ebook img

Anno 501 la conquista continua. L'epopea dell'imperialismo dal genocidio coloniale ai nostri giorni PDF

205 Pages·1993·2.038 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Anno 501 la conquista continua. L'epopea dell'imperialismo dal genocidio coloniale ai nostri giorni

Noam Chomsky ANNO 501, LA CONQUISTA CONTINUA. L’epopea dell’imperialismo dal genocidio coloniale ai giorni nostri. Prefazione di Lucio Manisco. Traduzione: Stefania Fumo - Serena Filpa. Titolo originale: "Year 501 the Conquest Continues". Copyright 1993 by Noam Chomsky. Prima edizione in lingua inglese South End Pess, Boston. Gamberetti Editrice, Roma 1993. Noam Chomsky. Anno 501, la conquista continua. INDICE: Prefazione di Lucio Manisco. * * * * * PARTE 1 - Vino vecchio in bottiglie nuove. Capitolo 1. La grande impresa della Conquista. • 1. La selvaggia ingiustizia degli europei. • 2. Abbattendo alberi e indiani. • 3. Gesti di benevolenza. Capitolo 2. I confini dell'Ordine Mondiale. • 1. La logica dei rapporti Nord-Sud: mele marce e stabilità. • 2. Italiani, meglio emigranti che comunisti. • 3. Il club dei benestanti. • 4. La fine della ricca alleanza. • 5. La spregevole regola dei padroni. • 6. La Nuova Era Imperiale. Capitolo 3. Nord-Sud/Est-Ovest. • 1. L'Urss, un'immensa mela marcia. • 2. Alla ricerca di un nemico. • 3. L'Est ritorna nel Terzo Mondo. • 4. Da Grenada a Panama, i trionfi del libero mercato. • 5. Dopo la guerra fredda. • 6. La linea morbida. PARTE 2 - I Sommi Principi. Capitolo 4. Democrazia e mercato. • 1. Libertà di sfruttare. • 2. Il volo del calabrone. • 3. Buone notizie dal libero mercato. • 4. Il keynesismo militare. Capitolo 5. Diritti umani e pragmatismo. • 1. Il fardello dei giusti. • 2. L'ancora indonesiana. • 3. Un raggio di luce su Giakarta. • 4. Indonesia. il caso è chiuso. 2 Noam Chomsky. Anno 501, la conquista continua. PARTE 3 - La stessa vecchia storia. Capitolo 6. Cuba, un frutto maturo da cogliere. Capitolo 7. Vecchi e Nuovi Ordini Mondiali: l'America Latina. • 1. Il Brasile, colosso del Sud. • 2. 1945, il Nuovo Ordine post-bellico. • 3. Democrazie limitate. • 4 In aiuto dei golpisti. • 5. Un vero successo americano. • 6. Il fondamentalismo monetario internazionale. • 7. Un altro candidato all'Oscar: il Guatemala. • 8. Stati Uniti, generosi per natura e tradizione. • 9. I ferri del mestiere dell'intellettuale di successo. Capitolo 8. La tragedia di Haiti. • 1. La prima libera nazione di uomini liberi. • 2. 200 anni di interventi umanitari. • 3. Il pericolo Aristide. Capitolo 9. Nuovi fardelli per l'uomo bianco. • 1. Liberia, Salvador: cavie da laboratorio. • 2. I nuovi schiavi del consumismo. • 3. I Cherokee, troppo civili per vivere. • 4. A scuola di bisogni. PARTE 4 - Amnesie occidentali. Capitolo 10. Quando si uccide la storia. • 1. L'eterno crimine di Pearl Harbor. • 2. Una colonia alle Hawaii. • 3. Alcune lezioni di correttezza politica. • 4 Un villaggio di nome My Lai. • 5. Il nostro spazio vitale. • 6. Perseguitati dai vietnamiti. • 7. Il mito di J. F. Kennedy. Capitolo 11. Il Terzo Mondo in casa. • 1. Lotta di classe e Conquista. • 2. Duello all'ultimo sangue con i sindacati. • 3. Democrazia, ultima carta. Bibliografia. 3 Noam Chomsky. Anno 501, la conquista continua. PREFAZIONE di Lucio Manisco Per ampiezza di visione storica, approfondimento di correlazioni socioeconomiche, corrosiva analisi politica e struttura unitaria "Anno 501, la Conquista Continua" si configura come punto di arrivo del lungo percorso intrapreso da Noam Chomsky nel 1968 con "Potenza Americana e Nuovi mandarini", e proseguito poi attraverso saggi fondamentali quali "Verso una Nuova Guerra Fredda" e "La Fabbrica del Consenso", fino a "Il Deterrente Antidemocratico" del 1991. Una "summa" del pensiero critico del più razionale ed