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Container. Osservatorio intermodale. Complessità PDF

75 Pages·2019·18.458 MB·Italian
by  AA.VV.
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r E a L , x a r xio i ODA ontaine ottobre mmViareggi [dia•for c M e R E T - n a o - a a 1 inATORIO IN è una riCONTAINER vista sulle scritture e i generale sui codici dell complessità, a rifless della complessità epi stemologica dell’ultim modernità. Il nome f riferimento... articolo a pag. V R aE - S S s O e t l p - m ] n à i d o t - e c i s v c [ o disp. 1 gniwarD dractsoP A ,otomustaM ozinuK c ntainer o [dia•foria Viareggio OSSERVATORIO INTERMODALE ottobre mmxix P O CONTAINER R OSSERVATORIO INTERMO- T Linguaggio e com- DALE è una rivista sulle scritture e in O generale sui codici della complessità, a plessità L riflesso della complessità epistemologica A dell’ultima modernità. Annamaria Anselmo N Il nome fa riferimento al trasporto inter- O modale dei prodotti umani di ogni natura, sostanza stessa del nostro mondo: nel container convivono mercanzie di diver- premessa sa specie, in una somma di cose, tracce Il pensiero complesso guarda al linguaggio, e messaggi che costituiscono pensiero e capovolgendo una tradizione lunga e storia in movimento. Il transito e lo scam- consolidata sia nel riferimento specifico sia bio di oggetti e parole da sempre determi- sul piano metodologico generale. na la realtà attraverso una pluralità di ap- La reductio ad unum, a cui la scienza porti, cioè l’incessante gioco di emissione classica ha sottoposto qualsiasi fenomeno e ricezione multigenetica e multilingue. in nome di una visione unificante che Del concetto di “container” dunque non spiegasse la realtà, è stata applicata ci interessano l’indistinzione dei materiali, anche al linguaggio. Di conseguenza, cioè la congerie in sé, quanto piuttosto l’imponente movimento epistemologico due fenomeni che da quell’indistinzione che ha segnato la radicale crisi del possono procedere: il differenziamento paradigma riduzionista, soddisfacendo la di organismi anche molto diversi tra loro, sempre più pressante esigenza di cogliere e la loro possibile ibridazione. Da questa e non mutilare “la complessità del reale”, particolare specola il nostro obiettivo è ha investito anche le concezioni inerenti a puntato sull’effrazione del codice dominante tale problematica.1 e Rabelais in poi), e via via intensificati attraverso le sperimentazioni novecentesche e contemporanee: in percorsi divergenti, capaci di slogare La prospettiva della Complessità insegna a all’insegna dell’ascolto, il più possibile articolato, in relazione alla molteplicità delle forme (espressive e i canoni moltiplicandoli attraverso un guardare alla realtà come ad un’emergenza non solo) della modernità intesa nel suo senso più ampio. atto continuo di sperimentazione, intesa che scaturisce dall’interazione tra parti Per queste ragioni, luogo cruciale della rivista sarà un laboratorio di traduzione, con intenzione di dia- questa come attitudine esplorativa che si e un tutto tra di loro collegati da un logo fra tradizioni anche in apparenza lontane da quelle storicamente più visibili. rinnova continuamente in una gnoseologia rapporto autopoietico, di conseguenza Su un piano del tutto complementare, saranno indagate, soprattutto a partire dalle prossime uscite, le complessa. il linguaggio che è necessitato a questo fitte trame di interazione tra linguaggi artistici, altra decisiva modalità traduttiva e trasduttiva attraverso La rivista osserverà quindi, con urgenza approccio e che ricorsivamente da esso cui agisce, per via di contaminazione, il discorso dell’arte. di analisi tecnica e interdisciplinare, il tran- è emerso, non è certo quello della logica sito e il confronto di scritture e di codici formale o delle enunciazioni aforistiche. compositi e complessi, costitutivi del DNA La Complessità si esprime attraverso ri- inventariale moderno (almeno da Folengo segue Linguaggio e complessità di Annamaria Anselmo c 2 o ntainer OSSERVATORIO INTERMODALE costruzioni storico-teoretiche, finalizzate non ad individuare per poi ipostatizzare, comunque il Tutto non è, a sua volta, un’entità astratta e vuota ma è tutto in quanto reificare, cristallizzare Verità assolute, «ha, anzi è, parti».9 Alla luce di ciò, credere che il linguaggio sia un congegno che quanto piuttosto a seguire l’evolversi l’uomo si è foggiato per comunicare ai suoi simili il proprio pensiero e che pertanto di un infinito processo diacronico e sia conseguente al pensiero a cui «si aggiungerebbe poi per atto pratico»10 è sincronico che inerisce a qualsiasi livello un’ingenuità che conduce erroneamente a credere che la grammatica e la sintassi della realtà: la natura in quanto physis, la precedano il libero e spontaneo fluire del linguaggio primitivo.11 sfera vivente, l’essere umano, la società, Una tale visione induce a considerare il linguaggio, non un prodotto “organicistico” ma le produzioni umane come appunto il una convenzione equiparabile a un qualsiasi “utensile”, prodotto con esclusive finalità linguaggio stesso.2 pratiche e, come Vico, Croce imputa questa erronea interpretazione al riduzionismo In un’ottica storicistica complessa, il dei fondatori della scienza classica e della filosofia moderna secondo i quali la via per linguaggio è considerato, in quanto comprendere la realtà sarebbe spiegare il complesso con il semplice.12 L’approccio creazione umana, un evento emerso riduzionista infatti presenta il linguaggio come un oggetto meccanico “complicato”,13 in un determinato periodo della storia perché costituito da un insieme di parole isolate, giustapposte, sovrapposte, dell’umanità, per dirla con Vico nella fase accostate e combinate artificialmente; indipendenti dalle interiezioni, dal tono, dal in cui l’uomo ha cominciato ad «avvertire loro contesto. Un oggetto così risulta ovviamente semplificabile, ovvero riducibile, con animo perturbato e commosso».3 ai suoi singoli componenti semplici attraverso atti di scomposizione, separazione, divisione. Secondo questo cartesiano modo di procedere, è consequenziale che vico e croce teorici della “complessità” del l’atto di analisi sia seguito da una sintesi che riunisca proposizioni, parole, sillabe, e linguaggio Luciano Maciotta, Diffusione luminosa di sorgenti puntiformi, 2014 fonemi, in alfabeti, vocabolari e grammatiche, con lo scopo di riuscire a raggiungere verità filosofiche.14 È con Vico che si comincia a definire in omnia, mette in evidenza che ciò che suscita in noi paure, bi- Per Croce invece il linguaggio «è l’uomo che parla, nell’atto in cui parla» e se la maniera chiara l’alternativa alla logica sogni, curiosità, angoscia, sono proprio le cose che non com- convenzione può avere pretese di universalità ed essere universalmente imposta, formale delle scienze fisico-matematiche e prendiamo, ed è a partire da esse che cominciamo a creare, ad accettata, l’aggettivo “universale” cerca qui invano il suo sostantivo “linguaggio”.15 alle vie intuitivo-irrazionali che ad esse si inventare, con la finalità di esprimere e quindi di conoscere la Questo perché, «non appena quella convenzione si traduce in linguaggio, ecco che contrappongono. L’alternativa è appunto realtà.5 Abbiamo ad esempio prodotto le metafore per rendere cessa di essere convenzione, diventa un semplice dato naturale, un’impressione, quella della razionalità storica che nel caso familiare il mondo fuori di noi con parole che indicano parti del un fatto psichico, che lo spirito di ciascun parlante risente ed elabora a suo modo: specifico ci induce a trattare il problema corpo, o sensazioni o sentimenti umani. un dato, il quale è entrato con altri nella psiche del parlante, che lo trasforma in del linguaggio proprio partendo dalle ri- Giambattista Vico è certamente uno di quei pensatori che ci può linguaggio vivo, facendone la sintesi estetica insieme con altre impressioni, che flessioni vichiane. Vico collega