A Maria M., Leda R., Emma e Nello G., Gino C., Attilio V., Leonardo B., Gio vanni B., a tutti i vecchi amici che non ci sono più. PREMESSA Questa raccolta di saggi vede la luce dopo lunghe esita zioni, legate soprattutto alla perplessità di pubblicare mate riali che risalgono in larga misura a parecchi anni addietro. Tutti i saggi sono relazioni tenute a convegni: convegno sul sindacalismo rivoluzionario (Piombino, 1974); convegno per il centenario della morte di Bakunin (Venezia, 1976); conve gno sul sindacalismo rivoluzionario (Ferrara, 1977); conve gno per il settantesimo dello sciopero generale parmense del 1908 (Parma, 1978); convegno per il cinquantenario della morte di Malatesta (Milano, 1982); convegno per il centena rio della nascita di Corridoni (Corridonia, 1987). Ma, al di là delle occasioni diverse che ne hanno promosso la stesura, i vari contributi si articolano lungo tematiche omogenee e fanno riferimento, grosso modo, al medesimo quadro temporale, l'età giolittiana, con l'eccezione del saggio USI ultimo atto che si colloca alla fine dell'esperienza dell'Unione Sindacale Italiana, negli anni 1924-25. Se l'ango lazione dalla quale vengono letti gli avvenim~nti cambia di volta in volta e diversi sono i problemi messi a fuoco e le modalità di approccio, l'obiettivo di fondo è comune e può riassumersi nel tentativo di fissare in modo più preciso di quanto non fosse stato fatto in precedenza i contorni della nebulosa sindacalista, per individuare al suo interno alcune linee portanti, ipotizzare scansioni meno improvvisate, ren dere più limpidi i contrasti e le convergenze delle forze in campo sotto il comune denominatore dell'azione diretta. Come è noto, fino agli inizi degli anni Settanta, i contribu ti sul sindacalismo rivoluzionario non erano né numerosi né particolarmente consistenti e tendevano soprattutto a valu tare il fenomeno sindacalista in rapporto a qualcosa d'altro: il Partito socialista per quanto riguarda la fase iniziale 7 (analizzata poi complessivamente da Riosa nel suo volume uscito nel 1976), il fascismo per il suo supposto esito finale. Tutt'al più un certo interesse avevano suscitato le posizioni interventiste di una parte del gruppo dirigente dell'USI, ma l'esperienza dell'organizzazione, sia durante la fase della sua faticosa gestazione sia , µel corso della sua vicenda vera e pròpria, era decisamen(e- trascurata. Indipendentemente dalle valutazioni più o meno critiche, dai riconoscimenti o dai giudizi liquidatori, il sindacalismo rivoluzionario era un'immagine debole, i cui collegamenti con la realtà del movimento operaio apparivano episodici (fatta eccezione per il caso di Parma) o comunque frutto di situazioni particolari quando non della meteorica apparizio ne di qualche imbonitore sindacalista. Se maggiore attenzio ne veniva dedicata al sindacalismo teorico come variante del revisionismo (basti pensare al classico studio di Enzo Santa relli), ben scarso rilievo era dato al sindacalismo pratico degli organizzatori. Parma rimaneva l'«oasi>> sindacalista, una sorta di coltura in vitro, lo sciopero generale del 1908 il grande esperimento fallito. Non è certo caso di ripetere, qui, il contenuto dei cahiers de doléance dei primi anni Settanta, quando molti di noi, animati da uno spirito polemico non meno acceso di quello degli occasionali interlocutori, si cimentavano nel tentativo di modificare orientamenti che sembravano consolidati e di mettere in cri~i una lunga serie di luoghi comuni che ci sembravano imbrigliare la ricerca. Molta acqua è passata sotto i ponti. Numerosi contributi d( diverso taglio hanno offerto il materiale per consistenti approfondimenti. I conve gni di Piombino e di Ferrara hanno avuto il merito di intensificare il.. dibattito, di produrre nuovi studi, di gettare lo sguardo su realtà poco note, soprattutto sul piano interna- zionale. _. La valutaziòne complessiva sul sindacalismo rivoluziona rio si è fatta più equilibrata, maggiormente fondata, fonti poco consultate come «L'Internazionale», «La Conquista», per non parlare di «Guerra di classe», sono diventate di normale utilizzazione. Gli studi sul sindacalismo rivoluzio nario, inoltre, hanno profittato anche di una maggiore conoscenza delle esperie°'ze del sindacalismo riformista, delle approfondite ànalisi sulla CGdL di Pepe e Barbadoro e 8 di quelle sulle federazioni di mestiere di diversi autori. Io stesso non riesco a pensare alle mie prime ricerche sul sindacalismo rivoluzionario