Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna Scuola di Dottorato in «Storia dell’Età contemporanea nei secoli XIX e XX “Federico Chabod”» Coordinatore Ch.mo Prof. Stefano Cavazza Ciclo XXIV Tesi di Dottorato in Storia Contemporanea Settore Concorsuale: 11/A3 Storia contemporanea Settore scientifico-disciplinare: M-STO/04-Storia contemporanea Cattolici e liberali dall’antifascismo alla seconda guerra mondiale (1925-1943) Relatore: Ch.mo Prof. Roberto Pertici Candidato: Federico Mazzei Matricola 375299 Anno Accademico 2012/2013 1 2 Indice Abbreviazioni archivistiche………………………………………………………………p.5 Introduzione………………………………………………………………………….......p. 6 1. Popolari e liberali dall’«alleanza difficile» alla svolta antifascista - 1.1. La crisi dello Stato liberale e la «rottura del centro»…………………………….p. 9 - 1.2 La «nuova democrazia» di Amendola e l’antifascismo «aventiniano»………….p. 17 - 1.3 I liberali all’opposizione e il popolarismo «costituzionale» di De Gasperi……...p. 26 2. Dalla politica alla storia: itinerari alla ricerca del popolarismo di opposizione - 2.1 Igino Giordani tra intransigenza antifascista e cattolicesimo liberale……………p. 41 - 2.2 Il «guelfismo» di Vito Giuseppe Galati……………………………………….…p. 58 - 2.3 Lo «speciale liberalismo» di un popolare: Mario Augusto Martini storico del cattolicesimo risorgimentale……………………………………………………………...p. 73 - 2.4. Stefano Jacini «popolare» e il tramonto del conservatorismo nazionale………...p. 96 3. Religione e politica nei liberali «cattolicizzanti» - 3.1 Guido De Ruggiero e la Storia del liberalismo europeo….……………………..p. 112 - 3.2 Cattolicesimo e «animo liberale» nella formazione di Tommaso Gallarati Scotti…………………………………………………………………………………….p. 129 - 3.3 Dal modernismo a Croce: il liberalismo «religioso» di Alessandro Casati……..p. 139 4. L’antifascismo cattolico e liberale nella «lunga vigilia» - 4.1 L’«esilio interiore»……………………………………………………………...p. 156 - 4.2 Gli interstizi dell «rete» antifascista…………………………………………….p. 169 - 5. L’ora della Conciliazione - 5.1 La «preconciliazione»…………………………………………………………...p. 178 - 5.2 Dopo gli accordi del Laterano………………………………………………..…p. 186 3 6. Cattolici e libertà nella storia del XIX secolo - 6.1 La polemica sulla Morale cattolica manzoniana………………………………..p. 204 - 6.2 Croce e i cattolici nella Storia d’Europa……………………………………………..p. 211 - 6.3 La collaborazione a «Hochland» di De Gasperi e Jacini………………………..p. 224 - 6.4 «I cattolici italiani e la storia del Risorgimento» ………………………………p. 233 7. Jacini, De Gasperi e la storia della politica ecclesiastica risorgimentale - 7.1 Il lavoro preparatorio nella corrispondenza degasperiana……………………...p. 243 - 7.2 «La crisi religiosa del Risorgimento»…………………………………………...p. 256 - 7.3 «Un riformatore toscano del Risorgimento»…………………………………....p. 266 8. Di fronte alla «crisi della civiltà» - 8.1. La guerra d’Etiopia……………………………………………………………..p. 273 - 8.2 La Chiesa contro i totalitarismi…………………………………………………p. 281 9. «Perché non possiamo non dirci cristiani» - 9.1 De Gasperi «vaticano» e le amicizie liberali……………………………………p. 294 - 9.2 I Tra guerra italiana e Santa Sede………………………………………………p. 309 - 9.3 Croce e il cristianesimo…………………………………………………………p. 326 10. Il ritorno dei cattolici e l’ipotesi mancata di «partito moderato» - 10.1 La memoria del popolarismo dalla storia alla politica…………………………p. 341 - 10.2 De Gasperi e il «partito moderato»…………………………………………….p. 352 - 10.3 De Gasperi e la Santa Sede: il «memorandum Dalla Torre»…………………..p. 360 - 10.4 «Libertà senza liberalismo»……………………………………………………p. 371 4 Abbreviazioni archivistiche AFDG Archivio della Fondazione Alcide De Gasperi, Roma Fondo Alcide De Gasperi ACS Archivio Centrale dello Stato, Roma Fondo Ivanoe Bonomi Fondo Alessandro Casati Fondo Leone Cattani Fondo Vittorio Emanuele Orlando ASILS Archivio Storico Istituto Luigi Sturzo, Roma Fondo Mario Cingolani Fondo Guido Gonella Fondo Giuseppe Spataro Fondo Luigi Sturzo AJC Archivio Famiglia Jacini, Casalbuttano Fondo Stefano Jacini ABS Archivio Biblioteca Comunale di Scandicci Fondo Mario Augusto Martini AFGG Archivio Fondazione Giovanni Gentile, Roma Fondo Giovanni Gentile AFBBC Archivio Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, Napoli Carteggi di Benedetto Croce AMM Archivio Famiglia Majnoni, Marti Fondo Massimiliano Majnoni AFSNA Archivio Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Firenze Fondo