C Cabanel, Alexandre (Montpellier 1823 - Parigi 1889). Ottenne il prix de Rome nel 1845; entrò nell’Institut de France nel 1863. Eseguí ri- tratti di bellissima qualità (Alfred Bruyas, 1840: conservato a Montpellier; Catharine Lorillard Wolfe, 1876: New York, mma ) e tele mitologiche abilmente impostate, in cui privi- legia la raffigurazione di nudi femminili in stile pompier(Na- scita di Venere, 1863: Parigi, Louvre). I suoi celebri quadri di storia (il Riposo di Ruth, 1866: già coll. dell’imperatrice Eugenia; Morte di Francesca da Rimini e di Paolo Malatesta, 1870: Amiens, Museo di Piccardia), dalla composizione stu- diata, dalla fattura esatta, ricchi di accurati dettagli icono- grafici, sono talvolta declamatori e popolati di eroine da tea- tro (Fedra, 1880: conservato a Montpellier). Realizzò a Pa- rigi numerose decorazioni murali per palazzi privati (hôtel Pereire, 1858-64; hôtel de Say, 1861) e, per il Panthéon, Vi- ta di san Luigi (1878). Ricevette numerosi incarichi da Na- poleone III e da sovrani stranieri (il Paradiso perduto, 1867 (dipinto per il re di Baviera): Monaco, Maximilianum) e svol- se un ruolo notevole nella direzione del salon ufficiale sotto il secondo impero, opponendosi fortemente agli impressio- nisti. (tb). Cabaret Voltaire L’antica birreria Meiereie, posta al n. 1 della Spiegelgasse a Zurigo, fu la culla del movimento Dada. Qui infatti Hugo Ball e la sua amica Emmy Hemmings aprirono un «cabaret artistico», che era insieme club, galleria e teatro, e che fu inaugurato il 5 febbraio 1916 con il concorso di Jean Arp, Marcel Janco e T. Tzara. Vi si tennero concerti «brutisti», «poesie simultanee», mostre cui presero parte, in particola- Storia dell’arte Einaudi re, Arp, Janco, Macke, Marinetti, Modigliani, Picasso, Slodki. Ball pubblicò nel maggio 1916 un opuscolo intitola- to Cabaret Voltaire, cui contribuirono, oltre al gruppo, Apol- linaire, Cendrars, Kandinsky e Picasso. Nel marzo 1917 al C V succedette una «galerie dada». (pge). Cabel, Adriaen van der (Rijswijk (L’Aja) 1631 - Lione 1705). Si formò presso Jan van Goyen. Nel 1654 è segnalato all’Aja; nel 1660-65 ca. soggiornò a Roma, ove la Bentvogel, associazione dei pitto- ri olandesi, gli assegnò il soprannome di Corindone. Si sta- bilí poi a Lione, dove rimase fino alla morte. Dipinse pae- saggi, vedute marine e alcuni ritratti. Le prime opere ram- mentano il suo maestro Jan van Goyen (Paesaggio, 1652: Mo- ap naco, ). Piú tardi conferí un andamento piú barocco ai suoi paesaggi, che da allora rammentano l’opera di Gaspard Du- ghet e quella di Salvator Rosa, pur preservando elementi mba olandesi. È rappresentato a Lione ( ). (abl). Cabezalaro, Juan Martín (Almaden (Nuova Castiglia) 1630 - Madrid 1670). Morí mentre la sua fama stava affermandosi. È tra i migliori pit- xvii tori madrileni della seconda metà del sec.; fu uno dei piú notevoli allievi di Carreño de Miranda e altrettanto ap- prezzato come affrescatore che come pittore da cavalletto. Dipinse soprattutto per le chiese di Madrid. Gran parte del- le sue opere è scomparsa; altre attribuzioni sono incerte. Il San Girolamo dell’ex coll. Cook di Richmond (1666) e le quattro grandi Scene della Passione nella cappella del terzo ordine francescano a Madrid (1667-68) manifestano, oltre al consueto influsso di Rubens e Van Dyck, uno stile solido e un vigore espressivo quasi brutale. (pg). Cabirio Santuario presso Tebe in Beozia, che ha dato nome ad un gruppo di vasi beoti d’epoca classica. (cr). Cabrera, Jaime xv (attivo all’inizio del sec.). Si formò nella bottega di Jai- me Serra, di cui proseguí la tradizione italianeggiante. Au- tore del Polittico di san Nicolas (1406: Manresa, Collegiata), avrebbe pure eseguito i pannelli laterali di un polittico del- Storia dell’arte Einaudi la chiesa di San Martín de Sarroca, il