine, divenire, caso L'eterogeneità del tempo Traduzione dal francese di Fabio Agostini La molteplicità: differenza e ripetizione Prima edizione italiana: maggio 1998 Aiéìn e Cronos © ombre cart• .- di gianfranco morosato Divenire 95 Via Alessandro Poerio, 9, 37 I 24 Verona Segno-2: abitudine, dispars, singolarità Tellfax: 045/8301735 Sintesi disgiuntiva e differenza etica Progetto grafico e impaginazione: ombrw mrt• edbiant Ritornello, ecceità, discorso libero indiretto In copertina: Gil/es Deleuze Conclusione 125 ISBN 88-87009-05-8 Postfazione ali' edizione italiana 127 Abbreviazioni Sono qui elencate solo le opere esplicitamente menzionate. La riedizione di questo libro è I testi sono citati con le seguenti sigle, seguite dal numero di naturalmente dedicata pagina: alla memoria di Gilles Deleuze - e a tutti coloro che continuano ad amarlo. AE L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia (scritto con Félix Guattari) (1972), trad. it. di A. Fontana, Einaudi, Torino 1975. B Il bergsonismo (1966), trad. it. di F. Sossi, Feltrinelli, Milano 1983. CC Critica e clinica (1993), trad. it. di A. Panaro, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997. C Conversazioni con Claire Pamet (1977), trad. it. G. Co molli, Feltrinelli, Milano 1980. DR Differenza e ripetizione (1968), trad. it. di G. Guglielmi riv. da G. Antonello e A. M. Morazzoni, Raffaello Cor tina Editore, Milano 1997. E L'épuisé, in Sarnuel Beckett, Quad, Les Éditions de Mi nuit, Paris 1992. · ES Empirismo e soggettività ( I 953), trad. it. M. Cavazza, Cappelli, Bologna I 981. F Foucault (1986), trad. it. di P. A. Rovatti e F. Sossi, Fel trinelli, Milano I 987. IM Immagine-movimento. Cinema I (1983), trad. it. di J.-P. Manganaro, Ubulibri, Milano 1984. IT Immagine-tempo. Cinema 2 (1985), trad. it. di L Rarn pello, Ubulibri, Milano I 989. LS Logica del senso (I 969), trad. it. di M. de Stefanis, Fel trinelli, Milano I 979'. FB-LS Francis Bacon. LA logica della sensazione ( I 981 ), trad. Prefazione it. di S. Verdicchio, Quodlibet, Macerata 1995. MP Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia (scritto con Fé lix Guattari) (1980), trad. it. di G. Passerone, Castelvec chi, Roma, 1997 (in 4 volumi). N Nietzsche (1965), trad. it. di F. Rella, SE, Milano 1997. NF Nietzsche e la filosofia ( I 962), trad. it. di F. Polidori. Feltrinelli, Milano 1992. P Pourparlers, Les Éditions de Minuit, Paris 1990. PS Proust e i segni (nuova edizione aumentata) ( 1970), trad. it. di C. Lusignoli e D. De Agostini, Einaudi, Tori no 1986. PSM Presentazione di Sacher-Masoch (1967), trad. it. di M. de Stefanis, Bompiani, Milano I 978. Gilles Deleuze non ha mai smesso di commentare altri PV Pericle e Verdi. LA filosofia di François Chiitelet autori e di affennare, nel fare questo, un pensiero proprio (1988), trad. it. di A. Moscati, Cronopio, Napoli 1996. ed originale. Gli stessi motivi logici, spesso gli stessi con CF Che cos'è la filosofia? (scritto con Félix Guattari) (1991), trad. it. di A. De Lorenzis, Einaudi, Torino 1996. cetti, ritornano da un libro ali' altro, ogni volta mutati, di S Sovrapposizioni. Un manifesto in meno (con Carmelo slocati; l'opera sempre in corso si presenta come un gioco Bene), Feltrinelli, Milano 1978. di echi o di risonanze. Noi cercheremo di mettere in luce SPE Spinoza et le problème de l'expression, Les Éditions dc questa configurazione logica ricorrente, la quale presenta Minuit, Paris I 968. unità e coerenza sufficienti, nonché forza problematizzan SPP Spinoza. Filosofia pratica (198 I), trad. it. di M. Scnal te, per imporsi come una filosofia - una filosofia dell'e di, Guerini e Associati, Milano 1991. vento: «in tutti i miei libri ho cercato la natura dell'even to», «ho passato il mio tempo a scrivere su questa nozio ne di evento» (P., 194, 218). La natura di questa particolare filosofia, costantemente innovativa e meticolosamente ostinata, stazionaria e mute vole, come recita la paradossale definizione del nomadismo che essa propone, sembra legittimare e insieme compro mettere il nostro proposito. E a maggior ragione, può sem brare derisorio esibire il ·prototipo di un pensiero sempre impegnato in un elemento variabile, inseparabilmente etico, estetico e politico. Questo libro ha dunque senso solo in quanto ausilio di lettura o di esercizio logico adiacente: è scritto per chi legge o vorrebbe leggere Deleuze. Come ogni guida, esso propone un intinerario sperimentato dal- 1' autore, ma che non può essere percorso al posto del letto re (il quale conserva naturalmente ogni libertà di emendarlo o di sottrarsene, pur~hé a sua volta ne sperimenti un altro). 