Alfredo Oriani La rivolta ideale Napoli - Ricciardi 1908 Parte prima I - Il motivo Esso è eterno. Sempre, a qualunque ora della vigilia, dinanzi agli inviti dell'alba o sotto le ombre cadenti della sera, una voce si leva dal fondo della coscienza, e i nostri occhi quasi a un appello im- provviso guardano in alto. Vanamente nella stanchezza pigra del disinganno, nella superbia della disperazione, mormorammo col- le labbra chiuse la suprema parola della incredulità, mentre l'in- differenza della natura alla nostra umana tragedia pareva farsi più silenziosa, e un altro silenzio si dilatava nelle solitudini del pensiero. La vita fino all'ultimo passo e la luce fino all'estremo bagliore sono un moto dell'ideale. Coloro che negano il Dio della creazione, presente nelle ani- me semplici, ne inventano un altro nel cosmo, esaurendo il pro- prio orgoglio nel non dargli alcun nome, o credendosi profonda- mente poeti nel confonderlo colla vita, che sorride a se stessa. E nella natura immaginano leggi, che sono soltanto una sua appa- renza nel pensiero, e alla nostra vita d'individui danno per ragio- ne quella dell'umanità, individuo anch'essa che vivrà un qualche millennio senza sapere d'onde abbia cominciato ne ove debba fi- nire, sempre giovane e caduco, irresistibilmente sospinto all'av- venire, e costretto ad obliare il passato, nel quale sparirono coi morti tutti i dolori, che li avevano uccisi. Nullameno l'amore riaccende alla propria fiaccola ogni anima nuova, e una speranza 5 più forte di qualunque certezza risuscita dalle ceneri delle illu- sioni il desiderio della vita come di una conquista, che ci darà la padronanza del mistero e il segreto della felicità. Quindi la storia non è che una proiezione della nostra vita. L'una e l'altra ci appaiono un romanzo, nel quale l'individuo singolo o collettivo si atteggia come dinanzi allo specchio del pensiero, senza che le scene quasi si differenzino. Filosofia e re- ligione, arte e scienza, leggi e costumi salgono e discendono: le epoche si distendono in quadri, e alcune sono fosche, altre lumi- nose; qualche volta l'ascensione è così rapidamente gloriosa che la meta sembra dover esser vicina, ma nessun genio della mente o del cuore, per qualunque potenza di opera o di sentimento, po- trà mai mutare la condizione o spezzare l'unità del genere umano. Il più grande fra gli uomini non ha nel pensiero una categoria che non sia nella mente del più piccolo, e come nessun dei due sa dominare il problema del proprio essere, così sotto tutte le bontà durano curvi da un tragico sforzo tutti i vizi, che soverchiano al- tre anime senza spegnervi la luce ideale. Qualunque tempo nella storia è segnato dalla parabola di un'idea, che l'incendia e tra- monta; ogni progresso umano sposta col suo grado l'altro dalla meta, cosicché la distanza ne rimane ugualmente immutata. Tut- to comincia in noi e nulla finisce: la scienza costretta nella paren- tesi del microscopio e del telescopio la dilata, senza garantire a se stessa se quanto vi appare dentro sia uguale all'illimitato che ne resta fuori: la filosofia dopo aver chiesto al pensiero il segreto delle cose demandò alle cose il segreto del pensiero, ma le cose tacquero, e il pensiero non poté rispondere a se stesso, perché i- gnora la propria essenza, e sa soltanto che la verità immutabile sarà per lui tutto quanto non può non pensare. Il resto è figura- zione come di paesaggi sulle superfici dell'oceano o del cielo, e- 6 nigmatico giuoco della natura, che illude e delude i nostri occhi raddoppiando il velo della propria apparenza con un capriccio di donna e di poeta. Noi abbiamo l'idea della bellezza e viviamo della sua passio- ne soccombendo sempre al suo problema: impossibile per noi del pari il definirla e il realizzarla; un modello misterioso ci sorge nella mente al confronto di ogni figura, ma si abbuia appena ten- tiamo tradurlo in una qualche opera. Una idea di giustizia giudica ogni nostro atto così vivamente che nessun sofisma può ingan- narci: la nostra coscienza è un teatro e un foro, nel quale recitia- mo il nostro dramma cedendo alle passioni o immolandole al do- vere in uno spasimo di olocausto senza "che la giustizia verso noi stessi e verso gli altri compia mai la propria formula. Al di sopra di tutta la natura, che si rinnova dalla morte, anche noi a- miamo per tutta la durata e al di là della nostra esistenza; giova- ni, il nostro amore ha il sorriso dell'alba, il murmure dei fiori, il fresco della rugiada, l'incanto dell'eterna novità. Nel meriggio, quando la vita ci ha rapiti nel proprio vortice; amiamo ancora con la violenza delle fiamme, e l'amore rugge in noi come i tor- renti? lacera e feconda: è bello come le bufere che sconvolgono i cieli e li spazzano per fame più puro il sereno, attraverso il quale gli occhi cercano l'altissimo segreto. Vecchi, già curvi ai richiami della terra, amiamo sempre, col rimpianto del pellegrino cui fu conteso ovunque il riposo, coll'angoscia dell'assetato che sente la lunga arsura chiudergli la gola: amiamo la giovinezza che non può amarci più, e ci sorride e deride; amiamo i figli che già ama- no altrove, la patria nella quale la nostra opera si è anonimamen- te perduta, la gloria che non saprebbe più nemmeno scaldarci il sangue, la ricchezza inutile alla nostra im potenza; amiamo tutta la vita fuggente e misteriosa, e l'amiamo colla suprema frenesia 7 del