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Brigate Rosse - Che cosa hanno fatto, che cosa hanno detto, che cosa se ne è detto PDF

143 Pages·1976·1.23 MB·Italian
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soccorso rosso Soccorso Rosso Brigate Rosse Che cosa hanno fatto, che cosa hanno detto, che cosa se ne è detto Feltrinelli Editore Milano Prima edizione: gennaio 1976 Copyright by Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Indice Pag. VII Nota dell'editore [kb 8 HTML] 3 Nota degli autori [kb 24 HTML] 11 1. Dissidenza di sinistra e lotta armata: alcun precedenti storici [kb 40 HTML] La svolta di Salerno, 11. - Il gruppo "Stella Rossa" di Torino, 12. - La rivolta popolare di Ragusa, 13. - I fatti di Schio, 13. - L'ideologia del lavoro, 15. - Nascita di nuove formazioni, 16. - L'amnistia Togliatti, 18. - La repressione del moto popolare per l'attentato a Togliatti, 19. - La "Volante Rossa," 19. - Disorientamento dei militanti del PCI, 21.- Il declino dei sindacati gialli: i fatti di piazza Statuto, 22. - Nascita della nuova sinistra: "Quaderni Rossi," 24 26 2. Trento: le esperienze di "Università Negativa" e "Lavoro Politico" [kb 28 HTML] 35 3. Dall'autunno caldo ai "Collettivo Politico Metropolitano" [kb 70 HTML] GdS Sit-Siemens, 36. - CUB Pirelli, 39. - GdS IBM, 42. - Autonomia proletaria e organizzazione, 46. - La funzione del tecnico, 49. - La socializzazione delle lotte, 50. - La rivoluzione nell'Europa metropolitana, 51. - I lavoratori- studenti, 54 59 4. Dalla fabbrica al sociale: Sinistra Proletaria [kb 40 HTML] soccorso rosso Il CPM cambia nome, 59. - Crisi del capitale, 60. - Posizione rispetto al PCI e ai sindacati, 61. - Polemica con LC, 62.- Sulla situazione del movimento, 63. - Il problema dell'organizzazione, 64. - Senza teoria niente organizzazione rivoluzionaria, 65. - Prendiamoci la città, 66. - Lotte per i trasporti, 67. - Lotte per la casa, 68. - L'apparizione delle "Brigate Rosse," 70. - Appello per la nuova resistenza, 71 73 5. Le Brigate Rosse alla ribalta politica: le azioni alla Sit-Siemens e alla Pirelli [kb 36 HTML] 85 6. Le proliferazioni spontanee e alcuni casi di provocazione [kb 12 HTML] 89 7. Nuova Resistenza [kb 40 HTML] 102 8. Prima riflessione teorica [kb 20 HTML] 109 9. Il primo sequestro politico: Macchiarini [kb 24 HTML] 117 10. Prima ondata di repressione [kb 28 HTML] I provocatori, 121. - La clandestinità, 124. - Gli "espropri," 125 127 11. Le lotte contrattuali dell'autunno 1972 e le prime azioni delle BR alla FIAT. La gogna al "sindacalista" CISNAL Labate [kb 40 HTML] 141 12. Seconda riflessione teorica [kb 28 HTML] 150 13. L'attacco alla DC e al "fascismo in camicia bianca" [kb 36 HTML] La "perquisizione" all'UCID, 150. - Il sequestro Mincuzzi, 154 163 14. La crisi energetica e l'austerity. Il sequestro Amerio [kb 60 HTML] Partito socialista italiano, 178. - Partito comunista italiano, 179. - Avanguardia Operaia, 181. - Manifesto, 181. - Lotta Continua, 183 185 15. Il sequestro Sossi [kb192 HTML] Il clima politico, 185. - Il sequestro, 190. - Il rilascio, 238. - Atteggiamento della grande stampa, 243. - "L'identikit delle Brigate Rosse" secondo la grande stampa, 244. - Le posizioni di alcune formazioni di sinistra, 248 253 16. Dall`incidente sul lavoro" di Padova alla liberazione di Curcio [kb56 HTML] "L'incidente" di Padova, 253. - L'arresto di Curcio, 255. - Le Brigate Rosse in carcere, 258. - La liberazione di Curcio, 264. - Nuove rappresaglie del regime, 268 270 17. Ultimo aggiornamento teorico (aprile '75) [kb28 HTML] Aspetti economici e sociali della crisi, 270. - Il progetto politico democristiano, 271. - Il "patto corporativo," 273. - Il compromesso storico, 273. - La linea delle BR: l'attacco al cuore dello stato, 275. - La guerriglia urbana e le "assemblee autonome," 276 279 18. Le ultime azioni e la morte di Margherita Cagol [kb32 HTML] La morte di Margherita Cagol ("Mara"), 283 291 Appendice cronologica [kb12 HTML] Nota dell'editore Nota dell'editore Questo libro è stato coordinato dalla commissione informazione e documentazione del Soccorso Rosso. Inutile spiegare qui cos'abbia rappresentato in questi anni il Soccorso Rosso, quale importante ruolo abbia svolto nel denunciare i crimini fascisti, nello smascherare le stragi di stato, nell'assicurare difesa legale ai militanti di sinistra, vittime della repressione. Certo, si tratta di un libro scomodo. Conosciamo i giudizi espressi dalia sinistra e dalla nuova sinistra sulle Brigate Rosse: provocatori, spie, avventurieri, fascisti, delinquenti, intellettuali piccolo-borghesi, schizofrenici, velleitari Robin Hood infatuati del sogno impossibile della rivoluzione a breve scadenza. Giudizi sommari che non discendono necessariamente dalla condanna di azioni e metodi contrari agli ordinamenti della nostra democrazia e che si giustificano tutt'al piú nel vivo di una polemica quotidiana che bada agli scopi immediati piuttosto che alle sottili differenze concettuali. Ma in una serena analisi politica il problema delle Brigate Rosse andava trattato in modi meno superficiali, senza falsificazioni né travisamenti. In questi anni l'informazione sulle Brigate Rosse, dentro la sinistra, è stata viziata da una passionalità, da un trepido desiderio di prendere le distanze, che non hanno impedito le oscure manovre del potere, intese ad estendere a macchia d'olio le accuse