se non in stretta connessione con quelle che, parallelamente, conducevo sulla FIOM. Anche Idomeneo Barbadoro riconobbe più volte, nei nostri colloqui, la necessità di rivedere l'intera questione in vista della preparazione del suo monumentale lavoro sul movi mento sindacale italiano di cui purtroppo possediamo, a causa della sua prematura scomparsa, soltanto il primo volume, fino al 1908. Non ostante tutto questo, manca ancora una ricostruzione complessiva del sindacalismo che faccia seguito a quella di Riosa, dal 1907-08 in poi. E soprattutto manca Ùna storia dell'USI dalla sua fondazione nel 1912 alla sua soppressione, nel 1925, per decreto del prefetto di Milano. Tali lacune fanno sì che molti interrogativi rimangano irrisolti, che la matassa attenda ancora di essere dipanata. I saggi in questione non potevano allora nè possono oggi colmare queste lacune. Il loro taglio tematico limita l'am piezza del raggio. Erano e rimangono scavi parziali, in grado di fornire elementi e suggestioni, ma non di offrire un quadro complessivo. Raccogliergli insieme può risultare utile, rileggerli l'uno accanto all'altro può servire a ripensare l'intero fenomeno sindacalista. Certamente, in alcuni casi ( e mi riferisco in particolare al primo saggio) i contributi in questione possono apparire un po' datati, non tanto nel contenuto, che mi pare ancora attuale, quanto nel linguaggio. Ma si sa, nessuno riscrivereb be le stesse cose nello stesso modo, a più di quindici anni di distanza. Le valutazioni tendono a farsi più articolate, certe punte polemiche si smussano, si verifica insomma una sorta di decantazione dei giudizi. Recensendo il convegno di Piombino in «Studi Storici» Paolo Favilli mi rimproverava, bonariamente ma con acume critico, una eccessiva dose di spirito antiriformista. Aveva in parte ( ma solo_ in parte) ragione. Tuttavia il pregiudizio antisindacalista era, allora, ancora più forte, come chiariva bene Riosa nel suo interven to al convegno, e tendeva a mettere in ombra non tanto questo o quel dirigente, quanto quelle consistenti masse di lavoratori che al sindacalismo d'azione diretta avevano legato la loro volontà e il loro desiderio di emancipazione. 9 Inoltre, quando alcune delle critiche sindacaliste venivano accolte, spesso lo scopo non era quello di considerarle nella loro positività, ma di utilizzarle in modo strumentale per negare ad entrambi, riformismo e sindacalismo, la capacità di esprimere un compiuto livello di consapevolezza in vista della valorizzazione di un qualcosa di posteriore che sarebbe giunto, anni dopo, a risolverne le contraddizioni. C'era insomma, e ne sono tuttora convinto, la necessità di rendere le tinte più forti, di proporre immagini dai trattati marcati, per uscire da alcuni logori clichés che si perpetuavano, quasi per abitudine. Devo però riconoscere che già a Piombino la disponibilità degli intervenuti ad uscire dagli schemi fu uno dei non pochi meriti di quel primo convegno che, per molti di noi, degli allora più giovani, rimane una tappa importan te, oltre che un gradito ricordo. Il convegno di Ferrara, tre anni dopo, andò sicuramente più in là, nel grado di consape volezza e soprattutto nel tentativo di allargare il quadro alle diverse esperienze internazionali. L'uno e l'altro, comunque, rimangono dei punti fermi non tanto, o non solo perché fecero fare dei passi avanti alla ricerca sul sindacalismo rivoluzionario, quanto perché, così mi sembra oggi, contri buirono agli studi complessivi sul movimento operaio e sindacale italiano sottolineandone la natura complessa e quindi la necessità di continui approfondimenti in tutte le direzioni. Studiare il sindacalismo rivoluzionario significa anche, proprio per quella sorta di intercambiabilità che Procacci rilevava a Piombino, studiare il sindacalismo rifor mista, porre in evidenza non solo i punti di contrasto ma anche quelli di convergenza, gli innesti diversi come le comuni radici, approfondire in definitiva gli aspetti di una cultura ricca e differenziata qual è quella del socialismo italiano, al di là delle letture rigidamente ideologiche. A conclusione di questa breve premessa, devo chiarire alcuni punti. I saggi sono riproposti in ordine cronologico di stesura. Sindacalismo rivoluzionario italiano e modelli orga nizzativi: dal modello industrialista di Filippo Corridoni ai Sindacati nazionali d'industria (1911-1914) è apparso in «Ricerche Storiche», n. 1, 1975. La versione qui presentata è però leggermente