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Conquistatori e schiavi. Sociologia dell'Impero romano PDF

158 Pages·1984·10.246 MB·Italian
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Keith Hopkins è nato nel 1934. Già Fellow del King’s College di Cambridge (1963-67) e Lecturer alla London School of Economics (1963-72), è attualmente professore di Sociologia alla Brunel University di Uxbridge (Middlesex). Ha inoltre insegnato la stessa disciplina alla Università di Hong Kong ed è stato membro dell’Institute of Advanced Study di Princeton, nonché Visiting Professor alla University of Pennsylvania. Ha proseguito le sue ricerche di sociologia del mondo romano in Death and Renewal (Cambridge 1983). Società antiche Keith Hopkins Collana diretta da Mario Vegetti. Comitato scientifico: Sally C. Humpbreys, Arnaldo Momigliano, Jean-Pierre Vemant Austin e Vidal-Naquet Economie e società nella Grecia antica Burkert Homo necans Campese, Manuli e Sissa Madre materia Detienne L’invenzione della mitologia Detienne e Vemant La cucina del sacrificio in terra greca Hopkins Conquistatori e schiavi Lloyd Magia Ragione Esperienza CONQUISTATORI Vegetti (a cura di) Introduzione alle culture antiche voi. 1 Oralità Scrittura Spettacolo voi. 2 L’enciclopedia del sapere (in preparazione) voi. 3 Le religioni e il sacro (in preparazione) E SCHIAVI voi. 4 Filosofia e politica (in preparazione) Sociologia delVimpero romano Boringhieri 1984 Editore Boringhieri società per azioni Indice Torino, corso Vittorio Emanuele 86 Stampato in Italia dalla litografia STAMPATRE di Torino Maggio 1984 CL 74-9205-7 © 1978 Keith Hopkins Titolo originale Conquerors and Slaves Sociological Studies in Roman History Cambridge University Press - Cambridge - 1978 Edizione italiana a cura di Martino Menghi Copertina di Federico Luci Presentazione del curatore 7 Prefazione 11 1 Conquistatori e schiavi: gli effetti della conquista di un impero sull’economia politica dell’Italia 15 1. L’argomento 2. L’immissione degli schiavi 3. Uno schizzo dell’economia 4. Continuità della guerra 5. Gli effetti della guerra 6. La formazione di grandi proprietà 7. La terra e la politica 8. La soluzione: la migrazione di massa 9. Differenziazione strutturale e implicazioni di più vasta portata del cambiamento: l’esercito, l’istruzione e l’amministrazione della giustizia Appendice: Sulla probabile entità della popolazione della città di Roma 2 Sviluppo e pratica della schiavitù in epoca romana 110 1. Sviluppo di una società schiavista 2. Perché i romani liberarono un così gran numero di schiavi? 3. Conclusioni 3 Tra schiavitù e libertà: sull’affrancamento degli schiavi a Delfi 140 (in collaborazione con J. P. Roscoe) 1. Il retroterra 2. Libertà completa e libertà condizionata 3. I prezzi 4. I legami familiari tra gli schiavi affrancati 5. Conclusioni 4 II potere politico degli eunuchi 175 1. Potere e privilegi degli eunuchi di corte 2. Cambiamenti nella struttura di potere 3. La posizione strategica degli eunuchi 5 I divini imperatori o l’unità simbolica dell’impero romano 198 1. Introduzione 2. Inizi del culto imperiale a Roma, sua instaurazione e diffusione 3. Alcune funzioni del credere: la presenza vivente 4. Presagi e portenti 5. Conclusioni Note 239 Presentazione del curatore Abbreviazioni 281 Bibliografia 283 Supplemento bibliografico orientativo 293 Indice analitico 295 Nato nel 1934, l’autore di questo studio sui rapporti di potere nell’im­ pero romano ha avuto un avvio agli studi classici senz’altro tradizionale. Suo maestro a Cambridge fu però Moses Finley, con il quale Hopkins instaurerà un rapporto di amicizia e di collaborazione destinato a conso­ lidarsi lungo l’arco della sua crescita intellettuale. E’ comunque negli Stati Uniti che l’autore ha modo di ampliare i suoi interessi culturali, sia in campo storico, sia in quello più propriamente sociologico, grazie al fortunato incontro con Joseph Swain, il primo traduttore inglese dell’in­ tera opera di Durkheim. L’America, i consigli del vecchio Swain, e poi di Alvis Gouldner, l’autore di Enter Plato (1965), lasciano un’impronta du­ ratura nel giovane Hopkins, soprattutto uno spiccato interesse per un sapere storico-comparato (vedremo più avanti il fascino che su Hopkins esercitò sempre