la nascita aiutare a comprendere quali siano le caratteristiche del “linguag- parimente sono entrate in lui».16 del linguaggio al mito, alla fantasia, al tipico gio della complessità”; se si applica infatti il suo criterio del verum Purtroppo, continuando a muoverci nell’orizzonte di senso meccanicisto-riduzionista, stadio primitivo dell’uomo, e parallelamente factum convertuntur,6 secondo cui l’uomo può conoscere solo la natura del linguaggio non può che rimanere sconosciuta. Partendo dai suoi erronei dell’umanità, perché è proprio la fantasia, ciò che ha fatto, si può comprendere che il linguaggio in quanto presupposti infatti, si approda ad altrettanto fallimentari conclusioni, perseverando «tanto più robusta quanto è più debole il creazione umana, come le scienze naturali, la matematica, le nel considerare il linguaggio come qualcosa di estrinseco e «fissabile»17 o anche di raziocinio»,4 a detenere il potere creatore, istituzioni civili, le guerre, le azioni in generale, o le speranze, facilmente semplificabile mediante la logica. Prova di ciò è la convinzione ancora ovvero a dar vita alle cose inanimate, a le paure, possiede una sua storia e continuerà ad evolversi e a oggi imperante che, con i dovuti aggiustamenti, si possa rendere definitiva, oggettiva permettere di nominare ciò che l’uomo modificarsi nel corso del tempo; ne consegue che per coglierne e valida per tutti, e una volta per tutte, un’entità che è ontologicamente viva, anzi ha percepito fuori di sé. In tal senso la “natura” è necessario ricostruirne la storia, non certo appli- per meglio dire un flusso in perpetua autoproduzione, che via via si è storicamente per Vico i primi poeti erano coloro che cando schemi precostituiti o astratte formule generali, ma consi- evoluto e complessificato, il cui rinnovarsi è una «continua rinascita».18 parlando e raccontando avevano creato derandolo appunto nella sua realtà storico-complessa. un nuovo mondo, popolato da entità Muovendosi in tale direzione, Benedetto Croce, con le sue ri- come gesti, cenni, segni, immagini, canti, flessioni sul rapporto tra intuizione ed espressione,7 mostra di il linguaggio della complessità simboli, parole, linguaggi appunto che da raccogliere il testimone nella staffetta verso il riconoscimento quel momento avrebbero vissuto e della complessità del linguaggio. È noto infatti che l’assunto In perfetta consonanza con Vico e Croce, i più autorevoli fondatori della teoria interagito con chi aveva dato loro fondamentale del sistema filosofico crociano è che l’unica legge della complessità si pongono in modo diametralmente opposto alle “scienze lingui- O N vita, complessificando ulteriormente adeguata per comprendere la realtà è «l’unità dello spirito».8 In stiche”, fondate su modelli fisico-matematici, il cui scopo è quello di prescindere dal A L O il processo evolutivo. quest’ottica, anche il linguaggio, alla stregua di qualsiasi feno- significato, considerato soggettivo, impuro, appunto non scientifico, per individuare T R La metafisica fantastica di Vico se- meno umano, è un’emergenza generata dalle relazioni che col- definizioni costanti dalle proprietà oggettive. Come si evince dai loro testi, il linguaggio O P condo cui homo non intelligendo fit legano come in un organismo tutte le sfere dello Spirito, dove, utilizzato è quello della ricostruzione storico-teoretica, quello che emerge da un c o ntainer 3 OSSERVATORIO INTERMODALE P O approccio critico-dialogico agli argomenti che si vogliono attenzionare, che esprime rescente»29 in cui nulla è determinato, poiché domina «l’inatte- NOTE R T cioè non la Verità, ma l’incontro organico e autopoietico tra diversi punti di vista. Si so»,30 l’accadimento, la novità emergente. O L può prendere ad esempio Werner Heisenberg, il quale mette in crisi definitivamente, Alla luce di ciò si assume consapevolezza del fatto che l’uomo sia 1 Per ciò che concerne le posizioni inerenti al AN linguaggio nell’ottica della complessità riman- O in seguito alle sue scoperte, l’idea galileiana che il libro della natura sia scritto in «un’entità sociale immersa nel linguaggio» e che «il nostro vivere do a Werner Heisenberg, Indeterminazione e caratteri matematici. Egli nega che l’immagine scientifica dell’universo sia la vera ha luogo in accoppiamento strutturale con il mondo che noi stessi realtà, a cura di G. Gembillo e G. Gregorio, immagine della natura20 e elabora un proprio linguaggio filosofico-metafisico per realizziamo, e il mondo che noi realizziamo è quello che faccia- Napoli, Guida, 2001; Id., Oltre le frontiere della scienza, Roma, Editori Riuniti, 1984; Edgar Morin, Il metodo 1. descrivere un «ordinamento della realtà»21 in cui tutti i livelli, fisico, chimico, organico, mo come osservatori nel linguaggio, operando in accoppiamento La Natura della Natura, Milano, Cortina, 2001, pp. 119 biologico, spirituale e religioso esprimono tutti, in modo vario, una parte della realtà strutturale linguistico nella prassi del nostro vivere».31 e ss. (Paris 1977); Id., La sfida della complessità. La stessa. Heisenberg parla di ambiti in cui «gli stati di cose non possono essere se- È chiaro dunque che è avvenuto uno stravolgimento che è or- défi de la complexité, a cura di G. Gembillo e A. An- selmo, Firenze, Le Lettere, 2011; Humberto R. Matura- parati perfettamente dal processo conoscitivo con cui perveniamo alla constatazione mai in atto a tutti i livelli del reale, fisico, chimico, biologico, an- na – Francisco J. Varela, Autopoiesi e cognizione. La dello stato di cose […] e di uno strato della realtà in cui stati di cose vengono creati troposociologico, individuale, noosferico e quindi linguistico ed realizzazione del vivente, Venezia, Marsilio, 1985 (Dor- solo in connessione con il processo conoscitivo»;22 egli mostra in altri termini come etico. Il linguaggio della complessità sfugge a qualsiasi criterio di drecht – London 1980); Id., L’albero della conoscenza, Milano, Garzanti, 1992 (Madrid 1990); Letizia Nucara, il linguaggio sia proprio una creazione generata all’interno del rapporto storico evidenza, di certezza o di calcolo;32 rifiuta le verità immutabili, gli La filosofia di Humberto Maturana, Firenze, Le Lettere, circolare tra lo scienziato e la realtà. aforismi, le sentenze oracolari, in quanto emerge da un contesto 2014; Giuseppe Gembillo – Mario Galzigna, Scienziati Anche Niels Bohr, partendo dallo sconvolgimento ontologico innescato dalla fisica e si evolve insieme al contesto stesso come un qualsiasi essere e nuove immagini del mondo, Milano, Marzorati, 1994; Giuseppe Giordano, Tra Einstein ed Eddington, Messi- quantistica, ha posto in essere una rivoluzione teoretica e linguistica.23 Con la teo- umano. Il linguaggio della complessità rispecchia la circostanza na, Armando Siciliano, 2000; Id., Da Einstein a Morin, rizzazione del principio di complementarità ha contribuito a mettere in evidenza che emerge dall’interazione che i soggetti che parlano stanno Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006; G. Gembillo, Da l’utopia di un linguaggio univoco e definitivo, rilevando i limiti del linguaggio scienti- vivendo,33 emerge da una rielaborazione teorica e metodologica Einstein a Mandelbrot, Firenze, Le Lettere, 2009; An- namaria Anselmo, Da Poincaré a Lovelock, Firenze, fico classico, che, alla luce delle scoperte dei fisici quantistici, si è rivelato inadatto a che inerisce al nuovo modo di guardare alla realtà in seguito alla Le Lettere, 2012. cogliere le caratteristiche strutturali della physis. Da qui l’esigenza di un linguaggio rivoluzione che ha fatto crollare i pilastri su cui poggiava la scien- 2 Per approfondire tali tematiche rimando a Gembil- dotato di nuovi termini e nuovi concetti, che riuscisse a descrivere in maniera za classica e che dal livello ontologico ha generato conseguenze lo – Anselmo, Filosofia della complessità, Firenze, Le Lettere, 2015. Rimando inoltre a Morin, Il Metodo. 