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Artemis Fowl: L'Incidente Artico PDF

163 Pages·2002·0.86 MB·Italian
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EOIN COLFER ARTEMIS FOWL L'INCIDENTE ARTICO (Artemis Fowl The Arctic Incident, 2002) Per Betty ARTEMIS FOWL UNA VALUTAZIONE PSICOLOGICA Estratto da Gli anni dell'adolescenza Artemis Fowl, il nostro soggetto, all'età di tredici anni già dava segno di possedere capacità intellettuali superiori a quelle di qualunque altro umano, dai tempi di Wolfgang Amadeus Mozart. Aveva sconfitto il campione di scacchi europeo Evan Kashoggi in un torneo on-line, brevettato oltre ventisette invenzioni e presentato il progetto vincitore della gara per la costruzione del nuovo Teatro dell'Opera di Dublino. Aveva anche creato un programma elettronico che dirottava milioni di dollari da svariati conti svizzeri al suo, falsificato almeno una dozzina di quadri impressionisti e alleggerito il Popolo di una notevole quantità d'oro. La domanda è: perché? Che cosa spingeva Artemis a ideare imprese criminali? Per rispondere, dobbiamo cominciare da suo padre. Artemis Fowl Senior era a capo di un impero criminale che si estendeva dai moli di Dublino ai vicoli di Tokyo, ma la sua ambizione era diventare un normale manager in regola con la legge. Così comprò un mercantile, vi caricò 250 000 lattine di Coca-Cola e partì per Murmansk, nel Nord della Russia, allo scopo di avviare un giro d'affari che avrebbe potuto rivelarsi vantaggioso per decenni. Purtroppo per lui, alla Mafia russa non piaceva l'idea che un riccone venuto dall'Irlanda conquistasse una fetta del suo mercato, così si affrettò a organizzare l'affondamento della Fowl Star nella baia di Kola. Artemis Fowl Senior fu dichiarato disperso, presumibilmente morto. Artemis Junior si ritrovò così a capo di un impero a corto di fondi e, nel tentativo di ricostituire la fortuna di famiglia, s'imbarcò in una carriera criminale che nel giro di due anni gli avrebbe fatto intascare più di quindici milioni di sterline. Questa consistente fortuna fu impiegata principalmente per finanziare una serie di spedizioni in Russia. Artemis si rifiutava di accettare la morte del padre, anche se ogni giorno che passava rendeva questa ipotesi più verosimile. Il giovane Fowl evitava la compagnia dei coetanei e trovava insopportabile passare il suo tempo a scuola invece che a progettare il prossimo crimine. Perciò, anche se durante il suo quattordicesimo anno di età trovarsi coinvolto nella rivolta dei goblin risultò per lui traumatico, spaventoso e pericoloso, fu probabilmente la cosa migliore che potesse capitargli. Perlomeno passò un po' di tempo fuori casa e incontrò parecchia gente nuova. È un vero peccato che per lo più si trattasse di persone intenzionate a ucciderlo. Rapporto del Dottor J. Argon, Psicologo Laureato, per gli archivi dell'Accademia della LEP PROLOGO MURMANSK, RUSSIA SETTENTRIONALE, DUE ANNI PRIMA I due russi si accostarono al barile fiammeggiante nel vano tentativo di combattere il gelo artico. Dalla fine di settembre in poi la baia di Kola non era un bel posto, e Murmansk lo era ancora meno. A Murmansk perfino gli orsi polari mettevano la sciarpa. Non c'era luogo più freddo... a parte Norilsk, forse. I due uomini erano tirapiedi della Mafia, abituati a passare le serate dentro BMW rubate. Il più grosso, Mikhael Vassikin, diede un'occhiata al falso Rolex nascosto dalla manica della pelliccia. «Quest'affare potrebbe congelarsi» disse, scrutando il quadrante subacqueo. «Piantala» replicò l'altro, un certo Kamar. «In fin dei conti è colpa tua se ci hanno sbattuti qui.» Vassikin lo guardò. «Prego?» «Gli ordini erano chiari: affondare la Fowl Star. Bastava