là storia della Cina). Tornato in Inghilterra, egli comple­ ta i suoi studi universitari sotto la guida di Arnold Jones, con cui per due anni si rivolgerà allo studio filologico delle fonti antiche. E’ in que­ sto secondo periodo a Cambridge che Hopkins si lega a John Goldthorpe, il primo sociologo incaricato da questa università: siamo già nel 1960. Ma i due campi d’interesse, quello per l’antichità da un lato, e quello per il mondo moderno e la sociologia dall’altro, continuano a rimanere nettamente distinti: “era come se vi fosse da una parte il mondo moder­ no, con tecniche di indagine sue proprie, e dall’altra il mondo antico con i suoi metodi di ricerca tradizionali”, in pratica, una religiosa lettu­ ra delle fonti. Eppure, se nella nostra conversazione col passato ci tro­ viamo in una posizione privilegiata rispetto ai nostri informatori, dal momento che viviamo in un contesto storico-culturale che ha visto la nascita e lo sviluppo di concetti astratti atti a spiegare una struttura sociale sempre più complessa, perché non voler ipotizzare, attraverso un’analisi degli attori di questo passato, delle loro azioni, delle loro cre­ denze e dei loro valori, 1’esistenza di una struttura sociale che dia ragione 8 Presentazione 9 Presentazione di questi fatti? Aspettarsi che le fonti parlino da sole, che siano rivela­ curo; i piccoli proprietari terrieri, infine, di fronte agli sconvolgimenti trici solo per ciò che in esse vien detto, vuol dire rischiare di cadere in prodotti sia dalla guerra di conquista che sempre più li coinvolge, sia grossi abbagli: le fonti infatti sono necessariamente il riflesso di una dalla progressiva creazione dei latifondi e dall’organizzazione di un’agri­ struttura sociale: esse quindi non riportano solo dati di fatto, ma sono coltura non più di sussistenza, ma di mercato, finiscono per arruolarsi anche la rappresentazione delle preoccupazioni, delle credenze, dei valo­ nell’esercito o per emigrare nei centri urbani. ri di una determinata società. Costruire perciò un edificio sulla base di Sulla base di queste premesse, il secondo capitolo descrive la nascita questi fatti “presunti”, significa ingannarsi: “Le fonti — ha osservato e lo sviluppo di una società propriamente schiavista: il gran numero di una volta Hopkins — non sono sacre ; sono esse stesse un prodotto socia­ schiavi importati in Italia fornisce una preziosa manodopera nei latifondi le, e dunque non possono essere prese alla lettera, allo stesso modo che dei ricchi romani. Hopkins vuol mettere qui alla prova la funzionalità di nessuno dovrebbe dare per scontata la ‘verità’ di un articolo del Times o questo sistema: non sarebbe stato più conveniente — si chiede — l’im­ dei giudizi di un politologo contemporaneo.” piego, per questa nascente agricoltura su larga scala, di una manodopera Nel dipartimento di sociologia di Leicester, e poi alla London School salariata? Dopotutto, l’acquisto degli schiavi, il loro mantenimento, la lo­ of Economics, M. Elias e lo stesso Finley incoraggiano Hopkins a com­ ro sorveglianza, dovevano rappresentare un costo senz’altro elevato. Per- piere la fusione dei propri interessi, applicando tecniche di indagine so­ dipiù, i contadini che immigravano nei centri urbani costituivano un ciologiche al mondo antico. Negli anni 1967-69 egli si reca a Hong Kong grosso problema politico. Ma il sistema aveva anche i suoi vantaggi: gli a fondare un nuovo dipartimento di sociologia, ed è forse quest’espe­ schiavi non avevano famiglia, li si poteva costringere a lavorare per un rienza in Oriente che lo porterà, al suo ritorno, a dedicarsi in modo numero di ore altrimenti impensabile, preoccupandosi solamente del loro nuovo allo studio del mondo romano. La storia della società cinese im­ sostentamento; quanto poi ai contadini urbanizzati, essi, per le loro ne­ periale, come abbiamo già accennato, lo aveva sempre affascinato. Le cessità alimentari avrebbero consumato, anche con l’aiuto di sussidi sta­ fonti cinesi infatti mettono in luce alcuni problemi relativi all’ammini­ tali, l’eccedenza prodotta nei latifondi. strazione e al controllo di un grande impero in una società preindu­ In questo stesso capitolo, Hopkins si sofferma a discutere le ragioni striale. Ora, pur tenendo presenti le