(cid:1) (cid:1) (cid:1) ALLA FINE DEL GIOCO Introduzione all’ascolto della musica progressiva inglese (1965 - 1974) (cid:1) Introduzione(cid:1) (cid:1)(cid:1) Polvere nidi di rondine e arbusti strappati sta soffiando un gelido vento dal nord questa notte copre le grida disperate di bocche impastate di terra scalfisce le guance entra dal collo e dagli occhi e non esce più per Nick Drake (19.6.1948 / 25.11.1974) (cid:1) AT LAST I’M FREE Ad un certo punto pensavo di non riuscire più a finirlo. Quello che all’inizio sembrava un gioco divertente, un passatempo inebriante, giorno dopo giorno diventava sempre più un’ossessione, un lavoro, un obbligo (verso me stesso). Tanto da non riuscire a capire il perché, in quel preciso momento, di dover ascoltare due o tre volte di fila In the court of the Crimson King o Third dei Soft Machine quando il pensiero e la voglia correvano frenetici sui Doors o, che so, su La mela di Odessa degli Area. E mia figlia a supplicare di ascoltare la Tina, Edoardo e Foxy lady con sul piatto Sysyphus da Ummagumma. Alla fine l'ho fatto. Dopo oltre un anno di errori e ripensamenti, dopo una ricerca infinita (e ancora incompleta) una cosa mi è parsa chiara : è impossibile scrivere di musica, o meglio, è tremendamente difficile spiegare con il “ruvido” materialismo dei vocaboli le mille sensazioni, le emozioni a 360 gradi che la musica è capace di generare. Mi tornano in mente le considerazioni di Glen Sweeney incluse nelle note di copertina di Alchemy, il primo album della Third Ear Band, che ammoniscono sull’inadeguatezza delle parole nel descrivere gli elementi portanti della musica del gruppo. Comunque, scrivere di musica è necessario, comunicare agli altri la propria esperienza d'ascoltatore (attivo ?), e se solo fossi riuscito a riversare nelle mie considerazioni il 10 % di ciò che provo quando ascolto, allora potrei considerare riuscito il lavoro svolto. E il bello è che nessuno lo può dimostrare, perché la musica non solo “vibra nelle ossa ed entra nella pelle” ma s'insinua, spesso in modo subdolo, nei reconditi e impenetrabili ingranaggi che regolano il funzionamento del sentimento e dell’emozione. Non è certo un capolavoro questo libro, ma mi piacerebbe fosse considerato un lavoro onesto, come l’opera della media dei musicisti che vi sono citati e dal momento che sono testardo credo che ci riproverò, ancora tenterò di dar forma a qualche progetto che mi passa in zucca perché la musica è vita e la vita, tutto sommato, è bella. Un grazie di cuore, per la sopportazione, a Maura e Alice. (cid:1) (cid:1)(cid:1) (cid:1)(cid:1) Nota introduttiva Intanto è utile trovarsi d’accordo sul significato del termine “musica progressiva”, oppure può anche non verificarsi conformità di opinioni ma una definizione a rigor di termine musicale appare necessaria. Di norma si tende a considerare “progressivi” complessi o singoli musicisti (e le loro proposte sonore) appartenenti al fenomeno del rock romantico e sinfonico, quello che prende le mosse dal neoclassicismo dei Beatles per giungere (attraverso una precisa fase evolutiva) a formazioni quali Genesis, Yes, E L & P e simili. “L’arte non è uno specchio - è un martello”, è il principio generale sentenziato da John Grierson sulla copertina di In praise of learning degli Henry Cow. Facendo interagire queste parole con il concetto di “musica progressiva”, potremmo considerare lo specchio come edonistica e immobile riflessione di un’immagine sonora prestabilita mentre il martello, in quanto umile strumento di lavoro, risulterebbe utile per l’esecuzione di piccole modifiche strutturali, necessario al divenire faticoso delle note sul pentagramma. Se il significato del termine “progressivo” sta per qualcosa che tende a progredire, che procede lentamente e continuamente in senso evolutivo, allora qualcuno deve spiegare perché (a puro e semplice esempio) vanno considerati progressivi i Genesis e non gruppi quali Who o Led Zeppelin, sicuramente più importanti e decisivi sotto questo aspetto. Si tratta, chiaramente, di uno dei tanti luoghi comuni del rock, dell’esigenza di etichettare, catalogare, di rendere commerciabile un prodotto musicale. Credo che gli artisti che hanno contribuito allo sviluppo della musica inglese, che hanno lavorato “in progressione”, rappresentino una ben più vasta platea d’interesse. Non tutti (anzi, quasi