eversivo "radical" statunitense che dall'angolazione ottica del cinquecentenario ristruttura e reinterpreta in un continuum storico eventi e sconvolgimenti mondiali predeterminati e diretti all'avvento in apparenza trionfale, ma in realtà contraddittorio e barbarico, di un'unica superpotenza planetaria. Dato alle stampe per i tipi della South End Press di Boston nel dicembre del 1992, il saggio vede la luce in versione italiana dopo pochi mesi contrassegnati sulla scena mondiale da sviluppi tragici e sanguinosi tutti riconducibili, se non esplicitamente anticipati, nel quadro analitico dell'era postsovietica tracciato dall'Autore alla scadenza del secondo millennio; perché se è vero che nell'intera sua saggistica l'indignazione morale è il filo conduttore di ogni devastante e documentata denunzia del globalismo egemonico statunitense, come di quello coloniale che lo aveva preceduto in Europa, è altrettanto vero, ed emerge più chiaramente in quest'ultima opera, che Noam Chomsky si appropria di alcuni strumenti del marxismo come chiave di lettura economica del divenire storico. Anche se di natura strettamente metodologica, è un altro punto di arrivo che sorprende chi in una sua ventennale frequentazione giornalistica di Chomsky aveva costantemente rilevato un'avversione di matrice libertaria o proudhoniana al marxismo-leninismo in tutte le sue varianti deterministiche o di lotta di classe. In "Anno 501, la Conquista Continua" permangono tracce di questa avversione ma vengono accompagnate da analisi e conclusioni che la emarginano o la annullano; come quando, definisce tutt'altro che 'irrealistica' la percezione nel Terzo Mondo che la guerra del Golfo e il Nuovo Ordine Mondiale siano manifestazioni di "un'aspra lotta di classe a livello internazionale", o quando valuta negli stessi termini i contrasti sociali e le repressioni antisindacali nel cuore dell'Impero, o quando ancora - ed è questo il "leitmotiv" dell'intera opera - demolisce la pretestuosa dottrinaria della libera impresa e del libero mercato a cui gli Stati Uniti fanno ricorso ogni qualvolta ritengano necessario spezzare la resistenza di nazioni o aggregazioni internazionali allo sfruttamento delle loro risorse economiche ed umane; parallela e convincente la tesi secondo cui all'interno dell'Impero l'intervento statalista o antiliberista è prassi normale a sostegno della grande impresa in crisi e prassi organica al sistema nel mantenimento di un ipertrofico apparato militare-industriale mirato anche al trasferimento di ricerca e tecnologia avanzata al settore privato. L'asservimento dei mass-media ai poteri reali nella repubblica stellata, bersaglio primario della saggistica di Chomsky, in "Anno 501" viene centrato con una maggiore precisione analitica ispirata all''egemonia' gramsciana e con il ricorso polemico e tagliente al vernacolo delle classi dominanti: "La plebaglia ("the rabble") - scrive - deve essere istruita nei valori della subordinazione e della gretta ricerca dell'interesse personale entro parametri stabiliti dalle istituzioni padronali: una vera democrazia con la partecipazione ed il protagonismo popolari costituisce una minaccia da combattere...". E la plebaglia per l'Autore è la stessa sfruttata e massacrata, con metodi meno asettici ma non meno brutali di quelli odierni, dalla 'conquista' colombiana e poi attraverso poche strumentali varianti dal colonialismo degli ultimi cinque secoli, varianti identificabili con la propagazione del Vangelo, l'elargizione di civiltà, di libertà, di democrazia e negli ultimi decenni con una proclamata difesa dei diritti umani. "Le priorità - ribadisce Noam Chomsky - rimangono i profitti ed il potere... i diritti umani rivestono un valore strumentale a fini di propaganda, punto e basta". Sono queste battute lapidarie