10 DELEUZE. UNA FILOSO~lA DELL'EVENTO Ma la· difficoltà implica un altro aspetto. Si commette Il pensiero e il suo fuori rebbe un errore a dividere in due l'opera di Deleuze - (critica dell'immagine dogmatica) commentari da un lato, opere in prima persona dall'altro. A partire da Nietzsche e la filosofia, il cui titolo annuncia uri confronto piuttosto che un mero commentario, il tono utilizzato avverte il lettore non della presenza sottostante ed autonoma del commentatore, bensì di una causa comu ne tra l'autore commentato e il commentatore. Appare l'uso non convenzionale del discorso libero indiretto che caratterizzerà molti libri posteriori, prima di diventare esso stesso un tema: un modo di prestare la propria voce alle parole d'altri, che giunge a confondersi con il suo in verso - parlare per conto proprio prendendo a prestito la Il problema più generale del pensiero è forse quello voce d'altri. Il commento e la scrittura a due sono casi di della sua necessità: non della necessità di pensare, ma di discorso libero indiretto. Si potrebbe applicare a Deleuze come pervenire ad un pensiero necessario. La prima espe ciò che in prima persona egli dice del regista Perrault: «io rienza del pensiero sta nel fatto che non abbiamo scelta, mi sono dato degli intercessori ed è così che posso dire che non vogliamo averla e che non enunceremo ciò che ciò che ho da dire» (P, 171 ). Reciprocamente, la presenza desideriamo. Il pensatore è felice quando non ha più scel e l'insistenza di autori amati in opere cosiddette indipen ta. denti non è minore di quella del commentatore nelle sue La filosofia ha sempre compreso ed ammesso questa monografie: non abbiamo quindi ritenuto che un libro correlazione tra pensiero e necessità e, ancor più, ha rico come Proust e i segni avesse minore importanza. dal pun nosciuto il legame tra la necessità e l'esteriorità. Il pen to di vista del pensiero «proprio» di Deleuze, di Di.fferen siero, in effetti, non decide che cosa sia necessario e w e ripetizione e Logica del senso, dato che i concetti quanto viene pensato non deve affatto dipendere da lui. enunciati in queste opere derivano spesso dal dirottamen Verità è il modo in cui la filosofia ha chiamato questa ne to e dalla combinazione di motivi venuti da altrove. cessità, riscontrandovi non solo l'oggetto di una rivelazio Più sovente, dunque, attribuiamo a Deleuze solo gli ne, ma anche l'esatto contenuto corrispondente a quanto enunciati presentati. È spinozista, nietzscheano, bergso deve essere detto o pensato. Ciò ha condotto la filosofia a niano? (È buono? È cattivo?) Ciò che si deve a Deleuze e raddoppiare la verità stessa con un correlato esterno alla agli altri non è quasi discernibile e non può essere valuta mente, indipendente da essa e identico a sé (la realtà e la to in terrnini di autenticità o di influenza. Distinta, invece, sua essenza). Pensare, in filosofia, ha innanzitutto voluto è la configurazione nuova ed autonoma che si afferrna in dire conoscere. quest'opera indiretta libera e che può portare solo il nome La filosofia ammette dunque volentieri che le sorti del di Deleuze. Ad essa siamo qui interessati. pensiero si giochino nel suo rapporto con l'esteriorità. Ma il problema è sapere se essa giunga effettivamente a pen sarlo, se afferrni proprio una relazione autenticamente esteriore tra il pensiero ed il vero. La diagnosi di Deleuze è la seguente: sebbene la filosofia riconosca nella verità 12 DELEUZE. UNA F1LOSOF1A DELL'EVENTO ILPENSIERO E IL SUO FUORI 13 un elemento indipendente d11l pensiero, essa, nondimeno, in discussione all'interno di un sistema (come in Spinoza, interiorizza il rapporto e postula una relazione