farla saltare per aria. Sa il cielo se era un bersaglio abbastanza grosso. Un colpo nella stiva e il gioco era fatto. Invece no, il grande Vassikin ha centrato la poppa. E neanche si è degnato di usare un altro missile per finire il lavoro. Così adesso ci tocca cercare i superstiti.» «È affondata, no?» Kamar alzò le spalle. «Lentamente. Tempo a volontà perché i passeggeri si aggrappassero a qualcosa. Vassikin, il famoso occhio di falco! Mia nonna aveva una mira migliore.» Lyubkhin, Yakut dall'aria ursina nonché l'aggancio della Mafia nella zona, si avvicinò prima che la discussione degenerasse. «Come va?» Vassikin sputò sulla banchina. «Tu che ne pensi? Trovato qualcosa?» «Pesci morti e casse spaccate» rispose lo Yakut, offrendo a ciascuno dei due una tazza fumante. «Niente di vivo. Ormai sono trascorse più di otto ore. I miei uomini stanno passando tutto al setaccio, fino a Capo Verde.» Kamar tracannò un sorso e sputò disgustato. «Che roba è? Catrame?» Lyubkhin rise. «Coca-Cola calda. Dalla Fowl Star. Ne arrivano casse piene. Stasera siamo davvero nella baia di Kola.» «Ti avverto» disse Vassikin, versando sulla neve il contenuto della sua tazza. «Questo clima mi mette di pessimo umore, perciò non azzardarti a fare altre battute del genere. Ascoltare Kamar basta e avanza.» «Non per molto» borbottò il suo compagno. «Un ultimo controllo e chiudiamo bottega. Niente può sopravvivere in queste acque per otto ore.» Vassikin tese la tazza vuota. «Non c'è qualcosa di più forte? Un po' di vodka? So che hai sempre una fiaschetta nascosta da qualche parte.» Lyubkhin portò una mano alla tasca posteriore dei pantaloni, ma si fermò quando la ricetrasmittente che aveva alla cintura cominciò a crepitare. Tre volte. «Tre squilli. È il segnale.» «Che segnale?» «Che la squadra K9 ha trovato qualcuno» gridò Lyubkhin, correndo verso il molo. Il superstite non era un russo. Bastava guardargli i vestiti. Tutta roba su misura e della stoffa migliore, chiaramente proveniente da qualche sartoria dell'Occidente, o forse degli USA. Tutto sommato, i vestiti se l'erano cavata meglio di lui: l'uomo presentava tracce di congelamento a mani e piedi, aveva un ginocchio frantumato e il volto sfigurato da ustioni spaventose. La squadra di ricerca lo aveva trasportato da un burrone a tre chilometri a sud del porto su un'improvvisata barella d'incerata. Adesso tutti gli si affollarono intorno, pestando i piedi per vincere il freddo che s'infiltrava negli stivali. Vassikin si fece largo a gomitate e s'inginocchiò per dargli un'occhiata a distanza ravvicinata. «Di sicuro perderà la gamba» dichiarò. «E un paio di dita. E la faccia non ha un bell'aspetto.» «Grazie tante, dottor Mikhael» sbuffò Kamar. «Carta d'identità?» Vassikin eseguì un rapido controllo da borseggiatore. Niente. «Strano. Un riccone del genere dovrebbe avere un minimo di effetti personali, giusto?» Kamar annuì. «Sì, direi proprio di sì.» Si voltò verso gli uomini in attesa. «Vi do dieci secondi, poi siete nei guai. Tenetevi la grana, ma voglio tutto il resto.» I marinai ci pensarono su. Quel tizio non era grosso, però era un tirapiedi della Mafia russa, il sindacato del crimine organizzato. Un portafoglio di pelle sorvolò la folla e atterrò sull'incerata. Poco dopo fu raggiunto da un cronografo Cartier, d'oro con diamanti incastonati. Cinque anni di lavoro, per la paga media di un russo. «Saggia decisione» commentò Kamar, raccogliendo i beni recuperati. «Allora?» chiese Vassikin. «Ce lo teniamo o lo ributtiamo in mare?» Kamar tirò fuori dal portafoglio di capretto una Visa Platinum e lesse il nome. «Eccome, se ce lo teniamo» rispose, attivando il cellulare. «E ben coperto, anche. Con la fortuna che abbiamo, magari