Guido De Ruggiero ASCD Archivio Storico della Camera dei Deputati, Roma Fondo Enzo Storoni AFLE Archivio Fondazione Luigi Einaudi Fondo Luigi Einaudi ISRF Istituto Storico della Resistenza, Firenze Fondo Carlo Rosselli 5 Introduzione Il quadro tematico della tesi è la storia politica e culturale delle relazioni tra il cattolicesimo democratico di origine «popolare» e la tradizione del liberalismo italiano, in un arco cronologico compreso tra l’antifascismo dell’Aventino e la ricostruzione dei partiti fino alle origini della transizione postfascista. L’ipotesi di partenza della ricerca è che proprio in questo «lungo viaggio» la classe dirigente del cattolicesimo politico – a cominciare dalla leadership di Alcide De Gasperi – abbia completato quel processo di acculturazione in senso «liberale» che l’avrebbe portata a guidare consensualmente l’uscita dal fascismo nel secondo dopoguerra. I presupposti di questa transizione dall’egemonia liberale a quella del «partito nazionale» degasperiano affondano le proprie radici nell’ultima fase della storia prefascista, quando popolari e liberali iniziarono a scongelare la conflittualità che aveva impedito fino alla marcia su Roma l’accordo di coalizione antifascista. L’«aventinismo» del PPI segnava un salto di qualità rispetto al «collaborazionismo» del partito sturziano coi governi liberali del primo dopoguerra, ridefinendo l’identità liberal-democratica dei cattolici nell’alleanza antifascista, e depotenziando – in questo modo – anche l’anticlericalismo degli interlocutori di matrice laico-risorgimentale. L’antifascismo costituzionale del popolarismo di De Gasperi puntava così a ripristinare un rapporto dialettico ma non radicalmente distruttivo rispetto alla stessa tradizione nazionale del liberalismo, avvertendo l’impossibilità di ridurla a incubazione genetica del fascismo. Questo riavvicinamento tra l’antifascismo liberal-democratico e quello cattolico-popolare non andò disperso nell’itinerario di formazione delle classi dirigenti che si ritrovarono «gomito a gomito» nell’opposizione politica al fascismo, ma si consolidò in forme culturalmente più consapevoli dopo la svolta totalitaria e il forzato distacco dalla politica. In questa prospettiva la ricostruzione si concentra su alcuni itinerari ideal-tipici del cotè popolare e di quello lato sensu liberale, nei quali il problema dell’incontro tra cattolicesimo e libertà si pose in termini storicamente rinnovati rispetto agli «steccati» laico-religiosi della tradizione risorgimentale. Nel primo caso si affrontano alcuni percorsi «tipici »di acculturazione o di vera e propria ricerca storiografica, che portarono alcuni dirigenti del partito sturziano (Igino Giordani, Vito G. Galati, Mario A. Martini) a recuperare le tradizioni di cattolicesimo liberale e risorgimentale come autentico «tratto identitario» del popolarismo di opposizione, affiancandosi alla più conosciuta azione di «resistenza culturale» di 6 De Gasperi «esule in patria» sotto il fascismo. Da questo sforzo di autodefinizione «risorgimentista», sarebbe complessivamente derivata la riappropriazione di una centralità del cattolicesimo nella storia nazionale, costantemente filtrata dall’identificazione dei protagonisti del «liberalismo cattolico» come antesignani e precursori dello stesso popolarismo. Nel mondo liberale la ricerca si concentra su figure «cattolicizzanti» come quelle di Alessandro Casati e di Tommaso Gallarati Scotti, approdati al liberalismo laico dall’esperienza del modernismo e sensibili per formazione al nesso tra religione e libertà, dei quali viene ripercorso anche in chiave prosopografica l’itinerario politico e culturale. Tra questi due universi di cattolicesimo politico e di liberalismo religioso fu essenziale anello di collegamento l’ex popolare Stefano Jacini, che in tutti quegli anni della «lunga vigilia» mantenne un intenso rapporto epistolare con De Gasperi, esercitando su di lui una influenza non certamente secondaria nell’acquisizione di riferimenti storico-nazionali saldamente orientati in chiave «conciliatorista». Di particolare rilievo appare il contributo prestato dallo stesso De Gasperi al lavoro storiografico di Jacini degli anni Trenta sulla «crisi religiosa» del Risorgimento, che pose in contatto critico il trentino con l’idealismo laico a partire dalle sue recensioni della Storia d’Europa di Croce. Nel confronto