e dissacranti, in un contesto scientifico di ricerca storica, che esasperano da un quarto di secolo l'establishment statunitense e precludono al più innovatore della linguistica moderna, alla più alta autorità accademica del Massachussetts Institute of Technology, un accesso sia pure occasionale ai grandi mass-media, dal "New York Times" al "Washington Post", dalla C.B.S. alla N.B.C. Ma sono proprio le battute del saggista politico e non gli estratti da sue opere quali "Struttura logica della teoria linguistica" o "Grammatica generativa" a fare di Chomsky, secondo "The Arts and Humanitics Citation Index", l'autore vivente più citato degli ultimi dodici anni e ad assicurargli tra gli autori di tutti i tempi un incredibile ottavo posto, subito dopo Platone e Sigmund Freud. 4 Noam Chomsky. Anno 501, la conquista continua. Difficile spiegare la popolarità e la divulgazione del pensiero di un "radical" come Chomsky, con la sua frenetica pubblicistica affidata a case editrici marginali, a periodici di sinistra dalla diffusione limitata come "The Progressive", "The Nation", "Z Magazine", ovvero con la sua meno frenetica attività di conferenziere in tutti i campus universitari americani. Una spiegazione più plausibile, anche se più elementare, va identificata nel carattere dirompente - "seminal" è il termine anglosassone - delle sue idee che nella loro innovativa incisività critica sembrano propagarsi per forza propria e con effetti liberatori, ben al di là del traguardo populista di "affliggere i privilegiati e di privilegiare gli afflitti". Un'altra spiegazione che fa di Chomsky l'autore più "cannibalized", più saccheggiato e riciclato del mondo, è implicita nell'impatto dei reperti storici di un ricercatore accanito e metodico nello stile di I. F. Stone: lettore scrupoloso di rapporti del Dipartimento di Stato, di inchieste del Congresso, di documenti ufficiosi o ufficiali della Cia, della Nasa, del più insignificante ente federale come della più importante agenzia governativa, porta alla luce notizie o realtà inedite perché deliberatamente passate sotto silenzio dalle autorità e dalla stampa. "Anno 501, la Conquista Continua" è ricco più di ogni altra sua opera di reperti inediti, di rivelazioni a volte agghiaccianti, come quella concernente il piano postbellico della ECA, il Piano Marshall, di sbarrare in Italia la strada al comunismo promuovendo con ogni mezzo lecito o illecito una massiccia emigrazione di nostri lavoratori in Brasile ed in altre repubbliche scarsamente popolate dell'America Latina. E la ricerca dell'Autore spazia con analoghi, sbalorditivi risultati, su tutti quei paesi del Terzo Mondo in Africa, in Asia, in Europa e nell'emisfero americano che in questo secolo sono stati oggetto dell'esiziale attenzione di Washington: il Messico come l'Indocina, il Salvador come l'Iraq, il Guatemala come Haiti, l'Angola come il Nicaragua, il Brasile e l'Argentina come la Palestina, l'Est europeo come il bacino del Pacifico. Ne emerge un quadro della situazione mondiale che l'interventismo statunitense rende quanto mai instabile, accidentato e foriero di crisi sempre più frequenti e dagli esiti imprevedibili a breve scadenza, ma per Noam Chomsky, più che prevedibili ed ambivalenti a medio e lungo termine: esistono circostanze e forze atte a portare gli Stati Uniti ed il mondo ad un'involuzione autoritaria di matrice fascistica, così come esistono le condizioni di segno opposto, per imboccare la strada alternativa di una vera democrazia popolare. Lucio Manisco 5 Noam Chomsky. Anno 501, la conquista continua. PARTE PRIMA. VINO VECCHIO IN BOTTIGLIE NUOVE. Capitolo 1. LA GRANDE IMPRESA DELLA CONQUISTA. Il cinquecentesimo anniversario della Conquista, caduto nel 1992, ha posto pesanti interrogativi sulla morale e la cultura dei settori