si becca una polmonite. Credi a me, non vogliamo che si ammali. È il nostro lasciapassare per la ricchezza.» Kamar era su di giri. Un fatto insolito, per lui. Vassikin si rialzò. «A chi telefoni? Chi è questo tizio?» Kamar selezionò un numero dalla memoria del telefonino. «Chiamo Britva. A chi vuoi che telefoni?» Vassikin impallidì. Era pericoloso disturbare il capo. Britva aveva l'abitudine di far fuori chi gli dava cattive notizie. «È una buona notizia? Gli telefoni per dargli buone notizie?» Per tutta risposta Kamar gli passò la Visa. «Guarda qua.» Vassikin se la rigirò fra le mani. «Non leggo l'Angliskij. Che c'è scritto? Che nome è?» Kamar glielo riferì. Un sorriso si allargò lentamente sulla faccia di Mikhael. «Sbrigati a fare quella telefonata» disse. CAPITOLO 1 LEGAMI DI FAMIGLIA La perdita del marito ebbe un brutto effetto su Angeline Fowl. Si rinchiuse nella sua camera, rifugiandosi nella propria mente e preferendo i sogni e i ricordi alla vita reale. Forse non si sarebbe mai ripresa se suo figlio, Artemis Secondo, non avesse fatto un patto con un elfo, Spinella Tappo: metà dell'oro sottratto al Popolo in cambio della salute della madre. Dopo la guarigione di Angeline, Artemis Junior concentrò i propri sforzi sulle ricerche del padre, investendo buona parte dei beni di famiglia in viaggi in Russia, spie locali e ricerche via Internet. Il giovane Artemis aveva ereditato una doppia dose dell'astuzia tipica dei Fowl, ma con la madre (assolutamente onesta, oltre che bella) di nuovo in circolazione, per lui divenne sempre più difficile portare a termine i suoi piani, ingegnosi quanto indispensabili a finanziare le ricerche del padre. Turbata dall'ossessione del figlio e preoccupata dagli effetti che gli ultimi due anni potevano avere avuto sulla sua mente, Angeline decise di affidarlo allo psicologo del collegio cui lo aveva iscritto. C'era da sentirsi dispiaciuti per lui. Per lo psicologo, voglio dire... ST BARTLEBY, COLLEGIO PER GIOVANI GENTILUOMINI, CONTEA DI WICKILOW, IRLANDA, GIORNO D'OGGI Il dottor Po si appoggiò allo schienale imbottito della poltrona, scorrendo rapidamente la pagina che aveva davanti. «Allora, signor Fowl, facciamo quattro chiacchiere?» Artemis sospirò, scostando i capelli neri dall'ampia fronte pallida. Avrebbero mai capito che una mente come la sua non poteva essere analizzata? Aveva letto più libri di psicologia di qualunque psicologo e, con lo pseudonimo di "dottor E Roy Dean Schlippe", aveva perfino pubblicato un articolo sulla "Rivista degli Psicologi". «Sicuro, dottore. Parliamo della sua poltrona. È vittoriana?» Po accarezzò il bracciolo di pelle. «Sì. Un cimelio di famiglia. Mio nonno la comprò a un'asta da Sotheby. Pare che un tempo stesse a Palazzo... la preferita della Regina.» Un sorriso sarcastico stirò d'un centimetro le labbra di Artemis. «Ma non mi dica... Di solito a Palazzo non circolano falsi.» Le dita di Po si conficcarono nella pelle logora. «Falsi? Le assicuro, signor Fowl, che questa poltrona è assolutamente autentica.» Artemis alzò le spalle. «È una buona imitazione, glielo concedo. Ma guardi qui.» Lo sguardo di Po seguì il suo dito. «Queste cuciture. Vede il disegno sullo schienale? Fatto a macchina. Anni Venti al massimo. Suo nonno è stato imbrogliato. Ma che importa? In fondo non è che una poltrona. Un semplice oggetto, giusto, dottore?» Po mascherò la propria costernazione scribacchiando freneticamente. «Molto astuto, Artemis. Proprio come risulta dal suo file. I soliti giochetti. E ora possiamo tornare a occuparci di lei?» Artemis Fowl Secondo si raddrizzò la piega dei pantaloni. «C'è un problema, dottore.» «Davvero? E quale sarebbe?» «Il problema è che conosco le risposte dei libri