1. adeguata la Realtà. Bohr affermava in proposito che se utilizzare il linguaggio della inevitabili sul piano logico e metodologico e quindi anche termi- La natura della natura, cit.; Id., Il Metodo. 2. La vita della fisica classica rende possibile una descrizione “oggettiva”, è perché «si ha a che nologico. I termini come dialettica, complementarità, biforcazi- vita, Milano, Cortina, 2004 (Paris 1980); Id., Il Metodo fare con un’idealizzazione secondo la quale tutti i fenomeni possono venire suddivisi one, retroazione, sinergia, simbiosi, interazione dovrebbero fun- 3. La conoscenza della conoscenza, Milano, Cortina, 2007 (Paris 1986); Id., Il metodo 4. Le idee: habitat, arbitrariamente e l’interazione tra gli strumenti e gli oggetti in osservazione trascurata».24 gere all’occasione o da sostantivi o da aggettivi per parlare della vita, organizzazione, usi e costumi, Milano, Cortina, Così facendo si sradicano i fenomeni dal loro contesto, sottoponendoli a un processo di parte «del divenire storico concreto» che intendiamo mettere in 2008 (Paris 1991); Id., Il Metodo. 5. L’identità umana, astrazione che inevitabilmente ci allontana dalla concretezza del reale. rilevo, staccandola momentaneamente dallo sfondo.34 Milano, Cortina, 2002 (Paris 2001); Id., Il metodo. 6. Etica, Milano, Cortina, 2005 (Paris 2004). Oggi invece sembra si possa recuperare l’immagine vichiana del poeta-creatore. Si 3 Giambattista Vico, La scienza nuova, Milano, Rizzoli, 1996, p. 199. parla infatti di «una scienza umana», «fatta dall’uomo per un mondo umano», che 4 Ivi, p. 192. «occupa la singolare posizione di ascolto poetico della natura – nel senso etimologico 5 Ivi, pp. 261-269. della parola, per cui un poeta è un artefice – cioè esplorazione attiva, manipolatrice e 6 Vico, L’antichissima sapienza degli Italici da estrarsi dalle origini della lingua latina, in Id., La scienza nuova e altri scritti, a cura di N. Abbagnano, Torino, UTET, 1976, pp. 188-246. calcolatrice ma ormai capace di rispettare la natura che essa fa parlare».25 7 Benedetto Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale (vol. I), Milano, Fabbri, 1996; cfr. anche, sempre di Croce: Alla luce delle nuove scoperte scientifiche, l’universo si presenta come un’unità Breviario d’estetica-Aestetica in nuce, Milano, Adelphi, 1990; Filosofia della pratica. Economica ed etica, Napoli, Bibliopolis, 1996; La filosofia complessa di cosmo, physis e caos, in cui il tempo, il disordine, la dissipazione di Giambattista Vico, Roma-Bari, Laterza, 1965. giocano un ruolo fondamentale insieme all’ordine e all’organizzazione, per cui anche 8 Id., Logica come scienza del concetto puro, Napoli, Bibliopolis, 1996; Id., Estetica come scienza dell’espressione, cit. 9 Id., Logica come scienza, cit., p. 75. Cfr. Id., Dialogo con Hegel, a cura di G. Gembillo, Napoli, ESI, 1995; e cfr. inoltre Raffaele Franchini, per Prigogine è necessario un nuovo linguaggio, nel senso che abbiamo bisogno La teoria della storia di Benedetto Croce, ried. a cura di R. Viti Cavaliere, Napoli, ESI, 1995; Girolamo Cotroneo, Croce filosofo italiano, Firen- «di nuovi concetti e nuovi strumenti per descrivere una natura in cui evoluzione e ze, Le Lettere, 2015; Id., Benedetto Croce e altri ancora, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005; Id., Questioni crociane e post-crociane, Napoli, pluralismo sono divenute le parole fondamentali».26 ESI, 1994; Gembillo, Filosofia e scienze nel pensiero di Croce. Genesi di una distinzione, Napoli, Giannini, 1984; Ernesto Paolozzi, Benedetto Croce. Logica del reale e il dovere della libertà, Napoli, Cassitto, 1998; Per conoscere Croce, a cura di P. Bonetti, Napoli, ESI, 1998; Carlo Da qui la proposta di ridimensionare la logica identitaria così come Aristotele l’aveva Antoni, Commento a Croce, Venezia, Neri Pozza, 1964; Santo Coppolino, La logica dello storicismo. Saggio su Croce, Messina, Armando concepita, disarmandola di ogni connotazione ontologica ed epistemologica, in Siciliano, 2002; Id., La scuola crociana. Itinerari filosofici del crocianesimo, Napoli, La Nuova Cultura, 1977; Paolo Bonetti, Introduzione a modo che le definizioni, la costruzione di strutture non contraddittorie, rimangano Croce, Roma-Bari, Laterza, 1989; Marcello Mustè, Croce, Roma, Carocci, 2009; Gennaro Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli, Morano, 1975. solo mezzi di comunicazione che non rappresentano certo la struttura della realtà. 10 Croce, La lingua universale, in Id., Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, Bari, Laterza, 1949, p. 190. Per un discorso La logica identitaria «non è in grado di concepire le trasformazioni qualitative o più ampio cfr. Gembillo, Croce e il problema del metodo, Pagano, Napoli 1991; Id., Croce filosofo della complessità, Soveria Mannelli, Rub- emergenze che sopravvengono a partire da interazioni organizzazionali»27 ed è bettino, 2006; La tradizione filosofica crociana a Messina, a cura di G. Giordano, Messina, Armando Siciliano, 2002; Croce filosofo, a cura di G. Cacciatore, G. Cotroneo, R. Viti Cavaliere, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003. altresì una logica che «corrisponde non ai nostri bisogni di comprensione, ma ai 11 Cfr. ancora Vico, La scienza nuova, cit., e Croce, La filosofia di Giambattista Vico, cit. nostribisogni strumentali e manipolatori – che si tratti della manipolazione dei concetti 12 Cfr. René Descartes, Discorso sul metodo, Roma-Bari, Laterza, 1976. o della manipolazione degli oggetti».28 Il linguaggio invece deve essere sotteso da 13 Sulla differenza tra complessità e complicazione rimando a Gembillo – Anselmo, Filosofia della complessità, Firenze, Le Lettere, 2015, pp. 17-31. una logica complessa che è la logica della realtà, della vita e cioè una logica «arbo- c 4 o ntainer OSSERVATORIO INTERMODALE 14 Su ciò confronta sempre cfr. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale (vol. I), cit., p. 186; cfr. Paolozzi, L’estetica di Benedetto Croce, Napoli, Guida, 2002; Gian Napoleone Giordano Orsini, L’Estetica e la Critica di Be- nedetto Croce, Milano-Napoli, Ricciardi, 1976; Alberto Caracciolo, L’estetica e la religione di Benedetto Croce, Arona, Paideia, 1958. 15 Croce, La lingua universale, cit., p. 195. 16 Ivi, pp. 195-96. 17 Ivi, p. 197. 18 Cfr. Id., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, cit. 19 Su ciò cfr. Francesco Barone, Il neopositivismo logico, voll. 2, Roma-Bari, Laterza, 1986. Cfr. anche Il neoempirismo, a cura di A. Pasquinelli, Torino, UTET, p. 323. Rimando inoltre a: Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e quaderni 1914-16, Torino, Einaudi, 1995; Moritz Schlick, Tra realismo e neopositivismo, Bologna, il Mulino, 1974; Rudolf Carnap, La costruzione logica del mondo. Pseudoproblemi in filosofia, a cura di E. Severino, Torino, UTET, 1997. 20 Heisenberg, Natura e fisica moderna, Garzanti, Milano, 1985, p. 55. 21 Id., Ordinamento della realtà, in Indeterminazione e realtà, cit., pp. 79-200. 22 Ivi, p. 100. 23 Su ciò cfr. Carl Friedrich von Weizsäcker, L’immagine fisica del mondo, a cura di D. Campanale, Milano, Fabbri, 1967 (Zürich 1949). 24 Niels Bohr, I quanti e la vita, a cura di P. Gulmanelli, Torino, Bollati Boringhieri, 1965, p. 210. 25 Ilya Prigogine – Isabelle Stengers, La nuova alleanza, a cura di P.D. Napolitani, Torino, Einaudi, 1999, p. 282 (Paris 1980). Rimando in proposito a Giordano, La filosofia di Ilya Prigogine, Messina, Armando Siciliano, 2005; Gembillo – Giordano – Flavia Stramandino, Ilya Prigogine scienziato e filosofo, Messina, Armando Siciliano, 2004; Gembillo – Giordano, Ilya Prigogine. La rivoluzione della complessità, Roma, Aracne, 2016. 26 Grégoire Nicolis – Prigogine, La complessità. Esplorazioni nei nuovi campi della scienza, Torino, Einaudi, 1991, p. XI (New York 1989). 27 Morin, La sfida della complessità, a cura di A. Anselmo e G. Gembillo, Firenze, Le Lettere, 2011, p. 95 (nuova ediz. 2017). 28 Id., Il metodo 4. Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi, cit., p. 201. 29 Id., Scienza con coscienza, a cura di P. Quattrocchi, Milano, Angeli, 1987, p. 184 (Paris 1982). 30 Ibid. 31 Maturana, Autocoscienza e realtà, trad. di L. Formenti, Milano, Cortina, 1993, pp. 202-203. 32 Chaïm Perelman – Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione, pref. di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 2013 (Paris 1958). 33 Su ciò cfr. ancora Croce, Estetica come scienza dell’espressione, cit. 34 Gembillo, Le polilogiche della complessità, Firenze, Le Lettere, 2008, p. 440. Nomadismo e contromemoria della scrittura in epoca di complessità Luigi Severi […] il fare poetico rimane nella sua cenciosa e discutibile autonomia a istituire un polo opposto e necessario a tutte le istituzioni umane che hanno rapporto con il potere storico. [A. Zanzotto] Una valigia di denti, una pila di scarpe, un fascio di parole, un vecchio disco rotto di pietra. Oggetti presi in consegna, in attesa che i cocci siano rimessi insieme e tornino nuovi. [W. Kentridge] 1. scrittura e mondo: continuità e distanza Davanti ai mutamenti di una società sempre più caratterizzata da una circolazione di dati, e mitologemi, di ordine scientifico e tecnologico, Zanzotto nel 1979 sottolineava per tempo come non fosse più possibile «concepire una poesia che non passi attraverso tutti questi campi […] drenando esperienze, materiale linguistico manipolabile, ulteriori nodi di contraddizione, ulteriori stimoli verso il limite e il suo superamento».1 Era necessaria insomma, per Zanzotto, una poesia non appartata, capace di confrontarsi fino alla radice con la visione del mondo dominante, prima di tutto attraverso un surriscaldamento ibridante del codice poetico. Lo stesso Zanzotto, in uno scritto di poco precedente (1976), aveva però ammonito, con equivalente senso di necessità: «Chi legge poesia deve anche sapere che si pone egli pure in polemica, in antitesi con quanto lo circonda, nello stesso momento in cui tocca la parte più ignea della realtà nel suo costituirsi».2 Esattamente in questa ambivalenza, in questo nodo duale (più complementarità che ossimoro) di confronto intimo, quasi porosità, e distanza critica, è racchiuso il senso della ricerca poetica, certo fin dall’inizio dell’epoca moderna, ma più che mai oggi – epoca dell’accelerazione, della massima penetrazione e dell’incrocio dei linguaggi-saperi ormai dominanti, di ambito genericamente tecnico-scientifico. O 2. tra ibridazione e sintesi: poesia di fronte al molteplice N A L Questa urgenza, questo ancoramento della scrittura, e di ogni attività vòlta a produrre criticamente senso, a un principio di responsabilità verso un mondo sempre più metamorfico e complesso, nasce O T R da un nucleo di pensiero (Zanzotto ne è ben cosciente) che attraversa per intero il moderno, a partire dalla sua fase aurorale, nell’euforia e immediata crisi epistemologica legata all’esplosione libraria O P (a molteplice raggio disciplinare) di prima epoca gutemberghiana, tradotta in molte scritture violentemente contaminanti e plurilinguistiche, di cui la smisurata pirotecnia enciclopedico-elencativa c o ntainer 5 OSSERVATORIO INTERMODALE PP di un Rabelais è magistrale sintesi. OO RR È ovvio tuttavia che una riflessione esplicita sulla necessità di assimilazione, e al tempo di superamento, di un universo nuovo di conoscenza, a dominante tecno-scientifica, si imponga come pre- TT OO LL liminare ad ogni atto d’arte e di parola solo in tempi di più recente modernità capitalista. Di questa presa di coscienza il documento forse più netto è la Defence of Poetry di Shelley. La cui analisi, AA NN concepita in risposta all’idea già dominante di un progresso materiale che avrebbe educato e alimentato la nascente società del benessere, culmina nella riaffermazione della centralità della OO poesia, paradossale rispetto a un tempo che oramai l’ha esclusa come residuale. Ma tale centralità va guadagnata con la consapevolezza del proprio tempo, dal momento che «l’esercizio della poesia non mai così auspicabile come nei periodi in cui, per eccesso del principio egoistico e calcolatore, l’accumulo di materiali della vita esterna supera la capacità di assimilarli alle leggi in- terne della natura umana». Per Shelley è solo tramite l’esercizio della «facoltà poetica» che tanto «accumulo di materiali» (anche conoscitivi) può essere condotto a una sintesi d’arte, che sia capace «di creare nuovi materiali di conoscenza, potere e piacere […] secondo un certo ritmo e ordine».3 Come si vede, non siamo lontani dalla posizione dei più lucidi tra quei suoi contemporanei (Leopardi in testa), nutriti di suggestioni scientifiche e di enciclopedismo illuminista, e tuttavia non disposti a schiacciarvi la propria visione delle cose umane; ma – ciò che più conta – non siamo neanche lontani, con quella tesi di combinazione tra studio dei materiali esterni, e necessità di dar loro sintesi in uno scatto di pensiero ulteriore, affidato all’arte / poesia, alla prassi di molti tra gli artisti e poeti di oggi, Zanzotto incluso. 3. uno strutturale paradosso conoscitivo Ieri come oggi, non è insomma possibile separare un ragionamento epistemologico sulla cre- scente complessità della cultura, dal contesto sociale in cui diventa discorso condiviso, su linee È in effetti vero che la forma di questa ultima modernità porta a intensificazione, talora sempre decise da dominanti economiche. Si tratta di una tendenza che attraversa tutto il mo- straordinaria, tutti i fenomeni che hanno animato e indirizzato il moderno, in particolare dalla derno, di evidenza assoluta già agli occhi dei migliori intellettuali dei tempi di Shelley/Leopardi, rivoluzione industriale in poi.4 Proprio a partire dalla percezione di un «accumulo di materiali» ma oggi tanto più potente ed evidente: all’accresciuta percezione di una realtà complessa, tale sempre più dettagliati (poiché «gli spiriti e nella fisica e nelle altre scienze e in ogni ricerca del da imporre «l’esigenza di un’epistemologia che non sia luogo di fondazione della conoscenza, vero […] si sono volti all’esame fondato dei particolari»; Leopardi, Zibaldone, 4057), e sempre ma un inesauribile itinerario di articolazione degli universi di discorso del sapere e della cono- più sfuggenti, secondo una tendenza che alla lunga ha portato all’odierna certezza che, «come scenza»;8 fa da contraltare un impoverimento drastico della visione del mondo, schiacciata su reti l’uomo, anche il mondo [umanamente percepito, s’intende] è dissociato fra le scienze, sbriciolato semplificate di informazioni, di tirannica innervazione tecno-economica. fra le discipline, polverizzato in informazioni».5 Questo stesso sbriciolamento in ridda di dati, continua e saturante, segue nel tempo una stessa 4. nel centro del paradosso: complessità come risorsa o come semplificazione? logica, dai frantumi di sapere diffusi «da pamphlets, da riviste e da gazzette», globalmente congiuranti al mito del progresso («Ogni giornale, / gener vario di lingue e di colonne, / da tutti Lo Zeitgeist odierno è in effetti caratterizzato da questa crescente (e potenzialmente fertile) co- i lidi lo promette al mondo / concordemente»; Leopardi, Palinodia), si è strutturato, col radicarsi scienza dell’interconnessione tra campi epistemologici, sintetizzata da Morin e dal suo (ma definitivo dei media elettronici, in condizione quasi biologica di vita quotidiana, al punto che oggi non solo suo) tentativo di fondare una «scienza nuova», con richiamo a Vico, la cui visione è lecito affermare che, volenti o nolenti, «siamo organismi informazionali (inforg), reciprocamente complessiva (a baricentro storico) si rovescia nella visione complessa (a baricentro scientifico) connessi e parte di un ambiente informazionale (l’infosfera), che condividiamo con altri agenti affidata ad «una teoria – un pensiero – transdisciplinare che si sforzi di abbracciare l’oggetto, informazionali, naturali e artificiali, che processano