a distanza con l’orizzonte liberale dell’epoca, il cattolicesimo antifascista di De Gasperi mantenne inalterata la sua dissociazione dagli irrigidimenti della filosofia della libertà di Croce – «motore immobile» della cultura di opposizione liberal-democratica – in una sorta di «laicismo di opposizione» dopo la Conciliazione del 1929. Questo piano di storia culturale delle classi dirigenti si salda nella tesi con quello della «resistenza morale» e poi della militanza politica di opposizione, in cui l’antifascismo popolare e liberale condivisero la scelta della non compromissione e il rifiuto esistenziale della «violenza civile dei tempi» come strumento di lotta cospirativa. Dalla seconda metà degli anni Trenta l’escalation della crisi internazionale e la politica di guerra fascista accelerarono ulteriormente la convergenza delle resistenza cattolica e liberale in chiave di lotta contro i totalitarismi, come mostrava la rielaborazione dello stesso Croce sull’ambientazione cristiana del suo liberalismo. Si ripropose in quel frangente anche il problema dell’intesa politica tra cattolici e liberali su una piattaforma di antifascismo «legale» e moderato, che prefigurava inizialmente anche ipotesi di unificazione partitica (aggregazione laica di centro o «partito conservatore», secondo le varianti «aconfessionali» di De Gasperi rispetto al partito unitario dei cattolici) o di ritorno ad accordi clerico-moderati con rapporti di forza rovesciati a svantaggio dei liberali. La bocciatura di queste ipotesi fu dovuta in buona parte alla conservazione di una identità culturalmente e politicamente separata da parte degli eredi del popolarismo, a cominciare da chi come Jacini poteva vantare consuetudini familiari con progetti cattolico-moderati come quello del «conservatorismo 7 nazionale». Questa prevenzione non presupponeva un ritorno alle purezza delle origini «antiliberali» del popolarismo, essendo nel frattempo maturata l’inevitabilità storica di un ripensamento dell’esperienza prefascista. Prevalse infatti la necessità di superare i limiti di governabilità dell’Italia liberale che avevano causato la rottura del centro ed esposto il sistema alla dissoluzione: la via indicata da De Gasperi non sarebbe stata quella di un accordo organico con l’organizzazione liberale o con gli esponenti più rappresentativi della sua classe dirigente prefascista, ma la federazione del consenso centrista in un country party dei cattolici capace di raccogliere e di gestire unitariamente il bacino moderato che nel primo dopoguerra si era diviso tra popolarismo e forze demoliberali. 8 1. Popolari e liberali dall’«alleanza difficile» alla svolta antifascista 1.1 La crisi dello Stato liberale e la «rottura del centro» È acquisizione storiograficamente consolidata che la crisi dello Stato liberale in Italia sia stata condizionata in misura determinante dal rapporto di conflittualità apertosi nel primo dopoguerra fra il ceto politico liberale e il Partito Popolare Italiano di Sturzo. Dal punto di vista sistemico la nascita del popolarismo rese irreversibilmente impraticabile la prassi di accordo clerico-moderato con cui il sistema di governo giolittiano aveva gestito dal 1904 l’abrogazione pontificia del non expedit e la convergenza extra-partitica fra elettorato cattolico e candidature liberali. Il superamento del modello «gentiloniano» produsse nel primo dopoguerra la sperimentazione di una coalizione liberal-popolare numericamente obbligata in Parlamento per l’autoesclusione del rivoluzionarismo socialista, ma incapace di assicurare stabilità di governo alla «democrazia dei partiti» elettoralmente originata dall’introduzione della riforma proporzionale nel 1919. Atteggiamento di neutralità «aconfessionale» rispetto alla tutela degli interessi ecclesiastici, intransigenza sull’identità programmatica di partito nei governi di coalizione e progettualità di riforma della rappresentanza liberale furono gli attributi del progetto sturziano che ne restrinsero obiettivamente gli spazi di negoziazione con i gruppi della maggioranza costituzionale, invalidando anche sul fronte liberale la riproposizione di strategie contrattuali più o meno direttamente finalizzate al riassorbimento della presenza cattolica in un quadro «pre-partitico». L’autonomia del popolarismo di Sturzo dalla maggioranza liberale si mantenne comunque distante da qualsiasi