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alma mater studiorum università di bologna vittorini americano PDF

387 Pages·2017·8.03 MB·Italian
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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA DOTTORATO DI RICERCA IN CULTURE LETTERARIE, FILOLOGICHE E STORICHE CICLO XXVIII° Settore Concorsuale di afferenza: 10/F2 (prevalente) e 10/F4 (secondario) Settore Scientifico disciplinare: L-FIL-LETT/11 (prevalente) e L-FIL-LETT/14 (secondario) TITOLO TESI: VITTORINI AMERICANO LA TRAIETTORIA AMERICANISTICA DI ELIO VITTORINI PRESENTATA DA: Riccardo Paterlini RELATRICE: Prof.ssa Giuliana Benvenuti COORDINATORE DOTTORATO: Prof. Luciano Formisano Esame finale anno 2017 INDICE Introduzione 3 PARTE PRIMA: L’APPRODO A AMERICANA 15 1. Americanisti e no 18 2. Vittorini traduttore e “negriero” 40 3. Controfascismo e americanismo 54 4. «Letteratura» vs. «Omnibus» nel segno di Saroyan 65 5. La scoperta di Erskine Caldwell 89 6. Altre traduzioni e altri articoli 1938-1941 102 PARTE SECONDA: AMERICANA 115 1. Lucia Rodocanachi: una ghost per Americana? 122 2. Comporre Americana 133 3. L’edizione “Bompiani-Bo” (aprile 1941) 141 4. Una prefazione anti-Americana 161 5. L’edizione “Pavese-Pivano” (marzo 1942) 186 6. L’edizione “Cecchi” (ottobre 1942) 196 7. Il mondo offeso: Vittorini e Pintor scrittori a Weimar 206 8. Un mattonissimo intitolato Americana 247 9. Una rivincita per immagini 259 10. L’Americana postbellica 296 11. L’Americana 2.0 317 Conclusioni 323 Appendice iconografica 329 Bibliografia 373 Introduzione Il lavoro di tesi che qui si presenta intende proporsi come un’indagine, il più possibile approfondita, del percorso intellettuale del Vittorini americanista, dai primi anni Trenta al dopoguerra. Al centro dell’indagine si colloca la vicenda dell’antologia Americana, pubblicata nell’ottobre del 1942 dopo due anni di travagliate contrattazioni con il Ministero della Cultura Popolare: gli uffici del ministero, deputati alle funzioni censorie, fecero il possibile per impedirne la diffusione, per poi concedere il nulla osta ad una versione dell’antologia depauperata delle note critiche originali (firmate da Vittorini) e accompagnata da una prefazione di Emilio Cecchi (costruita col dichiarato proposito di decostruire il mito letterario americano). Americana nonostante tutto questo costituirà un vero e proprio oggetto di culto generazionale, simbolo di contro-cultura e chiave di volta nell’interpretare il mito americano come mito d’ascendenza politica. Nel mettere in campo la ricostruzione del percorso di Vittorini all’interno dei territori della narrativa statunitense, e nel riprendere le vicende dell’antologia di scrittori americani, ci si scontra tuttavia con una serie di problemi relativi, sia alla traiettoria vittoriniana, sia al campo letterario e politico nel quale essa si inscrive. 3 Una delle prime questioni problematiche che s’incontrano nell’attraversare l’americanismo vittoriniano riguarda la controversa questione delle traduzioni affidate a Lucia Rodocanachi, soprannominata da Montale négresse inconnue: l’intellettuale ebrea d’origini triestine, secondo parte della critica, sarebbe nascosta dietro molte delle traduzioni – comparse in volume o in rivista – firmate da Vittorini durante gli anni Trenta. In considerazione di questo elemento – sul quale si è aperto un ampio e contrastato dibattito, a partire in particolare dall’inizio degli anni Novanta – uno degli assi portanti del percorso intellettuale del Vittorini “americano” viene potenzialmente minato. Si scopre infatti come lo scrittore siciliano, tra i traduttori riconosciuti come più importanti nel cosiddetto decennio delle traduzioni (dal ’30 al ’40), non traducesse in completa autonomia, ma avvalendosi del lavoro altrui (non segnalando la collaborazione né allora, né in seguito). In questo quadro, lo si vedrà, anche la paternità dell’antologia Americana potenzialmente rischia di subire contraccolpi: in particolare dopo che il critico genovese Giuseppe Marcenaro ha segnalato (anche in tempi recentissimi) la possibilità che il lavoro della négresse sia celato anche nelle traduzioni e nella scelta dei testi della celebre antologia. Un secondo elemento critico, che talora è