di connivenza e a perpetrare arbitri procedurali nei confronti dei "sospetti." Cosí l'orrore per le Brigate Rosse ha avallato il tentativo di criminalizzare il dissenso radicale, ha favorito in Italia, sull'esempio tedesco, l'avviarsi di una severa legislazione repressiva e l'annullarsi di ogni discrimine fra prevenzione e repressione. Si è arrivati all'assurdo di protestare e di indignarsi per le pene inflitte ai terroristi di mezzo mondo e di sorvolare (con poche lodevoli eccezioni) sull'enorme condanna (30 anni) inflitta al giovanissimo brigatista italiano Massimo Maraschi, presunto autore di un sequestro andato a vuoto. Nessuno stupore, dunque, che l'editoria democratica italiana sia prolifica di libri sulla guerriglia in tutto il mondo e manchi di analisi serie sul fenomeno delle Brigate Rosse e che la stampa periodica disinformi sistematicamente ricorrendo agli artifici retorici dell'esecrazione e del vilipendio. Da ciò si deduce la necessità di fare chiarezza sull'argomento partendo proprio dall'esame particolareggiato dell'atteggiamento assunto dalla stampa. Il libro del Soccorso Rosso è un tentativo onesto in questa direzione. La sinistra è ormai abbastanza forte e matura per esprimere in proposito un giudizio libero ed obiettivo. L'opinione pubblica, e il 15 giugno lo ha dimostrato, è sempre piú refrattaria a eventuali manovre reazionarie tendenti a fare delle Brigate Rosse tutto un fascio col resto della sinistra. Le posizioni di partiti e gruppi sono chiare e la buona fede scontata: si sa chi vuole il compromesso storico, chi accetta il gioco democratico e chi non lo vuole; chi desidera andare al governo e chi punta sulla "lotta sempre piú dura." Se abbiamo pubblicato questo libro, e in questo particolare momento, è proprio per offrire al pubblico quel servizio che altri non gli hanno fornito e che dovrebbe essere invece peculiare di un editore moderno: l'informazione spassionata. Anche se nelle Brigate Rosse possono esservi infiltrazioni di provocatori e di spie (vedi Girotto o Pisetta), non v'è dubbio che il gruppo combatte una "sua" lotta per una causa che ha assillato intere generazioni di militanti: la rivoluzione proletaria. Chi può accusare di spionaggio Margherita Cagol, uccisa in combattimento, o tanti altri brigatista catturati che rischiano decine di anni di galera, se non l'ergastolo? Si tratta di giovani ventenni, non certo disposti a rischiare la vita o una lunga detenzione per lo stipendio del SID. Brigate Rosse e NAP, lo sappiamo, sorto la faccia di una tragica sconfitta. Negli anni dal 1969 al 1972 una parte non minoritaria dei giovani, protagonisti delle lotte nelle fabbriche e nelle scuole, ha creduto che la Rivoluzione fosse alle porte. Ha impostato la propria vita in funzione Nota dell'editore di una radicale trasformazione nel breve periodo. Se questa ipotesi fosse folle o se fosse in parte realistica può essere discusso, ma è indubbio che essa era ampiamente diffusa in una parte non certo piccola della nuova sinistra. Oggi nessuna delle organizzazioni politiche maggiori emerse dalle lotte di quella generazione crede piú che in Italia ci sarà la rivoluzione nei tempi brevi. Però, come ha scritto giustamente Francesco Ciafaloni su "Quaderni piacentini," "non è stato operato un passaggio consapevole, argomentato, razionale, dalla vecchia posizione alla nuova, che permettesse il recupero del nuovo emerso in quegli anni, che permettesse di conservare coerentemente parte della carica psicologica e ideologica presente a livello di massa. I piú si sono adattati a entrare nei ranghi. Hanno semplicemente scoperto che la politica costa e si sono accorti di non essere disposti a pagare il prezzo. Altri hanno accettato la pratica della doppia verità. Altri hanno deciso di portare la scelta alle estreme conseguenze, fino al suicidio e alla follia." Nota degli autori Alla compagna "Mara" Nota degli autori Questa ricerca vuole colmare innanzitutto una lacuna. In Italia sono state pubblicate decine di libri sui Tupamaros, sui Black Panthers, sulla guerriglia urbana in Palestina, Brasile, Irlanda, Venezuela, Spagna ecc. Addirittura due volumi sulla RAF e altrettanti sugli Weathermen! Ma per quel che riguarda quanto accade in materia di guerriglia urbana qui da noi, in Italia, l'informazione viene delegata all'estrema destra. Avviene cosí che è il MSI-DN a editare il volumetto Brigate Rosse, è la rivista "La Destra" a pubblicare un numero monografico sul terrorismo, sono le edizioni del Borghese a stampare La Strage contro 1o Stato in cui una parte di rilievo è riservata ai GAP e alle BR. La stessa regola vale per l'editoria periodica. Non se ne sottraggono nemmeno i quotidiani di sinistra e di estrema sinistra, che pure scrivono su ETA, IRA, MIR, MIL, ERP, ecc. Da cosa deriva questa scelta che fa prendere in considerazione l'uso delle armi solo quando queste sparano a una latitudine discretamente lontana dalla propria redazione? Ma evidentemente non è solo un astratto dovere di informazione che ci ha spinto a sobbarcarci questa non lieve fatica. Noi crediamo che non sia difficile scorgere, nell'operazione repressiva in atto contro le BR, un disegno di ampia provocazione che tende a coinvolgere anche settori di sinistra estranei a questa organizzazione (caso Lazagna) e settori moderati (caso De Vincenzo). Con questo libro ci vogliamo ricollegare alla migliore tradizione