privilegiati delle società che dominano il mondo. Quesiti tanto più significativi in quanto in questi paesi, a cominciare dagli Usa, prima colonia dell'Europa a liberarsi dal dominio dell'impero britannico, secoli di lotte popolari hanno prodotto un certo grado di libertà, rendendo possibile l'esercizio del pensiero critico e dell'azione sociale. Dal modo in cui ci porremo di fronte a questi interrogativi deriveranno profonde conseguenze per il futuro del nostro mondo. Con l'11 ottobre del 1992 si è chiuso infatti il cinquecentesimo anno del Vecchio Ordine Mondiale, l'era di 'Colombo' o di 'Vasco de Gama', a seconda di quale dei due avventurieri votati al saccheggio si pensi sia arrivato prima. Un libro pubblicato in occasione di quell'anniversario la definisce invece come il 'Reich dei 500 anni', stabilendo una sorta di paragone tra i metodi e l'ideologia dei nazisti e quelli degli invasori europei che assoggettarono la maggior parte del mondo (1). L'elemento che ha caratterizzato il Vecchio Ordine Mondiale è stato il conflitto tra conquistatori e conquistati. Questo processo ha preso varie forme ed è stato chiamato in più modi: imperialismo, neocolonialismo, conflitto Nord-Sud, centro contro periferia, G-7 (i 7 paesi capitalisti più industrializzati) ed i loro satelliti contro il resto del mondo. Oppure, più semplicemente, la Conquista del mondo da parte dell'Europa. Con il termine 'Europa', ci riferiamo ovviamente anche ad ex colonie, come gli Stati Uniti, che attualmente guidano questa nuova crociata. Il Giappone, da parte sua, sulla base di principi di tipo sudafricano, è ammesso nel club dei 'bianchi onorari', in quanto sufficientemente ricco per averne (quasi) i titoli. Il Giappone, va ricordato a questo proposito, fu una delle poche zone del Sud del mondo a sfuggire alla Conquista e, non a caso, ad entrare successivamente (trascinando con sé alcune delle sue ex colonie) nel club del Nord. Lo stretto rapporto tra indipendenza e sviluppo viene anche comprovato da quanto è avvenuto nell'Europa Occidentale, dove le aree di colonizzazione interna hanno avuto una sorte simile a quella dei paesi del Terzo Mondo: esempio classico è l'Irlanda, prima conquistata brutalmente e poi bloccata nel suo sviluppo da quelle dottrine del 'libero mercato' che vengono applicate selettivamente per garantire la subordinazione del Sud del mondo; politiche che oggi vengono chiamate 'aggiustamenti strutturali', 'neoliberismo', oppure 'i nostri nobili ideali', dal seguire i quali, noi del Nord, siamo comunque esentati (2). "La scoperta dell'America e del passaggio verso le Indie Orientali attraverso il Capo di Buona Speranza, costituiscono i due maggiori e più importanti avvenimenti registrati nella storia dell'umanità", scrisse Adam Smith nel 1776. "La mente umana non può prevedere quali benefici, o quali sventure, deriveranno in futuro da questi grandi avvenimenti". Ma un osservatore onesto non poteva non vedere quanto era accaduto. "La scoperta dell'America... ha indubbiamente dato un decisivo [contributo al] benessere dell'Europa", continua Smith, "con l'apertura di nuovi ed inesauribili mercati" grazie ai quali si ebbe un forte sviluppo delle "forze produttive", dei "redditi e della ricchezza". In teoria, questo "nuovo insieme di scambi... avrebbe dovuto essere vantaggioso per il nuovo continente, così come certamente lo era stato per il vecchio". Ma le cose sono andate diversamente. "La brutale ingiustizia degli europei ha trasformato un evento, potenzialmente benefico per tutti, in una rovinosa sventura per molti di quei paesi", scrisse Smith, rivelandosi come un antesignano professionista di quel crimine che, nella retorica dell'establishment culturale contemporaneo Usa, è stato chiamato con il termine 'correttezza politica'. Così continuava: "Per gli indigeni... delle Indie, sia orientali che occidentali, tutti i possibili benefici commerciali di quegli avvenimenti vennero annullati dalle terribili tragedie che ne seguirono". Gli europei ebbero la meglio grazie 6 Noam Chomsky. Anno 501, la conquista continua. alla "forza delle armi" e "furono così in grado di commettere impunemente ogni sorta di ingiustizia in quei lontani paesi". Smith non fa comunque cenno agli indigeni che abitavano nel Nordamerica: "In America non vi erano che due nazioni [Perù e Messico] sotto ogni aspetto superiori ai selvaggi, e queste vennero annientate non appena scoperte. Nel resto del continente non vi erano che selvaggi". Un punto di vista, questo, assai conveniente per i conquistatori britannici e rimasto a lungo in voga, persino a livello accademico, finché il risveglio culturale degli anni '60 non aprì finalmente gli occhi a molti. Più di mezzo secolo dopo, Hegel tornò ad occuparsi degli stessi argomenti nelle sue lezioni sulla filosofia della storia, traboccanti di fiducia per l'avvicinarsi della "fase finale della Storia del Mondo", quando lo Spirito avrebbe raggiunto "la sua piena maturità e "potenza"" nel "mondo "tedesco"". Parlando dall'alto della sua autorità, Hegel spiega che l'America indigena era "fisicamente e psichicamente impotente" e la sua cultura così limitata che "dovrà scomparire non appena lo Spirito le si sarà avvicinato". Per queste ragioni "gli aborigeni... svanirono al primo soffio della presenza europea". "Un'indole mite e fatalista, una completa mancanza di iniziativa ed una forte tendenza ad essere sottomessi... sono queste le caratteristiche principali degli indigeni americani", talmente "indolenti" che, quando erano sotto la premurosa autorità dei frati, "quest'ultimi a mezzanotte dovevano suonare una campana per ricordare loro persino i doveri coniugali". Secondo Hegel quegli indigeni erano inferiori perfino al 'Negro' visto come "l'uomo naturale nel suo stato completamente selvaggio ed indomito", il quale non ha alcun "senso del rispetto e della morale - che per noi sono i sentimenti"; cosicché "in questi esseri non vi è nulla che abbia a che fare con l'umanità...". Inoltre: "Presso i Negri i sentimenti morali sono assai deboli, o più precisamente inesistenti". "I genitori vendono i propri figli e, viceversa, i figli i loro genitori, a seconda di chi ne abbia l'opportunità" e "la poligamia dei Negri ha spesso l'unico obiettivo di avere molti figli da vendere tutti, senza eccezioni, come schiavi". Si tratterebbe quindi di creature a livello di "semplici Cose, oggetti senza alcun valore". Questi trattano "da nemici" coloro che tentano di abolire la schiavitù, la quale ha "dato ai Negri la possibilità di sviluppare dei sentimenti umani", permettendo loro di diventare "partecipi di più alti valori morali e della cultura che ne deriva". La Conquista del Nuovo Mondo dette vita a due grandi catastrofi demografiche senza paragoni nella storia: l'eliminazione delle popolazioni indigene dell'emisfero occidentale e la devastazione dell'Africa man mano che la tratta degli schiavi si estendeva per soddisfare le necessità dei conquistatori, fino al completo assoggettamento dell'intero continente. Anche gran parte dell'Asia soffrì simili 'terribili sventure'. Se oggi le forme di dominio sono cambiate, gli aspetti fondamentali della Conquista mantengono la loro continuità ed importanza, e così sarà sino a che non saranno affrontate con onestà le cause e la realtà di quella 'selvaggia ingiustizia' (3). Note: N. 1. Hofer, "Funfhundert-jahrige Reich", vedi Stannard, "American Holocaust". N. 2. Stavrianos, "Global Rift", p. 276. N. 3. Smith, "Wealth of Nations", lib. 4, cap. 7, parte 3, p. ii, 141; lib. 4, cap. 1, p. i, 470. Hegel, "Philosophy", p. 108-109, 81-82, 93-96; presumibilmente con 'il mondo tedesco' si intende l'Europa nordoccidentale. Sul destino dei selvaggi 'senza umanità', e sullo sfuggire ad esso, vedi Jennings, "Invasion". Lenore Stiffarm e Phil Lane in Jaimes, "State". Stannard, "American Holocaust". 