Nahtjak89 Christian Meier CULTURA, LIBERTA’ E DEMOCRAZIA Alle origini dell’ Europa, l’ antica Grecia Per Hegel, «lo spirito europeo ha vissuto in Grecia la sua gioventù». Oggi questa intuizione può essere corroborata da nuove acquisizioni della storia e dell’archeologia, che ci permettono di capire meglio che cosa davvero significhi l’eccezionalità della Grecia nella storia delle civiltà. Perché su questo non c’è dubbio: i greci, popolo singolare ed esotico, riuscirono a dar vita a una cultura diversa da tutte le altre, pur straordinarie e grandi, fiorite nel corso della storia. Altrove, l’organizzazione e la mentalità politica, le idee, i miti, i modi di pensare, le risorse tecnologiche, la religione, la poesia, l’arte, la scienza si erano concretizzate grazie a un potere autoritario, una monarchia. In Grecia, invece, fu una vasta cerchia di uomini liberi che, attraverso un complesso percorso storico, inaugurò libere forme di vita. Cultura, libertà e democrazia segue questo affascinante percorso, nelle sue varie fasi e nei suoi risvolti: gli aspetti politici e militari innanzitutto, a partire dal confronto con la Persia e con Roma; e poi la frammentazione e la molteplicità delle città greche, da Atene a Sparta; l’alternarsi di democrazia e aristocrazia, di rivolte e tiranni. A questo percorso è strettamente intrecciato l’aspetto economico, con la spinta dei commerci e la colonizzazione del Mediterraneo. E va tenuto conto dell’intelaiatura specificamente culturale che ispirò questa evoluzione e al tempo stesso le diede una forma e una consapevolezza: l’epica di Omero ed Esiodo, il rapporto con le divinità, l’importanza dei simposi e la nascita della filosofia… In una fase di rivoluzione globale, ci suggerisce il libro di Christian Meier, comprendere le nostre radici profonde, i valori che hanno ispirato il percorso della civiltà prima greca e poi europea, è fondamentale: non solo per capire il nostro passato, ma per guardare al futuro. Christian Meier (Stlop, Pomerania, 1929) è professore di storia antica nell’Università di Monaco di Baviera. È autore, tra gli altri, di La nascita della categoria del politico in Grecia; L’identità del cittadino e la democrazia in Grecia; Progresso. I concetti della politica; Atene; L’arte politica della tragedia greca. Con Garzanti ha pubblicato anche Giulio Cesare. Collezione storica In copertina: Testa d’atleta (part. inizio IV sec. a.C.) Parigi, Museo del Louvre Per essere informato sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it www.infinitestorie.it Traduzione dal tedesco di Umberto Gandini Titolo originale dell’opera: Kultur, um der Freiheit zu willen © 2009 by Siedler Verlag, München a division of Verlagsgruppe Random House GmbH, München, Germany ISBN 978-88-11-13290-5 © 2011, Garzanti Libri s.p.a., Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol www.garzantilibri.it . I LA QUESTIONE DELL’INIZIO Dove comincia l’Europa? E dove si colloca, più in generale, l’inizio di qualcosa? Nulla avviene o esiste senza preparazione, precursori, premesse. Non c’è mai un’ora zero. Via via che si scava, ovunque, sotto i supposti inizi, ci si imbatte in scaturigini più profonde che di fronte allo sguardo indagatore sembrano a loro volta arretrare, giù giù verso antecedenti senza fondo. Certo, molte cose hanno una chiara data d’inizio: le costituzioni, le federazioni, la Comunità europea e altre istituzioni che sono state fondate in un qualche preciso istante. Anche loro hanno una preistoria, tuttavia la loro storia comincia palesemente nel momento in cui si sono affacciate alla vita. Diverso invece il caso di qualcosa che cresce molto lentamente, qualcosa che quando comincia a essere percepito sembra spesso esistere già da un bel po’ in una misura maggiore o minore: per esempio un’opinione, un’usanza, una situazione, un intero movimento. Come stabilirne l’inizio? E come, in particolare, fissare l’inizio di una realtà altamente complessa quale l’Europa che si esita persino a considerare un’entità unitaria, sia in termini di tempo che di spazio? Se fosse un’entità unitaria, dovrebbe rappresentare il risultato, a sua volta riscomponibile, della concrescita di un’infinità di componenti. Inoltre, quanto più indietro se ne faccia risalire l’origine, tanto più il suo processo continuativo di formazione dovrebbe essere connotato dall’aggiunta costante o per spinte successive, sia dall’interno sia dall’esterno, di elementi nuovi e spesso molto differenti; dall’impatto di disparatissimi impulsi che si siano reciprocamente innescati e accentuati. Un processo nel corso del quale molte cose, forse non meno europee, forse addirittura più significative siano via via anche andate perdute. In ogni caso – così considerata – quest’Europa dovrebbe essere stata, nei