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Cuori Alla Deriva PDF

146 Pages·2004·0.84 MB·Italian
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Cuori alla deriva Katherine Kingsley Traduzione di Elena De Fanis MONDADORI Copertina: Art Director: Giacomo Callo Image Editor: Giacomo Spazio Mojetta Realizzazione: Studio Echo Titolo originale: Song from the Sea © 2003 by Katherine Kingsley © 2004 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano Prima edizione I Romanzi novembre 2004 www.librimondadori.it Per abbonarsi: www.abbonamentionline.com Finito di stampare nel mese di ottobre 2004 presso Mondadori Printing S.p.A. Via Bianca di Savoia 12, Milano Stabilimento NSM Viale De Gasperi 120 – Cles (TN) Stampato in Italia – Printed in Italy A Gary, per avermi portata a casa Il tempo tristo per gli amadori E in cui la notte sconfigge il dì, Stagion di nevi danni ed errori, L’infesto verno pur or finì; Delle memorie s’oblia ’l dolore, Il gelo è ucciso, germina il fiore, E per le verdi macchie i bocciuoli Ad uno ad uno schiude l’april. A C S LGERNON HARLES WINBURNE Atalanta in Calidone Ringraziamenti Grazie molte ai miei cari amici Francie Stark e Jan Hiland per aver letto attentamente il manoscritto e per tutto l’incoraggiamento, sempre molto apprezzato. Grazie anche a Sierra Raven Wolf per avermi aiutato a tirare avanti in modo che potessi effettivamente scrivere il manoscritto. Infine, il mio ringraziamento va allo scrittore e docente Alan Cohen, dal quale ho appreso l’esistenza del costume tribale africano del canto dell’anima. Ai lettori: spero gradiate Cuori alla deriva. Di sicuro mi sono divertita a scriverlo. Potete contattarmi presso: P.O. Box 37, Wolcott, Colorado 81655 e-mail [email protected] o visitare la mia pagina web http://ooourworld.compuserve.com/homepages/kkingsley. Prologo Villa Kaloroziko Corfù, Grecia 12 Ottobre 1817 — Papà… oh, papà, ti prego non lasciarmi — mormorò Callie guardando il padre che s’indeboliva sempre di più. — Non so come potrei fare senza di te. — Posò la fronte sul suo petto, cercando disperatamente di non piangere. Non riusciva a credere che la sua ora fosse arrivata dopo una lotta tanto lunga e coraggiosa, ma il tumore al cervello lo stava inesorabilmente portando via e lei sapeva di non poter fare più niente per lui. Nessuna medicina al mondo gli avrebbe potuto restituire la salute. Magnus Melbourne aprì gli occhi. Il suo sorriso era dolce come sempre. — Mia piccola Callie — sussurrò, sollevando a fatica una mano e accarezzandole delicatamente i capelli. — Quanto vorrei riuscire a vederti, mia figlia diletta. Tua madre e io ti abbiamo scelto un nome appropriato: Callista, “la più bella”. Sei tutto questo, dentro e fuori. Mi hai reso tanto orgoglioso. Callie soffocò un singhiozzo. — Sono contenta di saperlo, papà. Sei stato il migliore dei padri. Ne abbiamo avute d’avventure, non è vero? — affermò, cercando di parlare con un tono allegro. — Davvero! — Le diede un colpetto affettuoso alla spalla. — Dubito che ci sia un’altra ragazza al mondo che abbia viaggiato tanto. Devi utilizzare quello che hai imparato, mia cara, e fare sì che il mio libro sia portato a termine nel modo giusto. È un tale peccato che mi sia ammalato proprio poco prima di finirlo. — Emise un debole sospiro. — Non preoccupiamoci di questo ora. So che posso affidarti a Harold Carlyle, che sarà un ottimo marito per te e ti offrirà una bella vita in Inghilterra. Callie si tirò su bruscamente. Harold Carlyle era l’argomento che meno gradiva ed era stato la causa di molte notti insonni. Sapeva che l’avanzare della malattia aveva confuso le idee del suo caro padre, perché altrimenti non avrebbe mai preso con il suo vecchio amico lord Geoffrey l’accordo tanto sciocco di unire in matrimonio i loro unici figli. Suo padre non aveva più visto Harold da quando questi era un bambino: come poteva sapere che tipo d’uomo era diventato? Avevano avuto innumerevoli discussioni sull’argomento, ma Magnus si era rifiutato di cedere, convinto che il suo piano fosse il migliore per garantirle un futuro sicuro dopo che lui se ne fosse andato. Se avesse proprio dovuto trasferirsi in Inghilterra, Callie avrebbe di gran lunga preferito andare da un suo lontano parente, lord Fellowes, ma suo padre non era in contatto con quel ramo della sua famiglia da anni e si era quindi rifiutato di considerare quella possibilità. Aveva deciso che Harold Carlyle era la soluzione perfetta. L’argomento era chiuso e non importava