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api e miele nel mediterraneo antico PDF

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API E MIELE NEL MEDITERRANEO ANTICO Abstract L’importanza del miele come sostanza culturalmente ed economicamente rilevante nel mondo antico non è stata ancora del tutto indagata. Il miele e le api sono nondimeno presenze assidue e trasversali ai generi e alle tipologie di fonti antiche greche e romane, ed è pertanto da esse che una ricerca sull’argomento deve partire. I manufatti, le tec- niche e i concetti descritti dagli antichi devono però essere relazionati con cautela al ma- teriale archeologico rinvenuto, per fare ciò pare indispensabile un approccio che tenga conto delle nozioni biologiche, etologiche e zootecniche di base. Attraverso quest’ottica sono state ricapitolate le evidenze materiali provenienti dal bacino del Mediterraneo e concernenti gli strumenti e le strutture relative all’apicoltura, dalle arnie agli apiari, per il lungo arco cronologico che va dall’età del bronzo alla tarda antichità. Ciò è possibile per la tematica apicola grazie alla conservatività delle tecniche, strettamente legate ai severi dettami della natura fino alla rivoluzione ottocentesca delle arnie razionali a te- lai mobili del reverendo Langstroth. Sono inoltre analizzati gli utilizzi più frequenti del miele per come descritti dalle fonti letterarie nonché le implicazioni di api e miele nella ritualità e nel simbolismo della morte, del genere e della regalità, sebbene i risultati sia- no scarsi data la povertà dei riscontri archeologici e la limitata attenzione di cui questo argomento ha fin ora goduto. The importance of honey as a cultural and economic relevant substance in the ancient world has not yet been fully investigated. Honey and bees shown nevertheless an assid- uous and transversal presence in different kinds and types of ancient Greek and Roman sources, therefore an exploration of the archaeological sources concerning honey and the honeybees, cannot leave out literary sources as a starting point. The artifacts, techniques and concepts explained by the ancients has to be related carefully to the archaeological material found and it is essential to approach them considering the basic biological, etho- logical and zootechnical notions. By this perspective known Mediterranean material evi- dence concerning the beekeeping, starting from hives to other beekeeping tools and the apiaries, are summarised for the very long period from Bronze age to late Roman age. This has been possible thanks to the conservativeness of the beekeeping techniques, due to the strict rules imposed by the nature until the 19th century when Langstroth movable frames’ revolution occurs. Furthermore are analysed the most relevant uses of the honey as de- scribed by written sources and the implications of bees and honey in the ritual and sym- bolism of death, gender, and royalty, although the results are poor due to the poverty of the archaeological evidence and the limited attention that this topic has so far enjoyed. Nella quotidianità del mondo mediterraneo antico il miele ha certamente avu- to un ruolo di assoluto rilievo: in primo luogo come alimento, ma anche come sostanza dalle proprietà magiche e farmacologiche e nondimeno come vettore di significati simbolici e metaforici. In ogni ambito sua compagna naturale è la sua produttrice, l’ape, le cui peculiarità etologiche e biologiche non fanno che ac- crescerne la ricchezza semantica e vanno pertanto conosciute. La curiosità che Acme 1/2014 p.7-50 - DOI 10.13130/2282-0035/3869 8 Matteo Bormetti questo argomento può suscitare è scarsamente appagata dalla conoscenza che di esso singoli campi di studio possono fornirci. Se le fonti letterarie delineano un quadro piuttosto ricco dei vari aspetti della questione, è pur vero che non ci consentono che una visione parziale, da completare con i dati forniti dalle scar- se testimonianze archeologiche, la cui interpretazione è debitrice dei confronti etnografici. Si intende pertanto in questa sede proporre un’analisi delle tecniche apicole antiche, degli svariati utilizzi del miele ed infine, attraverso alcune esem- plificazioni, dei valori che api e miele assumono nella ritualità, nella rappresen- tazione del potere nonché dei loro significati simbolici. 