Prima edizione 2014 Il contenuto della presente opera e la sua veste grafica sono rilasciati con una licenza Common Reader Attribuzione non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia. Il fruitore è libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, rappresentare, eseguire e recitare la presente opera alle seguenti condizioni: - dovrà attribuire sempre la paternità dell'opera all'autore - non potrà in alcun modo usare la riproduzione di quest'opera per fini commerciali - non può alterare o trasformare l'opera, né usarla per crearne un'altra Per maggiori informazioni: creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ stores.lulu.com/galarico 2 ENRICO GALAVOTTI CHE COS'È LA COSCIENZA? Pagine di diario La coscienza non impedisce di commettere un peccato, impedisce solo di goderne in pace. Theodore Dreiser Informazioni su Enrico Galavotti Nato a Milano nel 1954, laureatosi a Bologna in Filosofia nel 1977, docente di storia e filosofia a Cesena, Enrico Galavotti è webmaster del sito www.homolaicus.com il cui motto è Umanesimo Laico e Socialismo Democratico. Per contattarlo [email protected] Sue pubblicazioni: lulu.com/spotlight/galarico Premessa - Che senso ha riprodursi se dobbiamo morire? - Noi dobbiamo riprodurci proprio perché dobbiamo morire. - Ma perché a una domanda filosofica diamo sempre una risposta biologica? - Avresti preferito che ti dicessi che la domanda era stupida? - Avrei preferito che mi dicessi che il senso della vita non sta nella mia riproduzione, ma nel fatto che attraverso la mia riproduzione qualcun altro può iniziare a produrre. - Cioè vuoi dire che il senso della vita sta nella riproduzione della li- bertà di produrre? - Voglio dire che questa libertà, una volta data, deve poter essere esercitata, in un modo o nell'altro. - Forse volevi dire in un "mondo" o nell'altro, perché qui, come vedi, puoi fare ben poco... - Il problema in effetti è proprio questo, come conciliare la libertà di produrre coi limiti spazio-temporali che ci vengono assegnati. - Non solo, ma dobbiamo anche fare in modo che la difficoltà del compito non diventi un pretesto per non fare nulla. - La Terra è un banco di prova... - ... in cui le condizioni per esercitare la libertà sono A e B e domani saranno C e D. - In effetti anch'io penso che la libertà sia la stessa, cambiano solo le condizioni in cui la si esercita. 5 Che cos'è la coscienza? Il sé e la coscienza La vera conoscenza è la conoscenza di sé, cioè l'autoco- scienza, che però, per non essere arbitraria, meramente soggettiva, dev'essere anche conoscenza del sé, cioè della relazione uomo-natu- ra, intendendo per "essere umano" l'insieme delle relazioni sociali che lo caratterizzano. Il sé non è il noumeno di Kant, ma non è neppure un feno- meno interpretabile con le leggi della matematica. Il sé include la materia al pari della coscienza, che è la forma superiore in cui la ma- teria esprime e interpreta se stessa. Il sé non può essere colto, nella sua pienezza, dall'individuo singolo, e anche il collettivo autoconsapevole gli si avvicina solo per approssimazione. Tanto più l'approssimazione sarà grande, tanto più avvertiremo i confini del nostro pianeta come troppo stretti. Il concetto di infinito si estende dalla profondità e vastità della materia a quella della coscienza. Entrambe hanno le stesse leg- gi, ma la coscienza umana è l'autoconsapevolezza della materia. Questo è il motivo per cui non è sufficiente conoscere le leg- gi della natura con l'intelletto. Il senso di umanità della coscienza in- clude leggi che sfuggono all'analisi razionale. Le leggi della libertà sono leggi che anzitutto si sentono. C'è un sentire nell'universo che è come una pulsazione. Tra il cuore e le stelle l'analogia è enorme. L'automovimento è la pulsa- zione dell'universo, una forma di energia autosussistente. Il cuore che pulsa nell'universo è l'espressione della sua co- scienza, l'autocoscienza del sé. "Bruciare di passione", in un alter- narsi continuo di forza e di debolezza, indica esattamente il tipo di pulsione che pervade l'universo, in cui ogni elemento è connesso al- l'altro, in una concatenazione reticolare praticamente infinita. Esiste una gerarchia di forze attrattive e repulsive, di cui quella inerente alla coscienza è superiore a tutte. Il meccanismo del- la polarizzazione degli opposti, che si attraggono e si respingono, è garanzia non solo di unità ma anche di diversità nell'intero universo. 6 Bisogna ricondurre tutto all'uno (nel senso di "unità" non di "unico"), salvaguardando la molteplicità infinita, la cui origine non sta nell'uno ma nella realtà duale: l'unità minima dell'uno è il due, lo sdoppiamento. In principio non vi è l'uno ma la duplicità che tende all'unità, per poi ridiventare diversità, alterità, in un gioco infinito di tesi-antitesi-sintesi (già scoperto da Hegel). L'uno si sdoppia perché è duplice in sé. Quel che non riesce a riprodursi è perché ha cessato di vive- re. Se l'uno vuol conservare se stesso, ostacolando la riproduzione in generale, ovvero la negazione di sé a favore di una nuova sintesi, la conservazione porta inevitabilmente all'autodistruzione. Chi non ac- cetta di lasciarsi coinvolgere nella dinamica della negazione di sé, vissuta secondo natura, esce in un certo senso dalla storia, perde la propria identità - e questo proprio nel momento in cui è più preoccu- pato a difenderla! Per poter rinascere dobbiamo negarci. In astratto è giusta quell'espressione evangelica che dice: "Chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi la perderà per una causa comune [l'umaniz- zazione dei rapporti sociali] la ritroverà". La storia è fatta per