enormi differenze che esistono tra che portarono a un certo punto un gran numero di padroni romani ad Roma e la Cina, è possibile riscontrare nel mondo romano, al momento affrancare i loro schiavi. Il fenomeno può apparire contraddittorio, o co­ della sua espansione imperiale, problemi analoghi a quello cinese. Hop­ munque dare un peso eccessivo all’influenza di motivi umanitari. La tesi kins si sente ora in grado di porre dei quesiti che non sono direttamente dell’autore è che la pratica dei padroni romani di affrancare i propri suggeriti dalle fonti: è qui decisivo per lui l’apporto teorico di Max schiavi contribuisse indirettamente a consolidare il sistema stesso della Weber. schiavitù. Infatti, la concessione di un salario con cui questi schiavi po­ Conquistatori e schiavi rappresenta, a questo punto, la sintesi matura tessero un giorno acquistare la propria libertà, il miraggio della libertà degli interessi dell’autore. Il libro consta di cinque capitoli che si presen­ stessa, che spesso diventava un ricatto, mettevano senz’altro i padroni nel­ tano, in particolare gli ultimi due, come saggi distinti, privi di connessio­ le condizioni di esigere da parte dei loro schiavi un lavoro qualitativa­ ni immediatamente evidenti. Non è propriamente necessario tentare di mente migliore. La somma pagata per l’affrancamento del resto rendeva dare una giustificazione di questo fatto. Hopkins stesso, del resto, tiene automatico l’acquisto di uno schiavo più giovane. Che l’istituzione del­ a precisare che nella ricerca egli si muove là dove la ricchezza del mate­ l’affrancamento rappresentasse spesso una trappola, lo dimostra la picco­ riale consente di ricostruire i principali meccanismi di un sistema socia­ la monografia che segue nel terzo capitolo, dove Hopkins dà un ampio le, senza preoccuparsi di rispettare una sequenza di tipo cronologico. resoconto dei vari tipi di affrancamento in un centro greco come Delfi. Cosi il capitolo d’apertura tratta degli effetti che la conquista di un Fin qui la nascita di una società schiavista e l’analisi dei suoi vari mec­ grande impero nei secoli secondo e primo a.C. ebbe sulle istituzioni po­ canismi di sfruttamento. litiche ed economiche romane. Si tratta di un saggio denso di problemi: Gli ultimi due capitoli, di taglio più politico-culturale, toccano due la conquista di un impero rende necessaria l’istituzione di un esercito risvolti significativi dell’ideologia imperiale romana. In particolare, nel permanente e composto di professionisti; dalle terre di conquista vengo­ quarto si parla di una specifica categoria di schiavi — gli eunuchi di corte no importati due milioni di schiavi in Italia; la classe dominante vede della parte orientale dell’impero nei secoli quarto e quinto d.C. — e della nel possesso di vaste estensioni di terra coltivabile l’investimento più si­ loro funzione sociale di capri espiatori e di “lubrificante” di una struttu- 10 Presentazione ra di potere autoritaria. Più specificamente, l’intento dell’autore è da un Prefazione lato quello di sottolineare l’esistenza di una contraddizione paradossale tra lo status servile di questi eunuchi e il loro effettivo potere all’interno della corte imperiale, dall’altro quello di illustrare la varietà dei tipi di società che Roma produsse nell’arco della sua esistenza. L’ultimo capito­ lo, infine, tratta del culto degli imperatori, della credenza da parte dei sudditi nello status divino del loro monarca. Quale credenza meglio di questa contribuisce a creare tra i sudditi il consenso necessario perché possa esistere una simile amministrazione del potere? In questo capitolo, che è forse il più originale, Hopkins sembra voler mostrare l’esistenza e l’applicabilità di tecniche sociologiche diverse da quelle prevalentemente A Juliet statistiche: l’indagine ideologica della mentalità e delle credenze consente di comprendere le forme di consenso senza il quale non è possibile ge­ stire il potere in uno Stato fortemente autoritario. Questo libro è uno studio sull’impero romano. Non si tratta però di un resoconto di fatti storici, bensì di un tentativo di analizzare una MARTINO MENGHI struttura sociale nel suo mutare e di evocare un mondo perduto. Si trat­ ta anche di un tentativo di applicare nozioni e