1. L’APICOLTURA1 1.1 LE API: BIOLOGIA, HABITAT E CONSEGUENTE GEOGRAFIA DELLA PRODUZIONE Volendo reperire e analizzare le tracce materiali della produzione del miele, al fi- ne di studiarne l’influsso sulla cultura mediterranea, è assolutamente indispensa- bile individuare dove questa attività fosse praticata e in quale misura. La specie che ci interessa, poiché l’unica sfruttata per la produzione del miele nell’area studiata, è l’apis mellifera, nativa dell’Asia centro-meridionale2 con un vastissimo areale di diffu- sione che si estende, già prima della sua artificiale introduzione nel Nuovo Mondo, a tutta l’Africa, il Vicino e Medio Oriente e l’Europa con l’esclusione della Scandinavia3. In quanto animale sociale l’ape è parte di una comunità, detta sciame, che vi- ve all’interno di un alveare. L’alveare è il nido dell’ape, ovvero il luogo dove essa trova rifugio dalle intemperie, tiene al sicuro la prole e accumula scorte di cibo. L’alveare viene costruito in luoghi riparati, di solito chiusi e bui come cavità tra le rocce o tronchi d’albero cavi. L’oscurità sembra non essere indispensabile, tutta- via contribuisce alla conservazione delle scorte di miele4 e alla tenuta della cera. 1. Riguardo ai materiali archeologici legati all’apicoltura sono fondamentali i recenti lavori di Raffaella Bortolin, nei confronti dei quali è fortemente debitrice la prima parte di questo contributo. Vd. Bortolin 2008 e Bortolin 2011 2. Preston 2006, p.11. 3. Per l’areale di diffusione di questa e delle altre specie di api produttrici di miele si vedano i capitoli introduttivi di Crane 1983 o Crane 2001. 4. La luce distrugge il perossido di idrogeno contenuto nel miele, essenziale nella pro- tezione dalla decomposizione batterica del miele prima che abbia raggiunto un contenu- to in zuccheri sufficiente a svolgere la stessa funzione. Crane 1980, p. 19. API E MIELE NEL MEDITERRANEO ANTICO 9 L’alveare all’interno è costituito da una serie di favi, ovvero dei “fogli” costituiti da celle esagonali di cera, paralleli tra loro, di solito pendenti dall’alto e di forma analoga a quella dello spazio in cui sono contenuti. L’apicoltura è un’attività strettamente legata agli aspetti vegetazionali quindi climatici e ambientali, pertanto è possibile individuare le aree principali di pro- duzione incrociando i dati ambientali con le informazioni fornite dalle fonti sto- riche e dal quadro attuale della produzione. La totalità delle aree citate dalle fon- ti come produttrici di miele lo sono infatti tutt’ora, a volte ancora con l’impiego di tecniche tradizionali (etnograficamente documentate anche laddove sia stata poi introdotta l’arnia a telai mobili5) e ciò consente di ipotizzare che i cambia- menti climatici non siano stati tali da pregiudicare o alterare l’attività apistica6. Per quanto riguarda le testimonianze archeologiche di arnie ed apiari, anch’es- se dove presenti confermano il quadro delineato. Il fatto che i ritrovamenti non siano frequenti e che riguardino soltanto alcune aree circoscritte non deve trar- re in inganno: sono giunti a noi soltanto quegli oggetti e quelle strutture che, per la durevolezza del materiale o per frutto del caso, sono riusciti a passare in- denni il distruttivo scorrere del tempo. In ogni caso la scelta di materiali non deperibili è da considerarsi eccezionale in