naufrago, che le onde sferzano, il vento insulta e le stelle guardano indifferenti dalle lontananze infinite. Perché dunque? E l'ideale della vita, che dentro di noi rimane intero sino all’ultimo istante, anche colla parola ridotta ad un sof- fio e il pensiero ottenebrato come uno di quei fanali, sui vetri dei quali la bufera gittò lungamente la polvere e il fango: è l'enigma dell'essere cominciato altrove e altrove destinato a risolversi. Qualche volta una fede gli ha dato un nome, sempre la speranza gli rinnovò la passione. Possiamo essere e vantarci increduli, ma il dolore della incredulità cresce dalle domande che avventiamo contro il mistero. Perché questa nostra vita? Perché questa nostra tragedia? Perché abbiamo un pensiero, che sa il nome dell'infinito e indar- no dà un nome alle cose, delle quali non può sapere l'essenza? Perché in noi questo senso duplice della bellezza e della giusti- zia? Solamente noi aggiungiamo alla natura il dramma dello spi- rito. Essa non è né buona né cattiva, né bella né brutta; effimeri, noi abbiamo invece bisogno dell'eterno: deboli, tutto il nostro sforzo è nella conquista della potenza: vivi, vogliamo un amore che superi la morte: morti, una vita che duri immutabile nella pienezza dello spirito. La religione è ospizio ai credenti, mentre gli increduli debbo- no egualmente camminare senza riposo sulla stessa strada, finché vinti dalla stanchezza girano sopra se stessi, lamentandosi e cer- cando ancora cogli occhi la meta sempre negata. Il loro eroismo è quindi inutile come il dolore della vita, ma questa inutilità di- venta così il dolore del dolore, l'estremo ineffabile momento del- la tragedia umana. Che importa l'accettarlo o il ricusarlo, se il sa- crificio rimane per tutti inevitabile? I credenti vi sentono una prova, gl'increduli vi rispondono come a una sfida; negli uni il 8 coraggio è pazienza, negli altri superbia; quelli sono sudditi, que- sti ribelli. Questo libro non esprime né la fede né l'incredulità: sarà più piccolo e più basso. La vita e la storia hanno forme e sentimento ideali immutabi- li, benché a certe epoche, nello sforzo di una rivoluzione o di una ascensione, sembrino scomporsi e cangiare: ma non è che un er- rore inevitabile, una illusione necessaria. Ecco il motivo del li- bro. Non vengo ad affermare una fede, a rinnovare una speranza: come tutti io non so, come tutti sono sospinto: ho sofferto e ne- gato. La vita è tragica senza né mutamento né tregua, lo spirito così profondo che ogni rivelazione raddoppia il suo mistero. Ma noi chiamiamo legge della natura le apparenze costanti dei suoi fenomeni, e guardando nella storia siamo costretti a sce- gliere le sue verità nei fatti e nelle forme che non vi mutano: poi la bellezza e la giustizia irresistibili nell'istinto diventano l'incon- sapevole norma dei nostri giudizi, l'illusione ed insieme la cer- tezza del nostro ideale. Quale, è dunque l'ideale presente? Sarà una insurrezione dei deboli o una rivolta dei forti, che deciderà del suo trionfo? II - La pregiudiziale storica. Volgiamo le spalle agli eterni, massimi problemi. Finché duri la vita nella umanità, la sua religione e la sua fi- losofia ritenteranno sempre il mistero delle origini e della fine per accertare il grado dell'uomo nella natura, e quale sia il signi- ficato della sua tragedia spirituale. Ma se filosofie e religioni, quelle creando un sistema e queste rappresentandolo, non poterono mai contenere nella propria orbi- 9 ta tutti i raggi fuggenti della vita: se le più alte concezioni della metafisica e le più larghe generalizzazioni della scienza non fu- rono che episodiche dinanzi all'infinito e all'eterno, che è dentro e fuori di noi, tuttavia una. costanza di idee e una fissità di sen- timenti conciliarono nell'opera della vita le più profonde irredu- cibili antitesi del nostro pensiero. Non una filosofia, non una re- ligione, non una scienza, che discendendo o salendo la gamma della propria logica, non finisse a concludere contro i più neces- sari esercizi della vita: dal culto più puro dell'idea, nel quale tutta la materia del mondo si dissolve come in un vapore e le sue for- me in una visione effimera di larve, al più primitivo culto della natura, nel quale ogni sua forza di venerazione e di distruzione fu adorata fra spasimi di terrore e di voluttà, le religioni sublimaro- no l'uomo oltre i limiti della materia e della morte, e lo degrada- rono fra gli animali curvando la sua fronte sulla terra, dalla quale vaporavano le ebbrezze dei profumi e dei miasmi. Né le scienze, così più basse delle religioni e fatalmente an- cora più unilaterali, mutilarono meno sulla falsariga delle proprie ipotesi la vita umana, che resisté trionfalmente accettando con logica istintiva soltanto quello che poteva giovare al suo sviluppo spirituale, e pagando tutto il resto come un'imposta con lungo e mostruoso sacrificio. Infatti nella nostra tragedia nulla appare gratuito e l'errore si ripete come una forma necessaria della verità nella storia mentre ad ogni progresso di questa tutto è ugualmente necessario di quanto in noi vive, il vizio e la virtù, gli eroismi della più eccelsa spiritualità e le più brutali prepotenze dell'istinto. La storia non è che la biografia dell'umanità, ancora giovane dopo tanti millenni, ma non ancora arrivata alla pienezza di una coscienza mondiale. 10
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