quanto veementemente Callie protestasse. Ma ora il tempo per le discussioni era finito. Voleva che suo padre morisse in pace e il minimo che potesse fare era lasciargli credere che avrebbe esaudito i suoi desideri. In parte lo avrebbe fatto: sarebbe andata in Inghilterra e avrebbe incontrato i Carlyle. Doveva almeno quello a suo padre, ma non poteva assolutamente sposarsi con un perfetto sconosciuto. Avrebbe semplicemente dovuto spiegare loro la cosa. Dopotutto, non potevano costringerla a sposarsi, anche perché non avevano bisogno dei soldi della sua dote. Suo padre aveva detto che i Carlyle erano molto ricchi; non credeva quindi che si sarebbero preoccupati di non avere anche il suo patrimonio. Poi, dopo aver eseguito quel compito spiacevole, sarebbe potuta tornare a Corfù e ricominciare la sua vita nella villa insieme a Niko, a Billiana, a Panagiotis e a Sofiya, che si sarebbero presi cura di lei come avevano sempre fatto. L’eredità le avrebbe assicurato l’indipendenza economica e non avrebbe mai avuto la necessità di sposarsi: gradiva l’idea del matrimonio quasi quanto un attacco di dissenteria. Finché fosse rimasta nubile avrebbe potuto avere il controllo della propria fortuna e del proprio futuro, e quello era tutto ciò che voleva. L’idea che un qualunque uomo dispotico potesse darle degli ordini la faceva stare veramente male. L’unico inconveniente era il fatto che non avrebbe avuto bambini, che le piacevano molto; pensò, però, che avrebbe sempre potuto affezionarsi ai figli degli altri. — Callie? Non mi hai risposto. Mi aspetto che tu mi obbedisca in questo — continuò suo padre, apparendo turbato. Callie notò che quel po’ di forza che gli era rimasta stava scemando. — Lo so, papà. Sono sicura che ne sai più di me — rispose, cercando di tranquillizzarlo senza mentire del tutto. — Indubbiamente, e sono contento che tu sia arrivata a capirlo. Lord Geoffrey scrive di Harold in modo molto lusinghiero ed è lieto come lo sono io al pensiero del vostro matrimonio. È quello che tua madre avrebbe voluto per te, proprio come lo voglio io. Callie si portò la mano del padre alle labbra, la baciò e vi intrecciò le proprie dita. — So che vuoi solo la mia felicità, papà. — Sì. Non potrei desiderare per te dono più grande del matrimonio pieno d’amore che tua madre e io abbiamo avuto. Harold proviene da un’ottima famiglia, persino migliore della nostra. Mio padre era solo l’ultimogenito di un barone, ma lord Geoffrey è l’ultimogenito di un marchese, sai, e zio dell’attuale marchese. Callie lo sapeva fin troppo bene. La mente del padre doveva essere nuovamente confusa, perché le aveva fornito quell’informazione più volte di quante lei potesse ricordare, come se la cosa potesse colpirla e farle desiderare di sposare Harold. Non era né favorevolmente colpita, né interessata alle nobili origini dell’uomo, poiché non sapeva che farsene dell’aristocrazia inglese e delle sue ridicole convenzioni, convenzioni che il padre aveva cercato con scarso successo di inculcarle in testa negli ultimi mesi. — Mi chiedo però come mai Harold Carlyle voglia prendersi una donna che non solo ha già venticinque anni, ma che conosce anche così poco le buone maniere, nonostante i tuoi sforzi per farmele imparare — aggiunse Callie con leggerezza. — Posso discorrere con disinvoltura, in molte lingue diverse, di argomenti riguardanti le piante, i costumi tribali, i medicamenti, ma non mi viene proprio in mente niente quando si tratta di quelle cose di cui le rispettabili signorine inglesi si presume parlino. So che ho scandalizzato la povera signorina Margaret Evans quando è venuta in visita lo scorso Natale. Non riusciva a credere che non sapessi assolutamente niente delle ultime novità della moda londinese, né che la cosa non mi interessasse. Il padre aggrottò le sopracciglia. — Ho spesso pensato a quanto sono stato egoista a tenerti stretta a me invece di mandarti a una scuola appropriata, a insegnarti materie come il greco, il latino e la botanica quando avrei dovuto farti istruire nelle arti più indicate per una giovane donna. — Oh no, papà, ti prego, non devi assolutamente pensarlo — protestò Callie, non riuscendo a sopportare di sentire il suo amato padre rimproverarsi di averle dato un’istruzione non convenzionale. Gli accarezzò gentilmente la fronte. — Ho amato la nostra vita insieme: mi hai portato ovunque e non mi hai mai impedito di imparare nulla, anche se non si trattava degli argomenti che comunemente interessano alle ragazze. Mai, nemmeno