cui centro è ornato da una statua della Vergine col Bambino. (mbe). Cabrera, Miguel (Tialixac 1695 -Città di Messico 1768). Originario dello sta- to di Oaxaca, nel Sud del paese, compare a Città di Messi- co nel 1719 e svolge presto un ruolo di primo piano nella scuola pittorica nazionale. Discepolo e amico del più anzia- no José de Ibarra (che fu chiamato «il Murillo messicano»), dopo di lui divenne il pittore in voga presso gli ordini reli- giosi, con l’aiuto di una bottega assai bene organizzata: ven- nero cosí eseguiti, nel 1756-57, cicli di oltre cinquanta qua- dri, dedicati alle vite di san Domenico e di sant’Ignazio. Dànno un’idea abbastanza esatta di quest’arte del «far pre- sto», brillante e superficiale, dai colori chiari e dalla disin- voltura un po’ fiacca, le grandi pitture consacrate alla Ver- gine regina, dipinte per i francescani e passate poi alla catte- drale di Città di Messico, la serie della Via Crucis nella cat- tedrale di Puebla, i quadri conservati nella Pin. Virreinal di Città di Messico (Sant’Anselmo e san Bernardo, e soprattut- to la grande composizione sulla Vergine dell’Apocalisse). La parte piú interessante della sua opera è costituita però dal ritratto. Ritrattista di fama sia fra l’aristocrazia sia fra i re- ligiosi, C abbandona lo stile rigido e ieratico, indifferente allo spazio, in voga fino ad allora (e che ancora si riscontra nel suo ritratto del Viceré di Güemes). Abile nel modellare le carni e nell’illuminare volti e mani, riesce anche a carat- terizzare la personalità dei suoi modelli. La sua opera piú ce- lebre è il ritratto di Sor Juana Inés de la Cruz(dipinto nel 1750 molto tempo dopo la morte della santa, che era poetessa e mistica, e scriveva nella sua cella colma di libri), opera che prosegue, raddolcendolo, lo stile dei grandi ritratti mona- stici, meditativi e tranquilli, del secolo d’oro spagnolo. Ma C ha pure lasciato ritratti piú semplici, di stile piú familia- re, come il suo eccellente Autoritratto(Città di Messico, Pin. Virreinal). Pittore di camera dell’arcivescovo, fondatore (1753) e presidente perpetuo dell’Accademia di pittura, C godette fino alla morte di una fama senza eclissi. Ebbe nu- merosi allievi: Juan Patricio Morlete e José de Alzibar furo- no anch’essi ritrattisti di valore. (pg). Storia dell’arte Einaudi Cacault, François (Nantes 1743 - La Madeleine (Clisson, Loire-Atlantique) 1805). Svolse carriera diplomatica in Italia. Esordí a Napo- li nel 1785 e dal 1793 fu incaricato di delicate missioni, in particolare in occasione della firma del trattato di Tolenti- no nel 1797. Ambasciatore di Francia a Roma dal 1800 al 1803, approfittò del suo soggiorno in Italia per raccogliere una collezione di 1200 dipinti e 10000 stampe, che inten- deva donare alla cittadina di Clisson, ove si era ritirato nel 1804 dopo essere stato nominato senatore del dipartimento della Loira inferiore. Non ebbe però il tempo di realizzare il museo che progettava; e il fratello Pierre (1744-1810), di- sperando di riuscirvi, vendette la collezione alla città di Nan- tes nel 1808; essa costituisce ora il fondo principale del mu- seo. Molto numerosi i dipinti italiani, compresi i primitivi, il che denota una curiosità allora rara (Maestro del Bigallo, xvi Daddi, Bergognone, Tura, il Perugino), con opere del sec. (Tintoretto, Genga) e soprattutto un bel complesso del xvii sec. italiano comprendente napoletani (Recco, Preti) e genovesi (Castiglione, Strozzi). Vi si trovano pure opere olandesi (Flinck) e fiamminghe, e importanti dipinti fran- xviii cesi, fra cui tre capolavori di Georges de La Tour. Il sec. – altra prova dell’indipendenza di gusto dei fratelli Ca- cault – è ben rappresentato con opere di Watteau, Lancret, Tournières. (gb). → Caccia, Guglielmo Moncalvo cadavre exquis Espressione francese (cadavere