diversa; presenta alcuni ampliamenti, so prattutto nelle note, e corregge alcuni evidenti refusi. Non è però attuale, risale al 1976-77. Oggi ho però operato qualche 10 taglio, soprattutto laddove si accennavano a lacune storio grafiche successivamente colmate (la FIOM, le lotte milanesi e torinesi del 1912-13, ecc.). Ho inoltre depurato leggermente il linguaggio, togliendo alcune di quelle espressioni «datate» a cui accennavo in precedenza, in particolare quei termini che mi appaiono adesso ridondanti. Bakunin tra sindacali smo rivoluzionario e anarchismo è stato pubblicato negli atti del convegno, Bakunin cent'anni dopo, L'Antistato, Milano, 1977. Anche qui qualche piccolo taglio e qualche integrazio ne di scarso rilievo. Sindacalismo rivoluzionario italiano e sindacalismo internazionale: da Marsiglia a Londra (1908- 1913J , apparso in «Ricerche Storiche», n. 1, 1981, è rimasto sostanzialmente immutato, con leggeri ritocchi. USI ultimo atto: il Convegno nazionale di Genova (28-29 giugno 1925) è ripresentato quasi identico a quello pubblicato in Lo sciope ro agrario del 1908: un problema storico, Grafie Step, Parma, 1984. Poche varianti presenta anche Errico Malate sta, l'organizzazione operaia e il sindacalismo, apparso in «Ricerche Storiche», n. 1, 1983. L'attività sindacale di Filippo Corridoni è invece inedito; in alcune parti riprende necessariamente il primo saggio, ma ho preferito lasciarlo inalterato per non rischiare di modificarne taglio e prospetti va. Non posso, a questo punto, fare ringraziamenti individua li. Sarebbero troppi. Mi limito perciò a ringraziare tutti coloro che hanno partecipato, con me, a queste iniziative e chi, talvolta in non facili condizioni, ha organizzato i convegni e ha pubblicato gli atti. Con alcuni di loro è nata anche un'amicizia. Un ringraziamento particolare a «Ricer che Storiche», al suo direttore ed alle sue redazioni. Senza di loro questo discorso forse non sarebbe iniziato. M.A. 11 Sindacalismo rivoluzionario italiano e modelli organizzativi: dal modello industrialista di Filippo Corridoni ai Sindacati nazionali d'industria (1911-1914). Nel quadro complessivo della storiografia del movimento operaio e sindacale il segno di lettura del sindacalismo rivoluzionario raramente ha superato i connotati dalla nega tività. Come ha dlevato il Foa, «sul sindacalismo rivoluzio nario la storiogrnfia sindacale ha ritenuto, in un senso peggiorativo, solo una parte del pensiero di Gramsci, quella che lo definisce 'un debole tentativo dei contadini meridiona li, rappresentati dai loro intellettuali più avanzati, di dirigere il proletariato'. Il sindacalismo rivoluzionario è stato quindi presentato come il sindacalismo dell'arretratezza ... , per giun ta intellettuale e piccolo-borghese» 1. Questa operazione riduttiva, comune non solo a molti cosiddetti storici «tradizionali», ma anche .a buona parte della storiografia «di classe» ci militante (valga l'esempio di Proletari senza rivoluzione di Renzo Del Carria 2), fissando il sindacalismo rivoluzionario alla sua iniziale fase agricola, legandolo strettamente a problemi di squilibrio produttivo nazionale («la questione meridionale»), rifiutando in definiti va una analisi accurata della sua composizione di classe per liquidarlo come espressione «della ribellione degli strati esclusi dalla protezione riformista» 3, viene completamente a 1 V. FoA, «Sindacati e lotte sociali», in Storia d'Italia, Torino, 1973, voi. 5, tomo II, p. 1800. La citazione di Gramsci suona integralmente: «Il sindacali smo rivoluzionario è l'espressione istintiva, elementare, primitiva, ma sana, della reazione operaia contro il blocco con la borghesia e per un blocco coi contadini e in primo luogo coi contadini meridionali. Proprio così: anzi, in un certo senso, il sindacalismo è un debole tentativo dei contadini meridionali, rappresentati dai loro intellettuali più avanzati, di dirigere il proletariato». Cfr. A. GRAMSCI, La questione meridionale, Roma, 1969, p. 144. 2 R. DEL CARRIA, Proletari senza rivoluzione, Milano, 1970. 3 V. FOA, «Sindacati e lotte sociali», in op.cit., p. 1800. 