informazioni in modo logico e autonomo».6 l’unico oggetto, continuo e discontinuo a un tempo, della scienza: la physis».9 Proprio la coabitazione globale in questa oggettiva infosfera fa sì che la capillare diffusione di In questa stessa direzione, a partire dal secolo scorso, alcuni grandi scienziati si sono lungamente una sempre più interrelata cultura tecno-scientifica («nel secolo passato le scienze si collegarono spesi per trovare zone d’incontro e di sinergia tra campi di studio diversi, dal caso pionieristico di alle lettere […]: nel nostro le hanno ingoiate»; Zibaldone, 4504) strutturi alla radice conoscenze e Erwin Schrödinger e della sua teoria sull’origine della vita, tra fisica e biologia; al lavoro di Stuart comportamenti sociali, ma in crescente relazione all’andamento dei bisogni indotti dall’economia Kauffman, teso a «formulare un progetto di unificazione interdisciplinare che desse vita ad una («provveggono i mercati e le officine»; Leopardi, Palinodia). Per Žižek, «il carattere “assenza disciplina chiamata “morfologia matematico-fisico-chimica”», con eliminazione della distanza «tra di mondo” del capitalismo è connesso a questo ruolo egemonico del discorso scientifico nella scienze fisiche e biologiche».10 modernità, un carattere chiaramente identificato già da Hegel», fino al punto in cui una «molteplicità L’idea, antica quanto la civiltà umana, di un collegamento tra discipline, per ampliare gli strumenti di storie locali prolifera sullo sfondo del discorso scientifico in quanto unica universalità rimasta, di discorso sul mondo o sulla porzione di mondo da descrivere, è ormai idea portante, con ine- privata di senso».7 vitabile propagginamento in tutti i campi, e conseguente necessità di stabilire un «ponte tra i dati Expectations of the Past, c 6 o ntainer OSSERVATORIO INTERMODALE del comportamento e i ‘principi fondamentali’ della scienza e della filosofia». Il legame tra conoscenze d’area eterogenea è diventato un fatto di sostanza, a partire dal convincimento che «ogni realtà antropo-sociale dipende, in una qualche maniera (quale?), dalla scienza fisica, ma ogni scienza fisica dipende, in una qualche maniera (quale?), dalla realtà antropo-sociale».12 Sulla base di queste convinzioni, studiosi diversi per disciplina (e qualità) hanno in più occasioni, talora quasi ritualmente, ribadito la necessità di una visione d’insieme, non solo metodologica. Tanto che qualcuno (per esempio l’economista David A. Lane) è arrivato a teorizzare che «negli ultimi decenni dalla ricerca condotta nel campo della chimica, della fisica della materia condensata, della biologia teoretica, dell’informatica e, di recente, delle scienze sociali è emerso un nuovo paradigma scientifico: il paradigma della complessità».13 Ma questa idea di un nuovo paradigma epistemologico comporta inevitabilmente, se presa alla lettera, un’inversa e dunque paradossale semplificazione della realtà. Comporta in primo luogo il ripetersi di una soggezione al persistente mitologema tecno-scientifico di eredità positivistica, variamente mutato ma sempre strutturante. In questo senso si spiega la feroce affermazione di Badiou, per cui la celebrazione moderna della complessità del mondo non sarebbe nient’altro che un desiderio generalizzato, e in realtà semplificante, di atonalità.14 Dove, col termine di ‘atonalità’, non bisogna intendere soltanto il rischio di trasformare la necessaria (e del resto non nuova) interazione tra discipline, in un’euforia epistemologica ricorrente, e a rapidissimo scadimento in cliché; quanto – ben più disastrosamente – il riflesso vulgato di tale intreccio disciplinare, così come mediato dai media elettronici, in un contesto di definitivo predominio culturale tecnocratico a dominante capitalista. È insomma vero che, stando alle parole di Barabási, «le questioni complesse di fronte alle quali siamo posti nei vari campi, dai sistemi di comunicazione alla biologia cellulare, richiedono un quadro completamente nuovo», che ha a che fare con la necessità di «comprendere la complessità», per cui il «2000 diventerà [come è in effetti diventato] il secolo della complessità». Ma è ugualmente vero che lo sviluppo delle reti, alla cui crescita esponenziale questo auspicio è affidato (essendo esse per Barabási «la stoffa di cui sono fatti quasi tutti i sistemi complessi»), ed in particolare lo sviluppo della rete per eccellenza, quella di internet, ci ha guidato su una via a conti fatti obbligata, tra «nodi e link», ammaestrandoci docilmente ad una sola «strategia volta ad affrontare il nostro universo interconnesso», con conseguente impoverimento di metodo, di ragionamento, di azione.15 5. le antinomie della network society incerto) è di fatto affidata a un medium ideologicamente indirizzato da altri, potente non solo sul piano del condizionamento politico ed economico, ma anche per la costruzione, C’è stata e c’è una potente, quasi ontologica inevitabilità in questo processo, cui a conti fatti tutta volta a volta manipolabile, di un immaginario collettivo che in internet e nei suoi codici la modernità (e più ancora la civiltà di radice greca) ha sempre teso, ma che a partire dagli anni dominanti ha il suo perno; Settanta del secolo scorso «constituted the foundation of a new technological paradigm, […] mainly — la nozione, esponenzialmente crescente, della complessità del mondo, tanto sul piano in the United States, and rapidly diffused throughout the world».16 Un paradigma tecnologico, il cui delle conoscenze, quanto su quello geopolitico, si irrigidisce e parcellizza giocoforza tratto distintivo è senz’altro l’abilità di riconfigurarsi e riposizionarsi di continuo, «a decisive feature in tessere semplificate, in formule d’impatto quasi prelinguistico, la cui principale in a society characterized by constant change and organizational fluidity»,17 in virtù di una sua caratteristica è la facile comprensibilità, ai fini dell’immediata comunicabilità e citabilità. doppia forza (da cui l’impressione di inevitabilità): la sua coerenza con (la sua derivazione causale A queste antinomie se ne legano altre, condizionanti in diversa misura il nostro modo di da) uno schema antropologico, poi psicologico-culturale di base nel gruppo umano dominante conoscere, costruirci, interagire socialmente. gli equilibri del globo (alla grossa: dominio sul mondo attraverso il linguaggio / comunicazione — Al sorgere epidemico di comunità (anche politiche) virtuali, corrisponde nei fatti come fondamento dell’esserci); e la sua consustanzialità con la struttura economica dell’ultima «l’emergere di un nuovo sistema di relazioni sociali incentrato sull’individuo», cioè di modernità, costruita intorno al fatto tecnologico-mediale, al punto che «technology is society, and comunità personalizzate (così Wellman), ovvero «incarnate su network io-centrati», society cannot be understood or represented without its technological tools».18 e (su larga scala) l’affermarsi di un nuovo modello di socialità «caratterizzato Di fatto, la cultura plasmata da Internet (e smartphone e social), nel cui imperio viviamo, «è dall’individualismo in rete». una cultura costituita da una fiducia tecnocratica nel progresso del genere umano attraverso — All’impressione di originalità e varietà di pensiero (persino di diffusa onniscienza), la tecnologia», ovvero la «creatività tecnologica aperta e libera, radicata nelle reti virtuali che dovuta al flusso saturante di informazioni, in apparenza complesso e multidisciplinare, si propongono di reinventare la società, materializzata nei meccanismi della new economy da corrisponde nei fatti una altrettanto diffusa perdita di autonomia critica, nonché un imprenditori orientati al profitto».19 orientamento conoscitivo sostanzialmente gregario, del tutto esposto alla manipolazione. Di tale società (cui lo stesso Castells ha dato, tra le molte possibili, la definizione di Network — Alla potenziale iperdisponibilità di socializzazione e di