7 Noam Chomsky. Anno 501, la conquista continua. 1. LA SELVAGGIA INGIUSTIZIA DEGLI EUROPEI. Le conquiste spagnolo-portoghesi si accompagnarono ad altrettanto drammatici eventi nella madrepatria. Nel 1492, la comunità ebraica di Spagna fu costretta a scegliere tra l'espulsione e la conversione. Milioni di Mori patirono la stessa sorte quando, nel 1492, la caduta di Granada pose fine ad otto secoli di dominio moresco e dette all'Inquisizione spagnola la possibilità di ampliare il proprio barbaro dominio. I conquistatori distrussero libri e manoscritti di inestimabile valore nei quali si era conservata la ricca tradizione del sapere classico e demolirono un'intera civiltà fiorita sotto il ben più tollerante e colto dominio dei Mori. In tal modo vennero gettate le basi del declino della Spagna e di quel razzismo e ferocia che caratterizzarono la Conquista del mondo: "la maledizione di Colombo", come la definì lo studioso dell'Africa Basil Davidson (4). Ma la Spagna ed il Portogallo vennero presto private del loro ruolo guida. Il primo concorrente importante fu l'Olanda la quale, grazie soprattutto ai controllo dei commerci sul Baltico conquistato nel '500 e mantenuto in virtù della sua potenza militare, disponeva di risorse assai superiori di quelle dei suoi rivali. La "Voc" (Compagnia Olandese delle Indie Orientali), fondata nel 1602, godeva dei poteri tipici di uno stato, inclusi quelli di dichiarare guerra e di negoziare trattati. Formalmente si trattava di una società commerciale privata, ma la realtà era ben diversa. "L'evidente autonomia della Compagnia dal controllo politico della madrepatria", scrive M. N. Pearson, derivava dal fatto che questa "si identificava con lo stato", anch'esso controllato da mercanti e banchieri olandesi. Nella vicenda della "Voc" possiamo già intravedere, in una forma molto semplificata, un abbozzo delle strutture operanti nella politica economica moderna, dominata da una rete di istituzioni finanziarie ed industriali sovranazionali che gestiscono in proprio investimenti e commerci, mentre la loro ricchezza e potenza vengono create e difese dal potere di quello stato che esse stesse influenzano ed in larga parte controllano. "La "Voc" integrava le funzioni di un potere sovrano con quelle di una società commerciale", sostiene uno storico del capitalismo olandese. "Sia le decisioni politiche che quelle commerciali venivano prese nell'ambito della medesima struttura gerarchica di dirigenti d'azienda e funzionari dello stato, mentre fallimenti e successi erano sempre in ultima analisi misurati in termini di profitto". Gli olandesi riuscirono a conquistare punti di forza in Indonesia (rimasta una loro colonia fino agli anni '40), in India, in Brasile e nei Caraibi, strapparono Sri Lanka al Portogallo e giunsero ai confini del Giappone e della Cina. Ma i Paesi Bassi, tuttavia, divennero presto vittime di quella che sarebbe stata definita in seguito 'la malattia olandese': la mancanza di un forte potere centralizzato che aveva reso la popolazione "forse ricca, considerando i singoli cittadini, ma debole come stato", come osservava Lord Sheffield d'Inghilterra nel '700 mentre metteva in guardia i suoi concittadini dal commettere il medesimo errore (5). Gli imperi iberici subirono altri duri colpi quando iniziarono a correre per i mari i pirati inglesi, predoni e mercanti di schiavi, dei quali forse il più noto è Sir Francis Drake. Le ricchezze che egli così riportò in patria possono, come scrisse John Maynard Keynes, "giustamente considerarsi la fonte e l'origine