i co- raggiosi, per chi non ha paura di ritrovarsi dopo aver sacrificato la propria vita. L'unica cosa di cui bisogna assicurarsi è che la negazione di sé non sia una forma mascherata di suicidio. È sottilissimo il filo che separa le due cose, proprio perché sappiamo di poter utilizzare la ne- gazione come forma illusoria di positività. Bisogna demistificare l'uso ideologico del martirio, dell'au- toimmolazione come forma di contestazione degli antagonismi so- ciali. L'autoconsapevolezza della materia Se la materia esiste da sempre e mai finirà, avendo le stesse caratteristiche che i credenti attribuiscono alla divinità, perché si par- la di "coscienza" come di un suo prodotto naturale? Perché non dire che la coscienza è "altro" rispetto alla materia? Ovvero, perché solo nell'essere umano s'è formata l'autoconsapevolezza della materia? Per quale motivo la materia ha bisogno di darsi una consapevolezza di sé? 7 Anche per gli animali la materia è qualcosa di assolutamente oggettivo, del tutto esterna a loro, eppure non si pongono il proble- ma di indagarla nella sua essenza, né, tanto meno, di modificarla ra- dicalmente pensando di ottenere maggiori benefici. Noi diciamo che il movimento è connaturato da sempre alla materia, ma per quale motivo questo automovimento ha prodotto un essere umano così libero da poter fare della materia uno strumento al suo completo servizio, al punto da renderla quasi irriconoscibile? Dunque la materia è sì eterna, ma, nel suo movimento, tende ad essere cosciente di sé. Quindi non si tratta di materia cieca o iner- te, dominata dal caso, ma è vivente. E quanto di essa possiamo costa- tare sul nostro pianeta non coincide esattamente con tutta la materia dell'universo, proprio perché buona parte della sua essenza sfugge alla nostra comprensione, e probabilmente questa lacuna è dovuta al fatto ch'essa ci ha generati. In altre parole, sarebbe come se noi, usciti dal ventre mater- no, che è in fondo un simbolo della materia vivente, volessimo rien- trarvi per capire esattamente come abbiamo vissuto il tempo della nostra gestazione. L'unica cosa che possiamo intuire è che la materia è vivente, in quanto in grado di produrre vita, all'interno della quale si sviluppa, in particolare, quella umana, capace di compiere un'im- portante azione retroattiva sulla stessa materia, anche al fine di cer- care di comprenderla in tutte le sue caratteristiche, salvo quelle che inevitabilmente ci sfuggono, essendo per loro natura infinite e fonte della nostra stessa infinità. Oltre un certo limite di conoscenza non possiamo andare, proprio perché il limite coincide col mistero, di cui noi stessi siamo fatti. La dimostrazione di ciò è data appunto dal fatto che le profon- dità della coscienza sono equivalenti a quelle della natura della ma- teria. Siamo quel che siamo La natura esiste al di fuori dell'umana coscienza e indipen- dentemente da essa. Ma solo il fatto che noi lo si sappia, ci rende di- versi dagli animali, che si limitano a considerarsi parte di un tutto. Cioè l'animale non si pone neppure il problema di una differenza tra interno ed esterno. Tutto è natura, ivi inclusi gli stessi animali. 8 Noi invece abbiamo la percezione di non essere esattamente "naturali" come loro. C'è qualcosa in noi che va al di là della natura e che ci rende diversi da qualunque ente naturale. Da dove ci viene questa sensazione o percezione o convinzione? Ce l'aveva forse an- che l'uomo primitivo, che sicuramente era molto più a contatto di noi con la natura? O dipende dal fatto che viviamo in società basate sui conflitti sociali, per cui tutto ci appare diviso? Se l'uomo primitivo si sentiva in armonia con la natura e vi- cino al mondo animale, perché ha voluto agire in maniera arbitraria? Da dove gli veniva la convinzione che avrebbe potuto farlo? Da dove gli veniva l'illusione di credere che il suo arbitrio non avrebbe avuto gravi conseguenze su di sé e sui propri rapporti con la natura? C'è qualcosa di poco spiegabile nell'essere umano. Infatti, se fosse un prodotto della natura al 100%, non avrebbe mai potuto op- porre alcuna vera forma di arbitrio: non è avrebbe avuto la facoltà, esattamente come gli animali. Ma se possiede questa facoltà, come si può sostenere che la materia esiste indipendentemente dalla coscien- za che possiamo averne? Per quale motivo la natura avrebbe creato un essere in grado di dominarla, anzi, di soggiogarla? L'antecedenza cronologica sembra non stia affatto a signifi- care una precedenza ontologica. Noi non siamo figli della natura al 100%: al massimo lo siamo al 50. Il resto non proviene dalla natura, ma da qualcosa di esterno ad essa, qualcosa che però ha bisogno della stessa natura per sussistere. Cioè all'origine di tutto deve esser- ci qualcosa di duale, che è un insieme di naturale e sovrannaturale o extranaturale. Noi siamo figli della natura e di un elemento umano, che coesiste da sempre con la natura, avendo le sue stesse caratteri- stiche di illimitatezza nel tempo e di infinità nello spazio. Vi è, sin dall'inizio, una coesistenza tra essenza umana ed essenza naturale, che è pacifica (non autodistruttiva), dialettica (do- tata di attrazione e repulsione), produttiva (nel senso della creatività artistica) e riproduttiva (nel senso della sessualità), sensibile e razio- nale nello stesso tempo, cioè connessa ad aspetti emotivi e intellet- tuali. Tuttavia, la percezione che abbiamo d'essere di molto supe- riori alla natura, in forza della nostra scienza e tecnica, è del tutto sbagliata, in quanto ci fa diventare "innaturali" e persino "disumani". Dunque, che senso ha che noi si abbia la percezione d'essere superio- 9