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Come alla volontà piace. Scritti sulla rivoluzione russa PDF

124 Pages·2017·0.74 MB·Italian
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Ladri di Biblioteche Questo ebook è stato condiviso per celebrare il Centenario della Rivoluzione russa 1917-2017 Le Boe Prima edizione digitale 2017 © 2017 Lit Edizioni Srl Tutti i diritti riservati Castelvecchi è un marchio di Lit Edizioni Srl Sede operativa: Via Isonzo 34, 00198 Roma Tel. 06.8412007 – fax 06.85358676 [email protected] www.castelvecchieditore.com Antonio Gramsci COME ALLA VOLONTÀ PIACE Scritti sulla Rivoluzione russa A cura di Guido Liguori Introduzione Gramsci e le due rivoluzioni russe del 1917 1. Quando arrivarono in Italia gli echi della prima Rivoluzione russa del 1917, quella che ebbe luogo tra il 23 e il 27 febbraio, secondo il calendario allora vigente in quel Paese (tra l’8 e il 12 marzo, per il calendario in vigore in Occidente), Antonio Gramsci aveva 26 anni, viveva a Torino e lavorava dal dicembre 1915 per la stampa socialista di quella città, ovvero per l’edizione torinese dell’«Avanti!» e per il settimanale dei socialisti torinesi «Il Grido del Popolo». La terribile “guerra di trincea” in cui era impelagata l’Europa dall’estate del 1914 e l’Italia dal maggio dell’anno successivo aveva già provocato centinaia di migliaia di morti e costretto a difficili condizioni di vita le popolazioni civili di molte nazioni belligeranti. Proprio nel corso del 1917 il rifiuto della guerra avrebbe scosso con forza diversi Paesi, provocando diserzioni, sommosse, rivolte1. Dal 22 al 27 agosto di quell’anno proprio a Torino sarebbe scoppiata una grande “rivolta del pane”, un vasto moto popolare spontaneo, il maggiore che si ebbe in Europa (eccezion fatta per gli avvenimenti di Russia), in seguito al quale una nuova ondata repressiva si sarebbe abbattuta sui socialisti torinesi. La guerra prima, con numerosi dirigenti e militanti chiamati sotto le armi, e gli arresti seguiti alla “rivolta del pane” poi, favorirono l’emergere di Gramsci come dirigente politico e come giornalista, facendolo tra l’altro assurgere al ruolo di direttore del settimanale del partito. Già nei mesi e negli anni precedenti, tuttavia, egli si era distinto per lo sguardo acuto e spesso anticonvenzionale con cui seguiva e commentava quotidianamente gli avvenimenti sociali, politici e culturali torinesi, italiani e anche internazionali. Nella sua attività di giornalista militante Gramsci metteva al lavoro un armamentario teorico e culturale anomalo per il socialismo del tempo. Sarà proprio tale bagaglio che gli permetterà di sintonizzarsi immediatamente coi fatti di Russia del 1917, di comprenderne – sia pure non senza ingenuità e successive correzioni – la grande portata. Conviene dunque fare un passo indietro per capire come il giovane Gramsci fosse giunto a questo appuntamento con la storia, che sarà decisivo anche per i suoi destini di essere umano e di militante schierato dalla parte di quelle “classi subalterne” in cerca di riscatto, classi che dal 1917 e per lungo tempo avrebbero cercato proprio di “fare come in Russia”. 2. Nato ad Ales, in Sardegna, il 22 gennaio 1891, Antonio Gramsci aveva trascorso una infanzia non facile, sia perché colpito in tenera età dal morbo di Pott (una forma di tubercolosi ossea), sia per l’arresto e la condanna per irregolarità amministrative del padre, impiegato dell’ufficio delle imposte di Sorgono, nel 1894-1895, evento che gettò la famiglia (numerosa) in una situazione di gravissime difficoltà economiche. Costretto anche a sospendere lo studio dopo le scuole elementari e a lavorare per due anni presso l’ufficio del catasto del paese della madre, Ghilarza, dove la famiglia si era ritirata per cercare di sopravvivere, il piccolo