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amore ti uccido PDF

104 Pages·2013·1.05 MB·Italian
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Rosella Simone A m o r e t i u c c i d o Storie di Femminicidio basate su fatti di cronaca di Rosella Simone dedicato a Franca Rame Indice: Pag. 1 - Premessa Pag. 3 - Prefazione Pag. 18 - Bibliografia Tredici storie: Pag 21. Il volo della farfalla. Vanessa Scialfa uccisa dal suo ex e gettata dal ponte. Enna 24 aprile 2012 Pag 26. Non si uccidono così anche i cavalli? Quattro operaie e una bambina morte sotto il crollo di una palazzina in ristrutturazione. Barletta 4 ottobre 2011 Pag 38. Lègami. Paola Caputo muore durante una sessione di sesso estremo. Roma 10 settembre 2011 Pag 43. Domenica di sangue . Mara Basso uccisa dal marito poliziotto. Genova 11 agosto 2010 Pag 51. Un uomo qualunque. Pippa Bacca uccisa da uno sconosciuto. Istanbul 31 marzo 2008 Pag 62. Diventare maschi. Desirée Piovanelli uccisa da 3 suoi amici durante un tentativo di stupro. Leno 20 settembre 2008 Pag 68. Appunti per la festa. Carla Bergamin é uccisa dal marito Mauro Antonello, suicida, insieme a altre 6 persone. Chieri 16 ottobre 2002 Pag 73. Ho ucciso mia madre. Intervista a un matricida. Milano 1997 Pag 81. Ciao Marta. Marta Russo muore per un colpo di pistola accidentale sparato da Giovanni Scattone. Roma 9 maggio 1997 Pag 85. Oggi si muore Eric Borel, 16 anni, uccide la madre, il padrasto e il fratellastro e altre 17 persone prima di suicidarsi. Tolone 24 settembre 1995 Pag. 88. Bingo! Maria Letizia Cova è uccisa per caso da sassi lanciati per gioco da un cavalcavia. Tortona 27 dicembre 1997 Pag 92. La finestra sul cortile. Kitty Genovese Uccisa da un violentatore e dall'indifferenza. New York 1964 Pag 97. Anche io. Una violenza che non è mai stata denunciata. Genova 1964 Premessa Le storie narrate sono storie di “normale” violenza, tutte realmente accadute. Storie di donne uccise da uomini che sono stati loro mariti, ex amanti, padri, compagni di scuola, amici, datori di lavoro; ma anche perfetti sconosciuti che, da soli o in branco, hanno stuprato e ucciso. Non con l'intenzione di ricostruire i fatti ma, attraverso una operazione di pura fantasia, cercare di entrare nella mente dell'assassino e della vittima per provare a intuire perché gli uomini, oggi ancora, uccidono le donne. Scrivendo ho cercato di capire cosa esprime questa violenza, cosa nasconde, cosa ci vuole dire. Cosa accade tra l'immaginare e il compiere un delitto? Cosa porta a quell'acting out irreversibile che è uccidere? Il “femminicidio” nasconde forse un linguaggio inconsapevole da parte di chi lo agisce? Qualcosa che si assorbe da questo magma triste nel quale tutti siamo immersi, da questa società in cui il modello dominante è il consumo usa e getta ma dove pochi hanno tutto e tutti gli altri si affannano a cercare di avere? Frustrati per definizione. Dove i rituali del potere esibiscono tette e culi di donne “pronte a tutto”, donne appunto usa e getta. Donne da “domesticare” di “mettere a servizio” nel meraviglioso mondo della globalizzazione neoliberista. E non potrebbe essere questo il filo sotterraneo da seguire per cercare di capire cosa genera questa scia di violenza sulle donne. E, se come ci spiegano i trattati di vittimologia, il “delitto è interazione” quale è quella che intercorre tra vittima e colpevole? E ancora, in quel “qui e ora” determinati in cui si compie il delitto esistono “stereotipi diffusi” che identificano la vittima con soggetti “destinati” ad essere prede e, dunque, al “sacrificio”? I cosiddetti “soggetti deboli”: donne, bambini, omosessuali, poveri? Racconti sviluppati come invenzione letteraria nella convinzione che chi legge di quel delitto sulle colonne di un quotidiano immagina il colpevole come un mostro, un essere spaventoso che spera di non incontrare mai e non vuole sapere che l'assassino è, spesso, una persona qualunque: l'uomo che ha sposato, il fidanzato respinto, lo