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Al cinema con il filosofo. Imparare ad amare i film PDF

171 Pages·2015·1.11 MB·Italian
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Il libro P er gustarsi un buon film, la compagnia di un filosofo potrebbe sembrare una scelta bizzarra. Eppure, come si afferma in questo libro, risulta preziosa perché in grado di offrire un’inaspettata chiave di lettura, una lente capace di individuare, grazie agli specifici strumenti della filosofia, i concetti o le tesi portanti della pellicola, illuminando il film di luce nuova e collegandolo alla nostra esperienza personale. Trasformando, cioè, una fruizione solo passiva in un’interpretazione attiva e ricca di significati. Questo vale non soltanto per pellicole «impegnate» o colte, ma anche per quelle senza pretese intellettuali, che, se sono autentiche e ben girate, traducono – per la natura propria del cinema – un’esperienza di pensiero in immagini. Ci restituiscono sempre, anch’esse, la sintetica visione talvolta del mondo che ci circonda, talvolta di quello dentro di noi. Roberto Mordacci offre in queste pagine al lettore la sua esperienza di filosofo, qui a contatto con le immagini, le vicende, le provocazioni e i sogni che il cinema ha addensato in una quarantina di pellicole di recente produzione, presentate al pubblico all’incirca nell’arco di un anno. Nella scelta dei titoli si va dal tema della guerra e del patriottismo di American Sniper, a quello del codice arcaico della vendetta in Timbuktu e Anime nere; dalla sete sfrenata di denaro di The Wolf of Wall Street a quella di giustizia di Perez; dalla ricerca di un riscatto personale del Giovane favoloso a quella della propria identità in Tutto sua madre, Birdman o Ida. Non mancano l’amicizia (Ritorno a L’Avana), l’amore (Lettere di uno sconosciuto), la musica come forza vitale (Jersey Boys o Whiplash), la salvezza del pianeta (Il sale della terra). Di fronte a tanta ricchezza di tematiche la riflessione del filosofo nonché appassionato di cinema non potrà che trovare d’accordo anche il lettore, perché «grazie alle immagini» conclude l’autore «il cinema ci parla del nostro mondo e del nostro tempo» sia pure per via emotiva e intuitiva. «Ed è qui che gli strumenti millenari della filosofia diventano preziosi per far affiorare ciò che i film dicono in modo leggero e spontaneo.» L’autore Roberto Mordacci dal 2013 è preside della Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, dove insegna Filosofia morale. È autore, tra l’altro, di Rispetto (Cortina 2012) e L’etica è per le persone (Edizioni San Paolo 2015). Appassionato di cinema, conduce su TgCom24 la rubrica «Al cinema con il filosofo». Roberto Mordacci AL CINEMA CON IL FILOSOFO Imparare ad amare i film AL CINEMA CON IL FILOSOFO Introduzione Pensare con lo schermo I buoni film possono darci molto più di una semplice visione. Anche pellicole senza pretese intellettuali, se sono autentiche e ben girate, fanno vivere un’esperienza di pensiero. Quest’ultima è più intensa e appagante se disponiamo di qualche chiave di lettura, di una lente che consenta di trasformare una fruizione semplicemente passiva in un’interpretazione attiva e significativa. Al di là delle nostre specifiche sensibilità, il cinema ci mette in rapporto con il nostro tempo, con ciò che ci scorre intorno, benché in modo non (solo) discorsivo e, anzi, per lo più per via emotiva e intuitiva. È qui che la filosofia, con i suoi strumenti millenari, può rivelarsi una risorsa preziosa. Accostato alle storie, alle immagini, ai volti e ai movimenti, il pensiero filosofico non si dissolve, ma prende una leggerezza che fa affiorare quello che i film dicono con una spontaneità che i ragionamenti troppo distaccati non conoscono. L’effetto di questa liberazione della filosofia dalla fatica del concetto è che i film prendono vita insieme al pensiero, si colorano delle luci dell’interpretazione, che non dimentica le proprie letture ma le ritrova trasfigurate in una storia o in un’immagine. Si svelano così, nascoste in una sequenza o un’inquadratura, verità che avrebbero richiesto lunghi ragionamenti, idee che solo in una storia possono emergere, critiche che solo un’immagine può rendere efficaci. Così, senza la pretesa di fare un lavoro di critica cinematografica, la lettura filosofica dei film – e in particolare dei film che si sono succeduti grosso modo nel corso di un anno – è come un’immersione nel nostro mondo, come leggere lo stato dell’arte della coscienza contemporanea. Quest’esperienza di consapevolezza, d’altra parte, non vale mai soltanto per oggi o per il breve momento della visione di un film: spesso, capire alcune cose attraverso un film e grazie a un’idea filosofica diviene una risorsa personale permanente, magari condensata in un’immagine o in una battuta che ricordiamo. Allo stesso modo, infatti, i filosofi antichi fissavano le loro dottrine tramite aforismi e brevi massime da mandare a memoria. La potenza del cinema ci aiuta a formare un’idea in maniera efficace e duratura, spesso sviluppandola in modo che non ci accorgiamo di quanto abbiamo ragionato per arrivarci. A volte, perché si comprenda quel percorso, è utile, se non addirittura necessario, che sia rintracciata una chiave di volta, un concetto o una tesi, che illumina improvvisamente tutto il film e lo collega alla nostra esperienza. Ecco, il contributo del filosofo può essere questo: offrire qualche strumento, derivato dalla lunga tradizione del pensiero, per cogliere ciò che di un film può prendere un senso più ampio, più profondo, capace di intercettare