della pubblicistica militante italiana. Nella prefazione a La strage di Stato si diceva: "La repressione preferiamo chiamarla rappresaglia. Essa rappresenta un parametro di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema colpisce con tanta piú virulenza quanto piú i modi e gli obiettivi della lotta sono giusti e che l'unica vera amnistia che conti sarà promulgata il giorno in cui lo stato borghese sarà abbattuto.” Noi ora aggiungiamo che la repressione è nello stesso tempo selettiva e di massa. Selettiva, nel duplice significato che colpisce sia coloro che attaccano piú duramente lo stato borghese, sia coloro che, di volta in volta, appaiono piú esposti e piú isolati. Cosí è stato con gli anarchici nel '69-70, con LC nel '72, con PO nel '72-73. Ora è la volta dei compagni dell'autonomia e, appunto, delle Brigate Rosse. Ma, allora, come ora, il vero bersaglio era l'intero movimento, ed è in questo senso che la repressione è anche di massa. Da La strage di Stato molto tempo è trascorso. Allora, si era nel '70, si trattava di smascherare, sul piano della controinchiesta, una montatura politico-giudiziaria, per dimostrare l'innocenza degli anarchici e la colpevolezza dello stato. Ora, a sei anni di distanza, non si tratta piú di dimostrare la estraneità delle BR agli atti loro imputati, anche se certamente in non pochi casi siamo in presenza di montature. Nel momento in cui il potere vuole criminalizzare la lotta di classe, e intende coinvolgere tutta la sinistra servendosi della repressione contro le BR, allora, quello che bisogna fare è affermare con forza la natura politica del fenomeno Brigate Rosse e delle scelte compiute da questi compagni. Insomma, a un nuovo atteggiamento del potere deve corrispondere un nuovo uso dell'informazione rivoluzionaria. In questo senso va letta una proposta di lavoro che già piú di un anno fa facevamo in un nostro bollettino: "È piú importante dare una chiave di lettura degli usuali mezzi di comunicazione di massa, che ne disveli il contenuto repressivo, spiegandone i meccanismi, piuttosto che pedinare, con fatica, le piste nere con la speranza di fornire al movimento qualche informazione 'inedita'.” Questo libro quindi non è un dossier, né una storia, né un manuale di guerriglia, né una difesa, né un'accusa, né un proclama politico, né un libro bianco né un libro nero, e nemmeno una guida al processo. Il nostro preciso scopo è lo stesso che animò cinque anni fa gli autori de La strage di Stato: "Offrire ai compagni un modesto strumento di lavoro per l'approfondimento e la diffusione a livello popolare dell'analisi sullo stato borghese, perché, come ha detto Lenin, prima di Gramsci, la verità è rivoluzionaria.” Anche per quello che riguarda le "fonti di informazione" i tempi sono cambiati. Lo dichiara perfino un nostro nemico, Victor Marchetti, ex agente della CIA, autore di un libro da poco tradotto in Italia, il quale riconosce il declino dei vecchi sistemi di spionaggio. Tutto o quasi si può conoscere dalla stampa e dagli altri mezzi di comunicazione di massa e dai canali ufficiali: "Le fonti palesi (la stampa e gli altri mezzi di comunicazione) e i canali ufficiali [...] danno risultati migliori dei servizi clandestini.” A questa regola anche noi ci siamo attenuti, studiando con pazienza e attenzione i fatti di tutti i giorni, senza ricorrere a documenti top-secret cui, del resto, non abbiamo accesso. È opportuno sgomberare il campo da ogni equivoco, e chiarire la nostra posizione riguardo alle BR. Per la loro origine, per la loro pratica politica, per i documenti che hanno prodotto, li riconosciamo come dei compagni, e come tali, nel momento in cui la reazione li attacca, ci sentiamo a loro fianco. "Sentirsi al loro fianco" non significa http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/nota%20degli%20autori.htm[07/11/2014 11:19:01] Documento senza titolo condividerne la linea politica, significa offrire loro la solidarietà militante, che è fatta di tanti momenti, uno dei quali, certamente non il piú importante, è la difesa legale. Se è vero che ci siamo impegnati col massimo scrupolo, a volte quasi filologico, a fornire documenti autentici e che, nello stesso tempo, ci asteniamo dal dare valutazioni di merito sulle azioni e sulle proposizioni teoriche delle BR, è altrettanto vero che il libro non vuole essere "asettico." Anzi ne rivendichiamo il carattere di intervento politico. In particolare intendiamo denunciare con energia i limiti e le carenze di metodo che vi sono stati nella informazione sulle BR. Se il metodo della calunnia e della mistificazione ci deve apparire scontato quando è praticato dalla borghesia, esso rappresenta per contro una grave deviazione se accolto dalla sinistra: la calunnia deve essere bandita dalla pratica dei rivoluzionari. Ma non meno colpevole è tacere di fronte alla calunnia e non denunciarla. Perciò, nel senso del metodo e solo, lo ripetiamo, in questo senso, riteniamo utile una polemica, anche aspra, tra i compagni, alla quale anche noi obiettivamente partecipiamo. Riteniamo inoltre che un giudizio politico sulle BR non vada delegato a un tribunale borghese. Se condanna vi deve essere, è giusto che siano i compagni a darla, ma solo sulla base della conoscenza dei fatti e dei documenti e non sulla scorta delle montature dei carabinieri. La verità è rivoluzionaria: sottovalutare la capacità di giudizio