conoscenza del mondo in ogni Society), più che mai in passato la dimensione tecnologica, economica e mediale costituisce non sua forma, corrisponde nei fatti una perdita di esperienza diretta (anche interpersonale) più soltanto il cardine, ma l’anima, la sinapsi, l’innervatura neuronale – poiché «the Internet, the e di sua tesaurizzazione, con ulteriore radicalizzazione di una tendenza già moderna World Wide Web, and wireless communication are not media in the traditional sense», abbattendo (vedi Agamben). Infine, e a sintesi di quanto detto: alla facilità di accesso a nozioni i confini «between mass media communication and all other forms of communication». È il nodo pluridisciplinari, ma formulari e mai scavate da processi sistematici di conoscenza, cruciale della questione: «the Internet, and its diverse range of applications, is the communication corrisponde la perdita dello sforzo di visione d’insieme, fino all’effetto di disinnesco del fabric of our lives, for work, for personal connection, for information, for entertainment, for public concetto stesso di verità, sempre provvisoria, sempre facilmente guadagnata, per vero services, for politics, and for religion». Un universo (anzi, più universi) di informazioni com- e proprio effetto d’eco. O plesse entrano nello stesso vettore della comunicazione privata – in primis lo smartphone, N A coronamento perfetto di questo processo, in quanto capace di rappresentare quasi iconica- 6. l’epoca della complessità paradossale L O mente la piattaforma dell’io, ridotto a luogo d’incontro gestibile e schematizzato tra idioletto T R e flusso linguistico-visivo del mondo esterno. Conseguenze: È questo un aspetto decisivo. I due elementi essenziali della modernità, cioè «l’egemonia del O P — l’intera mediazione linguistica e simbolica tra io e mondo (dal confine sempre più discorso scientifico e il capitalismo», hanno avuto ed hanno un impatto distruttivo «sul modo in c o ntainer 7 OSSERVATORIO INTERMODALE PP cui la nostra identità è performativamente fondata su identificazioni simboliche», con conseguente dell’esperienza (dal viaggio alla ricerca) e della tecnica, dal libro a internet, sempre OO RR «crisi di senso», ovvero «disintegrazione del legame – o anche dell’identità – tra Verità e Senso». criticamente usati. TT OO LL Fino all’indistinzione, ed anzi al rovesciamento dell’uno nell’altro, secondo la diagnosi profetica di Per la sua possibilità di sopravvivenza borderline (per non dire eslege), e per il suo statuto AA NN Debord, per cui «nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso».23 strutturalmente aperto, è il discorso dell’arte quello che maggiormente può rappresentare OO Questo fenomeno, già decisamente emerso all’alba dell’ultimo capitalismo (per stare alla sia i linguaggi esplosivi e multiformi della complessità, sia le sue contraffazioni mediatica- definizione di Ernest Mandel) e analizzato da autori come lo stesso Debord o Marcuse, si è mente smerciate. Se forse è vero che «la dimensione estetica serba ancora una libertà di radicalizzato in questa epoca di complessità paradossale, mediata e semplificata dal web secondo espressione che mette in grado lo scrittore e l’artista di chiamare uomini e cose con il loro nome direzioni omogenee. Mai come oggi è evidente come il mezzo, lungi dall’essere neutro, sia non – di nominare ciò che è altrimenti innominabile»,31 ciò però avviene in forza della sua marginalità soltanto obbligante a sé (pena l’esclusione dall’interazione sociale) ma anche condizionante rispetto ai codici economicamente e ideologicamente dominanti (compreso quello scientifico), ideologicamente, di un’ideologia che è tutt’uno con la sua matrice tecno-economica, in cui ormai come anche per il fatto di essere «sempre più un’espressione ibrida dei materiali virtuali e fisici» l’individuo si risolve. Il potere di fatto viene esercitato «intorno alla produzione di codici culturali di ambito diverso, ponendosi non solo come «un ponte culturale fondamentale tra la rete e l’io», e contenuti d’informazione», e «il controllo dei network di comunicazione diventa la leva con ma anche come «un protocollo di comunicazione e uno strumento di ricostruzione sociale».32 cui interessi e valori vengono trasformati in norme che guidano il comportamento umano».24 Perché ciò accada, perché il discorso riguadagni volta per volta statuto di senso, la complessità di L’informazione, ma anche la sola comunicazione, vuota o piena che sia, è dunque la prima delle cui si nutre deve essere percepita secondo diverse prospettive, contemporaneamente presenti: merci. In termini debordiani, «lo spettacolo [ovvero, la massa di input che viaggiano sulla rete] la prospettiva del dubbio sistematico; la prospettiva della mescidanza continua, della continua è la principale produzione della civiltà attuale», e per questo «sottomette gli uomini viventi nella traduzione da uno stato all’altro; la prospettiva dell’eresia. misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi». Nuovo non è il fatto che la cultura, in questo senso frammentario, desemantizzato e perciò 8. complessità come permanente esercizio del dubbio manipolabile, «sia diventata una merce», ma che «la merce sia diventata essa stessa cultura, senza più bisogno di una coscienza esterna a sé che la raddoppi in ideologia o la trasponga sul La percezione della complessità delle cose umane, biologiche e universali, di là da ogni registro dell’immaginario».25 Se quindi i prodotti per eccellenza sono genericamente culturali, riduzione al poco, è preliminare ad ogni conoscenza profonda delle loro dinamiche. Più che «l’indottrinamento di cui essi sono veicolo cessa di essere pubblicità: diventa un modo di vivere».26 di paradigma, termine rischioso, perché limitante a un’unica ottica, la complessità sembra più Né restano spazi per reazioni. Non solo perché l’intero flusso della socialità passa per le vie del un antiparadigma, capace di dissolvere idee monistiche e strutture di previsione; un’antilogica web, nelle sue varie forme; ma anche perché tali vie appaiono così aperte e totali, da sembrare fatta metodo di indagine, dalla mai pacificabile indole problematica. Come ha scritto Isabelle coincidenti con la mappa del mondo, e infinitamente libere. Nel mondo della merce culturale Stengers, difensivamente tanto rispetto agli euforici assertori della complessità quanto agli facilmente a portata di clic (come recita più di uno slogan), «la libertà può essere trasformata ironici detrattori, non di scoperta occorre parlare (anche perché tale non è, avendo poi in effetti in un possente strumento di dominio».27 Due le differenze ulteriori rispetto alla realtà analizzata lunga storia), quanto di «risveglio a un problema, a una “presa di coscienza” che, all’occorrenza, da Marcuse. Uno: è oggi pressoché impossibile percepire la marginalizzazione di «idee, è espressa in modo non soltanto intellettuale ma etico».33 In un discorso aperto all’interferenza aspirazioni e obbiettivi che trascendono come contenuto l’universo costituito del discorso»,28 con fasci di questioni complesse, di contro «alle rappresentazioni del grande positivismo poiché il multiforme e saturante universo del web ospita ogni discorso (e antidiscorso) possibile, [sempre perdurante], l’accento non viene più posto sul progresso, lineare e rassicurante: la a legittimazione dei più possenti vettori che di fatto per lo più ne dirigono le scelte di ricerca. complessificazione apre la via all’instabilità, alla crisi, alla differenziazione, persino alle catastrofi Due: la Coscienza Felice («la credenza che il reale è razionale e che il sistema mantiene le e alle impasse».34 In questa ottica mai pacificante, anche «il paradosso, l’antinomia, il circolo promesse»)29 dell’individuo ridotto a infantile consumatore di tecnologie sempre nuove, tuttora vizioso», che continuamente interferiscono contro ogni provvisoria certezza, «diventano riflessivi in molti casi incrollabile, convive con