Antonio riuscì a riprendere la scuola, mostrando grandi doti di intelligenza e volontà. Dopo il liceo, frequentato dal 1908 a Cagliari, grazie anche al fratello Gennaro, che era contabile presso la locale Camera del lavoro, nel 1911 Nino (come era chiamato da ragazzo) si era trasferito a Torino per frequentare la Facoltà di Lettere e Filosofia, indirizzo di filologia moderna, grazie al conseguimento di una borsa di studio che tuttavia non fu sufficiente a evitargli ancora gli stenti e le sofferenze che caratterizzavano la vita di uno studente povero, meridionale e proveniente dalla provincia, in una grande città settentrionale e industriale come Torino. In Sardegna Gramsci aveva iniziato a leggere libri e riviste di quella cultura d’opposizione (al positivismo, e sul piano politico a Giolitti e al giolittismo) che fu il terreno proprio della sua formazione: il meridionalismo di Salvemini e le “riviste fiorentine” come «Il Leonardo» e «La Voce» di Papini e Prezzolini, che agitavano motivi filosofici – dal neoidealismo al pragmatismo, al bergsonismo – convergenti nella rivalutazione del “soggetto” contro l’“oggettivismo” di matrice positivistica, che aveva influenzato in modo determinante anche le principali correnti del socialismo del tempo. All’Università di Torino Gramsci aveva subìto l’influenza di Matteo Bartoli, docente di glottologia, che voleva avviarlo agli studi di linguistica e alla carriera universitaria, e dal quale deriverà sia una impostazione di tipo storicistico, sia la convinzione della importanza del «prestigio» culturale. Accanto agli studi di linguistica, era stato rilevante l’approfondimento del pragmatismo italiano di Vailati e di quello statunitense di William James; la lezione di Georges Sorel, che ispirandosi anche a Henri Bergson aveva criticato il movimento socialista ufficiale da posizioni di attivismo rivoluzionario; l’incontro con la lezione di Francesco De Sanctis e col neoidealismo di Benedetto Croce, che stava determinando in Italia una nuova egemonia culturale antipositivistica; la filosofia della praxis su cui avevano richiamato l’attenzione il primo marxista italiano, Antonio Labriola, e il filosofo neohegeliano Giovanni Gentile, studioso di Marx che aveva sottolineato l’importanza delle marxiane Tesi su Feuerbach, che saranno uno dei testi di riferimento fondamentali per il Gramsci maturo, poiché in esse Marx aveva insistito su una visione dialettica della realtà, non sbilanciata né dal lato del soggetto e dell’idealismo né da quello del mondo oggettivo e del materialismo2. Da tutte queste componenti della sua prima formazione il giovane Gramsci aveva tratto soprattutto un aspetto fondamentale: il ruolo della volontà, dell’azione soggettiva, della prassi ai fini della trasformazione della realtà. Il socialismo prevalente, economicistica e determinista, evoluzionista e riformista, proprio di Turati, di Treves, di Bissolati, era incline a ridimensionare la funzione del soggetto (collettivo) per esaltare le leggi oggettive (o presunte tali) della società e della storia, con annesso il mito dell’inevitabile progresso e del trionfo inesorabile del socialismo. Esso sembrava escludere ogni ribellismo, ogni volontarismo rivoluzionario, caratteri maturati in Gramsci nel clima delle ingiustizie patite in Sardegna e a contatto con la sua terra, povera e sfruttata al pari di una colonia, come più in generale l’Italia meridionale. Il marxismo di Gramsci era allora in molti tratti approssimativo, troppo influenzato dall’idealismo, troppo limitato nella conoscenza di Marx (che inizierà davvero proprio dopo e a motivo dell’Ottobre), ma era comunque vitale, innovativo, rivoluzionario, caratterizzato da una torsione volontaristica e soggettivistica, in opposizione sia alla cultura “ufficiale” del tempo, giolittiana e