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Comedia di Dante Alighieri, Inferno PDF

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Commedia L di Dante Alighieri Letteratura italiana Einaudi Edizione di riferimento: I Meridiani, I edizione, Mondadori, Milano 1991 Introduzione, cronologia, bibliografia, commento a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi Letteratura italiana Einaudi Inferno L di Dante Alighieri LLeetttteerraattuurraa iittaalliiaannaa EEiinnaauuddii Sommario Canto I 1 Canto XVIII 436 Canto II 34 Canto XIX 457 Canto III 61 Canto XX 482 Canto IV 85 Canto XXI 503 Canto V 113 Canto XXII 525 Canto VI 146 Canto XXIII 544 Canto VII 175 Canto XXIV 564 Canto VIII 201 Canto XXV 586 Canto IX 225 Canto XXVI 608 Canto X 250 Canto XXVII 636 Canto XI 276 Canto XXVIII 658 Canto XII 295 Canto XXIX 683 Canto XIII 320 Canto XXX 701 Canto XIV 348 Canto XXXI 723 Canto XV 370 Canto XXXII 742 Canto XVI 392 Canto XXXIII 769 Canto XVII 414 Canto XXXIV 793 Letteratura italiana Einaudi CANTO I [Incomincia la Comedia di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e punimenti de’ vizi e de’ meriti e pre- mi de le virtù.Comincia il canto primo de la prima parte la quale si chiama inferno, nel quale l’auttore fa proemio a tutta l’opera.] Nel mezzo del cammin di nostra vita 1. Nel mezzo del cammin...: giunto alla metà del cammino della nostra vita umana. L’inizio del poema, in forma semplice e piana, è una indicazione di tempo. La visione dell’aldilà si presenta come un fatto storicamente datato che si svolge nel tempo. Dante indica infatti qui una data precisa, cioè i suoi trentacinque anni, conside- rati allora, «ne li perfettamente naturati», il punto medio della du- rata della vita (Conv. IV, XXIII6-10); la Scrittura stessa – in accor- do del resto alle teorie aristoteliche riprese da Alberto Magno e Tommaso – era all’origine di tale opinione («Dies annorum no- strorum... septuaginta anni» – Ps. 89, 10) e l’aggettivo nostra sem- bra discendere dal salmo al verso di Dante, dando a quel linguag- gio dimesso e quotidiano una risonanza universale ed epica. L’idea della vita come cammino (che ha quindi un suo fine) riempie que- sto primo verso. È l’idea di partenza del poema. Essa è scritturale (2 Cor. 5, 6) e Tommaso la precisa nel suo commento: «Homo, in statu vitae istius constitutus, est quasi in quadam via, qua debet tendere ad patriam». Dante la riprende e la svolge in un passo del Convivio, dove si ritrova quasi una parte del primo verso del poe- ma: «così l’anima nostra, incontanente che nel novo e non mai fat- to cammino di questa vita entra...»; è questo il cammino verso il be- ne, che l’uomo «perde per errore come le strade de la terra» (Conv.IV, XII15-8), proprio come è accaduto all’uomo della pri- ma terzina del poema. La data di questo viaggio dell’anima è tutta- via storica, come dichiarano più luoghi lungo le cantiche che fissa- no la visione al 1300 (Dante era nato, come si sa, nel 1265) e precisamente al venerdì santo di quell’anno (si veda la nota in fine Letteratura italiana Einaudi 1 Dante - Inferno I mi ritrovai per una selva oscura di canto). È questo del resto l’anno del grande giubileo indetto da Bonifacio VIII, certo non a caso scelto per il viaggio di conversio- ne e salvezza. Che le prime parole del poema indichino dunque un tempo storico, appare indubbio. Ma tale tempo storico è fin dall’inizio proiettato sullo sfondo dell’eternità dal preciso ricordo biblico presente in questo primo verso: «Ego dixi: in dimidio die- rum meorum vadam ad portas inferi» (Is. 38, 10). Le parole del profeta – che narra in quel capitolo l’intervento salvifico di Dio per strappare un uomo alla morte – stabiliscono la seconda dimen- sione del racconto: sono così già posti i due piani, terrestre e cele- ste, sui quali si svolgerà tutto il poema al quale ha posto mano, co- me Dante stesso dirà, e cielo e terra (Par.XXV 2). – nostra: con questo aggettivo il singolo personaggio Dante ac- comuna a sé tutta l’umanità. Scopo del poema infatti, come abbia- mo ricordato nella Introduzione, è «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis» (Ep. XIII 39). Così Dante assume in persona propria questo viaggio, che è di tut- ti gli uomini, dall’oscurità (la selva) alla luce, dal dolore alla feli- cità, e la sua vicenda personale, storicamente reale e databile, di- venta segno dell’universale vicenda umana. 