stato evidenziato per il Vittorini americanista, riguarda la pubblicazione di alcuni articoli dedicati alla letteratura americana che vanno in direzione diametralmente opposta alla costruzione mitografica, che si dà in qualche modo per assodata per lo scrittore siciliano. Gli articoli antiamericani firmati da Elio Vittorini per «Il Mattino» di Napoli e per il «Bargello» vanno certamente considerati cronologicamente nel percorso intellettuale vittoriniano (un percorso che nei primi anni Trenta si attesta su 4 posizioni di vago nazionalismo e di fascismo militante). Tuttavia, anche se contestualizzata (e in qualche misura giustificata), la presenza di un esordio critico antiamericano per Vittorini rappresenta un’ombra nel quadro dell’interpretazione canonica del mito letterario americano: interpretazione che, spesso ricorrendo ad alcune semplificazioni, ha guardato a tutto il periodo che va dal 1930 alla caduta del regime fascista, con l’idea di un incondizionato filo-americanismo. Infine va rilevato che anche alcuni dei successivi interventi vittoriniani, come sottolinea Michel Beynet, risentono di un’ambiguità di fondo, per la quale in prima istanza risulta difficile comprendere se lo scrittore stia contribuendo o meno alla costruzione mitografica di cui si discute: si tratta in particolar modo degli articoli comparsi su «Omnibus», «Oggi» e «Tempo», tra il 1937 e il 1941. A queste questioni si aggiunge che l’Americana uscita nelle librerie nel 1942, presenta caratteri in prima istanza difficilmente riconoscibili come contro-culturali: a partire dalla prefazione, firmata da Cecchi, sino ai corsivi critici presenti tra un testo letterario e l’altro, sembra di essere di fronte a un volume che contribuisce a decostruire il mito americano piuttosto che ad affermarlo. Com’è possibile dunque che quest’antologia (che presenta marcati caratteri antiamericani) sia divenuta, già a partire dalla sua edizione censurata, un simbolo di americanismo, sinonimo di opposizione intellettuale al regime fascista? Infine, si dovrà tener presente l’evoluzione politica del percorso dello scrittore siciliano. Ammesso che il mito americano abbia elementi di larvato antifascismo, una delle domande che si sono riproposte anche in tempi piuttosto recenti è la seguente: Vittorini fu davvero antifascista? E, in caso affermativo, in quale momento del suo percorso va collocata la conversione all’opposizione politica al regime? 5 Nel dibattito, che sembrava aver trovato una sistemazione definitiva, con la convergenza sul 1936 come data cardine per la presa di coscienza vittoriniana (e il conseguente distacco dal PNF), negli ultimi anni sono tornati ad aprirsi spiragli d’ombra. A ipotizzare per Vittorini una conversione tardiva, sulla soglia del 25 luglio del ’43 (ovvero quando la crisi del fascismo si era in qualche modo palesata apertamente) è stata in particolar modo Ruth Ben-Ghiat nel suo La cultura fascista, facendo ricorso agli studi di Mirella Serri. Quest’ultima, sulla base di una serie di documenti inediti, ha infatti ricostruito – con velate accuse di collaborazionismo – la partecipazione di Vittorini e di Giaime Pintor al convegno degli scrittori tenutosi a Weimar nell’ottobre del 1942. Oltre a cercare di ricostruire il passaggio di Vittorini dal fascismo all’antifascismo, si cercherà dunque di dar conto della partecipazione dello scrittore siciliano al convegno weimariano (che si colloca, peraltro, tra il definitivo “licenziamento” delle bozze di Americana e la diffusione del volume nelle librerie) e di capire se questa partecipazione possa configurarsi come una compromissione, particolarmente tarda, con il regime. Se dai problemi posti dallo specifico del percorso intellettuale di Vittorini si trascorre su problematiche di “campo” si trovano altrettante questioni irrisolte. Una delle colonne portanti del mito americano, già si accennava, è la sua potenziale connotazione antifascista. A partire dal dopoguerra infatti le ricostruzioni del mito letterario statunitense hanno messo in risalto gli aspetti contro-culturali e di opposizione al regime che la traduzione e la pubblicazione di testi letterari provenienti da oltreoceano avrebbero portato con sé.1 1 I primi studi sul mito letterario americano sono certamente