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Ars moriendi PDF

233 Pages·2016·1.67 MB·Italian
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Il libro P OMPEI, 47 D.C. UNA CITTÀ VIVACE E CAOTICA, ANCORA IGNARA DEL destino di morte e gloria che l’attende. Il Vesuvio nasconde la propria furia e per le strade è un ribollire di commerci e incontri, non tutti approvati dai pochi superstiti rappresentanti del severo mos maiorum. Protagonista di questa spumeggiante vita mondana è l’avvenente cortigiana Fortunata. Ma la sua bellezza non vale a salvarla dalla crudeltà di uno spietato assassino che uccide le prostitute di Pompei. A nulla sono servite le amicizie altolocate della donna, che tempo prima era stata la favorita di Claudio. Profondamente turbato da questa morte, l’imperatore invia a indagare il senatore Publio Aurelio Stazio perché faccia luce sull’accaduto. E sarà proprio Aurelio a scoprire che Fortunata è solo l’ultima, in ordine di tempo, delle vittime di un efferato “Jack lo Squartatore” ante litteram. Ma non sarà facile svelarne l’identità e consegnarlo nelle mani dell’implacabile giustizia romana. DANILA COMASTRI MONTANARI ARS MORIENDI Indagine a Pompei Ars moriendi Ut fallas, ad mea sacra veni. OVIDIO,Ars amandi A tutti coloro che si battono contro il tempo, l’incuria, i furti, i vandalismi e l’esiguità di risorse economiche per studiare Pompei e tramandarla ai posteri. Personaggi PUBLIO AURELIO STAZIO senatore di Roma CASTORE il suo segretario IPPARCO DI CESAREA medico POMPONIA ricca matrona VETUZIO PLACIDO gestore di un thermopolium LUCIO VETUZIO PLACIDO* figlio di Vetuzio GLICERA prima vittima dello Squartatore SEPURIO ORBATO procuratore dei Tiburzi SOFONISBA seconda vittima dello Squartatore FORTUNATA terza vittima dello Squartatore VELASIA quarta vittima dello Squartatore VELASIO CUMANO padre di Velasia CARINA serva di taverna ESQUILLINO BELLO sarto MARGARITA ragazza misteriosa SANDELIO SANDELIANO mercante di origine cilicia RICINO vecchietto arzillo VINDIX gladiatore LUCCIO POZIO vetraio GNEO CULLEOLO AFRO decurione PUSTULA cerusico AULO TIBURZIO PIO ex decurione MULVIA nuora di Aulo Tiburzio Pio e madre di Velasia FABIO E FLACILLA nobili decaduti LINDORO operaio al Castellum Aquae SARA ancella di Fortunata MARCO SETTIMIO OCCIO decano dei decurioni GAIA AMANDA moglie di Occio TERZA E SESTA figlie minori di Mulvia CACO birocciaio ABINERRICO* fabbricante giudeo di garum NUCERINO giovane schiavo GESSIO AMPLIATO padrone della vetreria figlio di Gessio figlio di Gessio PUBLIO GESSIO AMPLIATO* N.B.: i personaggi contrassegnati con l’asterisco sono veramente vissuti nella Pompei dell’epoca. I Pompei, anno 800 ab Urbe condita (anno 47 dopo Cristo) Prima giornata Era il primo pomeriggio di un brumoso mattino di febbraio quando due cavalieri si affacciarono alla Porta di Ercolano, in quel di Pompei, seguiti da una decina di muli carichi di bagagli. «Bello, eh?» disse il senatore Publio Aurelio Stazio additando il Mons Vesuvius alle loro spalle, verde di vigneti abbarbicati fino alla cima. «Sei certo che ci sia da fidarsi? Dicono che un tempo fosse un vulcano» si inquietò il suo segretario alessandrino, a cui piaceva sempre esagerare i pericoli. «È spento da secoli, Castore!» lo canzonò Aurelio, mentre spingeva il cavallo verso il varco nelle mura sannite che, pur rafforzate a dovere, nulla avevano potuto contro l’esercito di Lucio Cornelio Silla, ai tempi delle guerre civili. A differenza di Stabia, rasa al suolo dal feroce dittatore, Pompei aveva avuto fortuna, capitolando senza