apicoltura. Attraverso le fonti lette- rarie, epigrafiche e toponomastiche è possibile distinguere alcune importanti aree di produzione7. In Egitto l’apicoltura è attestata almeno dal 2400 a.C.8 ed è documentata da tre rilievi9 e da iscrizioni di carattere commerciale, amministrativo o giuridico. I te- sti evidenziano la grande importanza di questa sostanza negli ambiti economi- co, medico e cultuale10. Nella titolatura faraonica è inoltre presente un geroglifi- co che ricorre in innumerevoli casi su monumenti dell’Egitto dinastico dal 3000 a.C al 350 a.C. circa: è l’ape simbolo del Basso Egitto11. Per quanto attiene invece al periodo tolemaico le testimonianze papiracee ci offrono la più grande docu- 5. Bortolin 2008, pp. 82-86. 6. Bortolin 2008, p. 39. 7. Raffaella Bortolin distingue otto macro-aree di produzione: Egitto, Grecia e Mare Egeo, Asia Minore e Mediterraneo orientale, Nord Africa, Spagna, Sicilia e Malta, Penisola italica e Isole tirreniche, Germania e Norico. Si veda: Bortolin 2008, pp.40-48. 8. Da un bassorilievo del tempio solare di Niuserra, Abu Ghorab cfr. Crane 1983, p. 36 9. Kueny 1950. 10. Si veda a tale proposito Zecchi 1997. 11. L’utilizzo dell’ape come simbolo regale implica tra l’altro una conoscenza della vita dell’alveare ottenibile soltanto con la pratica dell’apicoltura. Crane 1983, p. 43. 10 Matteo Bormetti mentazione testuale per quest’area (in età romana e bizantina la documentazio- ne diminuisce di nuovo) dandoci un’idea dell’organizzazione della produzione e della legislazione a riguardo12. Famosa per qualità e quantità di miele prodotto è la Grecia, ed in particolare l’Attica con il suo pregiatissimo e proverbiale miele di timo dell’Imetto13. Un al- tro miele famoso era quello dell’isola di Kalymnos14 nelle vicinanze di Kos15. Da un passo di Columella16 ricaviamo la notizia che la pratica apicola fosse diffusa anche in Acaia, donde poi gli sciami erano trasportati in Attica. Stessa cosa avve- niva nell’Eubea e nelle Cicladi con destinazione Sciro. La motivazione di questi spostamenti è da ricercarsi nel fatto che le isole a queste latitudini (quindi non soltanto quelle greche ma anche Malta, di cui si parlerà più avanti), sono intera- mente ricoperte di fiori in primavera ma sono caratterizzate da un aspetto arido e brullo d’estate, privo di fioriture significative. Le isole di maggiore estensione e varietà morfologica godono di una varietà climatica e vegetazionale superiore e perciò non necessitano dei metodi di apicoltura nomade; ne sono, caso mai, de- stinatari. Cipro, Creta17 e Rodi18 sono un esempio. Non stupisce quindi che l’area egea abbia più delle altre fornito riscontri archeologici di attività apicola con al- cuni ritrovamenti di arnie in terracotta e con l’importante caso della fattoria di Vari19 nella zona dell’Imetto. Strabone ci informa che il miele ispanico, di buona qualità20, e in particolare quello della Turdetania, era tra le materie prime esportate21 anche verso la peni- sola italica. Il rinvenimento, in Editania, di svariati siti di età pre-romana con un 12. Bortolin 2008, p. 41. 13. Del quale si ha una straordinaria quantità di citazioni: Colvm. 9,14,19; Ov. Ars. 2,517; Petron. 38,3; Mart. 5,37,10; 9,11,3; Gp, 15,7,1; Plin. Nat. Hist.. 11,13,32; Pavs. 1,32,1. 14. Ci sono numerose prove che la città di Theangela, presso Alicarnasso, fosse un im- portante centro di produzione del miele tra cui l’attestazione epigrafica del “trattato di Theangela” ed un’ansa bollata rinvenuta nei pressi di Alessandria: Bortolin 2008, p. 44 s. Si noti anche la prossimità geografica della costa caria all’isola di Kalymnos. 15. Particolarmente celebre, vantava un miele che poteva rivaleggiare con quello dell’Imetto o dell’Ibla. Si veda: Plin. Nat. Hist. 11,13,32; Gp. 15,7,1 e Str. 10,5,19. 16. Colvm. 9,14,19. 