squisito), cosí definita nel Dictionnaire abrégé du Surréalisme: «Gioco con carta piega- ta, consistente nel far comporre una frase o un disegno da parte di piú persone senza che nessuna possa tener conto del- la collaborazione o collaborazioni precedenti». L’esempio, divenuto classico, che ha dato nome al ceconsiste nella pri- ma frase ottenuta mediante questa tecnica: «Le cadavre ex- quis boira le vin nouveau» (Il cadavere squisito berrà il vi- no novello). Il procedimento rientra nel gusto della casua- lità e del bizzarro caro ai surrealisti, ed è nel contempo gio- co di società e atto di magia. Inventato nel 1925 in rue du Château, in casa di Marcel Duhamel, ebbe grande succes- Storia dell’arte Einaudi so. Le riviste surrealiste ne pubblicarono esempi dal 1927 (Ernst, Masson, Max Morise; A. Breton, J. Hérold, Tan- guy, Brauner). Il gruppo surrealista portoghese (Azevedo, Dominguez, Moniz-Pereira, Antonio Pedro e Vespeira) ha eseguito nel 1948 un ceinteramente dipinto. (sr). Cades, Giuseppe (Roma 1750-99). Nato a Roma da padre francese (Jean Ca- des, naturalizzato Cadeotti, sarto e pittore amatore, giunto nella capitale nel 1731 dal villaggio di Saint-Orens in Lin- guadoca) e da madre romana, C fu un artista precoce, le cui prime opere datate (esclusivamente disegni) risalgono al 1762. Nel 1766, a seguito di un litigio con il maestro, Do- menico Corvi, che non apprezzava l’eccessiva indipendenza dell’allievo, lascia la scuola di quest’ultimo e interrompe la formazione accademica, aprendosi agli influssi meno tradi- zionali e decisamente innovatori degli stranieri presenti in quegli anni nella capitale: in particolare della cerchia dei nor- dici, riuniti intorno a Füssli e a Sergel, e di alcuni francesi, dipendenti o meno dall’ambiente accademico di palazzo Mancini. All’inizio degli anni ’70 risale la prima commis- sione pubblica a C: il Martirio di san Benigno (retribuito nel 1774) per l’abbazia di San Benigno di Fruttuaria (San Be- nigno Canavese). Ma la produzione giovanile è costituita es- senzialmente da disegni, generalmente modelli compiuti e rifiniti, probabilmente destinati alla vendita (Achille, Patro- clo e Ulisse, 1774: Parigi, Louvre (l’unico eseguito in un di- pinto attualmente noto, anch’esso al Louvre); Achille e Bri- seide, 1776: versioni di Montpellier e di Londra; Marte e Ve- nere: Firenze, Museo Horne; Atena incoraggia Diomede feri- to: Parigi, coll. priv.). Essi rivelano lo sguardo nuovo che C rivolgeva all’antichità, ora considerandola con giocosa iro- nia ora rileggendola in chiave drammatica e patetica. Lo sti- le personale e originalissimo adottato in queste opere appa- re in netta rottura con le correnti tardo marattesche, classi- ciste o rococò, che convivevano senza difficoltà nell’ecletti- ca scuola romana contemporanea. La forma espressiva e neo- manierista, la presenza vivace dei personaggi, sbalzati in pri- mo piano come figure di bassorilievi, costituiscono un equi- valente, nel grand genre storico, dei modi sviluppati dal Gia- ni in ambito decorativo. La pala con l’Estasi di san Giuseppe da Copertino per la basilica dei Santi Apostoli (1777) segna Storia dell’arte Einaudi una svolta in senso neoveneto dei modi di C, influenzata for- se dall’esperienza romana di Ricci e Trevisani, ma dovuta soprattutto ai contatti del pittore con l’ambiente dei vene- ziani di Roma, gravitante intorno all’ambasciata di palazzo Venezia e ai nipoti di Clemente XIII (nella dimora di uno di questi, Abbondio Rezzonico, senatore di Roma, C dipin- se a tempera le decorazioni della nuova sala di musica, co- nobbe Canova e forse Piranesi, di cui eseguí il ritratto, in- ciso dal figlio Francesco). Nel decennio ’80-90, C partecipa, in quanto pittore di figura, a molti rifacimenti neoclassici d’interni romani: in palazzo Ruspoli (1782), palazzo