13 saltare la natura e la valenza politica della scelta maturata dal sindacalismo dopo la crisi e la caduta organizzativa degli anni 1908-1 O e soprattutto la prospettiva internazionale e internazionalista al cui interno il sindacalismo si mosse, a partire dagli anni Dieci. Provincializzare il sindacalismo italiano, relegandolo al ruolo di risultante specifica di situazioni e scelte economiche nazionali, cristallizzandone tutt'al più le proiezioni interna zionali alla sola copertura teorica del sorelismo, significa dimenticare l'esistenza, nel secondo decennio del secolo, di un progetto sindacalista internazionale costituito non tanto dai collegamenti istituzionali delle varie organizzazioni 4, quanto dalla circolarità dei cicli e delle forme di lotta, dei tempi di intervento e delle scadenze, della pratica e dei modelli organizzativi. Dato unificante è l'omogeneità della risposta all'attacco di un capitale che viene sempre più modellandosi, sul piano mondiale, lungo linee di sviluppo parallele e spesso convergenti che, con la Grande guerra, giungono all'aperto contrasto. Non è un caso infatti che la ripresa del sindacalismo rivoluzionario (Italia, Svezia, Stati Uniti, Norvegia), si attui su tempi brevi dopo la grande crisi economica del 1907-08, quando cioè il processo di concentrazione industriale e finanziaria, di formazione dei trust e dei cartelli coinvolge, seppur in diversa misura e gradazione, tutta la fascia dell'Oc cidente industrializzato, nellfl, fase più acuta di quello che è stato definito «il periodo classico dell'imperialismo». Gli anni che vanno dal 1909 al 1912 coincidono da un lato con la costituzione di diverse centrali sindacaliste e anarcosindaca liste (SAC svedese, CNT spagnola, USI italiana, primi nuclei sindacalisti portoghesi, FL neozelandese), dall'altro con la crescita e la ristrutturazione delle organizzazioni già esistenti (IWW statunitensi, NAS olandese, FUO della Svizzera Romanda, IWW australiani, WIIU canadesi, FORUrugua ya, FORArgentina e delle tendenze sindacaliste nei sindacati unitari (la maggioranza della CGT francese, la ISEL inglese, 4 Il riferimento è al Congresso sindacalista internazionale di Londra ( ottobre 1913), per il quale vd. Sindacalismo rivoluzionario italiano e sindaca lismo internazionale: da Marsiglia a Londra (1908-1913), cfr. infra p. 105 ss. 1,1 la corrente di Tranmael nella LO norvegese) 5. Alla base di un tale rilancio sindacalista, indice diretto dell'erosione di credibilità e di rappresentatività del sindacato riformista, stava l'aggressività tutta nuova del grande capitale, che l'urgenza di liquidare la crisi aveva portato a ridurre i propri squilibri interni con trasformazioni sul piano della propria composizione organica e con operazioni di centralizzazione e di concentrazione dei settori trainanti. Fu proprio il diverso rapporto tra fronti industriali e rappresentanze operaie, seillpre meno funzionali alle nuove strutture, a togliere al sindacato riformista il necessario ossigeno proletario e a dare respiro al sindacalismo rivolu zionario, che le pesanti sconfitte del 1907 e 1908 (da Argenta, a Milano, a Parma, ecc.) sembravano avere definitivamente soffocato. E se prima della crisi si poteva pensare ad un sindacalismo come «anticipazione teorica», come area di dissenso intellettuale tesa a sfruttare le smagliature prodotte si all'interno del riformismo politico e sindacale, ma con tenui agganci con le realtà di classe, non era più possibile dopo ignorare come tale rilancio fosse direttamente propor zionale alla crescita di una volontà operaia autonoma volta a rivendicare una autentica unità dei comportamenti comples- 5 Cfr. a titolo esemplificativo: Per la Svezia: K. Bergkvist ~ E. Ardvidsson, SAC 1910-1960, Jubileumskrift, Stockholm, s.d.; Les Syndicats en Suède, in «Notes et Études Documentaires», 30 juillet 1973. Per la Spagna: J. GOMEZ CASAS, Storia dell'anarcosindacalismo, Milano, 1975; X. Quadrat, Sindicalismo y anarquismo en Catalufia (1899-1911). Los origines de la C.N.T., Madrid, 1979. Per il Portogallo: M.J. de SOUSA, O sindicalismo em Portugal, Porto, 1972; C. DA FONSECA, Introduction à l'histoire du mouvement libertaire au Portugal, Lausanne, 1973. Per l'Olanda: C. LAMMERS, De Vakbeweging en haar problemen, Amster dam, 1951; G. HARMSEN - B. REINALDA, Voor de bevrijding van de arbeid, Neijmegen, 1975. Per la Svizzera: M. VUILLEUMIER, Le syndacalisme révolutionnaire en Suisse Romande, in «Ricerche Storiche», gennaio-giugno 1975. Per la Gran Bretagna: B. HOLTON, British Syndicalism 1900 - 1914, London, 1976. Per la Norvegia: H. FERRATON, Syndicalisme ouvrier et socialdémocratie en Norvège, Paris, 1960. Per l'Argentina: S. MAROTTA: El movimiento sindical argentino. Su genesis y desarollo (1907-1920), tomo II, Buenos Aires, 1961; D.A. DE SANTILLAN, La F.O.R.A., Livorno, 1979. 15