Ogni qualvolta ci chiediamo cosa mangiare, in che modo amare, o semplicemente come fare a essere felici, ci stiamo in realtà domandando come condurre nel migliore dei modi la nostra vita. Ma dove possiamo trovare, nel mondo di oggi, risposte valide? Il filosofo Massimo Pigliucci propone di non cercarle in lontane tradizioni spirituali orientali, ma di trarre ispirazione dall’antica e più prossima filosofia che guidava Seneca e il grande imperatore Marco Aurelio: lo stoicismo. Risalendo alle sue fonti potremo finalmente rispondere agli interrogativi che assillano quotidianamente noi donne e uomini moderni, da come far fronte alla rabbia o all’ansia al modo in cui risollevarsi dopo una dolorosa esperienza personale. Con questo libro impareremo ad agire sulla base di ciò che è realmente sotto il nostro controllo, e a separare da tutto il resto ciò per cui vale davvero la pena preoccuparsi, così da avere sempre, come auspica una saggia preghiera stoica, «la serenità di accettare le cose che non possiamo cambiare, il coraggio di intervenire su quelle che possiamo cambiare, e la saggezza di distinguere le une dalle altre». Massimo Pigliucci (1964) insegna filosofia presso la City University of New York, e cura due blog di successo: Plato’s Footnote e How To Be a Stoic. SAGGI www.garzanti.it facebook.com/Garzanti @garzantilibri In copertina: progetto grafico di Mauro de Toffol / theWorldofDOT Traduzione dall’inglese di Paolo Lucca Titolo originale dell’opera: How to be a Stoic © 2017, by Massimo Pigliucci ISBN 978-88-11-14716-9 © 2017, Garzanti S.r.l., Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol Prima edizione digitale: aprile 2017 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. COME ESSERE STOICI A Caley Luna, che ha cominciato da poco il suo viaggio nella filosofia: possa questa migliorarle la vita come ha fatto con la mia. A Corinna, che mi ha incoraggiato a migliorare me stesso tramite lo stoicismo. 1. UNA VIA TORTUOSA «Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.» Dante, Inferno I, 1-3 In tutte le culture che conosciamo, siano esse secolari o religiose, ispirate o meno ai medesimi principi morali, una tra le questioni fondamentali è come l’uomo debba vivere: in che modo dovremmo affrontare le difficoltà e le avversità della vita? Quale condotta dovremmo tenere in questo mondo e come dovremmo comportarci con gli altri? E, la domanda più importante: come prepararci al meglio per la prova ultima cui sarà sottoposto il nostro carattere, vale a dire la morte? Nel corso della propria storia l’umanità ha cercato di risolvere questi interrogativi elaborando svariati sistemi religiosi e filosofici e formulando risposte molto diverse tra loro, da quelle di natura più mistica ad altre improntate invece a un assoluto razionalismo. In tempi recenti anche la comunità scientifica ha cominciato a occuparsi di questi argomenti, producendo un’enorme quantità di articoli specialistici e testi divulgativi sulla felicità e sui modi per conseguirla, tutti immancabilmente corredati da immagini di risonanze magnetiche che mostrano come il nostro cervello reagisce a qualsiasi cosa possa farci sentire più o meno soddisfatti della nostra vita. Gli strumenti cui l’uomo ha fatto ricorso per rispondere a queste domande esistenziali variano pertanto a seconda del metodo d’indagine prescelto: dai testi sacri alla meditazione trascendentale, dalle argomentazioni filosofiche agli esperimenti scientifici. Il panorama risultante è davvero immenso e rispecchia sia la creatività dello spirito umano sia l’impellente necessità che evidentemente ci spinge a ricercare un senso e uno scopo nella vita. Tra queste svariate dottrine potremmo per esempio prediligere una qualsiasi tra le numerose opzioni offerte dalle tre grandi religioni monoteiste, oppure, tra le molte altre scelte possibili, deciderci per una tra le molteplici scuole buddhiste, per il taoismo o per il confucianesimo. Se invece dovessimo preferire la filosofia alla religione, la nostra scelta potrebbe cadere sull’esistenzialismo, l’umanesimo laico, il buddhismo secolare, il movimento etico eccetera. O magari potremmo giungere alla conclusione che non esiste un significato ultimo e che non abbia senso cercarlo, adottando quello che si potrebbe definire una sorta di nichilismo «felice» (proprio così, esiste davvero qualcosa del genere). Per quanto mi riguarda, sono diventato uno stoico. Con questo non voglio dire che ho cominciato a mantenere un contegno impassibile e a reprimere tutte le mie emozioni. Nonostante ami molto il personaggio del signor Spock (per il quale sembra che il creatore di Star Trek Gene Roddenberry si sia effettivamente ispirato a quanto conosceva – una conoscenza direi piuttosto superficiale – della dottrina stoica), uno degli equivoci più diffusi è infatti quello di ritenere che, per essere stoici, occorra assumere esattamente un atteggiamento di questo tipo. In realtà, lo scopo dello stoicismo non è reprimere o celare le emozioni ma riconoscerne l’esistenza, riflettendo su ciò che le ha provocate, e canalizzarle, usandole a proprio vantaggio; lo stoicismo ci insegna inoltre a ricordare sempre che esistono cose che dipendono da noi e altre che invece non sono in nostro potere, e a convogliare i nostri sforzi sulle prime senza sprecare tempo con le seconde. Essere stoici significa perseguire l’eccellenza e adottare un comportamento virtuoso, trascorrendo il nostro tempo su questo mondo cercando di esprimerci al meglio delle nostre capacità senza mai perdere di vista la dimensione morale delle nostre azioni. Come spiegherò nel corso di questo libro, ciò è possibile integrando una riflessione di tipo teorico con la lettura di testi in grado di orientarci, esercitandoci nella meditazione e nel raggiungimento della consapevolezza, e con altre pratiche di natura spirituale. Un principio capitale dello stoicismo è che dovremmo riconoscere che esistono cose che dipendono da noi e cose che invece non possiamo controllare, e comportarci di conseguenza. Una simile distinzione (presente anche in alcune dottrine buddhiste) è stata molte volte interpretata come una tendenza degli stoici a evitare ogni tipo di rapporto sociale e a disinteressarsi della vita pubblica. Uno sguardo più attento alle opere e soprattutto alle biografie dei più illustri esponenti di tale scuola basterà comunque a fugare questa impressione: lo stoicismo era in tutto e per tutto una filosofia fondata sui rapporti sociali ed esortava all’amore per tutta l’umanità e per la Natura in sé. È proprio questa tensione soltanto apparentemente contraddittoria tra l’invito a concentrarsi sui propri pensieri e la dimensione sociale dello stoicismo che mi ha fatto avvicinare a esso come pratica di vita. Ho scelto lo stoicismo non in seguito a una folgorazione improvvisa ma per una combinazione di fattori culturali, circostanze private e una deliberata scelta filosofica. Ripensandoci, era probabilmente inevitabile che prima o poi il mio
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