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antico nelle canzoni italiane della seconda metà del Novecento PDF

33 Pages·2017·0.14 MB·Italian
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La lira e il cantautore: l’antico nelle canzoni italiane della seconda metà del Novecento Abstract I cantautori degli ultimi decenni del secolo scorso hanno fatto ampio uso della storia antica: personaggi della storia o del mito, come Nerone o Eliogabalo; o situazioni storiche, come la vita a Bisanzio. L’analisi dei testi mostra come raramente si tratti di un accesso diretto alle fonti o alla storiografia del mondo antico. Si tratta molto spesso di un ricorso mediato da autori contemporanei, quali Borges, Brecht o Artaud, o della tradizione letteraria, come nel caso dell’Ulisse di Dalla, che si rifà a Dante piuttosto che a Omero. L’antico è spesso usato come luogo dove reperire metafore o suggestioni utili per presentare problemi della contemporaneità (si canta, ad esempio, di Eliogabalo per parlare di Pasolini, o di Annibale per mettere a fuoco il tema della illusione della purezza della razza). La mediazione più solida, però, è quella della scuola. I cantautori sono in genere allievi del liceo. Hanno studiato storia e letteratura antica: perciò le immagini e l’utilizzazione che fanno di quel periodo sono decisamente scolastiche. Quindi è significativa l’eccezione di Caparezza – che non ha frequentato il liceo – e forse per questo è l’unico nel nostro secolo a cantare di un mondo antico che per i suoi colleghi sembra, improvvisamente aver perso qualsiasi virtù ispiratrice. Sono solo canzonette ? Le chiamano canzonette. Eppure la musica pop è da almeno un secolo la colonna sonora della vita di milioni di persone, e spesso veicola presso il grande pubblico messaggi dei più svariati generi. Al pari del cinema, e oggi dei serial tv di successo, le “canzonette” sono state una presenza pervasiva nella società, e sono riuscite in passato a trasformare personaggi di nicchia e poco conosciuti (si persi, per esempio, al Carlo Martello di una celebre canzone di De Andrè) in figure familiari e note. Le “canzonette” hanno fotografato mode e modi di vivere (si pensi a Eskimo di Guccini), hanno lanciato messaggi politici e sociali, si sono trasformate in slogan e punti di riferimento. Se da diversi decenni lo studio delle “canzonette” e dei loro messaggi sociali ha assunto dignità accademica, è anche detto che gran parte degli studiosi si sono soffermati sugli aspetti letterari dei testi, ed hanno cercato di giustificare il fatto che alcuni cantautori sono da considerare, in virtù della loro abilità nello scrivere versi, al pari di veri e propri poeti “tradizionali”. Questo articolo non intende però analizzare la qualità letteraria dei testi dei cantautori: intende invece indagare come i riferimenti storici siano stati usati all’interno del “corpus” della canzone d’autore italiana, soffermandosi in particolar modo su i personaggi del mondo antico al fine di determinare come i personaggi antichi siano stati descritti e recepiti dai cantautori e in quale modo siano stati presentati al grande pubblico, al fine di capire quale immagine dell’antico sia “passata” attraverso questo strano e imprevisto medium: la canzone. 1. La presenza dell’antico nella canzone italiana d’autore Che cosa hanno in comune Marco Aurelio, Aiace, Ulisse, Nerone, Alessandro Magno, Eliogabalo, Annibale e tal Filemazio, astronomo alla corte di Giustiniano? Il fatto di essere tutti personaggi appartenenti al mondo antico, ma anche di essere tutti stati protagonisti di canzoni di cantautori italiani. Da Guccini a Dalla, da Vecchioni alle posse rap, la canzone italiana sembra mostrare interesse per l’antichità. Dopo i poeti, i tragediografi, i librettisti d’opera, anche i cantautori subiscono il fascino e la suggestione del mondo classico. In che modo ? Attraverso quali fonti ? Quali sono i personaggi che li colpiscono ? E perché ? Si può cercare di rintracciare alcune linee guida comuni a tutti i cantautori nella maniera in cui essi riutilizzano l’antico ? E, dato che i cantautori si sono fatti a volte portavoce di istanze politiche, è mai avvenuto che anche i personaggi antichi da loro reinventati siano stati caricati di nuove valenze, sfruttandoli per trovare agganci, polemici o meno, con il presente ? Insomma, come diceva Edoardo Bennato in una sua canzone, sono solo canzonette ? 