degli investimenti esteri britannici". La regina "Elisabetta riuscì con questi proventi a pagare l'intero debito estero investendone poi una parte... nella "Levant Company" (Compagnia del Levante); grazie ai profitti di quest'ultima nacque la "East India Company" (Compagnia delle Indie Orientali) i cui utili a loro volta... costituirono le fondamenta dei rapporti internazionali dell'Inghilterra". Prima del 1630 la presenza inglese nell'oceano Atlantico non andava oltre le "attività predatorie di mercanti e banditi armati che miravano ad impadronirsi con le buone, o con le cattive, di una parte del patrimonio che le nazioni iberiche possedevano in quella regione" (Kenneth Andrew). Gli avventurieri che gettarono le basi degli imperi mercantili del diciassettesimo e del diciottesimo secolo "si inserirono nell'antica tradizione europea di unire guerra e commercio", sostiene Thomas Brady aggiungendo che "la crescita dello stato europeo come impresa militare" dette origine alla "figura, anch'essa essenzialmente europea, del mercante-guerriero". Lo stato inglese, una volta consolidatosi, si assunse poi in prima persona il compito di portare avanti le "guerre per la conquista dei mercati", togliendolo ai ""cani di mare" elisabettiani con le loro razzie saccheggiatrici" (Christopher Hill). La "British East India Company" (Compagnia Britannica delle Indie Orientali) ricevette nel 1600 uno speciale statuto (esteso nel 1609 a tempo indeterminato) che dava alla Compagnia il monopolio sul commercio con l'Oriente per conto della Corona britannica. Seguirono guerre brutali tra i vari concorrenti europei, condotte frequentemente con inenarrabile barbarie, che coinvolsero anche popolazioni indigene spesso già impegnate nelle proprie lotte intestine. Nel 1622, l'Inghilterra cacciò i portoghesi dallo stretto di Hormuz, la 'chiave dell'India', conquistando così quest'ultima preziosa preda. Il resto del mondo fu poi spartito nel modo ben noto. 8 Noam Chomsky. Anno 501, la conquista continua. Il rafforzarsi del potere centrale dello stato aveva permesso all'Inghilterra di soggiogare la propria periferia celtica (l'Irlanda, N.d.C.) e poi di applicare, con ferocia ancora maggiore, le tecniche colà sperimentate alle nuove vittime d'oltre Atlantico. Il loro disprezzo per "gli sporchi vaccari celtici che vivono ai margini [dell'Inghilterra]", scrive Thomas Brady, rese più facile agli "inglesi prosperi e civili" di assumere una posizione di preminenza nella tratta degli schiavi mentre "il loro disprezzo... estese la sua ombra dai vicini cuori di tenebra a quelli all'altra estremità dei mari". Dalla metà del '600 in poi, l'Inghilterra divenne abbastanza potente da poter imporre i "Navigation Acts" (Decreti sulla Navigazione) del 1651 e 1662, con i quali escluse i mercanti stranieri dalle proprie colonie e dette alla sua marina mercantile "il monopolio del commercio del paese" (importazioni), sia "tramite proibizioni assolute" sia con "pesanti obblighi" (come sostiene Adam Smith, considerando queste misure con un misto di riserve e approvazione). Secondo la "Storia Economica Europea di Cambridge" il "duplice obiettivo" di tali iniziative era il raggiungimento del "potere strategico e della ricchezza economica attraverso il monopolio sui commerci marittimi e delle colonie". In questa prospettiva, l'obiettivo britannico nelle guerre anglo-olandesi, combattute tra il 1652 ed il 1674, fu quello di limitare o distruggere il commercio ed i traffici marittimi olandesi, e quindi ottenere il controllo della redditizia tratta degli schiavi. A quei tempi l'area strategica più importante era l'Atlantico, dove si trovavano le colonie del Nuovo Mondo che offrivano enormi ricchezze. I Decreti sulla Navigazione e le guerre estesero progressivamente l'area dei commerci