2. mi ritrovai: mi ritrovai ad essere, presi coscienza di trovarmi; «dice l’essersi lui accorto di trovarsi là entro...» (Tommaseo). Di qui lo sgomento e la paura. Quando c’era entrato infatti, e fino a quel momento, non ne aveva avuto coscienza (Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai: v. 10). Questo preciso momento, in cui l’uomo si accorge del suo smarrimento (v. 3), e se ne spaventa (v. 6), è ap- punto l’inizio della conversione, e segna l’inizio del poema. – per una selva oscura: per vale «per entro», mantenendo il sen- so latino di moto per luogo; indica quindi il camminare senza meta proprio di chi si è smarrito. La selva è l’immagine antica e imme- diatamente comprensibile del male e dell’errore, diffusa in tutta la letteratura cristiana, e come tale Dante stesso la usa nel Convivio: «la selva erronea di questa vita» (Conv.IV, XXIV12). D’altra parte, nell’ambito letterario, la selva si ritrova all’entrata dell’Averno vir- giliano (Aen. VI 131, 179 ecc.) e, per restare agli autori più cari a Dante, proprio lo smarrimento nella selva segna l’inizio della storia nel Tesoretto di Brunetto Latini, come di molti testi romanzi (Cur- tius, p. 446). Questa metafora abbraccia quindi secoli di tradizione (e osserviamo fin d’ora che tale sarà tutto il linguaggio della Com- Letteratura italiana Einaudi 2 Dante - Inferno I ché la diritta via era smarrita. 3 media, sempre antichissimo, ma insieme straordinariamente nuo- vo). Essa significa qui, come quasi tutti hanno inteso, uno stato di peccato: «per silvestria loca... idest per operationes vitiosas» (Pie- tro). La selva è infatti oscura perché non vi splende il sole (v. 60), segno del bene e di Dio. La metafora luce-tenebre, di origine evan- gelica (Io. 1, 5), si ritroverà poi come motivo conduttore per tutta la Commedia. Dante vuole indicare nella selva, come preciserà a chiare lettere più oltre nel poema (cfr. Purg. XXIII 115-20 e XXX 130-2), un reale periodo di traviamento della sua vita, che è qui la- sciato nell’indeterminato, proprio perché vuol essere nello stesso tempo figura del generale sbandamento dell’umanità. 3. che: i più lo intendono come congiunzione causale (giacché, poiché), ma ci sembra più esatto l’altro valore proposto (dal Pa- gliaro e dal Pézard), di congiunzione modale («nella situazione di aver smarrito la via») che meglio corrisponde al significato indica- to sopra del verbo mi ritrovai, che la congiunzione determina. Dante vuole infatti qui descrivere la situazione in cui viene all’im- provviso a trovarsi: in mezzo a una selva oscura, smarrito il cammi- no. Per un simile uso del che, non perfettamente definibile, cfr. VIII 64 e 110. (Secondo questa interpretazione sintattica, diamo nel testo il che non accentato, a differenza dell’ed. Petrocchi, che lo intende come causale.) – la diritta via: più precisamente degli altri commentatori (che spiegano in generale: «la via della virtù»), Pietro di Dante ha pene- trato il vero valore di questa espressione: l’origine dell’anima uma- na è il cielo, e l’anima naturalmente desidera tornare nella sua pa- tria, cioè a Dio; altrimenti devia dalla strada diritta, cosa che l’uomo può fare, unico nella natura, grazie al libero arbitrio. Più rapidamente, ma analogamente, il Boccaccio: «egli è il vero che le vie son molte, ma tra tutte non è che una che a porto di salute ne meni e quella è esso Iddio». Tale senso profondo della «via dirit- ta», che porta l’uomo al suo fine, cioè a Dio – metafora anch’essa ben antica e radicata nel Vangelo –, regge, come si vedrà, tutta l’in- venzione del viaggio dantesco. – era smarrita: e non perduta, notano già gli antichi commenta- tori, perché poteva ancora ritrovarla: «questa via... si smarrisce... perché chi vuole la può ritrovare, mentre nella presente vita stia- mo» (Boccaccio). Tuttavia in questo momento essa appare ben lontana. Questo terzo verso, con la sua precisa cadenza, mantiene Letteratura italiana Einaudi 3 Dante - Inferno I Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! 