sconosciuto che il caso ha messo sul suo cammino. Ma, se il delitto è descritto in forma di racconto, può succedere di abbandonare le difese culturali e scoprire che sono dentro di noi vittima e assassino. Racconti che narrano fatti violenti non per compiacersi delle crudeltà, l'aggressività e il masochismo latente che abita la mente della specie, ma per depotenziarne 1/101 l'aggressività. Scriverli quei pensieri, renderli metaforici, ci pare un buon esercizio per svelare cosa cela quel perbenismo di maniera che ci fa invocare il linciaggio legale solo per nascondere la nostra propensione alla violenza. E che consente ad alcuni uomini di nascondere la propria sottile complicità con l'assassino stupratore perché, in fondo, le donne “se la sono andate a cercare”. Non esistono gli orchi; esistono uomini e donne, e tutti siamo impastati di violenza sia subita che agita. Portarla in superficie può, allora, diventare una sorta di terapia. Una terapia che almeno per me ha funzionato. 2/101 Prefazione Femminicidio, Femicidio Femminicidio, è Con Femicidio si indica l'uccisione “di donne in quanto donne”. Con Femminicidio si intende ogni forma di violenza psicologica economica normativa religiosa sociale e fisica subita dalle “donne in quanto donne”. Femminicido, termine ormai entrato nell'uso comune, amplia il concetto di femicidio ed è frutto della elaborazione di alcune femministe del Nord e del Sud del continente americano. Questo neologismo si è rivelato efficace nello svelare le pratiche di occultamento di una realtà antica come la storia del patriarcato: la responsabilità sociale della violenza di genere. Un concetto diventato forza propulsiva di un movimento che, nato in America Latina soprattutto grazie all'azione dalle donne di molte comunità indigene, ha saputo crescere e coinvolgere donne di ogni parte del mondo. Un movimento che si è posto l'obiettivo di forzare i poteri statali a riconoscere “che la violenza degli uomini sulle donne è un problema istituzionale del quale gli stati devono farsi carico”. Si ha femminicidio, ribadisce Barbara Spinelli nel saggio omonimo (Franco Angeli, 2008), “ in ogni contesto storico e geografico, ogni volta che la donna subisce violenza fisica, psicologica, economica, normativa, sociale religiosa, in famiglia e fuori, quando non può esercitare “i diritti fondamentali dell'uomo”, perché donna, ovvero in ragione del suo genere”. Insomma, una donna, diventa oggetto di violenza per il fatto di essere donna e non corrispondere al modello e ai desideri di un uomo ma anche a una società che ha una cultura e una economia strutturate sul modello patriarcale 3/101 Leggi, Convenzioni e Decreti Italia, Europa Questa impostazione è alla base della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ratificata a Istanbul l'11 maggio 2011 e firmata dall'Italia il 27 settembre 2012. La Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza domestica. La Convenzione, inoltre, istituisce un meccanismo di controllo specifico (GREVIO) al fine di garantire l'effettiva attuazione delle sue disposizioni da parte degli Stati firmatari. Si tratta di 81 articoli con una premessa che mette in chiaro che "il raggiungimento dell'uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne" e che "la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione". Riconosce "la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere", e che "la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini". Specifica, inoltre, che con l'espressione 'violenza nei confronti delle donne' si intende una violazione dei diritti umani che comprende "tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata". Proponendo qualcosa di più articolato che un mero incrimento della pena: un piano efficace di intervento articolato su tre piani: Prevenzione, Protezione, Punizione. Importante l'accento posto sulla Prevenzione, intesa come intervento culturale, soprattutto per un Paese come l'Italia che ha abolito il “delitto d'onore” nel 