quelli in cui la connotazione politica è più fortemente presente. Si vedano: AGOSTINO LOMBARDO, La ricerca del vero. Saggi sulla tradizione letteraria americana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1961 (i primi due capitoli, pp. 11-81; primo capitolo precedentemente in ID., La critica italiana sulla letteratura americana, in «Studi Americani», n. 5, 1959, pp. 9- 49; secondo capitolo precedentemente in: ID., L’America di Vittorini, in «Criterio», V-VI, 1958, pp. 354- 368); DONALD HEINEY, America in Modern Italian Literature, New Brunswick, Rutgers University Press, 6 Questa impostazione, definita talvolta “militante”, unita al fatto che spesso si tende a considerare il Ventennio come un oggetto storico monolitico, ha fatto sì che si sviluppasse un’idea forse troppo semplicistica: il “luogo comune” vorrebbe che dal 1930 in poi occuparsi di letteratura americana, tradurre autori statunitensi e pubblicarne i romanzi fosse in qualche modo una forma di antifascismo; a quest’idea fa da sfondo l’immagine di un Ventennio ermeticamente richiuso su se stesso, con rigide politiche autarchiche di matrice antiamericana e con un sistema di potente censura. Il risultato è stato l’instaurarsi di una rigida equazione – mai esplicitata in sede scientifica, ma entrata a far parte in qualche modo del dizionario storico-critico dés idées reçues – che vedrebbe (per tutti gli anni Trenta) una diretta corrispondenza tra americanismo e antifascismo, alla quale si contrapporrebbe specularmente il binomio fascismo-antiamericanismo. La critica e la storiografia, già da qualche decennio a questa parte, hanno naturalmente messo in discussione e problematizzato tutto questo, talvolta mettendo tra parentesi anche l’interpretazione politica del mito americano di cui s’è accennato. Emergono infatti alcuni elementi che risultano difficilmente riassorbibili in un sistema impostato polarmente. Tra gli esempi che mettono in discussione più radicalmente la rigida connessione tra fascismo e antiamericanismo si potrebbero citare alcuni discorsi del Duce, tesi a mettere in rilievo i buoni rapporti Italia-America (1926),2 o a interpretare il New 1964; DOMINQUE FERNANDEZ, Il mito dell’America negli intellettuali italiani dal 1930 al 1950, Caltanissetta- Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1969. Sul mito americano, e più in generale sui problemi relativi all’americanismo e all’antiamericanismo, nel contesto della cultura fascista si vedano anche: NICOLA CARDUCCI, Gli intellettuali e l’ideologia americana nell’Italia letteraria degli anni Trenta, Manduria, Lacaita Editore, 1973; GIUSEPPE MASSARA, Americani. L’immagine letteraria degli Stati Uniti in Italia, Palermo, Sellerio, 1984; MICHELA NACCI, L’antiamericanismo in Italia negli anni Trenta, Torino, Bollati Boringhieri, 1989; MICHEL BEYNET, L’image de l’Amerique dans la culture italienne de l’entre-deux-guerres, 3 vol., Aix-Marseille, Publications de l’Université de Provence, 1990; EMILIO GENTILE, Impending Modernity: Fascism and the Ambivalent Image of the United States, in «Journal of Contemporary History», n. 1, vol. 28, gennaio 1993, pp. 7-29; AA. VV., Chi stramalediva gli inglesi. La diffusione della letteratura inglese e americana in Italia tra le due guerre, a cura di Arturo Cattaneo, Milano, Vita e Pensiero, 2007 (in particolare parte prima, pp. 7-61); DAVID FORGACS e STEPHEN GUNDLE, Cultura di massa e società italiana. 1936-1954, Bologna, Il Mulino, 2007; CLAUDIO ANTONELLI, Pavese, Vittorini e gli americanisti. Il mito dell’America, Bagno a Ripoli, Edarc Edizioni, 2008; AMBRA MEDA, Al di là del mito. Scrittori italiani in viaggio negli Stati Uniti, Firenze, Vallecchi, 2011. 