della sinistra rappresenta, a nostro avviso, un grave errore. Le pochissime discussioni che hanno avuto luogo in Europa sulla lotta armata sono riuscite, forse, a dimostrare una sola cosa: che sull'argomento si deve ancora cominciare un dibattito serio. Fino ad ora, con rarissime eccezioni, la disputa si è ridotta a uno sterile se non ridicolo duello di citazioni, senza esclusioni di colpi, in cui viene opposto un Lenin presunto opportunista a un Lenin presunto ultrasinistro. Certamente non si può fare a meno del patrimonio dei classici, di Marx, di Lenin, di Mao Tse-tung, ecc..., ma riteniamo che non ci si debba lasciar trascinare in queste battaglie retoriche, abusando delle quali è possibile, con un minimo di abilità dialettica, dimostrare tutto e l'opposto di tutto. La soluzione non è quella di applicare dogmaticamente la posizione di Lenin del 1905 alla situazione attuale. Ma non è nemmeno quella di ritenere l'Italia e l'Europa eccezioni storiche, quasi che nel mondo ci fossero "diversi imperialismi" e non uno solo, lo stesso, che opera contemporaneamente in Vietnam, in Cile, in Cambogia, in Portogallo, in Italia, ecc... La concezione della "eccezione storica" ha come corollario aberranti proposizioni del tipo "ogni violenza è sempre nera," teorizzazione che segna l'ultimo gradino della pietrificazione del marxismo: ove non si tiene piú conto della sua dialettica, della sua scientificità, del suo essere vivo nella storia. Il problema è semplice e difficile nello stesso tempo. Posto che la lotta armata è un passaggio obbligato sulla strada della rivoluzione socialista, bisogna individuarne tempi e modi in relazione al rapporto avanguardie-masse nel contesto storico in cui si colloca. D'altra parte si ritiene generalmente ormai superata l' "ipotesi insurrezionale" che in Europa non appare piú attuabile, e che, con alcune varianti, è stata per l'ultima volta praticata nel maggio francese. Ecco come viene descritto lo schema insurrezionale da uno dei suoi sostenitori: "Sciopero generale [...], occupazioni di fabbriche sempre piú imponenti e forti punti di sciopero, la diretta opposizione a ogni tipo di repressione violenta, dimostrazioni di strada, le quali vanno da condizioni di lotta in costante impatto con le forze della repressione fino alla riapparizione di barricate...” C'è poco di nuovo e molto di vecchio in queste enunciazioni di Ernest Mandel. Questi errori sono già stati pagati duramente dai partiti comunisti in Algeria, a Cuba, ed anche in Italia, quando il purismo ideologico impedí al PCd'I di scendere in campo nel 1922 a fianco degli Arditi del Popolo . Ma d'altra parte anche chi aveva scelto la via "originale" della guerriglia urbana e riteneva di aver trovato la giusta ricetta ha dovuto fare la sua autocritica. È il caso dei Tupamaros. Il comunismo, per essere realizzato, ha bisogno di tutta la nostra fantasia e di tutta la nostra pazienza per saper trarre dall'esperienza di vittorie e di sconfitte le indicazioni per una corretta ipotesi di lotta. In questo senso è dannoso, oltre che contrario alla morale comunista, tenere nascosti opportunisticamente i cadaveri dei compagni dentro gli armadi, che si fanno oramai sempre piú stretti. Giangiacomo Feltrinelli, Luca Mantini, Sergio Romeo, Bruno Valli, Giuseppe Principe Vitaliano, Giovanni Taras, Margherita Cagol, Anna Maria Mantini esigono da noi una risposta. È dannoso, oltre che contrario alla morale comunista, onorare con un funerale rivoluzionario solo i morti "comodi," i compagni uccisi incolpevolmente durante pacifiche manifestazioni, oppure "suicidati." Coloro che sono morti con la convinzione di combattere una guerra giusta nella lotta di classe, di essere soldati della rivoluzione, compiendo magari, secondo taluni, "una scelta suicida," ci pongono degli inquietanti interrogativi che vanno affrontati. Anche gli errori e gli insuccessi possono far parte del patrimonio storico della sinistra, purché vengano analizzati e discussi. Solo l'esperienza degli errori e la loro analisi, assieme alla capacità di critica, possono trasformare le sconfitte in vittoria. http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/nota%20degli%20autori.htm[07/11/2014 11:19:01] Documento senza titolo La commissione informazione e documentazione del Soccorso Rosso - segreteria di coordinamento nazionale 15 ottobre 1975 1.La strage di Stato, Samonà e Savelli, Roma 1970. 2."Rivista di controinformazione militante . Bollettino del Soccorso Rosso," maggio 1974 3.La strage di Stato, cit 4.4V. Marchetti e J. D. MARKS, CIA, Culto e mistica del servizio segreto, Garzanti, Milano 1975. 