tecniche della moderna sociologia alla storia romana. Il progetto potrà forse sembrare strano, ma tale non sarebbe certo apparso ai fondatori della sociologia, Marx e Weber, né a Pareto: Weber ad esempio scrisse due lunghe opere sul mondo antico. Eppure la maggior parte degli studenti di sociologia im­ para di più sugli arapesh e i nuer o gli indigeni delle Trobriand che non sui romani e sui cinesi, che crearono e conservarono imperi potenti e culture che lasciarono una impronta durevole. Già da un pezzo gli storici sociali del mondo postmedievale si servono con profitto dei nuovi metodi elaborati nell’ambito delle scienze sociali. La storia economica, la storia demografica e quella quantitativa sono di­ ventate branche della ricerca storica pienamente accettate e produttive, se non addirittura di moda. Al contrario, gli studiosi del mondo classico, con poche eccezioni significative, si sono stranamente isolati da queste tendenze, ritenendo che la documentazione disponibile sia troppo fram­ mentaria e le società antiche troppo diverse perché sia possibile appli­ carvi con facilità questi concetti moderni. Ogni storia è storia contemporanea, e riflette non solo i pregiudizi delle fonti, ma anche gli interessi e le concezioni del momento. Le con­ quiste del mondo romano devono essere interpretate con una totale disponibilità a capire ciò che i romani stessi pensavano e con ì concetti che noi stessi ci forgiamo. Il discorso, scontato forse per gli studiosi di storia moderna, non lo è invece per gli antichisti, tra i quali occorre rilevare una diffusa tendenza a isolarsi dalla corrente dominante in altri settori della moderna ricerca storica. A un tale isolamento hanno contri­ buito diversi fattori: il rigore necessario per imparare le lingue classiche, 12 Prefazione 13 Prefazione l’organizzazione delle università, le convenzioni e la tradizione. Quali ra, ma serve a renderci ragione di alcune delle differenze di “lettura” che siano le cause, il risultato è chiaro: l’abisso esistente tra il modo di che si registrano nel passaggio da una generazione all’altra. Le interpre­ fare storia da parte degli studiosi di storia moderna e quello proprio tazioni storiche non migliorano necessariamente ; alcune semplicemente degli antichisti. cambiano. Ad ogni modo, uno dei problemi persistenti ad ogni gene­ Questo libro, dunque, cerca di colmare la distanza che separa le con­ razione è quello di scegliere tra le varie finzioni possibili. E’ qui che i cezioni moderne dalle fonti antiche: a volte ho cercato di integrare que­ metodi sociologici possono essere d’aiuto. Ed è perciò che questo libro sti due fattori in un’unica analisi; altre ho preferito invece mantenere impiega tecniche e concetti sociologici, avanza esplicite ipotesi e cerca un contrappunto tra il nostro, modo di vedere e quello dei romani. Uno di dimostrare la validità dei suoi argomenti ricorrendo a modelli, cifre, degli obiettivi perseguiti è stato appunto quello di sperimentare meto­ coordinate, e infine anche a citazioni dalle fonti. Scopo dell’esperi­ di derivati dalla sociologia al fine di guadagnare una prospettiva nuova mento, quello di portare alla luce il modo di pensare dei romani e di sui cambiamenti avvenuti nella società romana: non fatti nuovi, quindi, stabilire dei nessi tra i diversi fattori: in altre parole, di circoscrivere i ma un diverso modo di capire il rapporto esistente tra i vari cambia­ confini di un territorio mal esplorato, dove è facile imbattersi in verità menti. elusive e in concorrenza tra loro. Non è questa la sede per affrontare una lunga discussione sui meto­ Gli storici moderni, grazie alla ricchezza dei loro dati, cercano a volte di, discussione che richiederebbe l’impiego di un particolare linguaggio di scoprire perché determinati individui si siano comportati in un dato astratto. E’ comunque opportuno sottolineare una difficoltà. Nel corso modo: cercano insomma di scoprirne le intenzioni. Gli storici antichi, di questo libro cercherò di esaminare alcune delle conseguenze a lunga invece, conoscono perlopiù solo il comportamento, e tendono spesso a scadenza di certe azioni ripetute: ad esempio, le conseguenze dell’im­ risalire dal comportamento alle intenzioni introducendovi una razio­ portazione di schiavi