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25 luglio 1943 PDF

312 Pages·2018·1.496 MB·Italian
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i Robinson / Letture Emilio Gentile 25 luglio 1943 Editori Laterza 2 © 2018, Gius. Laterza & Figli Edizione digitale: aprile 2018 www.laterza.it Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Bari-Roma Realizzato da Graphiservice s.r.l. - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 9788858132777 3 Indice Prologo. Rashōmon a Palazzo Venezia Capitolo primo. Fatti in cronaca Capitolo secondo. Il verbale che non c’è Perché non c’è il verbale Anche il duce prese appunti Mussolini fu il primo Spunta un verbale Il resoconto Federzoni Capitolo terzo. Il regime del duce Ambiguità di una sfida Dal partito armato al regime totalitario Le esequie del regime parlamentare L’organo supremo del regime Stato monarchico a regime totalitario Duce del fascismo, capo del governo, maresciallo dell’impero Comandante supremo Capitolo quarto. Ai tuoi ordini, duce Origine di una fede Fedele in umiltà Un «italiano nuovo» Più fede, più fiducia, più fascismo I nostri grandi Capi Viva la guerra totalitaria Il codice della razza italiana Capitolo quinto. I tirannicidi del 25 luglio Grandi l’assente Appello al re 4 Un «piano temerario» Popolazione inerte Il re tace L’amico fedele La demolizione della monarchia «Siamo ai tuoi ordini» Il regime è l’Italia Lode al fondatore dell’impero La ragione dello Stato totalitario Un grande momento storico «Tutti annaspiamo» Capitolo sesto. Prova di Gran Consiglio Scorza e la mistica del duce Il rifiuto di Grandi Bottai il revisionista Ragioni di una crisi Tutti con Mussolini Il «passo» Preludio al Gran Consiglio Capitolo settimo. Gioco grosso Versioni in contrasto Apocrifi d’autore Ordine del giorno Grandi: bozza prima Grandi entra in gioco Le versioni di Grandi La versione di Bottai Grandi dal duce Quel che Scorza disse. O non disse Ordine del giorno Grandi: seconda stesura Ordine del giorno Grandi-Bottai: definitivo Capitolo ottavo. L’incognita del Gran Consiglio Alla conta dei voti Per «liberare» Mussolini Massimo riguardo per il duce Il piano di Scorza Pensieri della vigilia A Palazzo Venezia, ore 17 5 Un duce irresponsabile Le fratture del regime totalitario Non contro il duce né contro il partito Epilogo. Eutanasia del duce Ringraziamenti 6 Prologo. Rashōmon a Palazzo Venezia Alle ore 17 del 24 luglio 1943, si riunì a Palazzo Venezia, nella sala del Pappagallo, il Gran Consiglio, organo supremo del regime fascista. La seduta durò dieci ore. Alle 2,30 del 25 luglio, la maggioranza dei gerarchi votò un ordine del giorno presentato da Dino Grandi che esprimeva la sfiducia nei confronti del duce. Era la prima volta che ciò accadeva. E fu anche l’ultima. Alle 17,30 dello stesso giorno, all’uscita dall’udienza con il re, Mussolini venne arrestato dai carabinieri. Fu la fine del regime fascista. Le ventiquattro ore, dall’inizio della seduta del Gran Consiglio all’arresto di Mussolini, comprendono il complesso dei fatti passati alla storia sotto la denominazione «25 luglio». Il fatto dominante di quelle ventiquattro ore furono le dieci ore di seduta del Gran Consiglio. Anche se l’arresto di Mussolini e la formazione di un governo militare presieduto dal generale Pietro Badoglio erano stati predisposti in un piano di colpo di Stato elaborato dai militari senza alcuna connessione con l’azione dei gerarchi che votarono l’ordine del giorno Grandi, gli stessi artefici del colpo di Stato riconobbero che il colpo di grazia al regime fascista era stato dato non da loro ma dal Gran Consiglio. Lo riconobbe per primo lo stesso maresciallo Badoglio, parlando agli ufficiali il 18 ottobre 1943: «il fascismo non è stato rovesciato da noi: da Sua Maestà o da 7 me. Il fascismo è caduto non per forza esterna, ma per la sua crisi interna: non poteva resistere più. Lo hanno abbattuto gli stessi componenti del Gran consiglio. I membri del Gran consiglio votarono, la sera del 24 luglio, a maggioranza contro Mussolini. E ne segnarono la fine. Finalmente!»1. La tesi di un suicidio del regime fascista compiuta dal suo organo supremo è stata suffragata, sia pure indirettamente, dai principali protagonisti dell’azione contro Mussolini nella notte del Gran Consiglio, Grandi e Federzoni, i quali hanno sostenuto che la caduta di Mussolini e la fine del regime fascista era stato lo scopo della loro iniziativa. La nostra azione, ha raccontato Grandi, mirava ad «abbattere Mussolini e la dittatura», pertanto l’approvazione del suo ordine del giorno «significava di fatto la deposizione del dittatore, la condanna della dittatura e del sistema totalitario e, per conseguenza fatale, il crollo del regime»2. Egualmente si è espresso nelle sue memorie l’altro maggior sostenitore dell’iniziativa di Grandi, Luigi Federzoni, sull’obiettivo che si proponeva di raggiungere in Gran Consiglio votando l’ordine del giorno Grandi: «noi promotori della manifestazione ci rendevamo esatto conto delle gravi ripercussioni che sarebbero potuto derivare dal nostro atto […] noi eravamo andati là precisamente per ottenere quel risultato: l’eliminazione di Mussolini»3. Può darsi che la caduta di Mussolini e l’abbattimento del regime totalitario, preludio alla rottura dell’alleanza con la Germania e alla pace separata con gli