17. Creta e Cipro sono citate insieme ad altri luoghi in Plin. Nat. Hist. 11,14,33 per l’ab- bondante produzione, mentre in Gp. 15,7,1 per la qualità. 18. Chouliara Raios 1989, p. 81. 19. Jones - Graham - Sackett 1973, pp. 355-443. 20. Petron. 66,3. 21. Str. 3,2,6. API E MIELE NEL MEDITERRANEO ANTICO 11 alto numero di arnie rende probabile una pratica apicola di notevole entità già prima dell’ingresso di questa regione nel sistema economico romano22. Paragonabile al miele dell’Imetto per qualità e fama era il miele di timo di Ibla23. Più in generale in Sicilia si è sviluppata una tradizione apicola che non ha subito interruzioni fino all’età contemporanea. Anche Malta ha una lunga e ininterrotta tradizione apistica che ci è attestata dalla toponomastica, dalle fonti scritte e da quelle archeologiche. Per quanto concerne la toponomasti- ca, si hanno nomi che fanno riferimento alle api e al miele, come il nome greco dell’isola, Melita e i numerosi toponimi di origine araba attestati soprattutto nella parte settentrionale dell’isola24, zona poco popolata prima del XVII seco- lo. Proprio in questa zona, a Imgiebaħ (la cui traduzione è apiario), sono stati individuati tre apiari rupestri, forse di età punica. Sempre in quest’area, signi- ficativamente vicino alla villa di San Pawl Milqi, si trova Wied El Aafel, che si- gnifica eloquentemente “torrente del miele”25. Il nome di una cittadina vicina, Mellieħa, non sarebbe invece attinente in quanto derivante da una radice se- mitica significante il sale26. All’interno delle macro-aree di produzione del miele ci sono poi dei criteri per individuare siti di possibile (se non probabile) attività apistica, criteri non solo derivati dalla pratica attuale ma anche facilmente rintracciabili nelle fonti scritte, romane nello specifico, dato che della trattatistica agronomica in lin- gua greca poco ci è pervenuto27. Le fonti principali sul tema sono notoriamen- te Varrone28, Columella29, Plinio30 e, seppur all’interno del contesto poetico, 22. Bortolin 2008, p. 46. 23. Varro Rust. 3,16,13-14; Plin. Nat. Hist. 11,13,32; Mart. 13,105 e Gp. 15,7,1. 24. In quest’area vi è una delle maggiori concentrazioni di ville rinvenute. Cfr. Bru- no 2004, p. 43. 25. Ivi, p. 65. 26. Da http://www.mellieha.com/about_mellieha.htm. Nonostante ciò non posso pe- rò fare a meno di ritenere quanto meno suggestiva l’assonanza di questo toponimo con il termine greco mèli. 27. A riguardo possediamo solo gli scritti di Aristotele e i Geoponica bizantini. Plinio ricorda Filisco di Taso e Aristomaco di Soli per aver dedicato la loro vita all’apicoltura e averne scritto, purtroppo dei loro scritti nulla ci rimane. Cfr. Plinio. Nat. Hist. 11,9,19. 28. Varro Rust. 3,16,15. 29. Colvm. 9,5,1-2; 9,5,3 e 9,5,5. 30. Plin. Nat. Hist. 21,47,80. 12 Matteo Bormetti Virgilio31. Pur nella genericità delle considerazioni32 questi autori illustrano concordemente un identico paesaggio ideale per l’allevamento delle api. So- no prescritti luoghi ampi, asciutti e ventilati ma riparati da pioggia e vento33. È bene che le arnie siano collocate in zone isolate da altri animali e dall’uomo, che ci siano abbondanti piante bottinabili nel raggio di 1-2 km e disponibili- tà d’acqua nelle immediate vicinanze. L’ambiente ideale sembrerebbe quindi identificarsi in una valle fluviale isolata ricca di prati naturali o di alberi da frutto. Vanno poi predilette quelle località che presentano più di una fioritu- ra all’anno affinché la sopravvivenza della colonia sia assicurata e il raccolto di miele sia superiore in quantità. Per aumentare la produzione approfittando delle fioriture successive un metodo correntemente usato è quello dell’apicol- tura nomade, ovvero il trasporto degli alveari di località in località seguendo i ritmi delle varie flore a seconda dell’ambiente e dell’altitudine. Questo siste- ma è attestato in antico da un passo di Columella34, da un papiro greco di età ellenistica35 e da Plinio che narra, definendolo un fatto straordinario36, del tra- sporto delle arnie su chiatte lungo il Po nell’ager veronese37 e dell’impiego di muli al medesimo fine in Spagna38. 