in Italia nel periodo dell’espansione dell’impero nalità. Ma a questo punto emergono due ovvi problemi: la razionalità di romano, o quelle dell’assegnazione di terre coloniali ai contadini italia­ chi? e perché poi dovremmo presupporre che questi individui (impera­ ni emigrati. Il mio proposito è quello di esaminare le conseguenze di tori, generali o contadini) fossero razionali? Nell’ultimo capitolo cer­ questi fenomeni indipendentemente dalle intenzioni di singoli personag­ cherò di dimostrare come i sociologi non solo si occupino di statistiche gi, i quali, infatti, spesso non erano consapevoli degli effetti a lunga e di modelli, ma tentino anche di capire i pensieri e i sentimenti degli scadenza delle loro azioni. Perciò, dovrò spesso contravvenire alla pratica individui e la logica dell’azione simbolica. Esaminerò insomma ciò che convenzionale di citare le fonti antiche a sostegno di ogni punto delle noi, nella nostra cultura, probabilmente chiameremmo l’irrazionale e il mie argomentazioni. Le fonti antiche infatti ci dicono solo, quando falso, e avanzerò l’ipotesi che certe storie false intorno agli imperatori siamo fortunati, che cosa un autore antico pensasse che stesse accaden­ (dicerie, predizioni, prodigi) fossero alla base del sistema politico, pro­ do e come sentisse il fatto, o come egli pensava che altri lo sentisse. prio come la moneta era alla base del sistema economico. Queste storie Si tratta ovviamente di un fattore importante, ma parziale. Di fronte a false sono state in gran parte trascurate, perché uno storico che si rispet­ questo tipo di difficoltà, bisogna trovare altri metodi con cui dimostra­ ti, proprio come i detective, è addestrato a scoprire la verità. Eppure, se re la validità delle nostre analisi, quantunque né i buoni propositi né vogliamo aprirci una breccia nel modo di pensare dei romani, dobbiamo la consapevolezza delle difficoltà garantiscano il successo. limitare i nostri pregiudizi e trattare seriamente le “bugie”. La storia è una conversazione con i morti. Molti sono i vantaggi che abbiamo sui nostri informatori: sappiamo, o almeno crediamo di sapere, K. H. ciò che è accaduto dopo; abbiamo una visione più ampia, scevra da par­ ticolari insignificanti; possiamo dire tutto noi, e infine, con tutti i nostri pregiudizi, siamo vivi. Sarebbe dunque colpevole rinunciare a vantaggi così sostanziosi col pretesto che il nostro compito è semplicemente quello di raccoglitori e interpreti di fonti. Possiamo fare di più. Quasi inevitabilmente, quali che siano le nostre ambizioni, finiamo per risolve­ re le complessità di un passato che è in gran parte perduto, ricorrendo a finzioni semplificatrici. L’ammissione potrà suonare non molto lusinghie­ Capitolo 1 Conquistatori e schiavi Gli effetti della conquista di un impero sull’economia politica dell’Italia 1. L’argomento Nel suo momento culminante, l’impero romano si estendeva dall’at­ tuale Inghilterra settentrionale alle rive dell’Eufrate, dal Mar Nero alla costa atlantica della Spagna. Il suo territorio copriva un’area pari a più di metà di quella degli Stati Uniti continentali, e risulta oggi diviso in più di venti Stati nazionali. Il Mediterraneo era il mare interno di que­ sto impero. Si è soliti calcolare che la sua popolazione nel primo secolo d.C. ammontasse intorno ai cinquanta, sessanta milioni di persone, vale a dire un quinto o un sesto circa della popolazione mondiale del tempo.1 Anche oggi sarebbe considerata una grande popolazione per un paese, difficile da governare con l’aiuto della moderna tecnologia. Eppure l’im­ pero romano continuò a costituire un unico sistema politico per almeno sei secoli, dal 200 a.C. al 400 d.C.; la sua capacità di integrazione e di conservazione rappresenta senz’altro, insieme con l’impero cinese, uno dei più grandi fatti politici dell’umanità. L’argomento principale di questo capitolo è costituito dagli effetti della conquista di un impero sulle istituzioni politiche ed economiche tradizionali dei conquistatori. Gran parte di questi fatti sono noti. Non è quindi mia intenzione dare un ulteriore resoconto particolareggiato di carattere cronologico. Ho scelto invece alcuni elementi a più riprese im­ portanti nel processo della conquista (l'ethos militaristico dei