positivistica, sia al socialismo riformista, economicista e determinista, caratteristiche che il vecchio socialismo italiano condivideva con quasi tutta la cultura della Seconda Internazionale. Gramsci paventava nel riformismo socialista una deriva “fatalistica”, ovvero il pericolo che – una volta ritenuto inevitabile il socialismo, per le leggi certe della storia – ne sarebbe scaturita la conseguenza di un atteggiamento passivo, di azione politica di piccolo cabotaggio, in attesa che la nuova società scaturisse dalle contraddizioni oggettive del capitalismo, senza il faticoso e rischioso intervento della soggettività rivoluzionaria. La Torino del tempo non era solo una capitale culturale, era anche la più grande città industriale d’Italia. A Torino Gramsci divenne definitivamente socialista, incontrando la classe operaia di quella città – una delle classi operaie più numerose e forti dell’epoca, in una città industriale dove andavano già nascendo colossi come la Fiat – e il movimento socialista che da tale classe operaia traeva forza. Gramsci si iscrisse al Partito socialista italiano tra il 1913 e il 1914, il suo debutto politico avvenne con un articolo intitolato Neutralità attiva e operante, pubblicato su «Il Grido del Popolo» il 31 ottobre 19143. Lo scritto suscitò molte polemiche, poiché cercava di fornire una lettura “di sinistra” delle posizioni di Mussolini, che stava rapidamente convertendosi a favore dell’intervento nella Prima guerra mondiale. In realtà Gramsci vi avanzava una posizione non molto lontana da quella che – in modo certo molto più maturo e consapevole – aveva espresso Lenin: i socialisti dovevano trasformare la guerra in una occasione rivoluzionaria. Del resto, il partito di Lenin, il Partito operaio socialdemocratico russo (frazione bolscevica), e il Partito socialista italiano furono i due partiti principali tra quelli che, nell’ambito della Seconda Internazionale, si rifiutarono di appoggiare i rispettivi Stati nell’avventura bellica, anche se i socialisti italiani nella loro maggioranza furono più titubanti, divisi e pilateschi, attestandosi sul celebre “né aderire né sabotare” (secondo il motto coniato dal segretario del partito, Costantino Lazzari). Proprio questo atteggiamento nascondeva per il giovane Gramsci una pericolosa posizione di inerzia4 e denotava l’assoluta incapacità del Psi di volere e di preparare la rivoluzione. Isolato a causa della sua presa di posizione e per qualche tempo in disparte, Gramsci rientrò ben presto nella vita attiva del partito grazie alla guerra, che a esso sottraeva quadri e dirigenti. Gramsci giornalista militante si impose per la vastità dei campi di intervento e per l’originalità delle sue lenti analitiche. Negli scritti del 1915-1916 questo giovane venticinquenne mostrava una cultura del tutto diversa da quella della maggior parte dei suoi compagni: uno storicismo di stampo idealistico, una interpretazione della storia e della società in cui si faceva già strada l’importanza delle idee e delle sovrastrutture per il cambiamento politico e sociale, un soggettivismo antideterministico che faceva tutt’uno con la riaffermazione dell’importanza della volontà. Che significava anche voler prendere parte, rifuggire dalla passività, odiare gli indifferenti e l’indifferenza, secondo quanto recitava un celebre articolo pubblicato nel “numero unico” di «La città futura», che Gramsci da solo aveva redatto e scritto per i giovani socialisti e che uscì l’11 febbraio 1917. Tutto ciò che era volontà, attività del soggetto, iniziativa rivoluzionaria, era importante per il giovane Gramsci. Non sorprende che, con questa impostazione culturale e politica, egli vide nella Rivoluzione russa una conferma di enorme prestigio per le sue convinzioni.

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