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Breve storia della questione antisemita PDF

167 Pages·2019·1.048 MB·Italian
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Il libro Breve storia della questione antisemita Dai pogrom in Russia al caso Dreyfus, dall’idea di un “complotto sionista” ai lager nazisti, il XX secolo ha registrato un agghiacciante salto di qualità nella violenza degli attacchi. Proprio quando l’integrazione nelle società contemporanee sembrava un fatto acquisito, l’antiebraismo di matrice religiosa ha ceduto il passo all’antisemitismo fondato su presunte basi razzistiche. Finzi ci conduce alla scoperta di questo male oscuro strisciante nella storia dell’umanità, di cui l’antisemitismo moderno è solo una parte della vicenda. “Conoscere la punta dell’iceberg può essere utile a far cogliere a ognuno di noi, nella società e in noi stessi, pure gli elementi che ne compongono il grande corpo immerso. E anche a far riflettere sulla paura del da noi diverso che pervade le società persino in questo inizio del terzo millennio, meraviglioso per le straordinarie innovazioni tecniche ma ancora impregnato di una moltitudine di antichi, radicati pregiudizi.” L'autore Roberto Finzi ROBERTO FINZI (Sansepolcro, 1941) ha insegnato Storia economica, Storia del pensiero economico e Storia sociale negli atenei di Bologna, Ferrara e Trieste. Ha pubblicato con le maggiori case editrici italiane e in numerose riviste italiane e straniere. Suoi lavori sono stati editi in Argentina, Belgio, Brasile, Cina, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Spagna, Stati Uniti. Per Bompiani ha pubblicato Il pregiudizio (2011), L’onesto porco (2014), Asino caro (2017) e Il maschio sgomento (2018). Nota dell’editore Nel 1997 appariva nella collana di rigorosa divulgazione “xx secolo”, coordinata da Gabriele Turi, congiuntamente edita da Giunti e Casterman, in italiano e francese, poi tradotto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Cina, L’antisemitismo. Dal pregiudizio contro gli ebrei ai campi di sterminio di Roberto Finzi. Le pagine che seguono sono una rielaborazione vasta e profonda nonché un esteso aggiornamento di quel testo dovuti alle sollecitazioni di vari docenti universitari e insegnanti delle Medie Superiori che negli anni l’hanno trovato e lo trovano uno strumento utile al loro lavoro, ma ormai irreperibile. Nel contempo, le sue ristampe, le diverse traduzioni, le citazioni di cui è stato oggetto hanno mostrato la sua capacità di attrarre l’attenzione sia di un più vario pubblico, sia degli specialisti. ISBN 978-88-587-8164-7 www.giunti.it www.bompiani.eu © 2019 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia Piazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia Prima edizione Bompiani S.p.A.: gennaio 2019 Bompiani è un marchio di proprietà di Giunti Editore S.p.A. Prima edizione digitale: gennaio 2019 In ricordo di Mirella, sempre con me PREAMBOLO Da due millenni ormai gli ebrei sono oggetto di pregiudizi, odio, persecuzioni sanguinose, massacri. Così irrazionali che esiste anche il fenomeno dell’antisemitismo senza ebrei, cioè di manifestazioni di antisemitismo anche laddove non ci sono ebrei o da parte di chi un ebreo non ha mai visto. L’origine di questa avversione è senza dubbio religiosa. E tuttavia permane pure quando la società si “laicizza” o, per usare il linguaggio della Chiesa, si “secolarizza”. Si ammanta allora di “scientificità” e viene giustificata, spiegata, propagandata con argomenti “razziali”. Nelle ossessioni dei suoi nemici l’ebreo diviene così un bacillo distruttore dell’ordine sociale non in quanto “deicida” dal cuore chiuso al messaggio evangelico ma perché di natura carico di odio per gli altri e bisognoso d’imporre, in modo subdolo, il proprio dominio sull’intera umanità. Secondo lo schema interpretativo corrente, si passa in tal modo da un antiebraismo – o antigiudaismo – tradizionale di matrice religiosa a un antisemitismo fondato su pseudoscientifiche teorie razziste. In questa tesi c’è del vero, ma pure non poco schematismo. Senza il permanere e la continua ri- alimentazione nella coscienza collettiva delle immagini antiebraiche di matrice religiosa l’antisemitismo non avrebbe potuto avere una presa di massa. In realtà, si potrebbe dire che a livello