tipo di identificazione con la tradizione di «opposizione cattolica» allo Stato unitario, riconvertendo il retaggio di «intransigentismo» religioso in un programma di rilegittimazione a base autonomistica e «comunitaria» dello Stato risorgimentale1. In questo senso l’approdo del movimento cattolico nel popolarismo segnò effettivamente il reingresso pleno jure del cattolicesimo nazionale nel quadro delle istituzioni liberali, garantendo il superamento dell’intransigenza antistatale in una linea di autonomia partitica e programmatica. La rottura del PPI con il passato intransigente avrebbe naturalmente implicato il riconoscimento del costituzionalismo liberale come garanzia di legittimazione della presenza cattolica indipendentemente dalle tendenze accentratrici e «panteistiche» del liberalismo ideologico, mostrandosi Sturzo «sempre attento a 1 Per questa interpretazione cfr. G. De Rosa, Storia politica dell’Azione cattolica in Italia. Dall’Enciclica «Il Fermo proposito» alla fondazione del Partito Popolare (1905-1919), Laterza, Bari 1954, pp. 151-160. 9 distinguere nel liberalismo un’eredità positiva, e cioè l’avvento dei sistemi costituzionali rappresentativi, da una tendenza, empiricamente rilevabile, che procedeva verso l’assorbimento della società civile nello Stato»2. Da questa riappropriazione del «metodo della libertà» fu poi contrassegnata la stessa polemica sturziana contro l’ideologia di governo liberale, propensa a riprodurre surrettiziamente nel rapporto con il PPI il cleavage di anticlericalismo risorgimentale definitivamente neutralizzato dalla svolta «istituzionalista» del popolarismo. La stessa derivazione del popolarismo dal movimento cattolico post-unitario contribuisce contemporaneamente a spiegare le origini dei rapporti di diffidenza e conflittualità con il mondo liberale, accreditando in questo caso le interpretazioni storiografiche che maggiormente insistono sulla latente continuità del partito sturziano con il retroterra socio-culturale del cattolicesimo intransigente. Da quest’ultimo il popolarismo avrebbe storicamente ereditato – secolarizzandola in forma di «partito laico moderno» – la critica al monopolio laicista dello Stato liberale senza più ipotecarla alla delegittimazione antirisorgimentale dei «fatti compiuti», ragion per cui esso rappresenterebbe l’«espressione di un trascendimento del passato intransigente e corporativo del cattolicismo militante, di cui seppe riprendere le interne verità in contesti civili e democratici»3. Da questo punto di vista proprio la tesi storiografica del popolarismo come «conversione democratica» dell’intransigenza cattolica restituisce una chiave di lettura non secondaria per interpretare la contrapposizione popolare al liberalismo in quanto ideologia e forza di governo. Ed anche il cosiddetto «avvenirismo» programmatico del PPI risulterebbe così addebitabile alla persistenza di una vocazione storica di intransigenza non risolta dalla «costituzionalizzazione» sturziana del movimento cattolico. Tale retaggio di «intransigenza democratica» condizionò profondamente l’identità storico- politica del PPI e il suo antagonismo di fondo verso la continuità di governo liberale, congelando quell’alternativa «conciliatorista» di blocco moderato che dal «conservatorismo nazionale» di Stefano Jacini aveva costantemente attraversato la tradizione del cattolicesimo post-risorgimentale fino agli accordi elettorali del 1913. Di segno negativo fu dunque la sua incidenza sulla formazione di maggioranze parlamentari cementate da una collaborazione dei popolari con le varie frazioni della galassia demoliberale, alla quale continuarono isolatamente a richiamarsi soltanto i vecchi «cattolici deputati» del ralliement giolittiano come Filippo Meda. Tuttavia proprio i rapporti di forza parlamentare dopo il 1919 conferirono al PPI una posizione arbitrale rispetto a qualsiasi prospettiva di governabilità della maggioranza liberale, rendendolo interlocutore praticamente 2 N. Antonetti, Sturzo, i popolari e le riforme istituzionali, Morcelliana, Brescia 1988, p. 104. Cfr. anche F. Traniello, Luigi Sturzo nuovo intellettuale, in Id., Città dell’uomo. Cattolici partiti e stato nella storia d’Italia, il Mulino, Bologna 1998², pp. 173-174. 3 G. De Rosa, La crisi dello Stato liberale, Edizioni Studium, Roma 1955, p. 66. 10
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