1.2 LA PRODUZIONE E LA RACCOLTA DEL MIELE: ARNIE, APIARI, UTENSILI Il miele è prodotto a partire dalle sostanze zuccherine che l’ape rinviene in natura, perlopiù nettare e melata39. Una colonia normalmente comincia a bot- tinare le fonti nettarifere più vicine, allargando a mano a mano che si esauri- 31. Verg. Georg. 4,8-12 e 4,18-24. 32. Sul carattere di letteratura di erudizione della trattatistica agronomica latina cfr. Marcone 1997, p. 17. 33. Per un esempio contemporaneo di orientamento delle arnie a seconda dei venti prevalenti cfr. Crane 1983, p. 41. 34. Colvm. 9,14,19. 35. P. Cair. Zen. 59520,10 (da Bortolin 2008). 36. Il termine usato è mirum, non mi sento di escludere nessuna delle varie accezio- ni del termine. 37. Plin. Nat. Hist. 21,43,73. 38. Ivi 21,43,74. 39. La melata è la secrezione zuccherina (di scarto) di alcuni insetti che si nutrono della linfa degli alberi. API E MIELE NEL MEDITERRANEO ANTICO 13 scono il raggio d’azione e spingendosi oltre per bottinare specie non presenti nelle vicinanze (fino a tre chilometri di distanza)40. L’ape è partecipe di coevo- luzione con le specie vegetali del suo vasto areale di diffusione e risulta esse- re uno dei principali animali impollinatori41, addirittura indispensabile per la sopravvivenza di alcune specie. Raggiunta la fonte, l’ape succhia la maggior quantità possibile di nettare e la immagazzina nell’ingluvie, dove cominciano i primi processi chimici di idrolisi del saccarosio in fruttosio e glucosio. Du- rante l’operazione un gran numero di granuli pollinici rimangono intrappo- lati tra le setole che ricoprono il corpo dell’ape, questi, oltre ad essere raccolti dall’insetto e destinati alla sua alimentazione, finiscono inevitabilmente per impollinare gli stigmi di altri fiori. Tornata all’alveare l’ape bottinatrice passa il carico a giovani operaie per trofallassi42. Queste poi lavoreranno il nettare introducendovi enzimi e riducendone il tasso di umidità. Il nettare così tra- sformato finisce la sua trasformazione in miele all’interno delle celle dove gli enzimi hanno il tempo di agire e il grado di umidità scende ancora grazie al calore43 e alla ventilazione prodotta dalle api stesse, che a tale proposito sven- tagliano le ali44. Una volta riempita una cella le operaie addette alla produzio- ne della cera procedono all’opercolatura. Per quanto riguarda le modalità di sfruttamento da parte dell’uomo bisogna innanzitutto distinguere tra attività di tipo predatorio e produttivo. La raccolta del miele “selvatico”, ovvero la predazione degli alveari presenti in natura, pre- cede ovviamente la pratica apicola. Le prime attestazione sicure della raccolta del miele sono le pitture rupestri del levante spagnolo. La prima ad essere indi- viduata nonché la più famosa è situata nella “Cueva de la Araña” presso Bicorp, 40. Sulle modalità di ricerca delle fonti nettarifere si veda Crane 1980, pp. 7-14. 41. L’impollinazione è il meccanismo con cui il polline o microspora passa dalla par- te maschile a quella femminile dell’apparato riproduttivo di uno o più esemplari della stessa specie appartenente alle divisioni angiosperme o gimnosperme. A seconda della specie o del caso il mezzo attraverso il quale questo avviene può essere il vento, l’acqua, o un animale (principalmente insetti, uccelli e pipistrelli, più raramente altre specie di mammiferi o molluschi). 42. L’ingluvie è detto anche stomaco sociale in quanto consente il trasferimento di cibo da un insetto all’altro (trofallassi), integrando elementi di socialità. La nutrizione per trofallassi è tipica degli insetti sociali ed alcune caste possono alimentarsi soltanto in questo modo, ne è un esempio l’ape regina. 