5.Riportiamo un breve stralcio di alcune citazioni ricorrenti in questa disputa "leninista" che di volta in volta vengono prese a sostegno dell'una o dell'altra interpretazione: "8 assolutamente necessario cominciare subito ad imparare in pratica: non abbiate paura di questi assalti di prova. S'intende, essi possono degenerare in eccessi, ma questo è il male del domani, mentre il male del giorno d'oggi consiste nella nostra inerzia, nel nostro dottrinarismo, nell'immobilità da sapientoni e nel terrore senile dell'iniziativa. Che ogni reparto faccia il suo tirocinio almeno spianando le costole ai poliziotti" (LENrN, 16 ottobre 1905, Opere complete, vol. VIII, p. 326, ed. russa); "I reparti potrebbero essere di tutte le proporzioni cominciando da due-tre uomini" (LENIN, fine ottobre 1905, Opere complete, vol. VIII, p. 327); "Il nucleo di queste organizzazioni deve essere costituito da gruppi molto piccoli di volontari composti di dieci, cinque forse anche tre persone [...] Questi gruppi debbono essere composti da membri del partito e da senza partito [...] debbono formarsi nel modo piú largo e in ogni caso prima di ricevere le armi, indipendentemente dalla questione delle armi. Nessuna organizzazione di partito può armare le masse. Invece l'organizzazione delle masse in piccoli gruppi di combattimento, dotati di una grande mobilità potrà rendere un grande servizio nel momento propizio per ottenere delle armi" (LENIN, 20-30 luglio 1906, Opere complete, vol. X, pp. 15-16, ed. russa); "La lotta armata persegue due scopi differenti: 1) l'uccisione di singoli individui; 2) la confisca di denaro [...]. Non sono le azioni partigiane che disorganizzano il movimento ma la debolezza del partito che non sa prendere queste operazioni nelle sue mani..." (LENIN, "Proletari," n. 5, 13 ottobre (30 settembre) 1906, Opere complete, vol. X, pp. 80 sgg., ed. russa); "Quando il movimento rivoluzionario penetra sino in fondo nelle classi popolari veramente rivoluzionarie, e inoltre si sviluppa non solo in profondità ma anche in ampiezza, promettendo di divenire ben presto una forza invincibile, è vantaggioso per il governo provocare le migliori forze rivoluzionarie e lanciarle alla caccia dei volgari dirigenti della piú ripugnante violenza. Ma noi non dobbiamo lasciarci provocare" (LENIN, 1902, I compiti del movimento socialdemocratico, Opere, vol. VI); "La tattica del piccolo gruppo di intellettuali terroristi è una tattica che accentua quel distacco tra i rivoluzionari e le masse, che è la fonte principale della nostra debolezza, dell'incapacità nostra di incominciare subito la lotta risoluta" (Ibidem); "Si, il terrorismo degli intellettuali e il movimento operaio di massa erano separati e la separazione li ha privati di qualsiasi forza. Proprio questo ha sempre sostenuto la socialdemocrazia rivoluzionaria. Proprio per questo ha sempre lottato non solo contro il terrorismo, ma anche contro quelle oscillazioni verso il terrorismo di cui piú di una volta i rappresentanti dell'ala intellettuale del nostro partito hanno dato prova" (LENIN, 1905, Nuovi avvenimenti e vecchi problemi, Opere, vol. VI). 6.ERNEST MANDEL, Die Lehre Von Mai 1968, in Revolution in Frankreiche, Eva, Frankfurt/Main-Koln 1968, p. 123. 7.Nell'agosto 1956, il FLN algerino in lotta, espresse nella piattaforma politica del SOUMMAN le proprie perplessità sull'atteggiamento ambiguo del Partito comunista algerino rispetto alla lotta armata: "Il Partito comunista algerino 1...] non è riuscito ad avere una funzione meritevole di essere segnalata. La direzione comunista burocratica, senza alcun contatto con il popolo, non è stata capace di analizzare correttamente la situazione rivoluzionaria. E' per questo che ha condannato il 'terrorismo' e ordinato, fin dai primi mesi dell'insurrezione, ai militanti dell'Aurès venuti ad Algeri a cercare direttive, di non prendere le armi." 8.All'indomani dell'attacco di Fidel al Moncada, prima azione della rivoluzione cubana, mentre molti patrioti erano morti, e altri continuavano a lottare in galera, cosí si esprimeva il Partito comunista cubano (PSP) in un comunicato pubblicato sul "Daily Worker" del 10 agosto 1953: "Noi ripudiamo i metodi putschisti, peculiari delle fazioni borghesi, dell'azione a Santiago di Cuba e Bayamo che è stata un tentativo avventuristico di conquistare le rispettive piazzeforti. L'eroismo dei partecipanti è falso e sterile perché guidato da errate concezioni borghesi. L'intero paese sa chi ha organizzato l'azione contro la caserma e sa che il partito comunista non ha niente a che vedere con tale azione. Il PSP afferma la necessità di un fronte unito delle masse 1...I. Il PSP basa la sua battaglia sull'azione delle http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/nota%20degli%20autori.htm[07/11/2014 11:19:01] Documento senza titolo masse, sulla lotta delle masse e denuncia il putschismo avventuristico perché contrario alla lotta delle masse e contrario alla soluzione democratica che il popolo desidera." 9.La posizione settaria del PCd'I, a proposito degli Arditi del Popolo, è ormai storicamente accertata. Lo riconosce Paolo Spriano nella sua Storia del PCI, e perfino Amendola (nell'introduzione al volume Barricate a Parma)! Quello che forse è meno noto è che la direzione leninista della III Internazionale fu pronta, fin da allora, a condannare il settarismo dei dirigenti della sezione italiana: "È chiaro che agli inizi avevamo a che fare con un'organizzazione di massa proletaria e in parte piccolo-borghese che si ribellava spontaneamente contro il terrorismo [...]. Dove erano in quel momento i comunisti? Erano occupati ad esaminare con una lente d'ingrandimento il movimento per decidere se era sufficientemente marxista e conforme al programma? Il PCI doveva penetrare subito energicamente nel movimento degli Arditi, fare schierare attorno a sé gli operai e in tal modo convertire in simpatizzanti gli elementi piccolo-borghesi." 