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Critica dei neomarxisti PDF

384 Pages·1979·13.429 MB·Italian
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PAUL MATTICK per Marx / Critica della politica e dell'economia politica CRITICA DEI NEOMARXISTI DEDALO LIBRI [SBN 978-88-220-3503- 9 11788822 II03503 5 I CL 22-3503-X € 13,00 (i.i.) Nei saggi su Gillman, Baran, Sweezy, Marcuse, Mandel e altri, raccolti in que­ sto volume, Mattick prende in esame diverse teorie, avanzate non solo in campo marxista, che rispondono tutte al manifesto obiettivo di « aggiornare » la lettura marxiana della società con­ temporanea. Nell’affrontare la loro di­ scussione, l’autore sottolinea l’impor­ tanza di porre la teoria dèi valore e del* l’accumulazione al centro di qualsiasi analisi della società capitalistica. Ri­ sulta così pienamente fondata l’ottica singolare attraverso la quale Mattick critica i neomarxisti difendendo una po­ sizione scientifica « ortodossa » in una prospettiva politica « di sinistra ». Solo così la connessione strettissima tra la « critica dell’economia » e la « critica della politica » può rivelarsi parte inte­ grante di quel progetto di ristruttura­ zione sociale che è pur sempre il grande compito storico del proletariato. per Marx / 3 Scansione a cura di Natjus, Ladri di Biblioteche PAUL MATTICK CRITICA DEI NEOMARXISTI Traduzione dal tedesco di Giuseppe Mininni DEDALO LIBRI Titolo originale: Kritik der Neomarxisten. © Fischer Taschenbuch Verlag Frankfurt am Main, 1974 © 1979 Dedalo libri, Bari NOTA EDITORIALE Nelle due sezioni del presente volume — « Critica dei neo­ marxisti » e « Critica della scienza borghese » — si sono rac­ colti alcuni di quei saggi di Paul Mattick che affrontano l’esame di teorie avanzate da singoli scienziati di varia tendenza, appar­ tenenti sia al campo marxista che a quello borghese. La critica di Mattick non è rilevante solo perché pone la teoria del valore e dell’accumulazione al centro dell’interpreta­ zione di Marx, sostenendo quindi un punto di vista marxista « ortodosso », ma anche per la sua collocazione politica, es­ sendo egli il rappresentante più insigne del comuniSmo con­ siliare. Tranne le critiche a Sidney Hook e a Karl Mannheim, re­ datte entrambe prima della seconda guerra mondiale, tutti gli altri saggi risalgono ad una data più vicina a noi. La critica al recentissimo libro di Ernest Mandel sul tardo- capitalismo è stata scritta per questo volume. L’inserimento di quei due scritti precedenti dovrebbe do­ cumentare l’evoluzione teoretica di Mattick; pur essendo stati scritti prima che l’autore svolgesse il proprio approccio all’in­ terpretazione dell’interventismo statale, questi articoli hanno perso poco del loro carattere dirompente, anche se certo ha la sua importanza tener conto del mutato contesto storico. L’interpretazione della teoria marxiana elaborata da Mattick e la concezione del più recente sviluppo del capitalismo da quella derivante — specialmente per quanto riguarda il ruolo dello Stato quale fattore di stabilizzazione dell’economia — 5 sono esposte in ogni dettaglio nella sua opera principale Marx und Keynes - Die Grenzen des « Gemischten Wirtschaftssy­ stems ». In questa sede ci limitiamo a riassumerne brevemente la tesi centrale. L’indagine di Mattick prende in esame l’interventismo sta­ tale quale forma di apparizione tardo-capitalistica della contrad­ dizione nel processo di valorizzazione del capitale sociale: egli ritiene che l’intervento dello Stato non possa risolvere la que­ stione di fondo dell’accumulazione. La crisi ha la sua origine nella scarsa produzione di plus­ valore, che si esprime in un saggio decrescente del profitto. Quando cioè l’accumulazione — e con essa la composizione organica del capitale — è progredita a tal punto che un’ulte­ riore crescita del processo di accumulazione non è più proficua, in quanto rende meno plusvalore, allora l’accumulazione ha ter­ mine. In seguito si ha un processo cumulativo di contrazione che mediante la svalutazione e una parziale distruzione del capitale, nonché attraverso la compressione del salario, ripristina le con­ dizioni favorevoli al profitto rendendo quindi possibile il ri­ stabilirsi dell’accumulazione. Ecco quindi che il « New Deal », cioè l’intervento dello Stato, non fu nient’altro se non la risposta al fatto che dopo quattro anni di crisi non ci fosse ancora la nuova espansione, rappresentando così il tentativo di salvare il capitalismo quando non è più possibile trarlo in salvo nella maniera tradizionale, cioè attraverso la crisi. L’intervento dello Stato però è condannato a naufragare perché neanch’esso può ristabilire le condizioni favorevoli al