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Critica della ragione dialettica - Libro II PDF

528 Pages·1990·2.543 MB·Italian
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Come tutti i più suggestivi libri di filosofia, anche il primo volume della Critica della ragione dialettica di Sartre ha una struttura da poema cosmogonico: i temi iniziali, ancora ravvolti in se stessi, sprigionano via via la loro forza espansiva fino a dispiegare in una vasta configurazione una nuova e più ricca visione del mondo. Qui, è il confronto con il marxismo aperto dal più celebrato maestro del pensiero esistenzialista a inaugurare l’indagine con Questioni di metodo. L’incontro segna una tappa decisiva nell’evoluzione della filosofia e della cultura contemporanea, una sorta di «prolegomeni ad ogni antropologia futura» ove si prefigura la costituzione di una società umana interamente libera e autonoma. Jean-Paul Sartre (Parigi 1905-1980) è uno dei grandi protagonisti della cultura del Novecento. Capofila dell’esistenzialismo francese, ha svolto un ’intensa attività di filosofo, romanziere, saggista, drammaturgo. Nel 1964 nfiutò il premio Nobel conferitogli per la letteratura. Oltre alla Critica della ragione dialettica, il Saggiatore ha pubblicato numerose sue opere: Che cos’è la letteratura? (1960), Le parole (1964), Baudelaire (1964), L’Essere e il Nulla (1965), Santo Genet, commediante e martire (1972), Autoritratto a settant'anni (1976), L’idiota della famiglia (1977), Materialismo e rivoluzione (1977), L’universale singolare (1980). Jean-Paul Sartre Critica della ragione dialettica I Teoria degli insiemi pratici Libro secondo Traduzione di Paolo Caruso ISBN 880433819-0 © Librairie Gallimard, Paris 1973 © 1990 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano Titolo originale: Critique de la raison dialectique Prima edizione « La Cultura », novembre 1963 Terza edizione «La Cultura. Nuova serie», il Saggiatore, ottobre 1990 Sommario LIBRO II: DAL GRUPPO ALLA STORIA A. Del gruppo. L’equivalenza della libertà come necessità e della necessità come libertà. Limiti e portata d’ogni dialettica realista B. L’essere-uno viene al gruppo dal di fuori, dagli altri. E, in questa prima forma, l’essere-uno esiste come altro C. Nell’interiorità del gruppo il movimento della reciprocità mediata costituisce l’essere-uno della comunità pratica come detotalizzazione continua generata dal movimento totalizzante D. Dell’esperienza dialettica come totalizzazione. Il livello del concreto, luogo della storia CRITICA DELLA RAGIONE DIALETTICA LIBRO SECONDO DAL GRUPPO ALLA STORIA A. Del gruppo. L’equivalenza della libertà come necessità e della necessità come libertà. Limiti e portata d’ogni dialettica realistica La necessità del gruppo, come abbiamo visto, non è data a priori in un assembramento qualsiasi. Abbiamo invece notato più sopra che l’assembramento fornisce, con la sua unità seriale (in quanto l’unità negativa della serie può opporsi come negazione astratta alla serialità), le condizioni elementari della possibilità per i suoi membri di costituire un gruppo. Ma ciò rimane astratto. È ovvio che in una dialettica trascendentale e idealista tutto sarebbe più facile : si vedrebbe il processo d’integrazione con cui ogni organismo contiene e domina le sue pluralità disorganiche trasformarsi da solo, al livello della pluralità sociale, in integrazione degli individui ad una totalità organica. Così, rispetto agli organismi singoli, il gruppo funzionerebbe come iperorganismo. Questo ideale organicista lo si è sempre visto rinascere come modello sociale del pensiero conservatore (s’è opposto, sotto la Restaurazione, all’atomismo liberale; ha tentato, dopo il 1860, di dissolvere le formazioni di classe in seno ad una solidarietà nazionale). Ma sarebbe assolutamente inesatto ridurre l’illusione organicista alla funzione di teoria reazionaria. In realtà, è facile accorgersi che il carattere organico del gruppo - cioè la sua unità biologica - si svela come un certo momento dell’esperienza. Per noi che affrontiamo il terzo stadio dell’esperienza dialettica, la struttura organica è anzitutto l’apparenza illusoria e immediata del gruppo in quanto nasce nella sfera pratico-inerte e contro quest’ultima. Marc Bloch ha mostrato in due opere notevoli come nel secolo XII, ed anche prima, la classe nobile, la classe borghese e la classe dei servi - per limitarci a queste - avessero un’esistenza di fatto se non di diritto. Nel nostro linguaggio diremo che erano dei collettivi. Ma gli sforzi ripetuti di borghesi arricchiti, a titolo individuale, per integrarsi alla classe nobile, provocano l’irrigidimento di quest’ultima, che passa da uno statuto