1981, e che ha trasformato la normativa che riguardava la violenza sessuale da “reato contro la morale” a “reato contro la persona” nel 1996! Occorre dunque una trasformazione culturale profonda che muova verso una diversa educazione sentimentale dei maschi e che promuova per le donne la sperimentazione 4/101 di autonomia e libertà senza scimmiottare l'aggressività dispiegata dei modelli maschili. Al di là di altre considerazione che faremo in seguito qui mi pare il caso di rilevare che quanto auspicato dalla Convenzione non si raggiunge con un inasprimento delle pene, quello che, in sintesi, è stato fatto con il DL dell'8 agosto 2013 contro il femminicidio. Non solo perchè è risaputo che l'inasprimento delle pene non è mai stato efficace a ridurre il numero dei delitti di qualsiasi genere, semmai ad esasperarne i confini (se, ad esempio, per un furto in casa paghi, in termini di pena, come un omicidio uno degli effetti dell'inasparimento delle pene può avere come esito di trasformare ladri di appartamento in assassini. Per non correre il rischio di essere individuati possono decidere di non lasciare testimoni). L'inasprimento delle pene rischia di essere ancor più inefficace nel caso di maltrattamenti dentro la famiglia, luogo che appartiene al privato, impermiabile a sguardi esterni; anche perchè, più che spesso, le donne che denunciano non sono credute non solo nei tribunali, o negli uffici di Polizia ma anche all'interno della loro cerchia relazionale. Questo perchè gli stereotipi maschilisti sono ancora funzionali a una società come quella nella quale siamo immersi e, purtroppo, agiscono dentro le teste degli uomini e delle donne, dentro e fuori la legge. Un Decreto che, pur mosso da buone intenzioni e con alcune sottolineature positive, punta tutto sul penale e sul “costo zero” senza prevedere, ad esempio, interventi finanziari per le Associazioni che da anni lavorano per aiutare le donne maltrattate (e gli uomini maltrattanti) sembra rispondere più a obiettivi strumentali e mediatici che di efficacia. Tra l'altro una eccessiva giurisdicizzazione dei rapporti privati può avere altri contraccolpi controproducenti, come sottolineato diversi patrocinanti nelle cause di divorzio. Uccidere una donna Perché gli uomini odiano le donne? Si chiedeva lo scrittore svedese Stieg Larson. Adesso possiamo rispondere: le odiano perché non corrispondono all'immaginario forgiato nei secoli di madri o puttane che è alla base della società patriarcale; di donne-cose che non possono esistere se non appartengono a un uomo. Niente é più pericoloso per questa visione del mondo (che 5/101 appoggia il suo diritto sul concetto di proprietà) che la faticosa costruzione di una libertà femminile che, dunque, va combattuta con ogni mezzo, persino con la morte. Ma questo non basta a spiegare perché donne belle e colte, indipendenti economicamente, restino per anni, sino a che non saranno uccise, al fianco di uomini violenti e brutali. Perché se è vero che il nominare la cosa “Femminicidio” la rende visibile, gli dà la forza per diventare battaglia per i diritti delle donne e, più in generale, di tutte le diversità, a mio avviso ancora non basta. Occorre svelare a noi stesse quanto patriarcato abbiamo assimilato . E questo vale soprattutto per noi donne di occidente, che per qualche successo conquistato siamo rimaste impigliate in un modello di femminile che oscilla tra l'angelo del focolare del passato, remissiva e autolesionista, e la donna diabolica del presente, aggressiva e egoista proprio come un uomo. Perché Barbara Cecioni, giovane imprenditrice, con due bambini, incinta di 8 mesi è rimasta accanto la marito che la picchiava, la umiliava, la denigrava sino al 24 maggio 2007, giorno in cui il marito la uccide insieme alla bimba che portava in pancia? I giornali scriveranno “ Amava la sua famiglia e voleva tenerla unita...” ma che amore è questo, che valore dare a una dedizione così insensata e tremenda? Cosa le ha impedito di