conquista- tori, le conseguenze economiche dell’importazione di due milioni di schiavi in Italia, la mancanza di terra coltivabile per i cittadini poveri) e ho cercato di metterli in relazione. Un tentativo del genere significa muoversi in un ambito familiare, anche se a volte percorrendo vie inso­ lite. Si può studiare con buoni risultati la storia romana partendo da di­ versi punti di vista che si completano a vicenda. La conquista nei secoli secondo e primo a.C. di un grande impero 17 Effetti della conquista di un impero 16 Capitolo primo to. Altre terre furono convertite in oliveti e in vigneti, così che aumentò causò la trasformazione di un vasto settore dell’economia tradizionale il valore dei loro prodotti. Si trattò di cambiamenti importanti, che fu­ italiana. L’afflusso dei profitti dell’impero sotto forma di bottino e di rono spesso trattati anche nei manuali romani sull’agricoltura. Ma la loro tributi portò Roma, dal gran borgo che era, a diventare una splendida portata era limitata dall’entità del mercato esistente. Molte fattorie rima­ città, la capitale di un impero. Alla fine del primo secolo a.C. la sua po­ sero intatte. In definitiva i cittadini poveri rappresentavano l’unico mer­ polazione era nell’ordine di un milione di abitanti: essa fu dunque una cato di massa, ed essi probabilmente spendevano per l’acquisto del pane delle più grandi città preindustriali create dall’uomo.2 E’ qui che gli ari­ lo stesso che per l’acquisto del vino e dell’olio d’oliva insieme.6 Questa stocratici facevano mostra del loro bottino nei cortei trionfali, spende­ vano gran parte del loro reddito e gareggiavano in un lusso ostentato. debolezza insita nel potere d’acquisto complessivo del settore urbano contribuì a tagliar fuori una parte notevole di contadini italiani dalla ri­ Le loro spese private, insieme con quelle pubbliche per la costruzione di voluzione agraria che trasformò l’attività lavorativa nelle fattorie più monumenti, templi, strade e canali, contribuirono sia direttamente, sia indirettamente a fornire i mezzi di sussistenza a diverse centinaia di mi­ grandi. La conquista di un impero ebbe effetti sul mondo rurale italiano an­ gliaia di nuovi abitanti. L’immigrazione dalla campagna veniva incorag­ che sotto molti altri aspetti. Le campagne militari che si svolgevano tut- giata anche dalla concessione di sussidi statali per l’acquisto del grano t’intorno al bacino del Mediterraneo costrinsero decine di migliaia di distribuito ai cittadini che vivevano a Roma. contadini a un servizio militare prolungato. Nel corso dei secoli secon­ L’aumento della popolazione della capitale e in sostanza dell’Italia nel do e primo a.C., in genere più di centomila italiani servivano nell’eser­ suo complesso (vedi oltre, p. 76, tab. 1.2), portò a una trasformazione cito, vale a dire più del 10 per cento di quella che si calcola fosse la della campagna. La gente che viveva a Roma costituiva un enorme merca­ popolazione dei cittadini adulti di sesso maschile.7 Queste cifre com­ to per l’acquisto dei generi alimentari che venivano prodotti nelle proprie­ plessive celano quelle che furono le sofferenze individuali; dobbiamo tà agricole italiane: grano, vino, olio d’oliva, tessuti e generi più partico­ pensare che cosa significasse per i singoli contadini un servizio militare lari. Senza dubbio la città di Roma ricavava parte del suo fabbisogno ali­ prolungato, quali fossero le sue conseguenze per le famiglie e per le ter­ mentare dalle province; la decima parte della produzione di grano della re da cui si separavano. Molte fattorie condotte da una sola famiglia po­ Sicilia, ad esempio, veniva detratta come imposta e spesso veniva invia­ tevano sopportare l’assenza di un figlio adulto anche per diversi anni; il ta a Roma. Ma gran parte dei generi alimentari che venivano consumati servizio militare può addirittura aver rappresentato un aiuto dando un a Roma ed in altri centri fiorenti, come Capua e Pozzuoli, provenivano impiego alternativo e una paga. In altre famiglie, invece, la coscrizione anche dalle proprietà che si erano recentemente formate in Italia, posse­ dell’unico maschio adulto o l’assenza dell’unico figlio che militava nel­ dute da ricchi romani e coltivate da schiavi.3 l’esercito oltremare