6 e conclude la linea piana dei primi due. Il «sermo humilis», a tutti accessibile, e proprio della Scrittura secondo S. Agostino, sembra voler intonare fin dal principio il sacro poema dell’aldilà («remis- sus est modus et humilis» dirà Dante del linguaggio della Comme- dia in Ep.XIII 31). Ma tale linguaggio è il risultato di un’arte profonda. Si osservi come questa prima terzina imposti la situazio- ne in modo tanto perentorio quanto semplice: il tempo, lo spazio – le dimensioni esteriori – e infine la dimensione interiore, e tragica, che è il reale punto di partenza della storia. 4. Ahi quanto a dir...: quanto è duro ripetere in parole... La pri- ma terzina si pone con assoluta oggettività, senza alcun commento. Il commento, cioè il riflesso di quella condizione di errore e di oscurità nell’animo dell’uomo, interviene con questo verso. La for- ma esclamativa tornerà poi sempre nel poema – segno del vivo ri- cordo e partecipazione dell’autore – a sottolineare i momenti di maggior tensione drammatica. – qual era: qual era il suo aspetto e la sua terribilità; cfr. Aen. II 274: «ei mihi, qualis erat!». – dura: duro vale «difficile», «faticoso»; qui nel senso traslato, rimasto anche nell’italiano moderno, di «difficile all’animo», quin- di «penoso» (cfr. III 12 e Par. XVII 59). Tale significato è precisa- to dal v. 6: se è paurosa al solo ricordarla, tanto più penoso sarà il parlarne. 5. esta: dimostrativo arcaico (dal lat. iste) che vale indifferente- mente per «questo» e «codesto»; cfr. più oltre, v. 93. – selva selvaggia: figura retorica detta etimologica (annominatio) che ripete lo stesso tema in due parole diverse, lar- gamente usata in tutta la poesia medievale (e ritrovabile sia nella Scrittura sia nei classici). Dante se ne serve spesso (si veda più oltre al v. 36: più volte vòlto). In questo caso, mantenendosi il tema, mu- ta il significato, in quanto selva è proprio, selvaggia è metaforico (Mattalia). I tre aggettivi sono disposti in crescendo: selvaggia indi- ca la condizione disumana del luogo, aspra il suo intrico, forte infi- ne (che nell’uso dantesco vale spesso «difficile») la difficoltà di uscirne (Buti). 6. che nel pensier...: tale che solo al pensarci rinnova lo sgo- mento provato. La paura nasce dalla coscienza ridesta, che si vede intorno un tal luogo. Il verbo «rinnovare», detto di un sentimento che si ripete al ricordo, è il primo grande debito virgiliano (cfr. Letteratura italiana Einaudi 4 Dante - Inferno I Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. 9 Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto Aen.II 3: «Infandum... renovare dolorem») che sarà ripreso in modo esplicito a XXXIII 4-5. 7. Tant’ è amara...: tale condizione (la selva) è tanto amara che la morte, «ultima delle cose terribili» (Boccaccio), lo è poco di più. Cfr. Conv.I, VII4: «ciascuna cosa che da perverso ordine proce- de... è amara». Dante qui rovescia il paragone biblico, dove il pec- cato è raffigurato peggiore della morte («Inveni amariorem morte mulierem»: Eccl.7, 27), perché, come dice Pietro, finché si è in vi- ta può ancora venire un rimedio da Dio («auctor habuit respectum ad remedium quod adhuc haberi a Deo potest»). L’aggettivo «amaro», proprio del gusto, è riferito all’intelletto, che giudica amaro il vizio quando ne prende coscienza. È questo il primo esempio dell’uso pregnante e non consueto dell’aggettivo (amara infatti non è proprio detto di selva), che sarà caratterizzante di tut- to lo stile della Commedia.Si osservi infine l’allitterazione tra ama- ra e morte,già biblica, che ha lunga tradizione nella poesia medie- vale. 8. ma:intendi: per quanto sia