una maggiore inquietudine, ovvero con la percezione di un e generatori di un pensiero complesso».35 mondo complesso e plurale, ma tutto sommato esplorabile, grazie all’esercizio di una libertà di In questo senso, apertura alla complessità significa assunzione di una modalità problematizzante, informazione facilitata dal web. sempre sul bilico della contraddizione. Il che da un lato ci conduce, classicamente, nella proprietà Più che mai, insomma, la «razionalità scientifico-tecnica e la manipolazione sono saldate insieme stessa delle cose, «l’insieme del processo metamorfico delle trasformazioni disintegratrici e in nuove forme di controllo sociale»:30 che proprio dalla rassicurante impressione di libertà creatrici»,36 alla cui percezione doveva ispirarsi, sebbene forse in modo non ancora del tutto (ognuno può avere la sua finestra sul web) e di complessità (il cui intrico è letteralmente riprodotto precisato, l’ultimo inconcluso apporto di Beck allo studio della società contemporanea, riportata dalla rete) trae la sua più inoppugnabile, definitiva legittimità. a una (non-) regola di metamorfosi, capace di spostare l’attenzione sull’«essere nel mondo» e sul «vedere il mondo», secondo un’ottica fertilmente ovidiana (dell’Ovidio fecondatore del Novecento).37 Dall’altro lato, e appunto per le questioni riguardanti l’umano e la polis, questa 7. tracciati eterogenei: il discorso eslege dell’arte idea di una complessità come condizione aperta e problematica vale come antidoto verso ogni Ma questo simulacro disinnescato di complessità, appiattito in un reticolato di opzioni debolmente acquisizione definitiva, positiva e ordinatrice, e insomma verso le formule facili che (nell’epoca significanti, non è necessariamente lo sbocco ultimo ed unico del nostro tempo: molte altre della politica surrogata in spot da social network) coincidono con un semplificante settarismo, ipotesi di complessità, per interazione sociale e conoscenza, sono implicite nell’infosfera; sempre di sottesa violenza. molti altri discorsi la attraversano, in latenza o in filigrana. Discorsi, cioè, fondati su una reale Anche in questo senso sembra urgente il richiamo alla presenza problematizzante dell’intellettuale (percezione della) complessità, ovvero sull’intensificazione dello scavo verticale, con tutti i mezzi negativo definito da Bourdieu, capace sempre, anche a costo di isolamento, di un distacco c 8 o ntainer OSSERVATORIO INTERMODALE lungimirante dal magma comunicativo, distacco che gli permetta «libertà nei confronti dei poteri» e «critica delle idee preconcette», spingendolo a ricercare sempre «la restituzione della complessità ai problemi».38 In altre parole: di fronte a condizioni mediatico- culturali fatte «per lo più di fenomeni che si negano alla dimensione della profondità e non “desiderano” affatto essere interpretati, ma piuttosto consumati», e in quanto consumati anche fideisticamente creduti, e letteralmente incorporati, l’unico contravveleno è la permanenza (variamente sostenuta da Jameson) di un discorso plurale e critico in quanto atto perpetuo di interpretazione.39 L’esercizio della parola (del segno), in tutto il suo potenziale di ibridazione (secondo l’auspicio di Castells) ma anche di sollecitazione verticale, diacronica, è appunto risveglio del primato di un’interpretazione in movimento. Per questa via, la percezione di una effettiva complessità, «elevata solo in una regione intermedia fra l’ordine totale e il disordine completo»,40 diventa motore di dubbio e di racconto critico, attraversamento continuo di confini – poiché, come scrive Urry, «complexity repudiates the dichotomies of determinism and chance, as well as nature and society, being and becoming, stasis and change». Sottratta al rischio paradossale della semplificazione formulare, la coscienza della complessità diventa così vera risorsa di pensiero, critico e aperto al codice molteplice della realtà, sino al punto di spalancarsi alle «interdependencies, parallels, overlaps and convergences between analyses of physical and social worlds» (essendo la spaccatura tra «the ‘physical’ and the ‘social’» non più che «a socio-historical product»). Il che riconduce il pensiero sui propri limiti, sui limiti cioè di una dizione univoca e definitiva, spalancandolo aI territorio precario della pluralità, della instabilità, del mutamento, poiché nella prospettiva della complessità i sistemi sono tutti «on the edge of chaos».41 9. complessità come riconoscimento della molteplicità L’osservazione della complessità, aprendo alla natura di problema propria di ogni fatto naturale ed umano, apre anche alla sua sostanza, costituita da molteplicità e differenza, cioè da incontro nella distanza. Miscuglio, combinazione, ibridazione sono le regole, aperte per implicita definizione, dell’universo di senso così dischiuso, tra massima disponibilità conoscitiva, e ricerca di alcuni centri di gravità morali, che da tale allenamento all’apertura traggono in fondo la loro prima radice. È un punto decisivo. L’osservazione acritica del molteplice è per certo una resa passiva all’indifferenziato, di indole (in termini neocapitalisti) postmoderna, e in quanto tale giustifica la riprovazione di molti, come forma di ignavia accettante. Per Žižek, ad esempio, l’atonalità molteplice, vagamente educante a una tolleranza apatica e indifferente, deve essere combattuta attraverso la riaffermazione dell’elemento che salda il mondo «in una totalità stabile». Dire insomma che «quando ci si confronta con un mondo che si presenta come tollerante e pluralista, disseminato, privo di centro, si deve attaccare il principio strutturante e soggiacente che sorregge la sua atonalità, ad esempio il carattere segreto di una sua “tolleranza” che esclude come “intolleranti” alcune questioni critiche», significa combattere l’indistinzione morale sedativa di ogni impulso critico, obbligando il mondo (cioè il potere) a venire allo scoperto, ovvero a «”tonalizzarsi”, ad ammettere apertamente il tono segreto che sta alla base della sua atonalità».42 Il che può avvenire precisamente nel momento in cui dall’abbandono al molteplice si passa alla coscienza acuta (persino sofferente) della molteplicità in quanto somma di differenze: sul piano dell’incrocio di linguaggi, con l’accumularsi «a valanga [de]i portati delle Fabio Alessandro Fusco, La città peninsulare, 2011 scienze “umane” (e delle altre), con acquisizione di fatti e segni verbali alla cui luce forse si [può] più fondatamente tentare qualche cosa di – davvero – nuovo, in un lunghissimo processo che, se è cominciato, è appena cominciato»;43 ma anche sul piano dell’eterogeneità di culture e di presenze, in un meticciamento fecondissimo, che può diventare metodologia di lavoro, come già in molta arte e in molto teatro: ad esempio in Sellars, i cui spettacoli «sono lenti di rifrazione, spazi di contraddizione e di dibattito pluralista che permettono la costruzione di molteplici soggettività […] in società ossessionate dall’individualismo».44 In un colpo solo, questo cambio di ottica unisce insieme prospettiva estetica ed etica, de facto civile. Poiché, come per tempo ha spiegato Deleuze, «le differenze di molteplicità, e la differenza nella molteplicità, sostituiscono le opposizioni schematiche e grossolane», sgominando in pratiche eversive quelle visioni tranquillizzanti, unilaterali, che oggi pigramente si riaffermano in Europa (e altrove).45 È proprio «la nozione di molteplicità che denuncia» al tempo stesso «l’Uno [il principio dell’assoluto, nel cui nome la violenza irrompe nella storia] e il molteplice [la placida in-differenza, la resa piacevole all’atonalità]».46 La percezione della differenza, nata dall’osservazione del mondo complesso, spinge all’interpretazione permanente dei fatti, naturali ed umani, in quanto metamorfosi ed incontro, e all’esperienza costante di accostamento, sconfinamento, ibridazione. Sperimentare la differenza, in quanto motore di un discorso che moltiplichi