di senso comune l’antisemitismo è colto, vissuto, rielaborato come moderna versione dell’odio verso gli “uccisori di Cristo”, il loro cuore pietroso, irrecuperabile alla bontà e all’altruismo. Le prove di questo giudizio si troveranno nelle pagine che seguono. Prima di proseguire è però necessaria una più puntuale sottolineatura lessicale. La storia delle lingue ci dice che “antisemitismo”, “antisemita” sono parole che compaiono tardi nei linguaggi europei, sul finire del secolo XIX. Pregiudizi e odio verso gli ebrei sono ben precedenti. Per questa lunga storia si è soliti usare, e anche qui lo si è già fatto e lo si farà ancora, un altro termine, “antigiudaismo” o “antiebraismo”, spesso, nella letteratura storica contemporanea, fungibile, intercambiabile con “giudeofobia”, sostantivo forgiato nel 1882 nello scritto Auto-emancipazione. Appello di un ebreo russo ai suoi fratelli dal medico e dirigente sionista Leon Pinsker, a indicare l’avversione verso gli ebrei come “una forma di ‘demonopatia’ […] un morbo psichico” che – gli fanno dire la sua convinzione sionista e la sua formazione positivista – “essendo una malattia psichica, è ereditaria e poiché si trasmette già da due millenni, è incurabile”. Non interessa qui dibattere sulla discutibile definizione di Pinsker, che di fatto indica l’antisemitismo come un alcunché che attiene alla “natura” di chi odia gli ebrei, quindi si pone sul suo stesso terreno. Né sul calco del suo termine, comparso molti decenni, se non un secolo dopo, a proposito dei musulmani, ovvero “islamofobia”, termine che sarebbe, per alcuni, stato coniato o comunque rilanciato e reso comune dai religiosi iraniani sciiti quando presero il potere nel 1979 a indicare i musulmani, specie le donne, che contestavano la loro ortodossia e che – soprattutto dopo l’esplosione del terrorismo fondamentalista islamico – oggi viene usato in modo più generale come avversione nei confronti dell’islam e dei suoi seguaci. È invece necessario mettere in luce che i diversi lemmi usati per definire l’avversione nei confronti degli ebrei rappresentano un cambio di paradigma, anche se i due schemi mentali in concreto non solo e non tanto coesistono ma si combinano. Come si legge nella settima appendice, del 2006, dell’Enciclopedia italiana: Nel primo caso, nella polemica di radice antigiudaica [antigiudaismo, giudeofobia], l’ebreo è combattuto fino a che resta tale e non sceglie la conversione. Nel secondo caso [antisemitismo], l’ebreo resta tale qualsiasi sia la religione che professa. Nel primo caso, l’ebreo è oggetto di ostilità per quello che crede, nel secondo caso per quello che è. Nel primo caso, l’identità ebraica è provvisoria, soggetta a mutazioni. Nell’altro, è definitiva, naturale. Riprenderemo tra un attimo il filo principale del nostro discorso. Va però prima ricordato il risultato di una ricerca sociologica, relativa all’Italia, edita all’inizio del 2010, su Permanenza e metamorfosi delle forme del pregiudizio: antisemitismo e islamofobia dopo l’11 settembre [2001] da cui emergono tra l’altro, oltre la permanenza di prevenzioni verso gli ebrei, “dati […] conturbanti”, vale a dire che solo il “14 percento [del campione analizzato] è privo di pregiudizio mentre quasi il 45 percento prova contemporaneamente sentimenti antisemiti e anti-islamici […], dato particolarmente interessante perché rileva come i due pregiudizi si sovrappongano in una percentuale significativa del campione”, un elemento che mostra come “non vi sia una distinzione […] tra le due forme di ostilità nella mente degli intolleranti e che ebrei e musulmani siano entrambi considerati degli estranei in grado di minacciare la nostra integrità sociale”. Più ottimista è un’altra indagine, francese in questo caso e relativa al 2016. Oltralpe ci sarebbe stata addirittura una crescita dell’indice di tolleranza verso gli altri proprio dopo l’attentato alle torri gemelle di New York. Ma, precisano i ricercatori, “il prevalere di disposizioni alla tolleranza o alla intolleranza, che coesistono in ciascuno di noi, è legato al contesto e al modo in cui le élites politiche, mediatiche e sociali parlano dell’immigrazione e della diversità”. Insomma, a contare sarebbero meno gli eventi in sé che non il modo in cui vengono inquadrati, proposti da chi gestisce il