10.Alla fine del mese di luglio 1973, un mese dopo 1'autogolpe militare in Uruguay, l'MLN-Tupamaros diffondeva un comunicato nel quale erano contenuti elementi interessanti di autocritica. Il documento inedito in Italia è stato pubblicato sulla rivista "Frères du Monde," n. 83 del 1973: "Noi abbiamo subito una sconfitta provvisoria 1...7. Sconfitta dovuta principalmente a nostre deficienze e ai tradimenti. Le nostre mancanze furono: da un lato, sottovalutare il nemico, giacché questo era molto piú potente di quanto pensassimo, soprattutto dopo che gli USA gli diedero un aiuto tecnico e finanziario senza limite. D'altra parte, non abbiamo saputo valutare l'immensa capacità di lotta del popolo, ed abbiamo contato eccessivamente sulle nostre forze. Senza la partecipazione e la direzione della classe operaia la rivoluzione è impossibile capitolo 1 1 Dissidenza di sinistra e lotta armata: alcuni precedenti storici Le Brigate Rosse non sono un fenomeno isolato spuntato come un fungo agli inizi degli anni Settanta. Il dissenso politico che è alla base della nascita e dello sviluppo di formazioni armate di questo tipo trae origine dal convincimento, da parte di operai, studenti, lavoratori, di essere stati traditi dalla direzione politica che storicamente li rappresenta, dal bisogno di comunismo e di uguaglianza rimasto frustrato. Il fenomeno, chiamato "estremismo" oppure "massimalismo" oppure "avventurismo," merita un posto di riguardo nella tradizione storica del movimento operaio italiano, essendone sotto diverse forme una costante, a volte anche maggioritaria. È impossibile, pertanto, parlare delle BR, o di altre formazioni analoghe, precedenti o contemporanee, senza riandare a quelle che ne sono le radici storiche. La svolta di Salerno Volendo soffermarsi solo ai precedenti meno remoti, si può osservare che fino dalla svolta di Salerno (1944) è presente e si esprime nelle forme piú varie l'opposizione a quello che viene ritenuto un atteggiamento di rinuncia. Imposta dall'URSS al PCI, nel quadro di un processo di suddivisione del mondo in sfere di influenza, che vede nelle conferenze di Yalta e di Teheran due importanti tappe, la nuova linea di alleanza con la monarchia Sabauda viene pubblicizzata dalle Isvetsie prima ancora di essere conosciuta in Italia. Trova avversari abbastanza morbidi nei piú alti responsabili del PCI interno. Tranne qualche impennata di breve durata, come nel caso di Scoccimarro,[1] o qualche distinguo di Longo, Secchia, Li Causi, Pajetta, viene accettata da tutti gli altri dirigenti che pure (tranne pochissime eccezioni: Amendola, Novella, Negarville e, naturalmente, Togliatti, peraltro non presente in Italia) non la condividevano.[2] Osteggiata anche da altre forze della Resistenza (Giustizia e Libertà e socialisti), soprattutto non viene digerita dagli strati piú popolari abituati a vedere nel re e in Badoglio due nemici e insofferenti a sopportarli nel ruolo di "alleati." Manifestazioni di dissenso nascono un po' dovunque: si esprimono larvatamente con scritte sui muri o, piú spesso, con canzoni (per esempio La Badoglieide). Non mancano tuttavia altre forme di opposizione piú radicali, seppellite dalla storiografia ufficiale. Due sono particolarmente importanti. La prima esprime il dissenso "organizzato," la seconda quello "spontaneo." II gruppo "Stella Rossa" di Torino A Torino nel 1944 si pubblica "Stella Rossa" che si dichiara "organo del PCI di cui rappresenta la corrente critica dal punto di vista della classe" e che scrive: "Non basta [...] ricostruire lo stato borghese antifascista, ma occorre invece costituire la repubblica sovietica italiana." Con estrema durezza replica Pietro Secchia che, nell'articolo Sinistrismo maschera della Gestapo!, accusa senza mezzi termini i compagni di "Stella Rossa" di essere bordighisti al servizio della polizia fascista. Tuttavia, a dispetto delle incaute considerazioni di Secchia, l'intero movimento rientrerà a febbraio del 1945 nel PCI, dove sarà bene accetto, portando, se non altro, un notevole contributo di uomini: "Stella Rossa" contava nel 1944 a Torino 2.000 aderenti mentre il PCI ne contava 5.000.[3] La rivolta popolare di Ragusa L'altro episodio rilevante accade a Ragusa nel 1945, quando la popolazione scende in piazza per lottare contro il re, gli angloamericani, e il servizio militare obbligatorio. In quest'occasione, alla guida della lotta si pone la locale federazione del PCI, che in tal modo contravviene alle indicazioni del partito trasmesse da Li Causi. Per quattro giorni, dal 4 al 7 gennaio del 1945, la battaglia armata infuria. Vengono occupati quasi tutti gli edifici pubblici. La rivolta, estesa alle vicine Naro, Agrigento, Monterosso, Vittoria, Comiso e Giarratana, provoca 18 morti tra soldati e carabinieri e 19 tra i manifestanti. Il 9 gennaio 1945 "l'Unità" sconfessa gli stessi militanti della locale federazione del PCI: "Rigurgiti della reazione fascista. I latifondisti siciliani contro il popolo e contro l'Italia."[4] http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/capitolo%201.htm[07/11/2014 11:19:01] Documento senza titolo I fatti di Schio Finita la guerra la Resistenza continua, a dispetto del decreto sullo scioglimento dei corpi partigiani e sulla restituzione delle armi. La mancata epurazione provoca profonda delusione tra gli antifascisti, anche i piú moderati: "Il bilancio dell'epurazione, non è il caso di dissimularcelo, lascia tutti insoddisfatti," scrive Silone sull`Avanti!"