Chigi (1784), palazzo Altieri (1787 e 1791) ed esegue i suoi due massimi interventi al casino Borghese di Porta Pinciana (Ri- conoscimento di Gualtieri d’Anversa, 1787) e in palazzo Chi- gi ad Ariccia (due stanze dipinte a tempera con storie dall’Ariosto, 1788-90). Il tema letterario (ispirato a una fon- te classica in lingua italiana) e l’evocazione storica, espressa con un sorridente e fantasioso gusto troubadour, anticipano, in entrambe le opere, un preciso filone della pittura roman- tica. Cesegue contemporaneamente acqueforti originali (Ro- ma, Calcografia nazionale) e si afferma con dipinti religiosi di ampio respiro (San Pietro appare a santa Lucia e a sant’Aga- ta, 1781: Ascoli Piceno; Nascita della Vergine, 1785: Geno- va; Adorazione dei pastori, 1788: modello a Bergamo), ca- ratterizzati da un relativo classicismo, da un’esecuzione mor- bida e sciolta e dalla ricchezza dei valori cromatici, sempre piú chiari e vibranti. Lo stile grafico si alleggerisce e diven- ta fiorito, guizzante, accurato nei contorni e di una grande eleganza formale, evocando (sino a creare, a volte, confu- sioni) i modi di un disegnatore bolognese quale Ubaldo Gan- dolfi. Quattro grandi tele per Fabriano (già nel convento di San Francesco, ora nelle chiese di Sant’Agostino e Santa Ca- terina), eseguite fra il 1789 e il 1791, inaugurano la tendenza piú epurata e classicista dell’ultimo C (cfr. anche, a Roma, San Bonaventura (depositi di palazzo Venezia) e Sacra Fami- glia (chiesa di San Nicola da Tolentino), entrambi del 1790 maa e i molti disegni dell’album conservato a Lisbona ( ) che anticipano le poetiche nazarene e i modi del primo Minar- di); tale tendenza non esclude, tuttavia, il risorgere di un manierismo lineare e a volte concitato in alcuni disegni tar- di (Riscatto di una giovane prigioniera, 1794: coll. priv.; Noz- ze di Alessandro e Rossana, 1793: Roma, Istituto nazionale Storia dell’arte Einaudi per la grafica; Cristo in casa di Simone: Londra, coll. priv.) e una lettura sempre piú sensibile e attenta dell’opera di Mi- chelangelo, di cui testimonia una delle ultime opere di C, il San Michele Arcangeloper la Russia (bozzetto a Chicago, coll. Young). L’artista muore prematuramente a Roma l’8 di- cembre 1799. (mtc). Cadice Non è mai stata un centro di pittura, ma la sua prosperità xvii xviii commerciale nel e soprattutto nel sec., quando sop- piantò Siviglia come porto per la flotta delle Indie, la ric- chezza degli appassionati d’arte locali e delle colonie di stra- nieri (in particolare genovese e fiamminga), provocarono un afflusso di pittura spagnola ed europea sia nelle chiese sia presso i privati. Antonio Ponz, nel suo Viaje de España, de- scrive le collezioni di C, in particolare la piú celebre, quella di Sebastián Martinez, amico e modello di Goya. Tale ric- xix chezza si è in gran parte dissipata col declino di C nel sec. Ne restano peraltro tracce notevoli nelle chiese. Vanno almeno ricordati il magnifico San Francesco di El Greco all’Hospitalillo de Mujeres, gli ultimi dipinti di Murillo, chia- mato dai cappuccini e morto a C nel 1682 (Matrimonio mi- stico di santa Caterina, al convento dei cappuccini; una delle sue piú belle Immacolate in San Filippo Neri), e i dipinti, troppo poco noti, rembrandtiani (Ultima cena) con i quali Goya decorò nel 1792 l’oratorio della Santa Cueva. Museo provincial de bellas artes Fu aperto nel 1852 sotto il controllo dell’accademia di belle arti di C, e rimodernato ai giorni nostri da Cesar Péman. È interessantissimo. Rac- coglie buoni quadri di provenienza e scuole molto diverse: primitivi spagnoli e fiamminghi; trittici di Luis de Morales; xvii spagnoli, italiani e fiamminghi del sec. (Immacolata di F. Rizi, Estasi della Maddalena di Cl. Coello, Presentazione al Tempiodi Solis, Cristo in croce di Borgianni, Giudizio