profitto: lo Stato non può produrre niente dal niente, ma può unicamente ridistribuire ciò che è stato in precedenza prodotto. Infatti, i lavori pubblici, la produzione di armamenti e le pre­ stazioni di assistenza sociale si basano sulla ridistribuzione del plusvalore complessivo dal settore privato a quello « pubblico », che è pubblico in quanto vive delle commesse dello Stato. Il plusvalore che non può più essere accumulato nel settore pri­ vato viene assorbito dallo Stato attraverso le tasse e l’indebi­ tamento statale (« deficit spending ») per essere poi messo in circolazione nel settore « privato-pubblico ». Ma il settore pub- 6 blico non dà profitto, in quanto non vi si verifica nessuna auto­ realizzazione del capitale sociale complessivo. Se si considerano i capitalisti dei due settori come una classe omogenea, si può dire in realtà che i prodotti del settore pub­ blico vengono regalati allo Stato dalla classe capitalistica. Alla fine cioè la classe capitalistica nel suo complesso non ha più danaro di prima, mentre il settore privato ha pagato i titoli di Stato e/o le tasse, il settore pubblico ha incassato danaro tramite le commesse dello Stato, il quale è indebitato con il settore privato. I prodotti del settore pubblico vengono sot­ tratti al mercato e sono inutilizzabili ai fini dell’accumulazione; la classe capitalistica non ha più come prima alcuno stimolo per accumulare; ad accumularsi è soltanto l’indebitamento statale. Il settore pubblico quindi vive e si espande a spese del settore privato; dalla sua esistenza traggono evidentemente van­ taggio le grandi « corporations », che ricevono le commesse dallo Stato, e non il sistema capitalistico nel suo complesso. Inoltre, secondo Mattick, l’intervento dello Stato ha la fun­ zione di tener lontano il pericolo politico di una disoccupa­ zione di massa; questa è il sintomo della crisi esistente nel processo di accumulazione del capitale, e non la sua soluzione. Il problema centrale allora, cui si trova di fronte il capitalismo avanzato, è quello di quanto si possa espandere il settore pubblico e fino a quanto possa crescere il debito pubblico, senza che ciò metta in discussione la sussistenza del settore privato e quindi anche l’ordinamento esistente della società. Nato a Berlino nel 1904, Paul Mattick vive oggi negli Usa. Cresciuto in una famiglia operaia dalla coscienza politica svi­ luppata (il pade era membro della « Lega di Spartaco »), già a quattordici anni Mattick aderì alla « Libera gioventù socia­ lista », cominciando insieme il suo apprendistato come costrut­ tore di utensili alla Siemens. Dopo la scissione del « Partito operaio comunista » dal Kpd (S), Mattick entrò nella « Gioventù rossa », il movimento giovanile del Kapd (Partito operaio comunista tedesco), colla- borando al suo organo di lotta. A diciassette anni si sposta a 7 Colonia e in questo periodo scrive per diversi giornali del- P« Unione generale degli operai » e del Kapd. Nel 1926 emigrò negli Stati Uniti e vi fondò il nuovo Giornale degli operai di Chicago in lingua tedesca, che diresse fino alla fine del 1931. Dal 1934 al 1943 Mattick fu direttore delle riviste International Council Correspondence, Living Mar- xism e New Essays e collaboratore di diverse altre pubblica­ zioni, tra cui la Zeitschrift für Sozialforschung (Rivista per la ricerca sociale). Volendo enumerare i teorici marxisti che hanno esercitato un’influenza su di lui, pur polemizzando alquanto spesso Mattick con loro, al primo posto bisognerebbe allora nominare Karl Korsch (del quale divenne anche amico, quando questi emigrò negli Usa), Henryk Grossmann e Anton Pannekoek. Tranne che nel periodo della disoccupazione di massa du­ rante la grande crisi economica mondiale, Mattick ha lavorato in diverse fabbriche come costruttore di utensili. Sul piano po­ litico ha militato attivamente nell’Iww (« Industriai Workers of thè World »), mantenendo nel contempo stretti legami con parecchi gruppi comunisti consiliari. Dopo la seconda guerra mondiale ha limitato la sua attività politica alla sfera pubblicistica, scrivendo numerosi articoli e saggi politico-economici per diverse riviste dell’Europa, degli Usa e dell’America latina. Dei suoi scritti sono disponibili in lingua italiana: Marx e Keynes. I limiti di un’economìa mista, Bari 1972, De Donato. Consigli e partito, in: « Marxiana », 2, 1977, Bari, Dedalo. Introduzione a Henryk Grossmann, Marx, l’economia poli­ tica classica e il problema della dinamica, Bari 1971, Laterza. Per una bibliografia completa delle opere di Mattick dispo­ nibili in italiano, vedi: AA.VV., Il comuniSmo difficile, Bari 1976, Dedalo.

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