1.1. Brevi cenni sulla storia dei cantautori Per conoscere i loro nomi basta scorrere le classifiche dei dischi più venduti. I loro album si continuano vendere bene anche a distanza di anni, perché diventati dei classici. I loro fan li seguono fedeli nel tempo. Sono i cantautori. Già, ma che cosa sono i cantautori ? Il termine è, in effetti, di interpretazione oscillante , e non soddisfa punto proprio alcuni degli artisti così etichettati. “Canzone d’autore è un termine infelice ed ambiguo, derivante dall’ancor più infelice eponimo cantautore” scrive infatti Roberto Vecchioni: “Autore di che ? Di canzoni belle, serie, impegnate, sociali, stilisticamente nobili. E chi lo dice ?”. Il nodo è effettivamente difficile da sciogliere. Ai fini di questa ricerca definiremo come cantautori un gruppo di autori di testi di canzoni, di cui spesso scrivono anche la musica, che quasi sempre interpretano i brani da loro scritti. I cantautori appaiono fra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60. Prima di questo periodo nella canzone italiana, melodica e legata agli stilemi interpretativi dell’opera lirica, ben raramente accadeva che autore ed interprete di canzone coincidessero. I cantanti dovevano possedere doti vocali notevoli, impostazione, dizione chiara; le liriche avevano un ruolo secondario, tanto che gli autori erano indicati con il modesto epiteto di parolieri. I primi a tentare di portare una ventata di novità nel panorama asfittico della canzone melodica furono un gruppo di musicisti di origine ‘colta’ che fondarono i ‘Cantacronache’ nel 1957, coinvolgendo nella stesura di canzoni parolieri di eccezione come Fortini e Calvino. I Cantacronache non mancarono di distinguersi per precise scelte di impegno politico, affrontando nelle canzoni temi sociali o avvenimenti contemporanei (come nella canzone di Fausto Amodei “Per i morti di Reggio Emilia”, composta in occasione dei moti popolari del 1960, che posero fine al governo d’intesa DC-MSI presieduto da Tambroni). Di poco successiva è la comparsa dei primi veri cantautori . Due le città che si presentarono come centro di irradiazione del fenomeno : la Milano di Jannacci – Gaber, dove si recuperavano le memorie legate ai canti del proletariato urbano, e la Genova di Paoli, Lauzi, e Tenco, più borghese, dove la tematica sociale passa in secondo piano, per lasciare il passo a canzoni più incentrate sulle crisi amorose o esistenziali, con richiami alla tradizione francese. Poco più recente è la cosiddetta “scuola romana”, che sarà animata da personaggi del calibro di De Gregori e Venditti, e nascerà attorno al Folkstudio, un gruppo in cui si fonderanno l’interesse per la tradizione gospel, statunitense ed americana (sarà il primo posto in Italia in cui si esibirà un giovanissimo e sconosciuto Bob Dylan) e quello per il recupero della tradizione popolare italiana. I cantautori, cui questa frettolosa panoramica non rende giustizia, coprono ormai l’arco di tre generazioni di fans. Ciò che accomuna tutti questi artisti è il continuo ed esplicito richiamo all’esperienza letteraria. La canzone dei cantautori nasce colta, figlia della poesia alta che riecheggia Edgar Lee Masters, Borges, Calvino, Gozzano, Montale. Proprio a causa di questa attenzione per la letteratura non stupisce di trovare in essa richiami a quella classicità in cui ogni cultura umanistica riconosce i suoi archetipi. Sempre