di fatto allo statuto giuridico; con un’impresa comune, impone condizioni draconiane a chi vuole entrare nella cavalleria, onde tale istituzione mediatrice diventa organo selettivo. Sennonché, in pari tempo, essa condiziona la coscienza di classe dei servi. Fino al momento in cui l’unificazione giuridica dei castellani non è realizzata, ogni servo considera la propria situazione come un destino particolare e la vive come un complesso di relazioni umane con una famiglia di proprietari terrieri, vale a dire come un accidente. Ma ponendosi per sé, la nobiltà costituisce ipso facto la servitù in istituzione giuridica e rivela ai servi la loro intercambiabilità, la loro comune impotenza e i loro interessi comuni. Questa rivelazione è uno dei fattori che condizioneranno le rivolte contadine nei secoli seguenti. L’esempio che abbiamo fatto ha solo il fine di mostrare come, nel processo storico, una classe di sfruttamento, chiudendo i rapporti con il nemico e prendendo coscienza di se stessa come unità d’individui solidali, riveli alle classi sfruttate il loro essere materiale come collettivo e come punto di partenza di un tentativo continuo per stabilire fra i suoi membri rapporti vissuti di solidarietà. Ciò non ha nulla di sorprendente : in quella quasi-totalità inerte e percorsa senza pausa da enormi sussulti di controfinalità che è la collettività storica, vale la seguente legge dialettica : la costituzione di un gruppo (sulla base, beninteso, di condizioni reali e materiali) come insieme di solidarietà, ha la conseguenza dialettica di negare il resto del campo sociale e, perciò, di suscitare in tale campo, in quanto viene definito come non-raggruppato, le condizioni proprie ad un raggruppamento antagonista (tutto ciò fondato sulla penuria e all’interno di regimi dilaniati). Ma qui soprattutto importa il fatto che, dall’esterno, i nonraggruppati si comportano nei confronti del gruppo ponendolo, con la loro praxis, come una totalità organica. Così ogni nuova organizzazione collettiva trova il suo archetipo in qualunque altra più antica, poiché la praxis come unificazione del campo pratico, riduce oggettivamente i rapporti del gruppo-oggetto. E' sorprendente che le nostre condotte più elementari si rivolgano ai collettivi esterni come se fossero organismi. La struttura dello scandalo, per esempio, è per ciascuno quella di un collettivo ripreso in totalità : ciascuno, a teatro, davanti a ogni replica d’una scena che giudica scandalosa, è in realtà condizionato dalla reazione seriale dei vicini, onde lo scandalo è l’Altro come ragione di una serie. Ma, le prime manifestazioni dello scandalo, appena hanno luogo (alludo ai primi atti di chi agisce per gli Altri in quanto è Altro da sé) determinano l’unità vivente della sala contro l’autore, per il semplice fatto che il primo manifestante con la sua unità di individuo realizza questa unità per ciascuno nella trascendenza. Resterà ancora in ciascuno una contraddizione profonda perché tale unità è quella di tutti gli Altri (compreso lui stesso) in quanto Altri e grazie ad un Altro : il manifestante non ha rivelato od espresso l’opinione comune; ha presentato, nell’unità oggettiva di un’azione diretta (grida, insulti, ecc.), quel che non esisteva ancora per ciascuno se non come l’opinione degli Altri, ossia come la loro unità alterna e seriale. Ma non appena lo scandalo viene raccontato e commentato, diventa, agli occhi di tutti coloro che non vi hanno assistito, l’apparizione di un avvenimento sintetico che conferisce unità provvisoria di organismo al pubblico che assisteva quella sera allo spettacolo. Tutto è chiaro se situiamo i non-raggruppati che si rivelano come collettivo per la loro impotenza nei confronti del gruppo che svelano. Nella misura stessa in cui il gruppo, tramite l’unità della sua praxis, li determina nella loro inerzia disorganica, essi colgono i suoi fini e la sua unità attraverso la libera unità unificante della loro praxis individuale e sul modello di quella libera sintesi che è fondamentalmente la temporalizzazione pratica dell’organismo. Nel campo pratico, infatti, ogni molteplicità esterna diventa, per ogni agente, l’oggetto di una sintesi unificante (e abbiamo già visto che il risultato di questa sintesi è di dissimulare la struttura seriale degli assembramenti); ma il gruppo che unifico nel campo pratico sorge, in quanto gruppo, come già unificato, vale a dire come strutturato da un’unità che per principio sfugge alla mia unificazione e la nega (in quanto è praxis che mi respinge nell’impotenza). Questa libera unità attiva che mi sfugge, appare come la sostanza di una realtà di cui ho

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