intima e dove l'idea di composizione, sviluppata attraverso il con naturale tra pensiero e verità. Il filosofo non sceglie i I cetto di nozione comune e la teoria· affettiva del corpo, vero, vuole sottomettersi alla legge del fuori; ma nello tende a far vacillare tutto il sistema in un empirismo che stesso tempo non smette di dirsi l'amico o l'intimo del richiede una.lettura «nel mezzo»: SPE, 134 e cap. xvn; fuori, colui che lo cerca spontaneamente, che si trova ori SPP, cap. v e v1). ginariamente sulla sua via. La verità non è ancora conqui L'immagine dogmatica deriva dall'interiorizzazione stata o posseduta, ma il pensatore se ne dà in anticipo la del rapporto filosofia-fuori, o •filosofia-necessità, e si forma; il pensiero «possiede formalmente il vero», sebbe esprime: I) nella credenza in un pensiero naturale; 2) nel ne gli resti da conquistarlo materialmente (DR, 215). Esso modello generale della ricognizione; 3) nella pretesa al non sa ancora cosa sia il vero, ma si sa almeno dotato per fondamento. cercarlo, atto a priori a raggiungerlo. Da ciò deriva, ad esempio, l'idea di una verità dimenticata piuttosto che sconosciuta (Platone), o il tema dell'idea innata piuttosto Volere che forgiata o occasionale, a costo di interiorizzare il rap porto con Dio come fuori assoluto o trascendenza (De In filosofia si dà per scontato che noi pensiamo in scartes). modo naturale. Viene cosl presupposta la buona volontà Deleuze procede quindi ad una critica del concetto di del soggetto pensante: <<il filosofo presuppone volentieri verità o della determinazione del necessario come vero, che lo spirito in quanto spirito, il pensatore in quanto ponendo il problema della capacità del pensiero di affer pensatore voglia il vero, ami o desideri il vero, cerchi na mare il fuori e quello delle condizioni di una simile affer turalmente il vero. Egli si attribuisce in partenza la buona mazione. È sufficiente pensare il fuori come una realtà volontà di pensare ... » (PS, 89 - cfr. anche NF, 101, 122- esteriore identica a se stessa? Non si rimane forse, mal 3, 131-2; DR, 212 ss.). Il desiderio del vero appartiene di grado le apparenze, ad un'esteriorità relativa? Quindi, la diritto al pensiero come facoltà; cercare il vero rappresen necessità, cui aspira il pensatore, appartiene effettivamen ta un orientamento costitutivo, originario, del pensiero, te ·all'ordine di una verità, nel senso almeno in cui è stata che trova in se stesso la sollecitazione e l'impulso per una definita? Qualifica un discorso vòlto ad esprimere ciò che ricerca. Vuole il vero, e questo volere non è solamente un le cose sono, un'enunciazione che farebbe corrispondere desiderio, in quanto risulta sufficiente a metterci sulla il senso e l'essenza? Il fuori del pensiero è da conoscere, strada del vero. Sin dall'inizio, il pensatore si trova in un è di natura tale da farne I' oggètto di un contenuto di pen rapporto di affinità con ciò che ricerca: gli basta volere siero? È certo difficile rinunciare all'idea di una realtà per trovare o ritrovare la direzione del vero. Buona vo esterna ... lontà non esprime solo l'intenzione di fare il bene, ma an Deleuze osserva come attraverso la storia della filoso che un'intenzione che di per sé ci mette già sulla via del fia si affermi una determinata immagine del pensiero, che bene, una guida che orienta il pensiero. Che la volontà sia egli chiama dogmatica, perché assegna a priori una forma buona significa che volere è volere il vero (e che la perse al fuori (NP, 131-8; PS, 89-96; DR, cap. 111). Tale imma veranza nell'errore, secondo un ben noto motivo morale, gine permea, almeno formalmente, tutte le filosofie fino è da attribuire ad una mancanza di volontà). Fate atto di alla grande crisi nietzscheana, anche se qua e là è messa volontà,· decidete di volere il vero e sarete già sulla sua 14 DELEUZE. UNA FILOSOFIA DELL'EVENTO ILPENSIERO E IL SUO FUORI 15 strada; a quel punto, mancherà solo un metodo per evitare suaderci che il pensiero abbia una natura buona e il pen ogni disavventura. «Da un certo punto di vista, la ricerca satore una buona volontà, e solo il Bene può fondare l'af della