nessuno) hanno sviluppato interamente la carriera alla continua ricerca di un accrescimento creativo della forma musicale (e l’esempio eclatante viene proprio dall’ambito romantico-sinfonico) ; l’attitudine progressiva di molti va rintracciata in una parte dell’attività, a volte in un singolo episodio. E’ quindi obbligatorio calarsi nella complessità della musica rock inglese (o meglio britannica, perché di questa si disquisisce) e non tragga in inganno la grande quantità di nomi citati : questa non vuole essere, e non è, una storia del rock inglese, ma solo il resoconto del suo aspetto progressivo. Non c’è tutto, non è un’enciclopedia. Nemmeno mi piace chiamarla guida, sa troppo di itinerari predisposti e comandati. Una “traccia introduttiva all’ascolto della musica progressiva inglese” mi pare possa cogliere il senso di queste righe, sufficientemente articolata, strumento utile a stimolare l’approccio (o un sempre vantaggioso ricordo) verso un mondo musicale estinto ma ancora in grado di trasmettere emozioni, di offrire input basilari alle nuove generazioni di appassionati. Come già accennato, qui si parla di musica britannica e non mancano le inevitabili eccezioni. Lo sappiamo tutti, ad esempio, che Jimi Hendrix è nato a Seattle e ha girato gli Stati Uniti in lungo e in largo per anni prima di essere casualmente “scoperto” da Chas Chandler. Non si può però dissentire sul fatto che l’Experience vada considerata una formazione inglese, non tanto per la presenza di Redding e Mitchell (che da soli...), quanto per la precisa collocazione storico - musicale e geografica che interessa il complesso nella parte iniziale della carriera. Chi può ragionevolmente affermare che Hendrix sarebbe divenuto lo stesso musicista di successo mondiale, punto di riferimento essenziale per lo sviluppo della chitarra rock, che avrebbe suonato la stessa musica e pubblicato un disco come Are you experienced ? se non avesse seguito il consiglio di Chandler di recarsi in quella Londra piena di fermento, nel settembre del 1966 ? Si tratta di un preciso periodo storico : 1965 / 1974. Ovviamente tale lasso di tempo non deve essere considerato come una sorta di esercizio provvisorio del rock, che inizia al primo di gennaio del ’65 e termina il 31 dicembre 1974. Più semplicemente si intende il 1965 come l’anno nel quale si vengono a concretizzare in modo compiuto le prime forme complesse di musica rock e il 1974 rappresenta una possibile, ideale chiusura di un decennio musicale irripetibile, la fine di un movimento che arranca in preda ad una irreversibile decadenza creativa, del quale l’avvento del punk rock farà sommaria giustizia. All’ordine alfabetico dei nomi ho preferito una trattazione per capitoli e (per quanto possibile) per “categorie omogenee”, con la presenza di un sommario discografico che non vuole arrogarsi la pretesa dell’infallibilità ma certamente costituisce una corposa base di partenza (con gli oltre 300 titoli consigliati) per chi vuole entrare in contatto con la parte migliore del rock britannico. Molti degli album citati sono oggi delle vere e proprie rarità reperibili, nell’originale versione in vinile, esclusivamente nei vari mercatini dell’usato e dei dischi da collezione, a prezzi spesso proibitivi. E’ in ogni caso possibile, con un po’ di ricerca (e di fortuna, elemento sempre necessario per fruire di musica in Italia), riuscire ad ascoltare il prezioso contenuto di questi lavori rivolgendosi al settore delle ristampe. Tra le principali etichette specializzate in riedizioni di vecchio e, a volte, dimenticato materiale si possono segnalare Edsel, B.G.O., See for Miles, Repertoire che da qualche anno a questa parte pubblicano quasi esclusivamente nel formato CD. Certo, gli originali odorano (o puzzano) di storia ma ciò che veramente importa, alla fine, è l’approccio alla bellezza, alla poesia, alla vitalità, alle emozioni che questa musica è ancora capace di comunicare. (cid:1) A New Day Rising(cid:1) (cid:1) dal beat alla musica progressiva (cid:1)(cid:1) (cid:1)(cid:1) Nella storia della musica, in realtà, una nuova alba non è mai esistita. Il concetto di invenzione, di creazione dal nulla in questa materia appare fuori luogo ; dopo tanti eventi a sensazione dobbiamo allenarci a ragionare nell’ottica del divenire, ad esaminare i piccoli e grandi cambiamenti progressivi