tanto le nostre personali riflessioni quanto quelle che si sono depositate in tale tradizione. Scoprirsi in dialogo con Socrate o Aristotele, Leibniz o Kant mentre si guarda un film non è solo un’esperienza emozionante dal punto di vista intellettuale: è un arricchimento autentico della nostra capacità di comprenderci e farci comprendere. Ci sono essenzialmente quattro modi di mettere in contatto la filosofia con i film. Il primo è quello di domandarsi anzitutto che cosa sia il cinema, questa «lampada magica» (come lo chiamavano i fratelli Lumière) che anima le immagini e unisce misteriosamente fotografia e movimento. Vi è una grande tradizione di ricerca sulla teoria del cinema, che include molti filosofi ma soprattutto registi, critici e teorici che fin dalle origini si sono interrogati sulla natura, le potenzialità e i limiti del cinema e dell’esperienza che se ne può fare. Un secondo modo è quello di considerare i film come luoghi in cui si condensa un certo stile di vita e di pensiero, tipico di un’epoca o di un luogo. Questo significa leggere i film come documenti storici, artistici e sociali, che chiedono di essere interpretati anche in chiave filosofica, come forme di cultura che fanno parte del nostro patrimonio di idee e di espressioni. È una comprensione anche estetica che si attiva in tal caso, spesso ricollegandosi alle riflessioni più generali sull’arte e sulla società. In terzo luogo, i film possono semplicemente essere «usati» per fare filosofia: si possono prendere sequenze, dialoghi e immagini come provocazioni per un tema etico, politico o teorico, come spunti da cui partire per sviluppare riflessioni che vanno al di là della pellicola e che in realtà impiegano quest’ultima come un tramite per parlare della vita, di un certo tipo di esperienze o di idee. È una pratica comune, non solo tra i filosofi, che trova applicazioni nella formazione scolastica, in quella universitaria e, sempre più spesso, in quella aziendale. Vi è poi un quarto modo di fare filosofia con i film: considerarli come veri e propri «testi filosofici», almeno in una certa misura. Un film sviluppa sempre un’idea, per lo più in forma narrativa, ma spesso facendo affiorare con chiarezza un tema che si fa strada nella mente degli spettatori, a volte persino al di là dell’intenzione del regista e degli autori. È come se quest’idea venisse presentata, argomentata, difesa e al tempo stesso criticata in un modo che non è quello tipico della discussione filosofica, ma che non è meno efficace. Molti filosofi, per spiegare e dimostrare le loro tesi, ricorrono nei punti cruciali a metafore, immagini e addirittura miti e apologhi. L’argomentazione filosofica è spesso narrativa. E viceversa: la narrazione è spesso filosofica. La narrazione per immagini può esserlo ancora di più. Quindi, può ben capitare che un film sia, di fatto, un buon testo filosofico, vale a dire un luogo in cui viene elaborata, discussa e proposta un’idea. Spessissimo, si tratta di idee che hanno a che fare con la vita delle persone in modo reale e concreto, sono per così dire il tessuto riflessivo dell’agire dei personaggi e sono quasi più esperienze che idee, che gli spettatori vivono grazie all’«immersione» nello schermo. Ecco, quel che va capito e accettato è che questa immersione è pensiero. È quello che chiamo «pensare con lo schermo». È un pensiero che lo sguardo filosofico interpreta e aiuta a interpretare, fornendo strumenti e spunti che, appunto, provengono dal luogo in cui l’esercizio accurato e sistematico del pensiero è divenuto una tradizione forte e influente, che circola anche al di sotto della consapevolezza di registi, autori, attori e spettatori. Questo libro assume soprattutto quel tipo di sguardo sui film di cui qui si parla, a volte integrandolo con un approccio più sociale e culturale, come nel secondo dei modi sopra elencati. Quando chi va al cinema ha l’abitudine di percorrere i luoghi del pensiero, si trova spesso a riconoscere in una pellicola argomenti e ragionamenti che, in forma persino non troppo diversa, ha incontrato molte volte in quei luoghi. È un’esperienza che si può condividere senza tecnicismi, in modo da cercare di restituire ciò che di un film si è potuto capire e che, attraverso l’opera, può nutrire la nostra esistenza e il nostro pensiero. L’occasione di condividere queste riflessioni sui film mi si è offerta, nell’ultimo anno e mezzo, nella forma di una rubrica televisiva («Al cinema con il filosofo», in onda su Tgcom24 ogni sabato pomeriggio alle 17.15). La calorosa accoglienza di coloro che animano quella testata, e in particolare del suo direttore Alessandro Banfi (un «grazie» non sarà mai abbastanza), nonché un inaspettato successo di pubblico mi hanno incoraggiato a rielaborare i miei appunti e a trasformare quelle brevi analisi a voce in un libro, dove le parole potessero trovare il più disteso respiro della scrittura e la relativa permanenza della stampa. In questo volume, dunque, si trova l’esperienza di un filosofo a contatto con le immagini, le vicende, le provocazioni e i sogni che il cinema ha addensato in una quarantina di pellicole. È un’esperienza che continua e che mi appare sempre più come una maniera proficua e stimolante di esercitare la mia professione di filosofo. Ciò che ne ho tratto è anzitutto un bilancio sul nostro tempo, che ho cercato di esporre nelle conclusioni, ma anche, e soprattutto, una visione più intensa del vivere. Questo non sarebbe stato possibile senza il cinema. Ma nemmeno senza la filosofia. Milano, aprile 2015

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