43. La temperatura è quella ideale per aumentare la concentrazione di zuccheri otte- nendo una soluzione supersatura con solo il 18% di acqua. Crane 1980, p. 18. 44. Le operazioni di trasformazione del nettare in miele compiute all’interno dell’al- veare sono descritte in Crane 1980, pp. 15-19. 14 Matteo Bormetti nella provincia di Valencia45. Di datazione controversa ma sicuramente postgla- ciale46 (Fig. 1), rappresenta due figure umane che si arrampicano su delle funi per raggiungere un alveare situato in una cavità rocciosa identificabile per via delle numerose api che vi girano intorno47. Al Mesolitico e al Neolitico risalgo- no anche le altre pitture rupestri spagnole interpretate come scene di “caccia al miele” mentre non ci sono dati certi per il Paleolitico. È stato ipotizzato che alcune pitture all’interno delle grotte di Altamira, quindi databili al Paleolitico tra il 18.000 a.C. e l’11.000 a.C., possano essere associate alle api e alla raccolta del miele48. Le scene non sono affatto esplicite e rappresentano motivi a forma di scala e alcuni motivi simili ai formling del sud dell’Africa49: non essendoci né Figure 1 - Scena di raccolta del miele nelle pitture rupestri della Cueva de la Araña. Da http://www.abejas.org/noticias/2011/histor1.jpg. 45. Crane 2001, p. 19 s. 46. Bortolin 2008, p. 57. 47. Questa modalità di caccia è simile a quella dei Gurung del Nepal, che calano scale di corda dalla sommità di falesie alte centinaia di metri. Vd. Crane 1983, p. 30. 48. Crane 2001. 49. I formling sono motivi compositi di linee curve, di forme variabili riducibili ap- prossimativamente ad alcune di quelle della geometria euclidea (ellissoidale, circolare, etc.). Sono presenti soprattutto nell’arte rupestre San di Zimbabwe e Sud Africa. Per una descrizione accurata delle varie forme si veda: Mguni 2005, p. 38. API E MIELE NEL MEDITERRANEO ANTICO 15 figure umane né api, ed essendo la diffusione delle rappresentazioni apistiche altrimenti coerente con i cambiamenti climatici all’ingresso nell’Olocene, sem- bra lecito dubitare di questa ipotesi, tanto più che l’interpretazione dei formling come alveari è controversa50. La predazione del miele può avvenire in modo rudimentale infilando un ba- stone direttamente nel nido, ricavando così una piccola quantità di miele per uso personale, oppure allargando il buco di ingresso ed estraendo i favi. L’uso di entrambi questi metodi è stato osservato negli scimpanzé51, pertanto non richiede capacità cognitive o tecnologiche tali da impedirci di pensare che sia- no stati praticati in ogni momento della storia del genere homo, ogni qualvolta esso abbia condiviso l’habitat di una qualsiasi specie di ape produttrice di mie- le; eventuali eccezioni dovranno essere imputate a fattori culturali. Le uniche possibili rappresentazioni iconografiche della raccolta di miele selvatico in età storica vengono invece da un’anfora attica a figure nere proveniente da Vulci (540 a.C.), in cui quattro uomini sono ritratti interamente nudi mentre scac- ciano le api con dei ramoscelli al fine di sottrarre loro il miele (il cacciatore più a destra ha un favo in mano) e da un’anfora attica a figure nere di soggetto analogo attribuita allo “Swing Painter” e perciò ascrivibile al terzo quarto del VI secolo a.C.52. Si è abbastanza certi di questa interpretazione anche se non si può escludere che rappresentino l’inarniamento di uno sciame selvatico53. Al- trettanto grave incertezza si ha sulla quota cronologica in cui l’apicoltura fece i suoi esordi. Pare ovvio inquadrare l’apicoltura tra le attività di allevamento e certamente dal punto di vista formale è così. Tuttavia vi sono alcune importanti questioni da definire. L’apicoltura detiene