per un attimo, ho desiderato che qualcosa fosse diverso… — si fermò, non volendo mentirgli. — Be’, ho spesso desiderato che la mamma non fosse morta quando avevo solo otto anni, ma quello non poteva essere evitato. — La tua cara madre — sussurrò. — I suoi polmoni sono stati sempre deboli. Nonostante avessimo lasciato l’Inghilterra per un clima più mite, niente ha potuto aiutarla. Se Dio vuole, presto sarò di nuovo con lei: ho sentito la sua mancanza ogni giorno da quando se ne è andata. — Vorrei che non morissi — mormorò, piegandosi e baciandogli la guancia, secca come pergamena. — Mi mancherai terribilmente, come a te è mancata la mamma. La sua bocca si incurvò verso l’alto. — Non devi avere paura della morte, mia piccola Callie. Fa tutto parte della vita e in fondo è solo un altro inizio, un inizio magnifico. Promettimi che te lo ricorderai quando me ne sarò andato. — Lo prometto — giurò Callie solennemente, anche se le si stava spezzando il cuore. Lacrime di fuoco le bruciavano gli occhi e le cadevano lungo le guance; si affrettò ad asciugarle con la mano, prima che il padre si accorgesse che stava piangendo. Fissò intensamente la luce screziata del sole che filtrava dalle persiane mezzo chiuse, cercando di ricomporsi. — E io prometto che veglierò su di te — giurò altrettanto solennemente lui, ma la sua voce si affievolì e dovette interrompersi. — Se dovessi sentire una brezza sulla guancia in un giorno calmo o udire un’allodola cantare di notte, saprai che sono con te — terminò. Callie non aveva pensato a questo. Sperò vivamente che non la vegliasse con troppa attenzione, perché così facendo avrebbe scoperto che aveva mancato di onorare il suo ultimo desiderio. In tutta coscienza, però, non poteva portare a termine un piano tanto assurdo, anche se lui credeva di agire per il suo bene. — Sarai sempre nei miei pensieri, papà. Sempre, finché non ci rincontreremo. Le strinse la mano con la più leggera delle pressioni. — Devo dormire adesso, cara ragazza — mormorò, la voce ora appena udibile. — Siediti qui con me. Non ne ho ancora per molto. — Girò la testa sul cuscino e tacque. Due ore più tardi, mentre il crepuscolo stava calando, suo padre aprì nuovamente gli occhi. Strinse la mano di Callie che era ancora nella propria con una forza sorprendente. — È ora — esclamò, i suoi occhi ciechi pieni di una gioia che lei non capiva. — Canta per me adesso, Callie. Canta il canto della mia anima come ti ho insegnato. Fammi entrare nella prossima vita cantando e, mentre canti, sappi che ti amo con tutto il mio cuore. — Così come io amo te, papà — rispose Callie, temendo di non riuscire a sopportare il dolore che la straziava. — Sii libero. Va’ fra le braccia di Dio con il cuore felice. — Fece un profondo respiro, disse una preghiera e poi cominciò a cantare il canto del padre con voce forte e chiara, proprio come le aveva insegnato, mantenendo la promessa che gli aveva fatto anni prima. Morì con il sorriso sulle labbra. 1 Hythe Kent, Inghilterra 20 Aprile 1818 Adam Carlyle, quinto marchese di Vale, settimo conte di Stanton e nono visconte di Redlynsdale, aveva deciso di uccidersi e non era disposto a lasciare che un po’ di cattivo tempo gli fosse d’intralcio. Aveva atteso il giorno in cui il vento avrebbe soffiato da nordest. Non si aspettava però che il vento improvvisamente si sollevasse fortissimo né di dover combattere il minaccioso mare agitato. Riparandosi con il braccio dai furiosi spruzzi di acqua salata che gli bagnavano il viso, scrutò attraverso la grigia foschia, cercando di capire come meglio superare la prossima ondata. Avrebbe volentieri lasciato che il mare sommergesse la barca a remi all’istante e ponesse fine alle sue sofferenze, perché la schiena e le spalle gli bruciavano terribilmente per lo sforzo di remare, ma aveva un motivo per proseguire: suo cugino Harold. Il suo odio per Harold era secondo solo al suo desiderio di morire e, maledizione, non gli avrebbe permesso di ereditare facilmente il marchesato una volta che lui se ne fosse andato. Quindi Adam avrebbe fatto in modo di annegare il più lontano possibile dall’Inghilterra. Voleva che la barca sprofondasse sul fondo della Manica e che il suo corpo venisse trasportato sulle coste della Francia, come un’altra vittima anonima del mare capriccioso. Harold avrebbe dovuto aspettare a lungo la definitiva dichiarazione della morte di suo cugino prima di mettere le sue avide, impazienti mani sui ventimila ettari di Stanton Abbey e sulla fortuna