significava, una volta che il padre fosse morto, la Il passaggio da un’economia di sussistenza, che in passato aveva pro­ miseria crescente e l’indebitamento.8 dotto solo una piccola eccedenza, a un’economia di mercato che produ­ Col passare del tempo, il servizio militare di massa deve aver contri­ ceva una grossa eccedenza, fu possibile grazie all’aumento della produt­ buito airimpoverimento di molti piccoli proprietari terrieri romani. tività del lavoro agricolo all’interno di fattorie più grandi. In sostanza, Quantomeno, sappiamo che migliaia di contadini persero la loro terra. un minor numero di persone era in grado di produrre una maggior quan­ Inoltre, le invasioni da parte di popolazioni cartaginesi e celtiche, le ri­ tità di generi alimentari. I piccoli proprietari sottoccupati venivano cac­ ciati dalle loro terre e sostituiti da un numero di schiavi minore.4 I ric­ bellioni di schiavi e le guerre civili che ebbero a più riprese come tea­ chi comperavano le loro terre, o se ne impossessavano con la forza, e tro il suolo italiano, furono tutti elementi che contribuirono alla distru­ riorganizzavano le piccole proprietà in fattorie più grandi e più redditi­ zione delle proprietà agricole tradizionali. Tuttavia anche in queste con­ zie per poter competere con altri nobili, per aumentare i profitti resi dizioni, un numero maggiore di contadini italiani avrebbe potuto soprav­ dal loro investimento in terra e in schiavi e infine per sfruttare meglio vivere sia alle richieste del servizio militare, sia all’azione distruttrice del­ il lavoro di questi ultimi. In molte parti d’Italia, inoltre, i grandi pro­ la guerra, se non fosse intervenuto un altro fatto: il massiccio investi­ prietari terrieri introdussero dei cambiamenti nel modo di sfruttare la mento da parte dei ricchi dei profitti che provenivano dall’impero nelle terra.5 Ragguardevoli aree coltivabili furono convertite in terra da pa­ terre italiane. I ricchi potevano creare in Italia delle grandi proprietà solo scolo, forse per poter vendere a Roma, invece di grano, prodotti più attraverso un sistematico sfratto dei contadini dalle loro terre. Di solito, pregiati, come la lana o la carne, a dispetto degli alti costi del traspor­ in qùeste proprietà lavoravano schiavi importati. La sostituzione di ingen­ 18 Capitolo primo 19 Effetti della conquista di un impero ti masse di contadini con schiavi contribuì a trasformare l’economia agri­ Il posto dominante che, nella politica romana, occupò il problema cola dell’Italia, e fomentò i contrasti politici della tarda repubblica. della terra, derivava dalla grandissima importanza che essa ebbe nel­ Lo sfratto in massa dei poveri da parte dei ricchi fu alla base dei con­ l’economia. La terra e l’attività agricola rappresentarono le due com­ flitti politici e delle guerre civili dell’ultimo secolo della repubblica roma­ ponenti principali della ricchezza in tutti i periodi della storia romana. na. Ad esempio, il possesso dell’agro pubblico e la sua ridistribuzione ai Manifattura, commercio e rendite urbane avevano in effetti un’impor­ poveri divenne un problema politico di fondamentale importanza ed esa­ tanza minore rispetto all’agricoltura. Ciò non significa che bisogna igno­ cerbò le tensioni tra i ricchi e i poveri.9 In Italia, l’agro pubblico era sta­ rarli; l’impiego del 10-20 per cento della forza lavoro in attività non to formato accantonando le terre che i romani confiscavano alle popola­ agricole costituisce uno dei fattori che differenzia alcune società prein­ zioni conquistate o agli alleati ribelli, dichiaratamente nell’interesse col­ dustriali dal resto. In Italia, alla fine del periodo di espansione imperia­ lettivo. Esso rappresentava una parte significativa, ma pur sempre limi­ le, la percentuale della popolazione impegnata nelle attività urbane può tata, della terra romana, dato che secondo valutazioni moderne a metà aver raggiunto il 30 per cento circa (vedi oltre, p. 76, tab. 1.2; le cifre del terzo secolo a.C. non ne costituiva neppure un quinto, per essere po­ sono congetturali), dato che i profitti dell’impero e i cambiamenti eco­ co di più nel secondo secolo (tali valutazioni sono inevitabilmente ap­ nomici, che si riflettevano nel cambiamento di occupazione con passag­ prossimative); la sua iniqua distribuzione tuttavia diventò una cause ce­ gio dalla campagna alla città, dall’agricoltura alle varie attività artigianali lebre della politica del tempo. L’agro pubblico venne concentrato nelle o ai servizi commerciali, erano concentrati in Italia. Roma era la capitale mani dei ricchi; le leggi che vietavano il possesso di grandi estensioni di del bacino del Mediterraneo. Nel resto dell’impero, la percentuale della agro pubblico furono ignorate (così Catone, fr. 167 ORF), e i canoni forza lavoro impiegata nell’agricoltura raggiungeva probabilmente il 90 che avrebbero dovuto essere versati all’erario statale non venivano riscos­ per cento, come era stato in Italia prima del periodo di espansione.12 Ma si data l’inerzia del senato (Livio 42.19).10 anche in Italia nel momento culminante della sua prosperità, e a qual­ Una storia descrittiva dell’ultimo secolo della repubblica sarebbe ca­ siasi livello sociale, dai nobili ai borghesi e ai contadini, il potere e la ratterizzata dai conflitti sorti intorno a questa terra e dalla relativa legi­ ricchezza dipendevano quasi direttamente dalla quantità e dalla fertilità slazione e distribuzione, tutte cose che più spesso rimanevano a livello di della terra che ogni individuo possedeva. Le proprietà terriere costitui­ proposta. Nel 133 a.C., ad esempio, un giovane tribuno della plebe ap­ vano l’espressione geografica della stratificazione sociale. partenente all’aristocrazia e animato da idee rivoluzionarie propose una All’interno della popolazione rurale, anche quando la schiavitù in Ita­ ridistribuzione dell’agro pubblico che si trovava illegalmente nelle mani lia raggiunse il suo punto culminante, i contadini liberi costituivano pro­ dei ricchi. Costui venne ucciso dai suoi avversari in senato, ma la com­ babilmente la maggioranza della popolazione italiana residente al di fuo­ missione di controllo da lui istituita riuscì a distribuire un po’ di terra ri della città di Roma.13 Per contadini, intendo idealmente quelle fami­ ai cittadini poveri. Tuttavia, nonostante queste garanzie di tipo giuridi­ glie principalmente occupate nella coltivazione della terra, sia come pro­ co, i nuovi occupanti rimanevano sfrattabili come i lóro predecessori; le prietari che come conduttori (spesso in ambedue le qualità), legati con stesse forze infatti erano ancora in gioco. Ancora nel primo secolo a.C., il resto della società dai vincoli delle imposte e/o dei canoni d’affitto, i cittadini soldati che avevano il potere militare e che godevano del pa­ degli obblighi di lavoro e dei doveri politici. La persistenza del contadi­ trocinio di alti esponenti politico-militari, come Siila, Pompeo e Cesare, nato è importante, ma lo furono anche i cambiamenti nella proprietà e a volte si assicuravano l’assegnazione di piccoli appezzamenti di terra al­ nell’organizzazione delle terre, e l’emigrazione in massa dei contadini ita­ la fine del loro servizio. Il più delle volte, tuttavia, costoro si imposses­ liani liberi che resero possibili questi cambiamenti nell’organizzazione dei savano'di terre che erano già coltivate da piccoli proprietari, ma anch'es­ fondi. si in qualche caso non riuscivano a stabilirsi nelle loro terre, che ancora Qualche indicazione di scala può essere utile; si tratta semplicemente una volta venivano preventivamente rilevate dai ricchi. Così, la successi­ di ordini di grandezza approssimativi, anche se si basano o derivano dal­ va ridistribuzione dei piccoli appezzamenti di terra probabilmente non la meticolosa analisi dei dati svolta da Brunt (197la). In modo assai accrebbe in modo significativo il numero complessivo dei piccoli proprie­ congetturale calcolo che in due generazioni (80-8 a.C.) circa la metà tari, anche se rallento il loro trasferimento.11 La tendenza generale per i delle famiglie contadine dell’Italia romana, e cioè più di un milione e romani poveri era quella di essere esclusi da qualsiasi partecipazione si­ mezzo di persone, furono costrette, quasi sempre per intervento statale, gnificativa ai profitti della conquista fin tanto che essi si trovavano nelle a lasciare le terre dei loro avi. Costoro o si trasferirono in altre terre in campagne italiane.

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