[5] Non solo, ma i pochi fascisti incarcerati vengono via via liberati. A Schio, una zona del vicentino nella quale era stata particolarmente cruenta la lotta ed alto il prezzo pagato dai partigiani,[6] i fascisti continuano ad avere, dopo il 25 aprile, la vita facile: "I tribunali del luogo e di Vicenza, le autorità di polizia sono [...] straordinariamente indulgenti verso i fascisti [...]. Ne avevano già scarcerati 300 e promettevano ai rimanenti che presto sarebbe giunto il loro turno.”[7] È a questo punto che alcuni partigiani ritengono sia il momento di praticare in prima persona la "giustizia popolare." La notte del 6 luglio 1945 alcuni compagni penetrano nel carcere di Schio. Dopo aver separato i prigionieri comuni dai politici e istruito un sommario processo ai detenuti fascisti, giustiziano a raffiche di mitra quelli ritenuti piú colpevoli. Il risultato: 53 morti e 20 feriti. Anche se l'azione viene salutata con un certo sollievo da molti partigiani, "l'Unità" la bolla come "un gesto di pochi irresponsabili, trascinati da un impeto di bestiale furore.”[8] Lo stesso giornale non esita a denunciare e a screditare agli occhi dei lettori, come presunto responsabile, un partigiano che in passato aveva conosciuto la milizia clandestina, il carcere, l'esilio e la Resistenza: "Da qualche settimana ci dicono i nostri compagni, alcuni rappresentanti di un sedicente partito internazionalista [...] stanno svolgendo tra le masse operaie e tra i partigiani una attiva propaganda di tipo trotskista-bordighista [...] Sembra che il principale propagandista sia un certo Salvatori. Salvatori fino al 1929 fu membro del nostro partito. Arrestato ebbe un contegno pavido che gli valse il disprezzo dei nostri compagni. Durante gli anni di carcere fu tenuto a distanza. Scontata la pena conservò un sordo rancore contro il nostro partito, e fece parte in Francia di gruppi trotskisti [...] Rientrato a Schio, Salvatori è penetrato in alcuni ambienti partigiani [...] ha sfruttato il loro stato d'animo per istigarli alla violenza."[9] Ben diverso è l'atteggiamento del Partito socialista, che prende la difesa dei tre partigiani condannati a morte per l'eccidio: "'Fate giustizia dei tedeschi e dei fascisti' diceva radio Londra 'e presto verrà la vostra liberazione.' I partigiani non sanno troppo di leggi, di codici e di doppi giochi [...] Tre uomini attendono che il loro destino si compia. L'anno scorso, di questi giorni, erano sulle montagne a fare le fucilate contro i tedeschi. Ora le fucilate le aspettano dagli inglesi. Ma questa volta non ci sono piú le meravigliose bugie di radio Londra."[10] La popolazione del luogo si schiera in massa, con scioperi e manifestazioni, a favore dei tre partigiani, tanto da preoccupare gli stessi giornali inglesi: "A Schio si dice senza troppe reticenze che se i condannati verranno fucilati, l'imminente inverno da quelle parti sarà alquanto brutto."[11] L'ideologia dei lavoro Il linguaggio del PCI, cosí spietato nel denunciare i presunti provocatori, si fa "bucolico" quando si tratta di chiedere ulteriori sacrifici e rinunce ai reduci. Scrive "Ulisse" (Davide Lajolo): Molti compagni partigiani sono senza lavoro [...] pensa il partigiano. Allora? Come dopo le altre guerre? E' perplesso [...] Ritorna a lavorare, e lavora sodo. S'accorge che nel lavoro ritrova Vigore e Speranza. È in contatto con gli operai che si lamentano, ma lavorano, che soffrono la fame ma lavorano. Allora pensa e si convince [...] che vi deve essere questa differenza tra le altre guerre e questa: che allora si combatteva per qualche cosa di personale, si portava il conto alla Patria. Oggi no. Abbandonato il mitra, lasciata la collina, la lotta ha l'arma della nostra onestà e della nostra dirittura morale."[12] Sei mesi piú tardi Togliatti potrà vantarsi alla Costituente che l'Italia "è il paese dove si fanno meno scioperi." Nel gennaio 1946 viene stipulato l'accordo sullo sblocco dei licenziamenti. L'articolo 2 colpisce i lavoratori "inosservanti dei doveri di disciplina e di normale produttività."[13] Un bollettino della federazione milanese del PCI incita ad un maggior impegno nel lavoro: "Le cellule di fabbrica ed i compagni responsabili si devono [...] mobilitare, essi devono con l'esempio incitare al lavoro, alla disciplina. Molti non hanno voglia di lavorare, perché dicono che in fondo nulla è cambiato, sono ancora e sempre degli 'sfruttati' che lavorano per il padrone."[14] Nascita di nuove formazioni Nel gennaio 1946, quando un gruppo di operai bastona alcuni dirigenti della Breda, "l'Unità" parla ancora una volta di provocazione e di "elementi dichiaratamente trotskisti" e ammonisce che i compagni "sono disposti a fare di tutto perché i fascisti ed i trotskisti responsabili di queste provocazioni siano scoperti e deferiti all'autorità giudiziaria." http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/capitolo%201.htm[07/11/2014 11:19:01] Documento senza titolo [15] È in questo quadro che alcuni partigiani risalgono sulle montagne dando vita a nuove formazioni armate che attaccano obiettivi fascisti e padronali. "L'Unità," nell'articolo Provocazione e maschera rossa parla di "gruppi reazionari e conservatori, che provvedono ad adescare qualche giovane esaltato, si preoccupano di stampare volantini piú o meno rossi usurpando il nome glorioso dei GAP, lanciano programmi di nuove formazioni pseudo- partigiane dall'immancabile denominazione di `Guardia rossa,' creano false organizzazioni sportive, prendendo lo spunto dal fatto che noi comunisti nel periodo clandestino indicavamo come 'lavoro sportivo' il lavoro militare."