verità sarebbe la cosa più naturale e più facile; ba finità supposta del pensiero con il Vero. Che cosa, in ef sterebbe una decisione e un metodo capace di vincere le fetti, se non la Morale, e il Bene, può dare il pensiero al influenze esterne che distolgono il pensiero dalla sua vo vero e il vero al pensiero ... ?» (DR, 172). Che cosa ci assi cazione e gli fanno prendere per vero il falso» (PS, 89). cura di un legame di diritto tra il pensiero e il vero? Per Così, se pensare è forse difficile di fatto, risulta facile di ché il pensiero dovrebbe essere dotato per la verità? Nulla diritto: basta volerlo (decisione) e applicarsi (metodo) garantisce che il pensiero sia già da sempre alla ricerca (DR, 217). del vero e che voglia naturalmente la verità. Non c'è al Ma se si suppone che il pensiero trovi in se stesso I' o cun legame a priori, se non per l'idea morale di Bene. rientamento necessario, è perché esso lo possiede già da sempre. La buona volontà del pensatore è garantita dalla natura retta del pensiero (DR, 214; NF, 131). Il pensiero Riconoscere è naturalmente ben orientato, di modo che se siamo alla ricerca non solo del vero, ma anche del cammino che ad La seconda conseguenza dell'interiorizzazione del rap- , esso conduce (l'orientamento), bisogna che il pensiero sia porto pensiero-verità è il modello della ricognizione (PS, stato sviato e distratto da forze nocive che gli sono estra 28-30; DR, 171 ss.). L'oggetto pensato costituisce più nee. Il concetto di errore, in cui la filosofia ripone tutto il l'oggetto di un riconoscimento che di una scoperta, per negativo del pensiero, è costruito sullo schema di un in ché il pensiero, non essendo in un rapporto di estraneità tervento esterno che distoglie il pensiero da se stesso, of assoluta con ciò che pensa o si sforza di pensare, anticipa fuscandone accidentalmente, quindi provvisoriamente, il in qualche modo se stesso giudicando a priori la forma suo rapporto naturale con la verità. Il pensiero conserva del suo oggetto. Non si cerca la verità senza postularla in pur sempre le risorse per riallacciarlo con le proprie forze anticipo o, in altri termini, senza presumere, ancor prima mediante un atto di volontà. L'esteriorità, in filosofia, è di aver pensato, l'esistenza di una realtà: non tanto di un dunque separata: tanto .la verità, quanto l'errore hanno la mondo (cosa che Deleuze non mette mai in questione), propria origine al di fuori del pensiero, ma noi siamo in quanto di un «mondo veridico», identico a sé, docile e fe un rapporto essenziale ed intimo con la prima e in un rap dele alle nostre attese, per quanto ci è dato conoscerlo. ,; porto accidentale con il secondo. Il buon fuori risiede nel Poiché il pensiero interpreta il proprio oggetto come fondo dei nostri cuori, com~ «un dentro più profondo di realtà, gli assegna a priori la forma dell'identità: omoge ogni mondo interiore» (e vedremo come Deleuze conser neità e permanenza. Per poter essere conosciuto, l'oggett9 vi questo schema sconvolgendone completamente il signi viene sottoposto al principio di identità, di modo che ogni ficato), mentre il cattivo fuori risiede all'esterno e cor conoscere è già un riconoscere. Il pensiero riconosce ciò rompe il pensiero. che prima ha identificato, non dandosi nulla da pensare Il pensiero è naturalmente ben orientato. A fondamen che esso non abbia prima passato al vaglio del Medesimo. to di quest'immagine dogmatica, come non sospettare, È allora facile vedere come un mondo «veridico» sia sulla scia di Nietzsche, una motivazione morale? Come necessariamente fiancheggiato da una trascendenza che non sospettare, all'origine di questo presupposto, un ben ne garantisce l'identità. Quest'ultima può essere infatti pensare conformista? «Solo la Morale è in grado di per- solo presunta, posto che il pensiero fornisce a priori una 16 DELEUZE. UNA F1LOSOF1A DELL'EVENTO ILPENSIERO E IL SUO FUORI 17 forma a ciò che non è ancora conosciuto (comincia così la cora non si dispone ( e la critica «pedagogica» del sapere confusione tra l'immanenza e la chiusura). La credenza in resta impotente o, peggio ancora, manifesta un'ispirazio una realtà