suoi aspetti particolari come nell’insieme, alle prese con un cambiamento continuo e insolitamente intenso. E se invece una qualche specificità europea si fosse sotto sotto – e in particolare proprio nel cambiamento – ugualmente conservata? E se addirittura fosse proprio il cambiamento stesso, così relativamente rapido, spesso radicale, a caratterizzare l’Europa? Nella storia un’imperscrutabile quantità di elementi procedono quasi impercettibilmente, variamente intrecciandosi e ingarbugliandosi; si trascinano dietro cose di cui nessuno è più cosciente, ma che a un certo punto riappaiono, arrivando a occupare in certe circostanze un ruolo di primo piano; essi si condizionano a vicenda con altri fattori, fanno emergere questo o quell’altro aspetto, s’incrociano, si combinano e si separano più o meno velocemente. E intanto quella che può apparire una strada è fin troppo spesso solo un insieme di piste che si sono aperte, nel corso dell’osservazione a posteriori, nella giungla delle azioni e delle reazioni. E così si vorrebbe misurare un simile groviglio e intreccio pressoché indissolubile di fattori con un metro sul quale siano indicati gli anni e i secoli, per stabilire determinati punti fermi, per esempio l’inizio preciso dell’Europa, come se fosse possibile incidere contrassegni nei fili infinitamente ingarbugliati? Come se – così piace credere – le tacche fossero già lì, pronte all’uso. Eppure si è tentati di farlo. Come si può altrimenti comprendere e avere una visione complessiva della storia? E così, alla fin fine, ci si azzarda a far cominciare certi fenomeni storici da un certo punto, relegando in un prima tutto ciò che può averli più o meno, in un modo o nell’altro, causati. È un processo non privo di arbitrio, ma quanto più possibile vicino a una sensata spiegazione delle cose. Di conseguenza va da sé che, in presenza di una struttura così complessa come l’Europa, occorra cominciare col cercare di chiarirsi che cosa sia (o si vorrebbe che fosse). Bisogna far cominciare l’Europa e la sua storia là dove i popoli, specialmente nell’area occidentale e centrale del continente, divengono consapevoli di fare tutti parte di una comunità, nonostante tutto ciò che li separa? Consapevoli dunque (come era occasionalmente accaduto già durante il primo medioevo) di una appartenenza comune che li distingue dagli altri, ovvero da avari, unni, arabi, turchi? Dall’Oriente, dall’Africa, dal Nuovo Mondo? Come centro del mondo che si prospetta loro in un modo nuovo? O sarebbe meglio risalire ancora più indietro, nei tempi in cui i popoli che avrebbero in seguito composto l’Europa cominciarono a formarsi? Ma in che cosa consisterebbe l’elemento comune di questi popoli? Nelle caratteristiche geografiche del loro spazio vitale? Nelle circostanze che di volta in volta si presentarono, spontaneamente o meno, nonché nei modi di operare e di pensare, e nelle abitudini di cui ebbero bisogno e che svilupparono per sopravvivere? O anche in certe condizioni di partenza che provenendo da un più lontano passato si affermarono fra di loro? Bisognerebbe dunque cercare l’inizio dell’Europa, come in passato sembrò spesso evidente, nell’antichità, risalendo quantomeno fino alle origini del cristianesimo, la cui forma occidentale, latina, ha così fortemente influenzato il continente? Comunque, nel medioevo, ci si considerava molto più cristiani che europei. E se fosse invece il caso di coinvolgere nella storia europea anche quella romana e forse addirittura la greca? Molto induce in ogni caso a ritenere che si debba intendere e concepire l’Europa non semplicemente sotto il profilo etnico, a partire cioè dalle popolazioni che la compongono, ma a partire da ciò che permeò così singolarmente queste popolazioni, sfidandole, aprendo loro ambiti immensi, per esempio dalle cause per cui, a partire dal XVI secolo (e finché durò), si sentirono autorizzate (o almeno la maggioranza di loro) in parte ad assoggettare e in parte a sottomettere alla propria influenza il mondo intero. Eric Lionel Jones ha parlato proprio sotto questo profilo del miracolo europeo. Che si sostanziò alla fin fine, per riassumerlo in una parola, in una determinata cultura,* quella europea appunto. Questa cultura, pur senza sottovalutare l’influenza forte e incisiva delle circostanze di volta in volta createsi, subì l’impronta profonda e duratura dell’antichità greco-romana, senza la quale, forse, non si sarebbe nemmeno potuta costituire. D’altra parte, le forze plasmanti che nell’antichità avevano continuato a operare di generazione in generazione si erano in larga misura esaurite durante il III, il IV e il V secolo d.C., almeno nell’occidente dell’impero romano. Certo, sopravvissero la chiesa cristiana e con essa le conoscenze, gli usi e non