che l’accompagnava. Sorridendo amaramente, Adam pregustò il pensiero di quanto Harold sarebbe stato infastidito. Ma, dopotutto, aveva trascorso quasi tutta la vita a fare il possibile per infastidire Harold e, nel complesso, vi era riuscito. Il pensiero di Harold e della sua grassa faccia compiaciuta diede a Adam nuova energia. Strinse le mani intorno all’impugnatura dei remi e affondò di nuovo le pale nell’acqua, spingendo in avanti con tutte le sue forze. Il suo unico rimpianto era non poter vedere l’espressione di Harold quando avrebbe saputo dall’avvocato di Adam che questi non era svanito definitivamente, come tutti avevano inizialmente ritenuto, ma era semplicemente partito per un lungo viaggio intorno al mondo. Il piano di Adam, lungamente e attentamente congegnato, avrebbe spinto Harold a inseguire per molti anni false piste prima di ottenere la dichiarazione ufficiale della morte del cugino e mettere finalmente le mani su Stanton. Adam sbuffò per il disgusto al pensiero, poi rinvigorì la presa sull’impugnatura dei remi e spinse di nuovo, girando la barca leggermente di lato per gettarsi sulla cresta di un’altra onda e ricevendo uno schiaffo d’acqua fredda sul viso. Pace, pensò, stringendo i denti per lo sforzo e desiderando che le sue braccia doloranti remassero più energicamente. Pace. Un’assenza totale di dolore lo attendeva: mai più sensi di colpa, mai più notti insonni trascorse a imprecare contro un Dio a cui lui non credeva nemmeno. Improvvisamente esausto, adagiò lentamente i remi all’interno della barca e aprì lentamente le mani intirizzite, abbassando il capo e stringendosi le braccia doloranti intorno alle ginocchia mentre combatteva per riprendere fiato. Aveva finito il suo lavoro. Il resto toccava al mare, al mare e al Dio a cui non credeva. Forse per una volta, la misericordia avrebbe prevalso. Ci contava. La piccola barca ondeggiava e rollava, libera di andare in ogni direzione. Ad Adam non importava molto, purché non tornasse indietro, cosa improbabile visto che la forza della corrente li trascinava verso la Francia e verso il gradito oblio. Prima o poi sarebbe arrivata un’onda sufficientemente grossa ad affondare la barca, facendo sprofondare anche il suo passeggero riconoscente. Il suo respiro tornò regolare e Adam si calò nel rifugio dello scafo, appoggiò la schiena al sedile, chiuse gli occhi e si preparò a morire. Quello non era difficile. In quei due ultimi interminabili anni si era già sentito morto, così non aveva bisogno di prepararsi psicologicamente. Prima di perdere conoscenza, pensò che gli piaceva l’idea che i suoi resti mortali divenissero cibo per i pesci. Come il parroco amava tanto dire, si dovrebbe sempre restituire. Con un po’ di fortuna i pesci avrebbero fatto un banchetto con la sua carne e sarebbe rimasto ben poco per effettuare l’identificazione del corpo. Poco dopo, qualcosa svegliò bruscamente Adam dal sonno profondo in cui era caduto. Un canto, ecco cos’era: un lieve suono acuto, delizioso, che sembrava un assolo di soprano in un coro celestiale. Disorientato si stropicciò gli occhi, domandandosi se quello fosse il paradiso che aveva deriso negli ultimi due anni. Rapidamente allontanò quell’idea, rendendosi conto che era bagnato, gelato e assetato e ogni muscolo del corpo gli faceva male. Altro che paradiso: era ancora nella maledetta barca che stava dimostrandosi, cosa estremamente seccante, inaffondabile. Perlomeno il vento era un po’ calato. Stropicciandosi di nuovo gli occhi infiammati e gonfi, scrutò nella nebbia, cercando l’origine di quel canto. Dai vaghi recessi della sua mente confusa emerse il ricordo delle sirene, le ninfe del mare il cui canto induceva i marinai a fare naufragio. Se ricordava bene, Ulisse era sfuggito loro legandosi a un albero della nave e otturando le orecchie dei suoi uomini. Be’, non aveva intenzione di turarsi le orecchie. Finalmente aveva trovato la sua rovina e le sarebbe andato incontro con decisione. Poteva anche essere un ateo, ma non aveva alcuna obiezione verso gli antichi Greci. Stava per rimettersi comodo e farsi tranquillamente cullare verso la morte quando si drizzò come un fuso, incapace di credere ai suoi occhi. Con sua grande meraviglia, un veliero era comparso dalla nebbia, a meno di una decina di metri di distanza da lui. In un solo istante comprese non solo l’origine del suono, ma vide anche la cantante stessa precariamente in bilico sulla poppa della

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