[16] Di particolare rilievo le nuove formazioni partigiane sviluppatesi nel Biellese (Movimento di Resistenza popolare) e in Emilia, soprattutto a Bologna, Modena e Reggio. Per "l'Unità" si tratta di una "sola rete di provocazione"[17]: il collegamento sarebbe provato da un delegato del MRP, che è di origine modenese. Non deve meravigliare se, in questo ordine di idee, il PCI collabora attivamente con i carabinieri nella ricerca dei provocatori, per assicurare "ordine e tranquillità" al paese. "L'Unità" non lo nasconde affatto, anzi ne va addirittura fiera, al punto di pubblicare con orgoglio una lettera, scritta dal segretario della federazione di Modena, la quale prova questi collegamenti: "Il capitano Cappelli Aldo, comandante della compagnia interna carabinieri di Modena, nel mese di giugno c.a., si recò dal segretario Roncagli [...] per chiedergli la collaborazione di elementi del partito [...]. Il Roncagli in linea di massima si mostrò favorevole alla richiesta e giunse ad assicurargli il nostro appoggio e collaborazione poiché i primi e piú interessati all'ordine e tranquillità della nostra provincia eravamo proprio noi."[18] Nell'ottobre 1946 viene arrestato Carlo Andreoni, ritenuto il capo del MRP. Ancora una volta si nota una profonda diversità di atteggiamento tra il PCI e i socialisti. Questi ultimi, pur dissociandosi dalle azioni partigiane, ne riconoscono l'identità politica degli autori, di cui chiedono la liberazione. Nell'articolo Agire con giustizia, Pertini ammonisce: "I comunicati governativi parlano di squadrismo [...]; non possiamo accettare nel modo piú assoluto simili raffronti a danno di uomini che furono al nostro fianco [...] al di sopra di ogni sospetto sia dal punto di vista politico, come dal punto di vista morale [...] Ci domandiamo per quale ragione gli arresti fatti siano ancora mantenuti [...] essi debbono al piú presto essere rimessi in libertà. Altrimenti si avrà ragione di pensare che il governo agisca solo perché si tratta di uomini che lo contrastano."[19] Sarà ancora Pertini a scrivere in Soprattutto la verità: "insorgiamo contro l'insinuazione adombrata dall"Unità,' a carico di Carlo Andreoni, e cioè che egli avrebbe fatto parte dell'OVRA. "[20] "L'Unità" aveva due giorni prima parlato di "neofascisti," "provocatori," "banditi da strada," integrando questi epiteti con un censimento delle "bande" completo del nome dei capi e dei relativi addebiti. Alcuni sono accusati, inspiegabilmente, e senza ombra di prove, di essere ex partigiani "agenti della monarchia," altri spie e collaborazionisti intrufolatisi nella Resistenza, altri infine "tiratori scelti." Non mancano accuse piú specifiche, come quella involontariamente ironica di "ladro di formaggio."[21] Infine "l'Unità," per dimostrare l'assoluta estraneità del partito, riguardo a un elenco di nominativi di arrestati per "bande armate" pubblicato dalla stampa borghese fornisce alcune utili indicazioni sui 135 incriminati: 50 non sono mai stati iscritti al PCI; 51 espulsi; 6 iscritti al PCI ma estranei alla formazione; 2 iscritti al PCI scomparsi senza lasciar traccia; 13 sconosciuti; 5 fermati ma poi rilasciati; 2 partigiani già fucilati; 2 nominativi duplicati.[22] La lista, che vuole dimostrare l'estraneità del PCI ai nuovi movimenti di Resistenza, prova tuttavia, senza alcun dubbio, la matrice di sinistra dei componenti dell'MRP. L'amnistia Togliatti Tanta severità e tanto zelo nella denuncia dei partigiani che non hanno deposto le armi, non trova riscontro in un uguale atteggiamento del PCI verso i criminali fascisti. La famigerata amnistia Togliatti del 1946 apre a molti "politici" le porte della galera: avviene cosí che le prigioni svuotate dei fascisti si vanno riempiendo di ex partigiani. Ancora una voltà è Pertini a prendere le difese dei compagni, con una interrogazione rivolta il 22 luglio 1946 al ministro della Giustizia Gullo, da poco subentrato a Togliatti, circa "le interpretazioni giurisprudenziali estensive nei confronti dei fascisti e restrittive nei confronti dei combattenti della libertà, del decreto di larga amnistia 1946.”[23] Nella sua qualità di ministro guardasigilli del governo che aveva emanato il decreto, risponde Togliatti, senza riuscire, malgrado la sua riconosciuta abilità dialettica, a mascherare il proprio profondo imbarazzo.[24] Piú tardi lo stesso Togliatti, nella seduta dell'Assemblea Costituente del 20 giugno 1947, presenta invano il conto alla DC dopo che questa, in obbedienza alle direttive degli Stati Uniti, aveva scacciato i comunisti dal governo: "Gli operai hanno fatto di piú [...] hanno moderato il loro movimento, l'hanno frenato [...] hanno accettato la tregua salariale, cioè una sospensione degli aumenti salariali senza che vi fosse la corrispondente sospensione degli aumenti dei prezzi. Hanno trattato recentemente la proroga di questa tregua, cioè hanno dimostrato capacità di direzione politica ed economica nella vita del paese. Nulla si può rimproverare agli operai, ai lavoratori, e quei partiti dei lavoratori che meglio li rappresentano non possono essere oggetto della manovra di cui sono fatti http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/capitolo%201.htm[07/11/2014 11:19:01]

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