che traggono il loro valore aggiunto dal preesistente con l’ausilio di figure di rilievo e di oscuri praticanti, di luminari e di imbonitori, tra grandi gioie e sconfinate delusioni. E non può essere altrimenti se è esatto, come sosteneva Jacques Attali, che “il mondo non si guarda, si ode - non si legge, si ascolta”, se è vero che la musica non è la colonna sonora della nostra vita ma è il fluire dell’esistenza stessa. A maggior ragione l’opinione pare valida per la musica rock, tipica espressione di sintesi sonora, di fusione tra stili diversi riannodati su nuove metriche : a volte si tratta di prospettive inedite, in altri casi di sfumature. Verso la metà degli anni Cinquanta i maggiori musicisti americani di rock’n’roll (Elvis Presley, Bill Haley, Buddy Holly, Jerry Lee Lewis, Little Richard, Chuck Berry ...) iniziano ad ottenere grande successo nelle classifiche di vendita inglesi e di riflesso nascono i primi cantanti indigeni del genere. I vari Cliff Richard, che si fa accompagnare da un gruppo chiamato Shadows, Lonnie Donegan e simili non fanno comunque molto per tentare di mascherare quella che si configura come una fase di chiara importazione culturale per la musica inglese. Il loro successo commerciale risulta oltremodo importante per convincere una moltitudine di aspiranti giovani musicisti a prendere in mano gli strumenti e confrontarsi con i suoni che provengono da oltre oceano. Lo sviluppo dal rock’n’roll alle prime forme compiute di linguaggio rock avviene nella parte iniziale degli anni Sessanta seguendo due principali direttrici : il beat melodico e il blues revival. - 1 - Il beat è una forma musicale direttamente derivata dal rock’n’roll degli anni ’50, con una forte componente ritmico - melodica e un approccio piuttosto commerciale, anche come genere da ballo. Nei primi tempi, il fulcro della musica beat si localizza nella zona del Lancashire, in particolare nelle città di Liverpool e di Manchester, dove assume la denominazione di Mersey Sound. Da Manchester provengono gli Hollies di Graham Nash, dalla rigogliosa scena di Liverpool gruppi quali Searchers, Gerry and the Peacemakers, Merseybeats, Big Three. In questo contesto l’unica formazione che nel tempo riesce a sviluppare in modo significativo, e con clamore irripetibile, le coordinate sonore di base della propria musica è quella dei Beatles. John Lennon, Paul McCartney e George Harrison iniziano nel 1956 in una formazione denominata Quarrymen e agli albori del nuovo decennio sono ancora insieme nei Silver Beatles, che comprendono anche Stuart Suttcliffe (morirà nell’aprile ’62 a causa di un’emorragia cerebrale) e il batterista Pete Best. Nell’autunno 1961 incontrano Brian Epstein, che si propone come manager e riesce a procurare al gruppo l’occasione di un provino per la Decca, effettuato il primo gennaio del 1962. I responsabili della casa discografica commettono il grave errore di non credere alle potenzialità del quartetto di Liverpool, che riscuote maggior fortuna presso l’etichetta Parlophone (del gruppo Emi) : qui lavora George Martin che diventa il produttore dei Beatles. L’ultimo avvicendamento in formazione riguarda il ruolo di batterista coperto da Ringo Starr, a seguito dell’allontanamento di Best. Il 5 ottobre 1962 viene pubblicato il primo 45 giri Love me do che ottiene un buon successo entrando nei top 20 e i singoli del 1963 impongono i Beatles ai vertici delle classifiche inglesi. In questa fase, la loro musica si basa su un serrato incrocio ritmico di rock’n’roll e twist, con arrangiamenti semplici ed esaltanti armonie vocali tesi a generare un impatto estremamente coinvolgente. Fondamentale è l’affermazione come compositori della coppia Lennon / McCartney, che sin dalle prime uscite impone pezzi di propria produzione in un periodo nel quale è prassi diffusa affidarsi alla rielaborazione di brani importati dagli Stati Uniti. Canzoni come She loves you e I want to hold your hand marchiano indelebilmente lo stile dei Beatles, che all’inizio del 1964 conquistano anche il mercato americano piazzando la bellezza di cinque singoli e due album ai primi posti delle relative classifiche. Questo straordinario risultato commerciale rappresenta il primo passo verso una decisa inversione di tendenza nel rapporto tra musica rock inglese e americana : ora l’Inghilterra, sullo stimolo del fenomeno