così duro il parlarne, tuttavia lo farò... – per trattar:per poter trattare del bene che vi trovai (cioè la sal- vezza, che giunge con Virgilio), e così poter indicare a tutti la via di tale salvezza, che è l’intento del poema. È sembrato strano che si potesse trovare un bene in una simile selva, figura del male; pure il massimo dei beni (la salvezza, la redenzione) viene all’uomo, nella teologia cristiana, proprio nella sua condizione più tragica di lon- tananza da Dio (si veda il Boccaccio: «per lo qual bene niuna altra cosa credo sia da intendere, se non la misericordia di Dio»). Coe- rentemente a tale concezione, il viaggio della Commedia,che ter- minerà nell’Empireo, ha il suo punto di partenza nella selva oscura. 9. dirò...: parlerò prima delle altre cose...; allude alle fiere, che incontrerà tra poco, in quanto contrapposte (altre cose)al bene che trovò nella selva (Parodi). 11. pien di sonno:è il «sonno mentale» (Boccaccio) o dell’ani- ma (come dell’anima è lo smarrimento); così annota già tra gli anti- chi il Bambaglioli: «somnus accipitur pro peccato». Il sonno è usa- to frequentemente nella Bibbia come figura del peccato, in quanto Letteratura italiana Einaudi 5 Dante - Inferno I che la verace via abbandonai. 12 Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, in esso la mente è ottenebrata, e la coscienza come addormentata; cfr. Rom.13, 11: «hora est iam nos de somno surgere»; e si veda Agostino: «sonuis autem animae est oblivisci Deum suum» (Enarr. in Ps.62, 4; Mazzoni). Sul piano filosofico, l’etica aristotelica, ri- presa da Tommaso e da Dante, non ammette che l’intelletto possa scegliere deliberatamente il male; esso lo sceglie appunto «per er- rore», in quanto offuscato, credendolo cioè un bene. La figura ini- ziale dell’uomo smarrito nella selva viene qui a completarsi, chiu- dendo il cerchio dell’immagine. Alla selva oscura corrisponde il sonno che ottenebra la mente. Nella terzina seguente interviene il cambiamento. 12. la verace via:corrisponde alla diritta via del v. 3. Egli ha ab- bandonato dunque la via diritta nel momento in cui è entrato nella selva. Cfr. Purg.XXX 130: e volse i passi suoi per via non vera; in quel canto si narrerà in modo preciso ed esteso quello che qui è appena accennato (qui infatti l’esperienza può essere quella di ogni uomo, là si tratterà della persona storica di Dante, di cui è so- lo allora fatto il nome). Vedi anche il già citato capitolo del Convi- vio (IV, XII18): «ne la vita umana sono diversi cammini, de li quali uno è veracissimo e un altro è fallacissimo». 13. Ma:la congiunzione avversativa introduce il tema, contrap- posto alla selva e all’oscurità, del colle e del sole; entra così nella triste condizione umana finora descritta la possibilità della speran- za. – al piè d’un colle: il colle rischiarato dal sole rappresenta la via della virtù, una via in salita, illuminata dalla luce di Dio, che si con- trappone alla valle (o selva) oscura del peccato. In realtà la selva, il colle, il sole prefigurano già qui all’inizio, in un solo paesaggio, i tre regni che Dante visiterà nel suo viaggio. Il colle quindi, che prean- nuncia il monte del purgatorio, vuole figurare la via della felicità naturale dell’uomo (cfr. vv. 77-8), che si raggiunge con le virtù mo- rali ed intellettuali, secondo la dottrina esposta nella Monarchia (III, XV7-8). Tuttavia questo senso allegorico, che sarà precisato al- la fine del Purgatorio,qui è ancora velato, mantenuto nella indeter- minatezza del colle soleggiato, che tutti intendono rappresentare la via del bene, tanto più che tale immagine è diffusa in questo signifi- cato attraverso tutta la Scrittura: «Quis ascendet in montem Domi- ni? aut quis stabit in loco sancto eius?» (Ps. 23, 3). Letteratura italiana Einaudi 6

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Letteratura italiana Einaudi. CANTO I. [Incomincia la Comedia di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e punimenti de' vizi e de'
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