Alleati, fossero gli obiettivi che effettivamente si posero Grandi e Federzoni, anche se non lo palesarono apertamente agli altri gerarchi da loro persuasi a votare per l’ordine del giorno Grandi. Al contrario, dalle testimonianze di altri gerarchi, come Bottai, Bastianini, Cianetti, De Stefani, risulta che essi non volevano affatto la destituzione del duce né la sua uscita di 8 scena, anche se si unirono a Grandi e a Federzoni nel criticare il regime totalitario e la concentrazione eccessiva del potere nella persona del duce. Era loro intenzione sollecitare Mussolini a restituire al re il supremo comando militare, a ridare efficienza di funzioni al Gran Consiglio, al Consiglio dei ministri, al Parlamento, e a tutti gli altri organi e istituzioni del regime e dello Stato, che l’accentramento ducesco aveva esautorato. Non era invece nei loro propositi menomare il prestigio del duce né abbattere il regime: erano convinti che occorresse liberare Mussolini dal gravame del comando militare per renderlo più abile nell’esercizio del potere politico, e salvare nello stesso tempo il fascismo, liberandolo dalla bardatura del regime totalitario che lo aveva deformato e guastato. Di questo orientamento era Alberto De Stefani, che votò l’ordine del giorno Grandi nella convinzione che così «il Gran Consiglio si apprestava, per salvare il Duce e il regime, a chiedere che il Re riprendesse i poteri militari e le istituzioni riavessero il loro funzionamento costituzionale»4. Ma un orientamento non dissimile ebbe Giuseppe Bottai, che pure fu un deciso sostenitore dell’iniziativa di Grandi, partecipando alla revisione del suo ordine del giorno e alla stesura definitiva del testo presentato e votato in Gran Consiglio. Bottai non pensava che l’eventuale deposizione di Mussolini dovesse comportare la fine del fascismo. Egli negò, come scrisse il 23 agosto 1943 nel suo diario, riflettendo con se stesso sui fatti del 25 luglio, che l’arresto di Mussolini e la fine del regime fossero l’inevitabile conseguenza dell’ordine del giorno Grandi: furono invece la conseguenza imprevista dell’intervento dei militari, avvallato dal re: È conseguenza d’un moto indipendente dal nostro, di ormai accertate origini militari, avverso al nostro. Noi ci muovevamo nel Fascismo, tutt’al più dal Fascismo; né rifiutavamo, a tal fine, pia illusione, un Mussolini smussolinizzato, un Mussolini, appunto, riportato nella costituzione fascista. I militari muovevano 9 contro il Fascismo. Badoglio non è che il deus ex machina messo dalla Corona tra il nostro moto e il moto militare. Avrebbe dovuto comporlo in una risultante; ma forze negative e distruttive gli hanno preso la mano5. Tornando di nuovo a riflettere sul 25 luglio due anni dopo, Bottai ripeteva che l’orientamento prevalso in Gran Consiglio durante le dieci ore di discussione non mirava a provocare la destituzione del duce e la fine del regime, ma a tentare di salvare il fascismo sotto una veste nuova, con un Mussolini rinnovato: Tentativo estremo, non di salvare il Fascismo come era, ma di salvarlo riportandolo, con rimedi drastici, alla sua genuina essenza e costituzione. Questa fu la nota dominante delle discussioni, in cui alcuni membri del Gran Consiglio, Farinacci, De Vecchi, De Bono, Bastianini, Bottai, erano occasionalmente mescolati a altri: gli «oratori». Si trattava d’un’iniziativa più che ufficiosa: ufficiale, non segreta, presa di sua spontanea volontà dal Segretario del Partito, che ne teneva al corrente il Duce. Il nome di questi ricorse di continuo, com’è naturale. Da tutti fu apertamente deprecato, che il Capo si fosse avviluppato in responsabilità militari, fino a fare di queste la pietra d’inciampo del moto rivoluzionario, cui sarebbe stato non facile, ma non impossibile, profittare della crisi militare per aprire una crisi politica feconda di sviluppi. Il Maresciallo dell’Impero soffocava l’iniziativa del Capo politico; e, per converso, il Re, privato delle sue prerogative e responsabilità militari, veniva ad assumere, suo malgrado, una veste di arbitro politico. Bisognava, primo atto, prontamente ristabilire l’equilibrio delle funzioni. L’idea di «spogliare» il Duce del suo alto comando e di «investirne» di nuovo il Re nacque da quei dibattiti. Non sotterfugio, non subdola mina, non sotterraneo intrigo, ma esplicita istanza, di cui il Segretario del Partito si rese, di certo, interprete a Palazzo Venezia. Dove, del resto, nel «passo» del 16 luglio (data da controllare), fu da De Bono, da Farinacci, da Giuriati e da me proclamato in modo non equivoco. S’andò più in là nei confronti di Mussolini? Si previde il suo sbancamento completo? No, ma taluni discorsi potettero farlo sospettare: quelli, soprattutto, di Farinacci. Parlo d’un morto; ed è per me questione di coscienza pesare ogni mia parola scritta. Farinacci credeva, o faceva credere, di avere altre carte in tasca: la carta germanica. Egli teneva il linguaggio di un uomo predestinato, in caso di crisi totale, alla successione. Fu allora ch’io presi posizione; e dichiarai che, secondo me, o il Fascismo si salvava con Mussolini, o non si salvava6. I contrasti stridenti fra le narrazioni di Grandi e Federzoni da una parte e quelle di De Stefani e Bottai dall’altra, su quel che essi ritenevano fosse l’obiettivo 10

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