controllati dai mercanti inglesi, i quali poterono arricchirsi attraverso la tratta degli schiavi ed il loro "saccheggio-commercio con l'America, l'Africa e l'Asia" (Hill). In questo processo i mercanti vennero aiutati dalle "guerre coloniali patrocinate dallo stato" e dai vari stratagemmi di politica economica con i quali il potere centrale aprì la strada alla ricchezza privata e ad un tipo di sviluppo a questa subordinato (6). Il successo dell'Europa, come osservò Adam Smith, fu dovuto alla sua padronanza dei mezzi ed alla cultura della violenza. "Quando la guerra in Europa era già divenuta scienza, in India era ancora uno sport", sostenne a questo proposito John Keay. Dal punto di vista europeo, le conquiste del mondo non erano altro che 'piccole guerre', e tali venivano considerate dalle autorità militari, ci ricorda Geoffrey Parker, rilevando come "Cortés conquistò il Messico con forse 500 spagnoli, Pizarro distrusse l'impero Inca con meno di 200 e l'intero impero portoghese [dal Giappone all'Africa meridionale] era amministrato e difeso da circa 10 mila europei". Robert Clive nella cruciale battaglia di Plassey del 1757 che aprì la via alla conquista del Bengala da parte della East India Company e, quindi, al dominio britannico sull'India, disponeva di un esercito dieci volte meno numeroso di quello dei suoi avversari. Qualche anno dopo i britannici poterono ridurre quel divario numerico reclutando mercenari indigeni, i quali arrivarono poi a costituire il 90% delle forze che controllavano l'India ed il nucleo degli eserciti che invasero la Cina alla metà dell'800. Una delle ragioni più importanti per le quali Adam Smith sostenne che l'Inghilterra dovesse "liberarsi" delle colonie nordamericane fu proprio il fallimento di queste ultime nel fornire "forze militari per il sostegno dell'Impero". Gli europei "combattevano per uccidere" ed avevano i mezzi per soddisfare la loro sete di sangue. Nelle colonie americane gli indigeni rimasero esterrefatti per la ferocia degli spagnoli e degli inglesi. "Anche all'altro estremo del mondo - ricorda Parker - i popoli dell'Indonesia furono atterriti dalla cieca furia della scienza bellica europea". Erano finiti i tempi descritti da uno spagnolo del dodicesimo secolo, pellegrino alla Mecca, in cui "mentre i guerrieri sono impegnati in guerra, il popolo rimane tranquillamente a casa". Del resto gli europei saranno anche arrivati per commerciare ma sicuramente rimasero per dominare dal momento che, come scrisse uno dei conquistatori olandesi delle Indie Orientali nel 1614: "I commerci non possono svilupparsi senza la guerra, né la guerra si può sostenere senza di loro". Solamente la Cina ed il Giappone poterono respingere allora l'Occidente perché "già conoscevano le regole del gioco". Il dominio europeo sul mondo "si appoggiava soprattutto sull'uso costante della forza", scrive Parker. "Fu grazie alla loro superiorità militare, piuttosto che a qualsiasi dote morale, sociale o naturale, che i popoli bianchi di questo mondo riuscirono a creare ed a mantenere, per quanto brevemente, la prima egemonia mondiale della storia" (7). Quel 'brevemente' è comunque oggetto di discussione. "Gli storici del ventesimo secolo sono concordi nel ritenere - scrive James Tracy riassumendo il suo studio sugli imperi mercantili - che furono usualmente gli europei ad irrompere, sconvolgendoli, nei sistemi commerciali dell'Asia, relativamente pacifici prima del loro arrivo". In tal modo i bianchi del Vecchio Continente introdussero il controllo statale sui commerci in una regione di mercati relativamente liberi, "aperti a tutti coloro che venivano in pace, sulla base di regole largamente conosciute e generalmente accettate". Il loro ingresso violento in questo 9

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.