subire soverchi danni. Poco dopo veniva trasformata in colonia romana, assumendo il nome del suo conquistatore e quello della sua divinità protettrice: Colonia Cornelia Veneria Pompeiana. Il liberto disertò con lo sguardo il lontano monte, per appuntarsi rassicurato sul grosso fallo apotropaico che proteggeva l’incrocio: niente era efficace contro il malocchio più dell’organo maschile, che i pompeiani esibivano in buona vista nei trivi e sulle pareti delle case, dipingevano negli atri e nei peristili, tassellavano in preziosi mosaici nelle terme e nelle palestre. «Pompei, la città di Venere!» gongolò Castore, rinfrancato, mentre si riproponeva di onorare la Dea sacrificando in uno dei ventidue bordelli autorizzati della città, senza contare le centinaia di cubicoli, cenacoli e pergulae attrezzati per il meretricio. «È proprio a causa della morte di una devota di Venere che siamo venuti qui» spiegò il senatore. «Se non sbaglio, a chiederti di indagare è stato un altissimo personaggio, a cui sarebbe stato... ehm... impossibile dire di no» buttò lì il segretario, che nutriva i suoi bravi sospetti: sebbene di altissima dignità senatoriale, il padrone frequentava di rado le stanze del potere. Stavolta, invece, aveva disposto una partenza affrettata poco dopo essere stato ricevuto in gran segreto al Palatino da Claudio in persona, col quale era in amicizia fin dal tempo in cui l’imperatore viveva da privato cittadino ai margini della sua orgogliosa famiglia. Non era un mistero per nessuno che Claudio – negletto rampollo dei Giulio- Claudi divenuto ora reggitore del mondo – ai tempi della sua infelice gioventù di invalido si facesse confortare da semplici donne di strada, per le quali aveva conservato gratitudine e affetto. Dopo l’ascesa al trono dei Cesari e il matrimonio con la bellissima e aristocratica Valeria Messalina, il buon Claudio si era dunque preoccupato di provvedere alle antiche amanti, assicurando loro i fondi per ritirarsi dignitosamente dalla professione. Così, l’ultima delle sue compagne – una liberta semianalfabeta ma di grande sensibilità e intelligenza – aveva scelto di far ritorno alla città campana dov’era cresciuta, per godersi in pace il gruzzolo fornitole dal potente protettore. «Si faceva chiamare Fortunata, vero?» si informò Castore che, dopo essersi sobbarcato un massacrante viaggio a cavallo, riteneva di avere diritto a qualche spiegazione. «Sì» confermò Publio Aurelio. «Era il suo vero nome: Claudio l’aveva riscattata dalla schiavitù, intrattenendo poi con lei una lunga e soddisfacente relazione. Ora che la poveretta è stata ritrovata uccisa, mi ha chiesto di indagare, affinché il delitto non rimanga impunito.» «Ed essendo Messalina all’oscuro della missione, dovrai adoperarti per evitare ogni pubblicità» concluse Castore. «Almeno per un po’» ammise il senatore. «Naturalmente i decurioni sono al corrente del nostro arrivo, ma per dare meno nell’occhio ho deciso di risiedere a una certa distanza dal Foro: la domus in cui prenderemo alloggio si trova sul decumano massimo inferiore, non lontano dalla Porta di Sarno. Appartiene a un fedelissimo di Claudio, richiamato appositamente a Roma per lasciarci campo libero.» «Non illuderti di passare inosservato, domine» lo disilluse il segretario. «La provincia è pettegola e ci penseranno i vicini a far circolare la notizia del nostro arrivo. In men che non si dica, li avremo tutti tra i piedi a spiare!» «Ne ho tenuto conto, Castore. La casa confina con la praedia di Spurio Felice,

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