esteriore rinvia in ultima istanza alla posizione ne sofistica, quando si accontenta di svalutarlo a vantag di un Dio come fuori assoluto. Insomma, l'immagine gio di capacità vuote o formali che ne sono semplicemen dogmatica del pensiero si riconosce per il fatto che essa te il correlato: non si critica il contenuto se non uscendo collega fuori e trascendenza, rinviando necessariamente dal dualismo che esso forma con il contenente). C~si,jl ad un al di là come garante imprescindibile dell' a priori filosofo si immagina realizzato e si sogna possidente; che essa postula e impone su questa terra. l~~in~~g1né _a~~ii~[~!,_'ic;:J_pe~sieréi,~ PI?Prio quella di un Ma come potrebbe il pensiero sapere in anticipo ciò arric~]!i~~tifo,. Coine, in queste éo"n01iioni, l'elemento del che deve pensare? Come potrebbe dedicarsi ad un oggetto · sapere potrebbe scongiurare lo spettro che lo ossessiona - preliminarmente riconosciuto e supposto preesistente? Si la stupidità? Deleuze sottolinea come il postulato ricogni può credere che il pensiero possa così raggiungere la ne tivo, con le sue due trasformazioni, il sapere e l'errore, . cessità e cogliere qualcosa che non dipenda da esso? Una f vorisca un'immagine servile del pensiero fondata sul- · filosofia dell'immanenza dovrebbe dunque rimettere in I nleiriil/1z1?_'!!~ ?are la ~uona risposta. e !~v~ il ~~u~­ discussione persino lo schema logico attributivo che pri tato esatto, come accade a scuola o nei g1och1 telev1s1v1. vilegia le questioni d'essenza, giudicando a priori l'iden L'atto di pensare si regola su situazionì' puerili e scolari. tità dell'oggetto interrogato, domandando sempre, appun «Ci si vuol far credere che l'attività del pensare, e anche to: che cos'è? Vedremo come il pensiero, nella misura in il vero e il falso in rapporto a questa attività, non comin cui pensa, non si rivolga ad un oggetto identico a sé e cino che con la ricerca delle soluzioni, non riguardino che come non operi in un campo oggettivo-esplicito. Esso le soluzioni» (DR, 205). «Da sempre, la filosofia ha in non raggiunge il necessario o, in altri termini, non pensa contrato il pericolo di misurare il pensiero sulla base di veramente se non in una zona «distinta-oscura». occorrenze ininteressanti come dire "Buongiorno, Teodo Il modello della ricognizione comporta almeno altri ro", quando invece è Teeteto che passa» (CF, 139 - cfr. . due postulati: l'errore come stato negativo· per eccellenza anche NF, 133 e DR, 195). 'del pensiero e il sapere come elemento del vero (DR, 193 Ne deriva l'idea umanista e pia per la quale i problemi ss. e 213 ss). La filosofia commisura la propria ambizione sono da sempre gli stessi, un patrimonio comune atempo aHa natura dell'oggetto a cui si rivolge, identico e perma rale, mentre il pensiero si barcamena tra soluzioni tutte ,n ente. Il pensiero perciò non è che un processo provviso divergenti, ma in ugual misura lacunose e insoddisfacenti. rio destinato a colmare la distanza che ci separa dall' og La filosofia si trova posta di fronte al dilemma di ricerca getto; esso dura esattamente il tempo che impieghiamo a re nuove soluzioni, che condann·erebbero tutto il suo pas riconoscere. La sua ragion d'essere è negativa: mettere sato, oppure di conservare il culto di· enigmi eterni posti fine alle noie dell'ignoranza. A meno che non sia il con all'uomo e di cui il filosofo avrebbe almeno il merito so trario e che il pensare si riduca alla contemplazione beala ciale di farsi carico per conto degli altri, compito che as dell'oggetto conosciuto o all'esercizio macchinale di una sumerebbe al meglio solo dando prova di un ardore disin potenza suprema di ricognizione. L'individuazione del sa teressato per la conservazione delle soluzioni passate pere come fine costringe dunque il pensiero nell'alternati (fortunatamente, la storia della filosofia non si è sempre va tra l'effimero e l'immobile, restando comunque sem limitata a questo). pre nell'ambito dell'appropriazione di contenuti di cui an- 18 DELEUZE. UNA FILOSOAA DELL'EVENTO ILPENSIERO E IL SUO FUORI 19 Fondare propria della doxa o dell'opinione. La filosofia raggiunge il fondamento solo