scegliere la libertà e dare ai figli una madre viva, capace di togliersi di dosso un uomo debole e violento? Perché Mara Basso, giovane commessa dei magazzini Basko, riesce a liberarsi di un marito aggressivo solo quando scopre l'ennesimo tradimento? Perché nonostante la consapevolezza del rischio che corre e che le fa confidare a una collega, commentando l'ennesima donna uccisa: “Leggerete anche me sui giornali”, non se la sente di vietare l'accesso a casa sua a quell'uomo pericoloso per sé e i figli? Perché la madre di Sanaa, sgozzata dal padre per onore, dice: “Perdono mio marito è Sanaa che ha sbagliato?”. Perché una ragazza che ho incontrata in Liguria su un treno regionale, di quelli che alle 13,30 raccoglie gli studenti che rientrano a casa dopo i corsi della mattina, di fronte a tre ragazzotti che la incitavano a farsi vedere mentre si faceva un ditalino, invece di prenderli a ceffoni ridacchiava? Pronta ad accettare tutto, anche l'umiliazione, pur di essere considerata “emancipata” e essere accettata nel gruppo dei maschi. Perché una donna si presta a fare la pubblicità a un formaggio con lo slogan “non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere” mentre l'obiettivo TV centra i seni prosperosi della suddetta signora, evidentemente anche lei da “mangiare”? Perché parlamentari donne trovano “normale” che giovani ragazze aspiranti dive TV debbano farsi toccare il sedere in 6/101 “cene eleganti”. Perchè è così che si fa “carriera”? E infine, perché tante donne maltrattate una volta al Pronto Soccorso dicono: “Sono caduta dalle scale?”. Paura certo, e legittima, visto che c'è una disparità di forza e di potere. Perché c'è un pregiudizio dei corpi dello stato, polizia carabinieri magistratura, che spesso sottostimano le violenze denunziate dalle donne. Ma c'è anche una soggezione al modello dominante, una mancanza di stima e di fiducia in sé stesse, un consegnarsi acritico a un modello stereotipato di famiglia e di potere, una complicità con il mito della forza e dell'eroe, persino qualcosa di più primitivo. Un imprinting impresso a dura forza nel corpo e nella mente della donna che la porta a riconoscersi nel ruolo di “oggetto” che poi è l'anticamera della vittima. Perché non è necessario morire per diventare vittime. C'è una sorte peggiore che è la “morte in vita”, l'umiliazione quotidiana della violenza fisica subita insieme al ricatto del denaro, dell'affetto, del ruolo, del potere. Insomma, io credo, che per cambiare questa cultura diffusa bisogna proporsi qualcosa di più radicale di leggi anche volenterose. Occorre riconoscere che la gerarchia dei sessi è insito nel nostro modello di sviluppo e che l'attuale, profonda, crisi economica non fa che confermare e rafforzare. Sono convinta, come hanno sostenuto teoriche femministe latino-americane, che il permanere, e spesso il riacutizzarsi, della violenza di genere nelle nostre società occidentali, ancor più nei paesi emergenti e in quei luoghi del pianeta dove si combattano migliaia di guerre a bassa e alta intensità, abbia una sua specifica funzione nel riassesto, attraverso la crisi globale, del modello economico neoliberista nel mercato mondo. I dati, i soggetti, i perchè I numeri Il 95% dei delitti nel mondo riguardano le donne. Ogni 4 anni nel mondo muoiono ammazzate “perché donne” il numero equivalente di vittime mietute nell'olocausto dai nazisti. (da The Economist del 24.11.2007) Secondo il rapporto ISTAT del 21 febbraio 2007 il 36% delle donne italiane dai 6 ai 70 anni ha subito almeno una volta un atto di violenza. In Italia le donne uccise nel 2009 sono state 119, nel 2010 127, nel 2011 129, 124 nel 2012, 81 nei prime sei mesi del 2013. (Dati raccolti da La Casa delle donne di 7/101

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giapponese: lo Shibari. L'ingegnere, come hanno passato una corda da rocciatori attorno al corpo delle due, ha gettato il capo opposto della fune a
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