nel DNA dei cantautori è possibile riconoscere anche la presenza della vena politica, della tendenza alla critica sociale. Gran parte dei cantautori hanno nel loro passato (molti anche nel loro presente) periodi di forte impegno. Talune loro canzoni sono diventate veri e propri inni politici. Quasi tutti sono stati vicini alle posizioni della sinistra, spesso estrema. Archetipi letterari classici, cultura umanistica, impegno politico a sinistra: questi elementi, fondendosi assieme, possono aver determinato una rilettura originale di episodi e personaggi antichi ? Parrebbe proprio di sì. I.2. I testi Le canzoni italiane che trattano di argomento antico sono poco più di una decina. Non moltissime, dunque, ma neppure poche: più di quante, ad esempio, siano state dedicate in specifico ad altri periodi storici particolari, come il Medioevo. Una bibliografia specifica sull’argomento non esiste, ovviamente. Sul fenomeno dei cantautori, infatti, è stato scritto molto, anche da filologi ed italianisti di fama. Tuttavia, come si è accennato sopra, si è puntato maggiormente sulla analisi stilistica di lingua e testi, al fine di determinare se e quando i cantautori possano fregiarsi a buon diritto del titolo di poeti. La questione, per quanto interessante, non verrà qui nemmeno lontanamente sfiorata. Ciò che verrà preso in esame saranno esclusivamente i testi riguardanti l’antichità classica, per appurare quale visione del mondo antico essi propongano, stabilire il suo grado di originalità, la dipendenza da fonti antiche o moderne, infine i problemi di rilettura legati al presente o alla propaganda politica. I testi presi in esame sono: La Genesi e Bisanzio di Francesco Guccini; l’intero Lp “La Buona Novella” di Fabrizio de Andrè; Meno male che adesso non c’è Nerone e La torre di Babele di Edoardo Bennato; Itaca di Lucio Dalla; Alessandro e il mare, Stranamore, Aiace e Giuda di Roberto Vecchioni; la Canzone del vino di David Riondino; l’intera operetta rock Eliogabalo di Emilio Locurcio; Atlantide e, cursoriamente, l’album L’imboscata di Franco Battiato; Nessuno degli Articolo 31 e infine Figli di Annibale e Black Athena degli Almamegretta. Come si nota anche solo da una lettura dei titoli l’antichità che viene riproposta dai cantautori comprende tanto la classicità pagana che la storia biblica e cristiana. Le canzoni che apertamente presentano richiami alla politica sono La Genesi di Guccini, Meno male che adesso non c’è Nerone di Bennato, L’Eliogabalo di Locurcio, Figli di Annibale e Black Athena degli Almamegretta. Delle altre canzoni, Giuda di Vecchioni e i testi dell’album La Buona Novella di De Andrè rappresentano un’interessante rilettura della storia evangelica attraverso fonti alternative (i vangeli apocrifi per De Andrè) o il dramma di un personaggio scomodo (Giuda strumento necessario alla salvazione, quindi forse vittima del progetto divino). Itaca di Dalla ed Aiace di Vecchioni presentano entrambi due personaggi della mitologia. Alessandro ed il mare di Vecchioni appare interessante per la scelta di tradire la verità storica sulla morte di Alessandro Magno ed immaginare una morte più consona alla gloria del re macedone. Stranamore di Vecchioni e Bisanzio di Guccini presentano invece due personaggi, Marco Aurelio e Filemazio, che possono essere considerati spettatori critici della fine del mondo antico. Epidermico, pur se atipico, il richiamo all’antico degli Articolo 31, che dipingono un Ulisse-Nessuno eroe dell’anonimato contro Polifemo, incarnazione del sistema che schiaccia. Interessante, infine, in Battiato il ricupero della tradizione platonica ed ermetica, in piena sintonia con le scelte misticheggianti di questo autore, che peraltro da qualche tempo sembra voler abbandonare la canzone di consumo, per battere la strada della musica ‘colta’ tout court. 2. L’antico dei cantautori 2. 