selezionando delle opinioni universali Infine, il legame a priori tra il pensiero e la verità si (l'essere empirico sensibile e concreto in Hegel, la com esprime nell'equivoco del/cominciamento (DR, 169 ss.). prensione preontologica dell'essere in Heidegger), o an Là filosofia si è molto preoccupata di cominciare e non che un'Opinione originaria (I' Urdoxa della fenomenolo ha mai smesso di cercare il buon principio: Idee, cause, gia). Heidegger, che critica in maniera decisiva l'immagi cogito, principio di ragion sufficiente. .. Non si tratta solo ne dogmatica definendo il pensiero come una posizione d'introdurre un ordine nei concetti; l'esigenza di un ordi in cui sempre non si pensa ancora, sviluppa d'altro canto , ne implica una separazione, una differenza di statuto tra il tema di una philia, conservando dunque «un'omologia · concetti che fondano e concetti fondati - i primi, assoluta tra il pensiero e ciò che va pensato» (DR, 188 n.) . ..Bn,çht niente necessari, perché supposti a garantire la necessità viene pensato come fondamento, il cominciamento resta dei secondi. «Ùiia volta per tutte» non si dice solo della so'ttoposto ad un riconoscimento iniziale che trae la sua fine (il sapere), ma anche dell'inizio: la filosofia richiede forrnà' èlal senso comune; in tal modo, la filosofia non rie un punto di partenza, come una rottura definitiva con ciò scé a liberarsi di una preliminare affinità con ciò che si che essa non è. La filosofia esige un fondamento come deve pensare. L' inq1pacità di sbarazzarsi dei presupposti segno dell'aver finalmente cominciato a pensare e di ave è evidentemente iégafa àrm odello ricognitivo: pretenden re abbandonato per davvero l'orizzonte di un pensiero so do di superare e, insieme, di conservare l'opinione, il lamente possibile (l'opinione, la doxa). Anche qui, come pensiero fondativo forma un circolo con quest'ultima, per il terna dell'esteriorità, si tratta di sapere se la filoso pervenendo così a ritrovare o a riconoscere solo la doxa fia possa effettivamente ambire al superamento della (nel capitolo III vedremo come questo riguardi anche la semplice possibilità di pensare ponendo il problema in stessa dialettica hegeliana). termini di fondamento. Ora, la messa in questione di questa presupposta affi Deleuze sottolinea l'incapacità dei filosofi a comincia nità provoca un completo sconvolgimento nella maniera re veramente (DR, 196-173). Un vero cominciamento esi- in cui la filosofia intende la propria necessità. Rompere . ge l'eliminazione di ogni presupposto; si può certo c~ con il pensiero fondativo, ma a vantaggio di che cosa? minciare con un concetto che non ne presupponga effetu Rinunciando a fondare, non siamo forse ricondotti di vamente nessun altro (come il Cogito, contrariamente alla fronte al dubbio, con la sicurezza ormai di non poterne definizione dell'uomo come animale razionale), ma non più uscire? L'unica certezza che rimane non è quella, mi per questo si sfugge a presupposti di altro ordine, implici nima e paradossale, dello scetticismo? Ma il problema è ti o preconcettuali, che possono fondarsi solo sul senso sapere se l'impresa di fondare non sia,molto'semplìcè-· comune. In tal modo, «si suppone che ognuno sappia sen mente: in contraddizione con il concetto di necessità. Nel za concetto ciò che significa io, pensare, essere» (DR, fondare, pretendiamo di possedere il cominciamento e di 169). Nel momento stesso in cui la filosofia crede di co controllare la necessità. Si presuppone che il pensiero minciare, il suo cominciamento cade nel prefilosofico, · rientri in se stesso e conquisti la propria necessità dall'in tanto che essa non può mai possedersi e autonomizzare il terno (ricordiamo, a titolo di esempio, l'impressionante proprio fondamento. Per cominciare o fondarsi, la ~loso inizio dei Colloqui sulla metafisica di Malebranche). An fia non può riferirsi ad una differenza di statuto net con cora una volta, la filosofia nel suo complesso sembra ca cetti che, a sua volta, poggia su una differenza di statuto dere nell'equivoco di un fuori, ora minaccioso (il sensibi-

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