Beatles, esporta la propria musica negli States (e nel resto del mondo) e di conseguenza i musicisti americani devono iniziare a tenere conto di ciò che accade in terra inglese. Nonostante tutto non si può certo affermare che i Beatles, fino a questo momento, abbiano inventato chissà quali sconvolgenti novità in ambito musicale ; il loro sconfinato successo è in gran parte determinato dall’abilità nel sapersi proporre ed atteggiare in modo nuovo e anticonformista nei confronti dell’industria discografica e del music business. Questo è il periodo delle grandi tournée in giro per il mondo che contribuiscono a rafforzare ulteriormente la loro popolarità (nel giugno del 1965 visitano anche l’Italia, tenendo una serie di concerti a Milano, Genova e Roma). Nell’ottobre 1964 i Beatles registrano I feel fine, il singolo natalizio di quell’anno, che presenta alcune novità rispetto alla precedente produzione. Si tratta ancora di particolari, in ogni caso nell’introduzione del brano viene volutamente inserito un feedback di chitarra (prendendo spunto dagli Yardbirds che per primi sperimentano questa possibilità) e la canzone possiede un incedere caracollante che ricorda certe cose dei “rivali” Rolling Stones, con un lavoro di chitarra un po’ più complesso del solito. Anche sul fronte degli album si assiste ad un'evoluzione che offre i primi frutti importanti con il sesto disco a 33 giri Rubber soul (Parlophone), pubblicato alla fine del 1965. Nella ballata di Norwegian wood George Harrison introduce il sitar per la prima volta in un pezzo pop, relegandolo però ad un ruolo di caratterizzazione timbrica (meglio sapranno fare gli Stones con Paint it, black l’anno successivo). The word appare come uno dei brani più originali prodotti dai Beatles fino a questo momento, con superbe armonie vocali che presentano vaghi accenti jazz e gospel, mentre In my life è una raffinata ballata che sorprende per un inatteso intermezzo neoclassico di George Martin al piano. In contemporanea con la pubblicazione di Rubber soul viene immesso sul mercato un singolo con Day tripper, un ordinato rhythm & blues avvalorato da un classico riff di chitarra, e con We can work it out, dalla bella linea melodica decadente. Con il nuovo anno inizia per i Beatles una seconda fase della propria carriera ; il gruppo avverte l’esigenza di proporsi in modo più ambizioso rispetto ai contenuti musicali e preferisce dedicarsi esclusivamente alla composizione e alla ricerca sulle tecniche di registrazione, abbandonando definitivamente l’incessante attività concertistica nell’agosto ’66. Nonostante lo sforzo profuso e la pubblicazione tra il ’66 e il ’67 dei loro lavori maggiormente significativi Lennon, McCartney e compagni perdono gradualmente l’unità d’intenti e paradossalmente si vedono sfuggire di mano la leadership della scena rock, oramai in grado di evolvere autonomamente verso obiettivi di notevole creatività. BEATLES - REVOLVER (Parlophone - 1966) Nel giugno 1966 viene commercializzato il 45 giri Paperback writer, e ancor più dell’ottimo rock scorrevole ed immediato del lato A colpisce il retro Rain che anticipa le atmosfere del successivo album Revolver, facendo largo uso di nastri manipolati. Revolver, pubblicato nell’agosto ’66, è il disco più innovativo dell’intera produzione dei Beatles ; l’album rappresenta una decisa svolta verso un approccio creativo radicale e l’acquisita confidenza con le tecniche di registrazione permette, in particolare a Lennon, di sperimentare sonorità originali ed in parte inedite. L’apertura è riservata ad una sequenza di tre brani disposti in netto contrasto stilistico, quasi a voler affermare in modo provocatorio le capacità dei musicisti nell’affrontare generi musicali all’apparenza antitetici tra loro. Così Taxman è un rock spigoloso che evidenzia dure linee di chitarra, Eleanor rigby propone un’atmosfera di musica da camera (per ottetto d’archi e voce solista di McCartney), Love you to possiede un intenso sapore orientale con Harrison che al sitar mostra progressi rispetto all’esperienza di Norwegian wood. Molto coinvolgente è il rock melodico di She said - she said, sostenuto da un mix di chitarre multicolori; interessanti anche l’atipica ballata di For no one e I want to tell you, condotta dalla nitida e suadente sei corde di Harrison in contrasto con un obliquo trattamento