uni- versale di Pickenoy), nonché un interessante gruppo di spa- xix gnoli del sec., in ispecie romantici andalusi (Rodriguez El Panadero, Fernandez Cruzado, Becquer). Ma l’attratti- va maggiore del museo sta nell’eccezionale gruppo di Zur- barán. Oltre alla magnifica Porziuncola del primo periodo, proveniente dai Capucinos di Jerez, comprende una parte importante del complesso dipinto dal 1637 al 1639 per la Storia dell’arte Einaudi certosa di Jerez. Possiede, oltre al San Brunone in estasi del polittico principale e alla Pentecoste, tutti i dipinti che de- coravano il corridoio di accesso alla cappella del Santo Sa- cramento: due angeli incensieri e otto santi certosini, che per la qualità dei bianchi e l’intensità espressiva vanno an- noverati tra i capolavori del pittore. (pg). Cadorin, Guido (Venezia 1892-1976). Giovanissimo, inizia a dipingere pres- so lo studio del padre scultore. Partecipa dal 1908 alle mo- stre di Ca’ Pesaro, nel 1909 è invitato alla Biennale di Ve- nezia e nel 1911 all’esposizione internazionale di Roma. Ne- gli anni ’20 realizza una pittura di gusto liberty, costruita per masse cromatiche semplici ma di forte accento monu- mentale. Celebre soprattutto per i suoi ritratti (Ritratto del gam padre, 1921: Venezia, ), aperto ai piú vari influssi cul- turali, si dedica anche alle tecniche dell’affresco (decorazio- ne dell’Hotel degli Ambasciatori, Roma 1926) e del mosai- co. Espone inoltre alla prima mostra del Novecento italiano (1926), alla Biennale di Venezia (dal 1920 al 1934) e alla Quadriennale (1931, 1935, 1943, 1951). (im). Caen Musée des beaux-arts Fu uno dei quindici musei creati con ix decreto consolare del 14 fruttidoro dell’anno ; sin dalla sua formazione beneficiò di notevoli assegnazioni da parte dello Stato. Le collezioni, prima collocate nel municipio, di- strutto nel 1944, fortunatamente in gran parte si salvarono; sono sistemate dal 1970 in un nuovo edificio entro la cinta del castello. Vi si trovano dipinti importanti, in particolare di scuola italiana (Perugino, Nozze della Vergine; Cima da Conegliano; Tintoretto, Deposizione dalla croce; Veronese, Tentazione di sant’Antonio; G. D. Tiepolo, Ecce Homo; Pan- nini), opere fiamminghe (Floris, Ritratto di donna; Sustris; Jordaens; Rubens, Incontro tra Abramo e Melchisedec) e fran- xvii cesi del (Poussin, Morte di Adone; Rigaud, Marie Ca- xviii xix denne), del (Boucher, Oudry) e del sec. (Courbet, Couture, Ravier). I pittori originari di Ce della regione (Be- lin de Fontenay, Tournières, R. Lefèvre, S. Lépine) sono rappresentati da parecchie opere. I locali del museo ospita- no inoltre opere raccolte da Pierre-Bernard Mancel (1798-1872), lasciate alla città nel 1872: dipinti, scelti sem- Storia dell’arte Einaudi pre con grande discernimento (alcuni vennero comperati nel 1845 alla vendita del cardinal Fesch a Roma), di Rogier van der Weyden (Vergine), Tura (San Giacomo), di maestri olan- xvii desi e fiamminghi dei sec.; nonché incisioni di tutte le scuole. (gb). Caffi, Ippolito (Belluno 1809 - Lissa 1866). Formatosi presso l’accademia di Venezia, poté studiarvi i vedutisti del Settecento, ammi- rando soprattutto Canaletto. Effettuò numerosi viaggi at- traverso l’Italia, a Parigi e in Oriente. Nel 1833-34 si tra- sferisce e lavora a Roma; nel ’37, a Venezia, presenta il for- tunato quadro L’ultima ora di Carnevale a Roma, noto come I moccoletti, più volte replicato per gli amatori; poi torna a Roma. Nel 1838 l’imperatore d’Austria gli acquista L’in- gresso a Venezia e La regata; partecipa con dodici quadri all’esposizione di Milano, oltre che a quella triestina del 1840. L’anno dopo, a Padova, prende parte alla decorazio- ne del Caffè Pedrocchi. Dopo una nuova sosta a Roma e una a Napoli, s’imbarca nel 1843 per Atene, Costantinopoli, l’Asia minore, Alessandria