1. Caratteristiche dell’antico nei cantautori Come si è detto sopra il corpus di canzoni che trattano argomenti connessi all’antichità classica o cristiana, se non è nutritissimo, non è neppure sparuto. Comparando i vari testi si possono trovare alcune caratteristiche comuni a tutti? Il primo punto da sottolineare è che, i personaggi scelti come protagonisti sono in genere abbastanza noti al grande pubblico. I cantautori parlano di avvenimenti ben conosciuti a chiunque sia in possesso di una cultura scolastica media. Non mancano però alcuni richiami che possono apparire più criptici, come la scelta di dedicare una operetta rock ad un imperatore non notissimo come Eliogabalo, come ha fatto nel ’77 Emilio Locurcio, o le citazioni a volte impervie cui si abbandona Battiato, che richiama testi di Platone o Eraclito. Va notato che tali scelte apparentemente difficili da far‘digerire’ al pubblico di massa sono però coerenti con l’ambiente in cui tali autori operano. Sia Battiato che Locurcio, infatti, si rivolgono ad un pubblico che potremmo definire ‘di nicchia’: un ben determinato settore di appassionati, nel caso di Battiato, avvezzi a citazioni tratte dalla mistica islamica, o dall’epopea di Gilgamesh cui lo stesso Battiato ha dedicato un’opera lirica rappresentata anni addietro alla Scala; nel caso di Locurcio il pubblico cui si rivolgeva era formato da un entourage anarchico, in cui scrittori come Pasolini ed Arnaud – autore di Eliogabalo -, maledetti e ribelli, erano letti ed eletti a modello. Il modo di presentare questi personaggi antichi non ha, in generale, alcuna caratteristica di spiccata originalità. Nessun cantautore propone una lettura totalmente rivoluzionaria del personaggio che elegge a protagonista del suo cantare. Questo non avere mai il coraggio o la capacità di liberarsi dello stereotipo ed arrischiare una interpretazione nuova è probabilmente un portato strutturale della canzone. Il cantautore, per quanto colto, per quanto controcorrente, per quanto rivoluzionario, non può prescindere dal fatto di creare canzoni per il grande pubblico. Ciò non impedisce tuttavia che talvolta il risultato dell’operazione sia assai piacevole e suggestivo. Come a livello di lingua poetica il cantautore spesso funge da tramite per la diffusione di innovazioni stilistiche nate nella poesia vera e propria, così anche sul piano dei contenuti i cantautori diffondono immagini di un’epoca o di un personaggio che fino a qual momento erano rimaste patrimonio degli specialisti. Le riletture dell’antico proposte, dunque, non saranno originali, ma neppure banali. Pertanto è comune a tutti la ricerca il presentare personaggi antichi che siano in qualche modo atipici rispetto all’immagine della classicità svenevolmente neoclassica o ruvida, retorica e fascisteggiante che molti di loro devono aver assimilato sui banchi di scuola. Così protagonisti di strofe di Vecchioni sono Marco Aurelio (Stranamore), imperatore controvoglia e filosofo per vocazione, o Alessandro Magno (Alessandro e il mare), non visto come il grande conquistatore del mondo, ma come un ragazzino che sceglie la morte per inseguire l’ultimo suo sogno, la conquista del mare e dell’infanzia perduta. 2.2. I cantautori e l’antico: fonti e suggestioni 2.2.1 Roberto Vecchioni: fra i classici e Borges Non è certo un caso che il cantautore in cui si ritrovano maggiori accenni all’antico sia Roberto Vecchioni, che nella vita è insegnante di greco e latino al liceo. Per Vecchioni l’antichità è fonte continua e dichiarata di ispirazione. E’ curioso notare però come queste suggestioni sembrino essere legate non tanto a citazioni di fonti antiche, quanto piuttosto alla lettura di poeti moderni, Borges soprattutto, il cui universo poetico è alla base di canzoni come L’Estraneo. Più interessanti sono le canzoni che mettono direttamente in scena personaggi dell’antichità. Il primo testo è Stranamore, dall’album Calabuig, Stranamore e altri