Ernst Jünger BOSCHETTO 125 Una cronaca delle battaglie in trincea nel 1918 Nel 1918 Ernst Junger, ventitreenne, è tenente nella compagnia incaricata di difendere il "Boschetto 125" dall'assalto delle truppe inglesi. Con sé, infilato nel tascapane, ha sempre un quadernetto su cui annota "in diretta" le esperienze vissute. E da quegli appunti nascerà, sette anni più tardi, questo testo, un racconto smagliante e insieme una straordinaria testimonianza sulla guerra. Titolo originale; "Das Waldchen 125" Ernst Jünger BOSCHETTO 125 Una cronaca delle battaglie in trincea nel 1918 Presentazione di Quirino Principe Traduzione di Alessandra Iadicicco INDICE Presentazione (di Quirino Principe) Boschetto 125 Note PRESENTAZIONE di Quirino Principe «Già i nostri più lontani antenati, che lottarono contro bestie gigantesche, devono aver avvertito che l'uomo è certamente un avversario d'altra natura, e anche per noi che siamo abituati a restare intere settimane in mezzo agli orrori, questo incontro rappresenta sempre la prova di forza più dura. E' sempre in questo confronto che si rende per la prima volta evidente il logoramento delle forze del combattente: se la truppa è ancora in grado di condurre a lungo la battaglia con la mitragliatrice, può già non essere più capace di sostenere lo scontro uomo contro uomo. Una battaglia infatti, non è vinta dalla mitragliatrice, ma piuttosto con la mitragliatrice, e tra le due cose c'è una grande differenza.» Il passo ci illumina, ma è un'illuminazione finale forse definitiva. Ci rivela meglio, di Junger, la verità che già negli ultimi vent'anni avevamo cominciato a intravedere, sempre più nitidamente disegnata, una volta caduti gli schermi e le transenne di una censura tanto ideologica quanto autolesionistica; poiché anche nel rapporto tra lo scrittore tedesco e l'"humanitas" europea è caduto un muro. Chi è il vero Ernst Junger? L'eroe di guerra, decorato con la croce «pour le mérite», massima onorificenza militare tedesca che soltanto rarissimi ufficiali subalterni ottennero nella prima guerra mondiale, lo scrittore che in un libro famoso e terribile, "Der Arbeiter" ("L'operaio"), scrisse che il crepitio delle mitragliatrici di Langemarck era una nuova prosa che attendeva di essere interpretata, oppure l'umanista (combattivo, non rassegnato) che non ancora conclusa la seconda guerra mondiale creò un furente imbarazzo al moribondo regime nazionalsocialista con il suo altissimo pamphlet "Der Friede" ("La pace")? Il filosofo della politica che, sempre nell'"Arbeiter", ipotizzava conclusa la "Ich-Zeit" e imminente l'avvento della "Wir- Zeit", l'età in cui sarebbe stato inevitabile dire «noi» e non più «io», oppure il solitario individualista degli ultimi scritti narrativi? A proposito di questa controversia che ha dominato e domina il fitto discorrere su Junger, sarebbe ragionevole osservare che l'esperienza della guerra in trincea ha un carattere interamente esistenziale, di grado zero sul piano ideologico, e che è vano rivestirla di spirito "konservativ" o, in alternativa, "illuministico": di "Kultur" oppure di "civilisation". In verità, è reale l'esistenzialità della situazione descritta in queste pagine, ma proprio questo carattere dà la risposta, poiché definisce la particolarissima "humanitas" jungeriana. Lungi dall'essere disumana, la guerra è il più radicalmente umano dei conflitti, poiché in essa l'uomo non combatte contro forze immani e a lui estranee (il terremoto, la pestilenza, il deserto, la montagna, l'oceano in tempesta), bensì contro l'uomo: contro se stesso. "Das Waldchen 125" ("Boschetto 125"), quasi ingrandimento di una delle stazioni di sosta attraverso cui corre il flusso del folgorante primo libro jungeriano, "In Stahlgewittern" (1920, "Nelle tempeste d'acciaio"), uscì nell'ottobre 1924 (ma editorialmente datato 1925) per i tipi di Mittler a Berlino. In quegli anni di guerra di trincea, in Francia, ogni volontario, narra Junger, portava nello zaino un quadernetto per farne un diario: ma, riempite le prime pagine, presto lo abbandonava in qualche acquartieramento. E' quasi una metafora: uno dei connotati forti di Junger scrittore è la perseveranza del "nulla dies sine linea". Questo libro, seducente e crudele, scava il terreno sotto l'efferatezza della storia. Dopo le traduzioni francese, inglese, spagnola e polacca, questa italiana colma una lunga attesa. BOSCHETTO 125 "Prima linea" Ogni volta che incomincio a scrivere su uno di questi esili quaderni che si possono così facilmente infilare in un tascapane, mi viene da pensare che, forse, non farò scorrere la matita sull'ultima pagina. Ne ho già completata un'intera serie con rapporti giornalieri, brevi osservazioni, rapidi disegni. Li tengo a casa, e immagino che più avanti, in tempi di pace, sarà bello poterli sfogliare in tutta tranquillità e intanto ricordare: così hai trascorso i tuoi giorni in quegli anni formidabili. A tratti la scrittura è tranquilla, vergata accuratamente con l'inchiostro, e allora immediatamente so: quella volta eri comodamente seduto in una delle piccole fattorie delle Fiandre o della Francia settentrionale. Oppure ti eri tranquillamente sistemato davanti al rifugio, fumando la pipa, disturbato al massimo dal frullare lontano degli ultimi uccelli in volo per compiere la ronda serale. Vengono poi segni scomposti e distorti, graffiati con la matita prima di un attacco nello spazio ristretto e sovraffollato di una qualche buca infernale, o scarabocchiati, alla luce vacillante di una candela, nelle interminabili ore di un cannoneggiamento pesante. Infine frasi annotate in appunti concitati, illeggibili, come la linea spezzata di un sismografo, concluse da lunghi svolazzi, come colpi di frusta inferti da una mano fremente: buttate