pianistico. Il resto del disco si conferma su buoni livelli, e persino una canzoncina come Yellow submarine viene contornata di rumori ed effetti di ogni tipo. Il capolavoro dell’album è la conclusiva Tomorrow never knows, primo convinto tributo di Lennon e McCartney alla montante cultura psichedelica. Dopo una breve introduzione di sitar il brano decolla improvvisamente pervaso da strane sensazioni, con suoni che schizzano in ogni direzione sospinti da un’oscura forza centrifuga, aggrappati al ritmo martellante ed ipnotico della batteria, all’indifferenza della litania intonata da John Lennon, il tutto a creare uno stordente effetto di stratificazione sonora. Tomorrow never knows rappresenta uno dei vertici della creatività dei Beatles e prepara il terreno per la realizzazione, nei mesi successivi, della notevole Strawberry fields forever e del celebrato Sgt. Pepper. - 2 - Se il genere del beat melodico trova i principali punti di riferimento geografici nell’ambito della provincia inglese, il fenomeno del blues revival si sviluppa essenzialmente a Londra. Tra i personaggi più influenti, vero promotore della diffusione del blues e del rhythm & blues in Inghilterra, va annoverato Alexis Korner che già a metà degli anni ’50 apre il London Blues and Barrelhouse Club e all’inizio dei Sessanta l’Ealing Club, aiutato da Cyril Davies, altra significativa figura dell’epoca. Nel 1961 Korner crea la sua prima formazione, Blues Incorporated, una sorta di nucleo aperto alla generazione di giovani musicisti inglesi, vogliosi di confrontarsi con il suono proveniente dall’America. In questa formazione muovono i primi passi personaggi del calibro di Mick Jagger, Brian Jones, Keith Richard, Charlie Watts (i Rolling Stones !), ma anche importanti esponenti del jazz inglese quali John Surman, Dave Holland e Mike Westbrook. I Blues Incorporated continuano nella loro meritoria opera divulgatrice fino al 1967, quindi Korner prosegue una rigorosa e poco remunerativa carriera con altre creature come Free at Last, New Church, Collective Consciousness Society, Snape, collaborando spesso con musicisti di prestigio fino alla morte nel 1985. All’inizio degli anni Sessanta Mick Jagger e Keith Richard muovono i primi passi nell’ambiente musicale suonando in un gruppetto studentesco chiamato Little Boy Blue & the Blue Boys nel quale è presente anche Dick Taylor, futuro fondatore dei Pretty Things. I Blue Boys entrano nel giro dell’Ealing Club di Alexis Korner dove conoscono il chitarrista Brian Jones e il pianista Ian Stewart ; dal luglio 1962 il gruppo inizia ad esibirsi con regolarità e nel gennaio successivo cambia nome in Rolling Stones, dopo l’ingresso in organico di Charlie Watts (dai Blues Incorporated) e di Bill Wyman (dai Cliftons). Il primo ad accorgersi del potenziale della nuova formazione è Giorgio Gomelsky, ma dopo pochi mesi gli subentra come manager Andrew Loog-Oldham che decide di orientare la carriera dei Rolling Stones ad un antagonismo musicale e d’immagine nei confronti dei Beatles. A farne le spese è Ian Stewart, ritenuto non consono all’aspetto trasandato ed aggressivo del complesso, che viene estromesso dalla formazione pur rimanendo in qualità di collaboratore esterno. Nel giugno del ’63 i Rolling Stones pubblicano il primo singolo Come on, un brano scritto da Chuck Berry, e proprio l’utilizzo sistematico di canzoni rock’n’roll e blues importate dagli U.S.A. caratterizza tutte le uscite discografiche iniziali. Così è per Not fade away (un brano di Buddy Holly), per It’s all over now (di Bobby Womack, che nel giugno 1964 li porta per la prima volta in testa alla classifica di vendita inglese), per Little red rooster (di Willie Dixon), per la quasi totalità dei brani inclusi nei tre album di inizio carriera. Nonostante l’assenza di materiale originale, a differenza dei Beatles che da subito interpretano prevalentemente canzoni proprie, il successo è notevole e i Rolling Stones s’impongono rapidamente come il gruppo inglese di maggior fortuna tra quelli dediti ad una musica che trae le radici dal rock’n’roll e dal blues più robusto ed immediato. Con i successivi singoli, la bella The last time e soprattutto la potente Get off of my cloud, la coppia Jagger / Richard inizia a comporre canzoni originali e sempre più personali. Nel 1965,
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