uno statuto ambiguo poiché l’ape: • Non viene allevata per essere mangiata o per ottenere un prodotto secreto dal suo corpo (come il latte o la seta). • È tra i pochi animali a svolgere un lavoro di tipo “artigianale” trasformando il nettare in miele. • È indissolubilmente legata ai cicli di fioritura della flora che bottina e que- sto, insieme alle modalità di raccolta del miele, rende l’apicoltura simile 50. Per le ragioni a favore dell’identificazione come alveari si veda Crane 2001, pp. 37- 43, mentre per una rassegna delle varie interpretazioni e per quella come nidi di termiti si veda Mguni 2005. 51. Crane 2001, p. 8. 52. Giuman 2008, p. 139. L’anfora si trova nelle collezioni dell’Antikenmuseum di Ba- silea. 53. Bortolin 2008, p. 58. 16 Matteo Bormetti all’agricoltura. Ciò è alla base di tutta la terminologia antica riguardante la raccolta54. • Rimane, almeno fino alle più recenti scoperte tecniche e scientifiche55, un ani- male non domestico: la specie allevata è la stessa presente in natura e il fatto di costruire il proprio alveare in un’arnia artificiale è per lei assolutamente incidentale. Le cause di questa particolarità vanno ricercate principalmente nella natura di insetto sociale dell’ape. Ciò che qui preme sottolineare è il fatto che per sua stessa natura l’apicoltura rimane fino in tempi recenti in quello stadio transi- zionale tra la caccia e la produzione (proto-agricoltura, proto-allevamento) che doveva essere proprio del periodo di transizione tra Mesolitico e Neolitico56. Possiamo quindi ipotizzare che la nascita dell’apicoltura sia concomitante o suc- cessiva a questa fase o almeno che, come concordemente si ritiene per quanto attiene alle altre forme produttive, la stanzialità ne sia un prerequisito neces- sario. L’apicoltura nomade è invece un fatto successivo ed affine ai fenomeni di alpeggio e transumanza. In apicoltura viene utilizzata una vasta gamma di strumenti e soluzioni tec- niche che variano per motivi materiali e culturali a seconda dell’area geogra- fica e dell’epoca considerata. Il comune denominatore della pratica apicola di ogni tempo e luogo è l’arnia. Essa riveste pertanto, tra i resti di cultura mate- riale, un ruolo di assoluto rilievo tra gli indicatori della pratica effettiva dell’a- picoltura. Con arnia si intende un qualunque manufatto replichi le condizioni indispensabili per la vita di un alveare. In latino i due termini coincidono ed al- veare pare derivare da alveus (vaso di legno)57. Arnia è una definizione generica che comprende al suo interno una grande varietà di forme e materiali per cui corrispondono diversi accorgimenti e tecniche se non addirittura modi diffe- renti di intendere l’apicoltura stessa. Le condizioni ideali o quantomeno accet- tabili per la vita di un alveare in natura si trovano all’interno di alberi cavi e di cavità rocciose con preferenza dei primi soprattutto nelle regioni caratterizza- te da clima rigido, per banali motivi di isolamento termico. Le stesse vanno ri- cercate nella scelta del materiale da costruzione impiegato per la realizzazione 54. Giuman 2008, p. 72. La raccolta è definita in antico indifferentemente come ca- stratio, vindemia o messis. 55. Vannier 2002, p. 26. 56. Sulla domesticazione delle varie specie si veda: Brothwell - Brothwell 1969, pp. 35-50. 57. Da DELI – Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, a cura di M. Cortelazzo e M.A. Cortelazzo, Bologna 2008.

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miele per come descritti dalle fonti letterarie nonché le implicazioni di api e miele nella ritualità e nel bolism of death, gender, and royalty, although the results are poor due to the poverty of the archaeological B.A. Sparkers - L. Talcott, Black and plain pottery of the 6th, 5th and 4th ce
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