d’Egitto, il Cairo e il corso del Nilo; poi si reca a Gerusalemme e torna a Roma nel 1844. Ovunque esegue vedute e disegni; e nel ’44 espone a Roma (mostra di cultori di belle arti) le vedute del viaggio orien- tale. L’anno dopo, papa Gregorio XVI gli commissiona Piaz- za San Pietroe Piazza San Marco. Nel ’48-49 prende parte at- tiva alla rivolta antiaustriaca e dipinge quadri sulla resisten- za di Venezia insorta. Proscritto, vaga per il Nord e il Cen- tro Italia; dipinge vedute di Genova (1850). È anche a Lon- dra e vi espone, per poi recarsi a dipingere in Spagna (1854) e quindi a Parigi per oltre un anno, partecipando con tre ope- re all’esposizione universale del 1855. Di nuovo a Roma (1855-57) esegue, tra l’altro, per Pio IX una serie di vedute nella Biblioteca Vaticana. Nel ’58 può tornare stabilmente a Venezia, ma vi è arrestato nel 1860. A Napoli dipinge l’In- gresso di Vittorio Emanuele II, che nel 1862 lo fa cittadino italiano. Partecipa alla battaglia navale di Lissa con la flot- ta italiana, e vi muore in combattimento. C fu essenzialmente un paesaggista «esatto» ma estroso; le sue opere, chiare e rigorosamente costruite – talvolta prete- sto per curiosi effetti di luce artificiale – proseguono la tra- dizione dei paesaggio urbano di un Canaletto (il Pincio di Storia dell’arte Einaudi mattina, 1846; Veduta di Torino, 185o; Boulevard Saint-De- nis a Parigi, 1855: Venezia, Ca’ Pesaro). Il Museo Correr a Venezia conserva anch’esso una serie di suoi disegni. Il sog- giorno romano e la conoscenza di Corot gli valsero talora morbidezza di toni, tagli originali, novità di colori. Nitido vedutista, sa cogliere tuttavia i valori cromatici dell’atmo- sfera con grande sottigliezza, rendendo efficacemente il ca- rattere specifico dei tanti luoghi da lui osservati. (sr). Cagli, Corrado (Ancona 1910 - Roma 1976). Studiò a Roma e vi frequentò l’accademia di belle arti. Nel 1929-30 diresse una fabbrica di ceramica a Umbertide nell’Umbria. Ha lavorato poi a Ro- ma fino al 1938, salvo un soggiorno di alcuni mesi, l’anno prima, a Parigi e New York. Trasferitosi a Parigi alla fine del 1938 a causa delle persecuzioni razziali, nel 1940 è di nuovo a New York. Dopo l’interruzione della guerra, cui partecipò sul fronte europeo, riprese a lavorare nel 1945 a New York. Tornato a Roma nel 1948 vi si stabilisce fino al- la morte, con soggiorni a Milano negli anni ’50. Durante gli anni ’30, fino al suo espatrio, fu vicino agli artisti della co- siddetta Scuola romana, facendo gruppo in particolare con Capogrossi e Cavalli, insieme ai quali espose a Roma (1932, Gall. di Roma), a Milano (1933, Gall. del Milione) e a Pa- rigi (1933, Gall. Bonjean) all’insegna dell’Ecole de Rome, secondo la definizione coniata in quell’occasione dal critico francese Waldemar George. Significative mostre personali ebbe C a Roma alla Gall. della Cometa (1935 e 1936) e alla seconda Quadriennale (1935). Nelle sue prime opere spun- ti cubisti s’inseriscono su una struttura classica e figurativa, derivata da una consapevole opera di recupero della tradi- zione rinascimentale italiana. In polemica con la retorica di Novecento sviluppò una pittura narrativa ricercando nuovi miti in favole eseguite in ampie composizioni: affreschi, tem- pere, encausti, mosaici (esempio la fontana monumentale di Terni, 1931-35). Il problema del rapporto della pittura con l’architettura fu al centro dei suoi interessi: esso deriva dal- le premesse stesse della sua arte, nata da esigenze d’ordine formale, di chiarezza di linguaggio, da uno spiccato gusto per lo sperimentalismo tecnico, contro ogni concessione in- timistica o sentimentale. A partire dal 1933 eseguí una se- rie di grandi cicli murali per opere pubbliche, in parte di- Storia dell’arte Einaudi
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