potere o, meglio, i poteri. Uno dei quali, e non il minore, è oggi la rete, Internet. La diffidenza, l’avversione, l’odio verso gli ebrei hanno dato origine a molte interpretazioni, specie in tempi recenti. La continuità e la violenza di fondo – sempre pronta a esplodere – di quell’atteggiamento di rifiuto hanno in sé qualcosa di misterioso. Anche perché delle azioni degli antisemiti e delle idee che li muovevano e li muovono si ha in generale una conoscenza per lo più frammentaria. Nella maggior parte dei casi immersa, annegata in un’immagine consolatoria secondo cui quelle azioni e quelle idee altro non sarebbero che l’espressione, individuale o collettiva, di una follia che riporta chi ne è protagonista a uno stato primitivo, barbaro. Con ciò – a ben vedere – praticando una volta di più il razzismo. Come se esso fosse, per natura, patrimonio di quelle civiltà che si definiscono barbare, spesso per rifiuto – che è segno di paura – della diversità. Si dimentica – per lo più non involontariamente – che l’incapacità di capire l’“altro”, il da noi differente, l’avanzata e “superiore” civiltà dell’Occidente l’ha mostrata non solo nei confronti degli ebrei, verso i quali, tuttavia, si è sviluppata nei secoli un’avversione del tutto particolare. Un raffinato umanista spagnolo, Juan Ginés de Sepúlveda, scriveva nel 1547 che gli indigeni delle Americhe, scoperte cinquant’anni prima, erano “homuncoli nei quali a stento potrei riscontrare qualche traccia d’umanità”. E un uomo della statura intellettuale di Voltaire affermava nel pieno del “secolo dei lumi” che non solo non v’ha dubbio che esistano diverse “razze” umane ma che, quanto ai neri, “i loro occhi rotondi, il naso camuso, le labbra sempre grosse, la diversa forma delle orecchie, la testa lanosa e il grado stesso della loro intelligenza creano differenze prodigiose tra loro e le altre specie umane”. Di contro a Marco Polo, che soggiornò presso di lui fra 1275 e 1291 (e riferì le sue esperienze nel Milione), il gran khan dei mongoli, “barbari” sanguinari per eccellenza, Kublai – nipote del mitico, terribile Gengis Khan – spiega così perché onorava i riti e le feste di tutte le religioni del suo immenso impero: “Sono quattro i profeti che son adorati e a’ quali fa riverenza tutt’il mondo: li cristiani dicono il loro Dio esser stato Iesú Cristo, i saraceni Macometto, i giudei Moysé, gl’idolatri Sopomombar Can […] e io faccio onor e riverenza a tutti e quattro.” La coscienza europea, allora come dopo, seppe trovare in sé le forze e gli uomini in grado di combattere posizioni quali quelle di Sepúlveda e Voltaire, di vedere prima che la pagliuzza nell’occhio altrui la trave nel proprio, di capire o tentare di capire l’altro. Colpisce tuttavia che anche tale capacità critica, fino a tempi recenti, si sia applicata e si applichi complessivamente poco nei confronti del pregiudizio antiebraico, della sua persistenza, della sua estensione, della sua presenza proprio fra gli strati colti della società. Ho cercato di mostrarlo analiticamente in un volume edito nel 2011 per i tipi di Bompiani, Il pregiudizio. Ebrei e questione ebraica in Marx, Lombroso, Croce. Tre fra i massimi rappresentanti di tre grandi culture del nostro universo: il socialismo, il positivismo, l’idealismo liberale. Anche dopo la terribile esperienza della Shoah stereotipi antiebraici continuano a riaffiorare nelle viscere del “moderno” come veri e propri “riflessi pavloviani” nei luoghi e nei momenti più impensati. Nel 2000, ad esempio, usciva per Zanichelli, importantissimo editore scolastico italiano, una Enciclopedia storica – curata da uno studioso di vaglia, di sentimenti saldamente democratici, Massimo L. Salvadori – alcuni dei cui lemmi verranno poi riversati in rete quale supporto all’insegnamento della storia nelle scuole (in specifico per quanto stiamo per dire, si veda http://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/voce/463/antisemitismo). Non portava la voce “antigiudaismo” ma solo quella “antisemitismo”, il cui incipit è quanto mai indicativo: Atteggiamento di ostilità e di intolleranza nei confronti degli ebrei, che ne ha accompagnato la storia dall’epoca della diaspora fino ai nostri giorni […]. Esso è stato alimentato dal profondo senso

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