Tra i grandi testi della letteratura italiana una delle riscoperte più recenti è stato l’Adone di Giovan Battista Marino, che diversi studiosi hanno recentemente riproposto ai lettori moderni. La vena più autentica di Marino era nascosta nelle sue liriche, delle quali Alessandro Martini ha scelto e commentato le più belle sotto il titolo: Amori. Mai un poeta ha avuto una mente più gelida di quella del grandissimo letterato che fu Marino: mai poesia ha unito in modo così affascinante la morbida levigatezza del marmo e la liquidità ingannevole dell’acqua. In questi versi che parlano soltanto d’amore, non c’è nessuno slancio del cuore, nessun impeto erotico. La forza sensuale viene spossata e illanguidita senza diventare mai tenera; e chi trionfa è soltanto lo sguardo innamorato di sé, che contempla le immagini. Le minime occasioni – una donna che gioca ai dadi o alle carte, una donna che canta, piange o si lava le gambe – diventano ombre, disegnate sul «fugace argento» dell’acqua: perdute in uno specchio nitidissimo e funerario, che nessuna mano sposta. Oggi ammiriamo in queste liriche soprattutto l’incantevole grazia madrigalesca, che scioglie i concetti e le arguzie nella sua onda delicata e leggera; e attorno a esse ci sembra di ascoltare ancora l’eco molteplice che hanno suscitato nelle musiche di Monteverdi e Frescobaldi.