di testo a ogni domanda che lei possa farmi.» Il dottor Po strapazzò il suo taccuino per un minuto buono. «Sì, Artemis, un problema c'è. Però non è quello» disse finalmente. Artemis quasi sorrise. Senza dubbio ora il dottore gli avrebbe somministrato l'ennesima prevedibile teoria. Quale disturbo mentale gli sarebbe toccato, oggi? Personalità multipla, forse, o coazione a mentire? «Il problema è che lei non rispetta nessuno al punto da trattarlo come un suo pari.» L'affermazione spiazzò Artemis. Questo dottore era più in gamba degli altri. «È ridicolo. Nutro il massimo rispetto per parecchie persone.» Po non alzò lo sguardo dal taccuino. «Davvero? Chi, per esempio?» «Albert Einstein. Di solito le sue teorie erano esatte. E Archimede, il matematico greco.» «E che mi dice dei suoi conoscenti?» Artemis ci pensò su. A lungo. Non gli venne in mente nessuno. «Allora? Nessun esempio?» «A quanto pare lei ha tutte le risposte, dottor Po. Perché non me lo dice lei?» Po controllò qualcosa sul computer portatile. «Straordinario. Ogni volta che la leggo...» «La mia biografia, presumo?» «Sì, spiega molte cose.» «Per esempio?» chiese Artemis, interessato suo malgrado. Il dottor Po stampò una pagina. «Per cominciare c'è il suo... dipendente, Leale. Una guardia del corpo, mi par di capire. Un compagno poco idoneo, per un ragazzo impressionabile. Poi c'è sua madre. Una donna meravigliosa, ma assolutamente incapace di esercitare il minimo controllo su di lei. E, per finire, suo padre: da quanto risulta, da vivo non le ha fornito un gran bell'esempio da seguire.» La frecciata andò a segno, ma Artemis non aveva intenzione di lasciarlo capire. «Le sue informazioni sono sbagliate» disse soltanto. «Mio padre è vivo. Disperso, ma vivo.» Po controllò i suoi appunti. «Davvero? Avevo l'impressione che fosse scomparso da quasi due anni. E che il tribunale l'avesse dichiarato legalmente morto.» «Non m'importa cosa dicono i tribunali o la Croce Rossa» rispose Artemis impassibile, anche se il cuore gli martellava. «È vivo, e io lo ritroverò.» Po scribacchiò qualcos'altro. «E se anche tornasse? Ha intenzione di seguire il suo esempio? Di diventare un criminale come lui? O forse lo è già?» «Mio padre non è un criminale» sbottò Artemis. «La spedizione di Murmansk era assolutamente legale.» «Ha evitato la domanda, Artemis» disse Po. Ma Artemis ne aveva abbastanza di quel tipo di domande. Tempo di ricorrere a un piccolo trucco. «Dottore!» esclamò. «Questo è un punto dolente. Per quanto ne sa lei, potrei soffrire di depressione.» «Possibile» abboccò subito Po, avvertendo una breccia. «È così?» Artemis si nascose la faccia fra le mani. «È mia madre, dottore.» «Sua madre?» lo incalzò Po, sforzandosi di mascherare l'eccitazione. Quell'anno Artemis aveva già provocato il ritiro a vita privata di una mezza dozzina di psicologi del St Bartleby. A dire il vero, anche Po era sul punto di fare fagotto. Ma ora... «Mia madre, lei...» Po s'irrigidì sulla falsa poltrona vittoriana. «Sua madre...?» «Mi costringe a subire queste ridicole sedute, e i cosiddetti psicologi della scuola sono poco più che idioti benintenzionati forniti di laurea.» «Molto bene, Artemis» sospirò Po. «Faccia come preferisce, ma non troverà mai pace se continua a sfuggire i suoi problemi.» La vibrazione del cellulare risparmiò ad Artemis ulteriori analisi. Soltanto una persona aveva quel numero. Lo prese dalla tasca e rispose. «Sì?» «Artemis. Sono io.» La voce di Leale. «Ovviamente. Al momento sono impegnato.» «Abbiamo ricevuto un messaggio.» «Da dove?» «Non lo so con esattezza. Ma riguarda la Fowl Star.» Un brivido percorse la spina dorsale di Artemis. «Dove sei?»

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