le possibilità di confronto, ovvero che moltiplichi sé in altri e attraverso gli altri, è sperimentare «un pensiero che dica sì alla divergenza; un pensiero affermativo il cui strumento è la disgiunzione; un pensiero del molteplice – della molte- plicità dispersa e nomade».47 Questo perpetuo addestramento alla differenza, fondato sull’esercizio della complessità nel senso di pensosità interpretativa, di ascolto sempre all’opera, di dubbio quasi ossessivo (soprattutto O N contro la tirannide delle certezze), ha una sua rigorosa tenacia politica. Esattamente in questo senso, la condizione di migrazione, o di nomadismo, è un punto limite di conoscenza attiva, A L O continuamente rimescolata, e capace di trovare la verità (umana e non solo umana) nel proprio stesso procedere verso l’altro. Gli intellettuali critici in quanto soggetti nomadi «hanno dimenticato T R di dimenticare l’ingiustizia e la povertà simbolica: la loro memoria è viva, controcorrente: mettono in atto una ribellione dei saperi sottomessi».48 Il lavoro della coscienza della molteplicità è un O P perpetuo lavoro di ritraduzione: una pratica inattuale di memoria, che «non rimpiange patrie perdute»,49 ma le riattraversa tutte, e da questo trae la propria forza, il proprio mestiere. c o ntainer 9 OSSERVATORIO INTERMODALE PP 10. la traduzione della differenza OO RR TT OO La scrittura è dunque da intendere come perpetua vocazione e azione traduttiva e ritraduttiva, in modo crescente col crescere della coscienza del mondo come molteplicità caotica ma inter- LL AA relata. In un suo saggio decisivo del 1972 il poeta Henri Meschonnic scriveva che «tradurre un testo è un’attività translinguistica quanto l’attività stessa della scrittura di un testo».50 Questa NN OO affermazione, che sintetizzava più di un decennio di lavoro teorico, poetico e artistico, deve oggi più che mai essere presa alla lettera. Da sempre, ma in modo accelerato e sempre più evidente in epoca di complessità, il lavoro di traduzione e il lavoro di scrittura (d’arte, di linguaggio quale che sia) si intersecano, condividendo lo stesso statuto. In questo modo, il mondo si rivela «una collezione di eterogeneità», ovvero «una sovrapposizione di testi, ognuno leggermente diverso dal precedente: traduzioni di traduzioni di traduzioni», così che «ogni testo è unico e, nel contempo, è la traduzione di un altro testo».51 Da qui l’estrema delle necessità, che cessa di essere una condizione di partenza, per diventare un’inestinguibile potenzialità di visione e di prassi: lo scrittore diventa «poliglott[a] all’interno di una stessa lingua», capace di trasformare lo scambio e l’intersecazione in discorso.52 Questa condizione di poliglottia concettuale da una parte è legata alla natura cognitiva umana, avendo tutti gli individui pensanti in comune lo stato mentale della traduzione (come sosteneva la Kristeva); dall’altra, se portata alle estreme conseguenze permette di «liberare le parole dalla loro natura sedentaria, destabilizzare significati comunemente accettati, decostruire forme tradizionali di coscienza».53 Concepire la scrittura (letteraria o artistica) come sistema aperto, dunque, capace di accogliere, per prossimità o per contrasto, materiali e codici di origine diversa, spalanca nel testo uno spazio di incontro delle dif- ferenze (o delle similarità impensabili, scaturite dalla trascrizione di differenze), per cui anche il rumorio saturante della complessità spicciola mediata dal web può diventare discorso altro, discorso di altro. Soprat- tutto dunque nell’epoca, pericolosa se azzerata di senso, dell’essere-tra (secondo la definizione di Floridi), portato sociale della tecnologia comunicativa, questo continuo attraversamento di confini è, per tramite di una scrittura-traduzione del mondo, premessa e carburante allo spalancamento di uno «spazio liminale (in-between)» come «luogo del mutuo animarsi in un campo di forze di approssimazioni e inflessioni».54 11. l’in-between Fabio Alessandro Fusco, La crisi della postmodernità, 2008 È questo spazio di frontiera, questo in-between carico di voci, di storie, di scorie della realtà, il luogo della riattivazione del senso – il luogo dell’«incontro tra il sé e l’altro in un’alterizzazione del sé», che è poi il centro stesso (intenzione ed effetto) di ogni tensione d’arte e di parola.55 È oltre questa soglia, è da questa zona mobile di conoscenza umana, scavata con dura prassi di ascolto, di ritraduzione di voci e di codici, che oggi può agire, riattivandosi in discorso, quella «facoltà poetica» invocata nella sua Defence da Shelley, in quanto principio ordinatore di troppi «materiali». Un discorso ormai lontano da quella lingua assoluta e univocamente tirannica, ovvero «autoritaria, dogmatica e conservatrice, chiusa all’influsso dei dialetti sociali extraletterari», che Bachtin vedeva nella dominante monodia lirico-filosofica del suo tempo. E in effetti, quell’antidoto di «pluridiscorsività sociale, a volte plurilinguismo, e plurivocità individuale artisticamente organizzate»,56 che lo stesso Bachtin individuava nella forma duttile del romanzo, oggi, dopo un secolo di sperimentazioni, sembra anche la caratteristica primaria non solo della migliore arte contemporanea, ma anche di molta poesia odierna, che attiva al suo interno differenti modalità e dosi di plurivocità, talora come fatto assoluto di poetica, più spesso come risorsa non esposta ma viva, sempre presente sottotraccia. Ibridazione, riscrittura, assunzione contaminante della molteplicità, sono modalità epistemologiche e formali, al cui centro c’è ancora (e oggi più che mai) l’auspicio poetico-utopico di Zanzotto, per cui «ognuno, dal protozoo al “dio”, dovrebbe […] ritrovarsi in questo giro di parole che aggancia le differenze lasciandole intatte».57 Di più, per forza di accostamento contrastivo, di teatralizzazione, di suscitazione archeologica, di suggestione dialogica si esaltano le connessioni e le sconnessure tra le differenze, innescandone i residui rimossi di senso, dal momento che «il significato […] non è una cosa che chi parla o scrive ‘possiede’ ma una forma di ‘citazione’ o prestito ricontestualizzati con effetti cinetici».58 La costruzione del significato come movimento è esattamente una delle chiavi della condizione nomade dell’arte (e del pensiero) in epoca di complessità. Un meccanismo simultaneo di scavo e di interpretazione della molteplicità, fino ad una risoluzione formale, in cui avviene «l’incontro» tra elementi eterogenei, «la composizione dei due corpi in un corpo nuovo, più potente»: ovvero il testo artistico che ne scaturisce, tanto più potente, quanto più immediatamente sintetico, capace di fare «una nuova incisione nell’essere, la costruzione di un nuovo concatenamento, di un nuovo assemblaggio delle sue strutture».59 In forme diverse, è una tendenza evidente in tutta la più avveduta e pensosa scrittura contemporanea. Che essa proceda per accumulazione di frammenti di storia ricombinati (da certo Zanzotto a Ciaran Carson) e riorientati (certo Grünbein), o per esibizione iperdialogica dei meccanismi di riuso (su tutti Geoffrey Hill), o per fessurazioni anche visive in strutture testuali potenzialmente onnivore (Ostuni o Menicocci), o per un continuo gioco tra generi e metodi formali (come nei libri di Anne Carson, o di Inglese) e contaminazioni di forme (tipografiche, fotografiche, variamente visive: da Peter Reading a Muriel Pic, ecc.): il suo potere di restituzione (e di reinvenzione) del senso sta nella ricezione della molteplicità, in quanto differenza, e nello scardinamento di «un modello di significato che trova il suo fondamento nell’appropriazione violenta dell’altro da parte dell’identico a sé o aufheben»,60 così da unire dunque la questione della parole poetica (scrittoria, artistica) alla più decisiva questione: «Come dunque fare senso collettivamente?» (così ancora Godard, citando Nicole Brossard).61

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