2 Il discorso che segue fu trasmesso dall’emittente radiofonica del «Chicago Tribune» il 14 dicembre del 1926. La voce del Duce era stata registrata su un disco, poi spedito negli States: «Io nutro la più cordiale 7 Deal di Roosevelt come un esperimento corporativista di ispirazione fascista (1934).3 Oppure si potrebbe chiamare in causa un’opera di letteratura odeporica: L’America, ricerca della felicità di Margherita Sarfatti, ritratto entusiastico degli States, che l’amante del Duce diede alle stampe nel 1937 dopo un viaggio oltreoceano.4 O ancora, sempre rimanendo in ambiti strettamente mussoliniani, si potrebbe dar conto del viaggio negli USA che il giovane Vittorio Mussolini (il “figlio del capo”, scriverà Umberto Eco), appassionato di cinematografia statunitense, intraprenderà in quello stesso 1937, per tentare di costruire rapporti di cooperazione filmica con gli americani. Tra le opere della propaganda fascista in cui i rapporti Italia-USA si presentano come più che ottimi, tuttavia, potrebbe essere ancora più significativo chiamare in amicizia per gli Stati Uniti e credo che la moderna Italia sia stretta ad essi da saldi e reali vincoli. Sia per i continui scambi commerciali, sia per l’afflusso di grandi correnti umane, sia, infine, per l’innegabile desiderio di conoscerci e apprezzarci reciprocamente, intense relazioni si sono stabilite tra i due paesi e hanno creato una vicendevole comprensione morale, da cui naturalmente una mutua simpatia ha avuto origine. Le due nazioni, infatti, hanno molti punti in comune. L’Italia d’oggi, come l’America, è sana, semplice e piena di fiducia in se stessa. A ciò deve essere aggiunta l’attrazione che le due nazioni esercitano l’una sull’altra: l’ammirazione americana per la nostra antica civiltà è sempre viva, l’interesse italiano per la civiltà americana è in pieno e potente sviluppo. Io stesso sono un sincero ammiratore della civiltà dell’America. […] Gli Stati Uniti e l’Italia sono oggi, insomma, stretti più che mai gli uni all’altra. La civiltà americana è stata accusata di essere dominata esclusivamente da fattori meccanici e materiali e di trovare i propri impulsi solo nel desiderio del guadagno. Nulla potrebbe essere più falso. La civiltà nord-americana ha dato un notevole contributo all’attività spirituale del mondo. Essa produrrà ancora più in avvenire. […] ho visto, con profonda soddisfazione, svilupparsi una più larga conoscenza dell’Italia e una chiara comprensione del fascismo nella grande Repubblica americana. […] I due popoli, italiano e americano, sono nati per intendersi a vicenda, a causa delle loro finalità ultime e ora hanno appreso a conoscersi e ad apprezzarsi sempre meglio.[…] Americani e italiani d’America! Io vi unisco nello stesso caldo saluto!» (BENITO MUSSOLINI, Primo messaggio al popolo americano, in ID., Opera omnia. Dall’attentato Zaniboni al discorso dell’ascensione (5 novembre 1925-26 maggio 1927), vol. XXII, Firenze, La Fenice, (1951-1963) 1957, pp. 290- 291). 3 Nel 1934 Mussolini, recensendo un volume dell’economista americano Henry Wallace sul «Popolo d’Italia», scriveva: «Il succo del libro di Wallace è questo: gli Stati Uniti possono, per uscire dalla terribile depressione cominciata nel 1929, scegliere tre strade: […] per riuscire in ognuno di questi tre possibili tentativi, condizione pregiudiziale, secondo il Wallace, è l’instaurazione di un «ordine» nell’economia: la creazione di un «piano», una economia, insomma «programmata». […] L’economia programmata è nel programma del «New Deal» del nuovo programma – cioè – inaugurato da Roosevelt. […] Il Wallace dice cooperazione. Ma egli intende corporazione. Il suo libro è «corporativo». Le sue soluzioni sono corporative. […] Alla domanda: che cosa vuole l’America?, si può rispondere: tutto fuorché un ritorno all’economia liberale, cioè anarchica. Se poi qualcuno domandasse: dove va l’America? Ebbene, dopo la lettura del libro di Henry Wallace, si può tranquillamente affermare che l’America va verso l’economia corporativa, cioè verso l’economia di questo secolo. Merito e gloria imperitura della Rivoluzione fascista quella di aver aperto la grande strada sulla quale – a poco a poco – marceranno tutti i popoli!» (B. MUSSOLINI, Che cosa vuole l’America, in «Il Popolo d’Italia», 17 agosto 1934. Ora anche in ID., Opera omnia. Dal Patto a Quattro all'inaugurazione della provincia di Littoria (8 giugno 1933-18 dicembre 1934), vol. XXVI, Firenze, La Fenice, (1951-1963) 1958, pp. 300-302). 4 MARGHERITA SARFATTI, L’America, ricerca della felicità, Milano, Mondadori, 1937. 8

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la partecipazione di Vittorini e di Giaime Pintor al convegno degli scrittori tenutosi nuove leggende sorgere dagli orizzonti conquistati.257. Anche il
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