incidenti del 1978: E l’alba sul Danubio a Marco parve fosforo e miele e una ragazza bionda forse gli voleva dire che l’uomo è grande, l’uomo è vivo, l’uomo non è [guerra ma i suoi generali gli rispondono che l’uomo è vino combatte bene e muore meglio solo quando è pieno. Nel commento a questa canzone Paolo Jachia identifica il Marco citato con l’imperatore Marco Aurelio, ipotesi è confermata dall’accenno a “i suoi generali”, altrimenti incomprensibile. Il Marco Aurelio di Vecchioni è dunque un imperatore antimilitarista, sognatore, ma incapace di opporsi colla sua sensibilità al rozzo ma pratico materialismo dei militari romani. La canzone, che si pone come un catalogo di tutti i possibili tipi di amore, anche aberranti, continua poi raccontando una aggressione da parte di alcuni fascisti, e passa poi a descrivere un altro quadro: Ed il più grande conquistò nazione dopo nazione e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione perché più in là non si poteva conquistare niente e tanta strada per un sole disperato e sempre uguale e sempre come quando era partito. Sull’identità di questo secondo personaggio non vengono dati indizi, ma la definizione “il più grande”, il racconto del lungo viaggio di conquista sotto il sole e lo stop forzoso dinanzi al mare fanno pensare immediatamente ad Alessandro Magno. In Stranamore, dunque, c’è la condanna da parte di Vecchioni sia dell’imperialismo romano che macedone, exempla topici di ogni forma di militarismo. Prima di Stranamore, Vecchioni aveva messo in scena un altro personaggio antico, Aiace, nell’LP Saldi di fine stagione, del 1972. La canzone ripropone la storia della follia di Aiace, che tenta di fare strage degli Achei che lo canzonano per la perdita delle armi di Achille, ma, accortosi di aver ucciso, accecato dalla follia, solo una mandria di buoi, si uccide. Il racconto si snoda ripercorrendo pari passo la scansione della omonima tragedia di Sofocle, anche se il rivale Odisseo non viene citato e i colpevoli della pazzia di Aiace sono qui gli Achei tutti. A parte la vena polemica, la canzone non pare nasconda altri significati se non la voglia di narrare la storia della sfortunato eroe omerico, ma può essere ben inserita nella esaltazione di una scelta elitaria, ‘classica’ come è classico il sentimenti dell’aidos che anima Aiace, contrapposto alla dabbenaggine del volgo che giudica senza capire. Viene da chiedersi se la mancata citazione del “gran nemico” che spinge Aiace al folle gesto, cioè Odisseo, sia frutto di una censura volontaria: nel corso dei secoli la cultura occidentale ha codificato Ulisse/Odisseo come “eroe buono” per eccellenza: è lui, in pratica, da Dante in poi, l’epitome di tutte le virtù dell’uomo moderno, eroe curioso di novità e pronto a sfidare il destino. Il mondo antico conosceva invece una versione meno “simpatica” di Ulisse. Il re di Itaca era anche noto per la sua capacità di tradimento e per la sua determinazione ad ottenere quanto desiderava a scapito anche di amici ed alleati, come ben illustravano le storie riguardanti Palamede (da lui fatto condannare con l’ingiusta accusa di tradimento per vendicarsi del fatto che lo aveva costretto a partecipare alla guerra di Troia), Filottete (che Ulisse non si sarebbe preoccupato di ingannare nonostante fosse ferito, pur di ottenere il suo arco, che avrebbe permesso la vittoria a Troia) e Aiace, defraudato delle armi di Achille. Il silenzio di Vecchioni sul responsabile della follia di Aiace in qualche modo potrebbe collegarsi a questa vulgata positiva che ha reso ormai il personaggio di Ulisse in pratica “inattaccabile”. In qualche modo la mentalità moderna non vuole sentire una storia in cui Ulisse gioca la parte del cattivo. Ma la ripresa dell’antico in Vecchioni non si ferma qui. Altro testo che si occupa di un personaggio greco è Alessandro ed il

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